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IL RACCONTO E' ADATTO AD UN PUBBLICO
ADULTO

AMORE IN CHAT L'anima vuota
"Mio caro, quando si ha
l’anima vuota ci sono sensazioni che non possono essere spiegate!
Davvero ci ho pensato! Soprattutto al fatto che ora le avrei potuto
raccontare altri dettagli e lei di certo sarebbe stato orgoglioso di
me!"

Mia Cara
buongiorno, forse ha ragione lei, le serve una pausa
di riflessione. La sua strada sarà certamente lunga, ma
le auguro comunque di percorrerla il più velocemente
possibile. So benissimo che lei é una signora, ma una
cosa è certa: quel desiderio che la guida e la rende
unica non dovrebbe fare distinzioni, lei dovrà imparare
anche questo. Lei è l’unica protagonista mentre gli
altri sono solo una massa senza volti. Un'ultima
cosa… Non l'ho mai tratta come una bambina che ruba la
marmellata, ma solo ed esclusivamente come una grande
femmina capace di attirare le voglie del mondo. Ma
ricordi! Ne dovrà farne di strada! O forse si considera
tale solo perché va in giro a mostrare le sue intimità?
La prego, se stamattina sta uscendo, prenda coraggio, ma
coraggio davvero! Non si nasconda dietro una siepe, non
rivolti lo sguardo verso un lago qualunque mentre un
ragazzo, incontrato per caso, gode alla sua vista.
Troppo facile! Prenda per mano il suo destino. Sia lei
parte attiva. Telefoni a quel ragazzo e le dica che
acconsente. Si presenti vestita da degna “signora” e non
perda tempo di fronte ad una voglia che incede. La
soddisfi, vada in fondo, la guidi, la domi al limite
d’ogni vergogna. Solo in questo modo capirà d’aver
fatto il primo passo, sarà sicura che è quella la
strada, quell’asfalto dove i cani fanno i loro bisogni,
quel marciapiede dove di giorno le signore d’alta classe
strusciano tacchi e le misere donne vanno a fare la
spesa. Tra poco, credo uscirò, magari a godermi
questo sole. Vorrei tanto incontrare i riflessi della
seta delle sue di calze chiare mia cara. Non le do
nessun indirizzo, sarà lei a decidere, a dirmi di
incontrarla quando ne avrà bisogno. Comunque se vorrà,
le farò sapere. Luca.
*****
Mio caro,
nessuna pausa di riflessione, ora che sono decisa, non
me lo potrei permettere! Oggi ho seguito il suo
consiglio! E’ stato semplice, più facile di quanto i
“miei non posso” pensassero davvero. Un numero di
telefono e mi sono ritrovata in macchina lungo la via
Portuense. Ero bella! Di quella bellezza che sa di
peccato, ridicola al cospetto d’un ragazzino che mi
stava aspettando. L’ho chiamato e col fiato in gola ho
segnato l’indirizzo. L’appuntamento era davanti ad un
bar vicino ad un mercato. Non conoscevo il posto ed ho
sbagliato quattro volte la strada. Per me un mondo
completamente nuovo con caseggiati popolari, ragazzi
tatuati dai capelli viola e signore dimesse. Quando
sono arrivata, sono scesa dall’auto e mi sono sentita
mille occhi addosso. Portavo una gonnellina bianca a
pieghe cortissima, un giacchino di Armani adatto per il
giorno, una borsa di Fendi, un paio di calze nere Pierre
Mantoux e la scarpa di Louboutin, quella con la suola
rossa con due tacchi da paura. Non l’avevo mai messe e
non mi ero mai resa conto di quanto fossero alte. Quando
camminavo mi sono accorta di avere un’andatura da
papera. Lui era seduto sopra un motorino e mi stava
aspettando.
Lui era più piccolo di quanto mi
ricordassi, più delinquente di quanto non lo avessi
visto al buio davanti al laghetto. Avrei voluto fuggire,
ma le sue parole mi rimbombavano in testa mio caro.
Dovevo agire, dovevo essere io la protagonista e
scegliere il mio destino, e quel ragazzo era la mia
unica preda, l’unico uomo disponibile per una signora di
classe, ridotta per il momento a strusciare i tacchi con
abiti adatti solo all’anima che ribolliva dentro. Non
era solo, ma con un suo amico di qualche anno più grande
e un tatuaggio che sputava dalla maglietta fino al
collo. “Ciao, scusami ho fatto tardi!” Ho esordito.
L’amico non mi ha staccato lo sguardo di dosso e non
credeva ai propri occhi. “A Marco, nun me dì che è
questa quella che te sei fatto ieri sera?” Allibita
ho fatto finta di rovistare nella borsa. Marco intanto
aveva allungato il collo e con la sigaretta ancora in
bocca ha preteso un bacio. Poi rivolgendosi
all’amico ha detto. “T’avevo detto che era ‘no
schianto.” Compiaciuto davanti all’amico mi ha messo
un braccio attorno ai fianchi e per sentirsi uomo,
guardando il suo amico, ha iniziato a toccarmi la coscia
sinistra. Altri due suoi conoscenti, forse amici, si
sono avvicinati e lui per non perdere l’occasione di
mostrare il suo trofeo, mi ha palpata ripetutamente
piantando la sua mano sul mio di dietro ben in vista.
“Dai Marco, smettila!” Ero imbarazzata, ma non c’era
avversione nella mia voce, non c’era resistenza a quelle
dita che ora indugiavano sul filo del mio perizoma.
Ho chiuso gli occhi pensando a lei, mio caro. Anzi
ho sorriso fino ad emettere un gridolino svenevole e
compiaciuto. Nel frattempo una signora sui cinquant’anni
con i sacchetti della spesa m’ha guardata con disprezzo,
una mamma con un bimbo per mano s’è rivoltata a
guardarmi con evidente disgusto finché non ha girato
l’angolo. Mi sentivo persa, ma allo stesso tempo fiera
di tutta quell’attenzione. Quella mano, i miei
vestiti, quella gente rozza mi stavano scavando i
meandri più nascosti dell’anima, toccando dal vivo le
piaghe di anni passati a pretendere rispetto. In quel
momento non ero nulla, ero una sciocca donna di
proprietà di quel ragazzino che si pavoneggiava
alzandomi la gonna davanti al suo branco.
“Sei
uno schianto Luisa!” Mi ha detto Marco mentre, con la
gonna alzata, faceva vedere le mie intimità di pizzo
nero ai suoi amici. Ad un tratto si è avvicinata una
faccia da galera con l’orecchino ed una cresta di gallo
tatuata lungo tutto il braccio. “A Marco, se te
serve ‘na mano famme ‘n fischio.” Con aria da
intenditore mi ha palpato le braccia e sfiorato il seno,
come per constatare da vicino la merce. La sua bocca era
ormai a pochi centimetri dalla mia, ho tentato di fare
un passo indietro, ma la mano ferma sulla gonna non mi
consentiva di indietreggiare. “Ce voi fa ‘n giro?
Guarda qua!” Marco mi ha alzato ancora di più la gonna.
Ero praticamente nuda, in mezzo alla strada con le mie
mutandine ben in vista. Sentivo dentro una forte rabbia
per essere alla mercé di quel ragazzino, ma allo stesso
tempo non lo fermavo. “Tocca, tocca…” Ripeteva alla
faccia da galera. E lui senza farsi pregare ha
iniziato a toccarmi. Sono passati ancora interminabili
minuti e una discreta folla si era radunata su quel
marciapiede, compreso il padrone del bar e una spazzino
che incitava il ragazzo ad alzarmi completamente la
gonna. Marco, evidentemente sfinito da tanta celebrità,
a quel punto ha acceso il motorino e rivolgendo un cenno
di intesa al suo amico mi ha ordinato di seguirlo. Ho
riattraversato la strada con un senso di liberazione,
convinta che quello era stato il mio primo fondo e
chissà in quanti altri sarei affogata, derisa da mani,
da occhi e parole che mi giudicavano per quella che ero.
Per ora galleggiavo dentro la certezza di non essere
fuggita e che la mia voglia era più forte di qualsiasi
vergogna, compiaciuta d’aver assecondato quel ragazzo
che senza saperlo mi stava facendo vivere il mio sogno
ricorrente.
Dopo circa un chilometro abbiamo
lasciato il traffico della Portuense entrando in una
strada polverosa e piena di buche. Abbiamo percorso
circa un centinaio di metri tra un canile abbandonato e
uno sfasciacarrozze, poi il motorino si è fermato ai
margini di una discarica vicino al Tevere. Tutto intorno
immondizia, un cimitero di motorini smontati e senza
ruote, vecchi divani e due gatti sopra un muretto che
sonnecchiavano. Alle spalle un muro ammuffito con una
scritta rossa cubitale: “Jessica è una grande puttana!”
Beh sì in quel momento ho pensato a Jessica e cosa
avesse fatto per meritare quella scritta enorme!
Comunque quello era il panorama che mi era concesso,
quello il regalo delle tante suite d’albergo, cene
romantiche e viaggi in posti da sogno che negli anni
avevo rifiutato! Ho fermato la mia macchina tra due
lavatrici arrugginite. Marco si era già infilato come
una furia nell’auto. Era visibilmente contento. Non gli
importava nulla del mio trucco perfetto, di quelle
labbra infuocate di rosso sbordate oltre ogni misura. Di
Fendi, Armani e Pierre Mantoux! Nulla delle mie
mutandine di pizzo messe per l’occasione. Lui ripensava
alla scena del bar e si gonfiava il petto. In un attimo
mi ha sgranato tutti i nomi di quelli che ci avevano
visti, di quelli che con la lingua di fuori avevano
seguito il movimento della sua mano.
“Ti rendi
conto? Una donna di classe come te non entra mai in quel
quartiere!” Continuava a parlare, si sentiva una
star, mi ha fatto promettere che, tutte le volte che
avesse voluto, mi sarei fatta toccare da lui davanti a
tutti e mi ha sgranato altri nomi che per un motivo o
per l’altro non erano presenti alla scena. Per un attimo
mi sono sentita partecipe alla sua felicità, al suo
orgoglio di maschio di borgata che esibiva il suo trofeo
per un attimo di effimera gloria!
Continuava a
parlare senza concentrarsi su di me mentre io mi rendevo
conto che il suo piacere passava esclusivamente
attraverso lo sguardo dei suoi amici. Alla fine gli ho
detto di guardarmi, che io ero lì in carne ed ossa e non
ero solo un mero ricordo di una sua impresa e per farlo
concentrare su di me ho scoperto il seno. “Marco io
sono qui, ti prego baciami!” E poi ancora: “Ora
siamo soli io e te! Stamattina ti ho chiamato perché ho
ripensato alle tue parole.” Lui era distratto o
faceva finta di non sentire. “Ieri mi avevi chiesto
di essere tua senza guardare il lago, ti ricordi?”
Senza nessun trasporto mi ha stretto la gamba
increspando la calza. “Sei proprio bona!” Ma era
lontano, niente a che vedere con chi avrebbe dovuto
scavarmi l’anima attraverso la carne. Niente poesia,
niente femme fatale, solo una mestierante da quattro
soldi ai margini di una discarica. Mi ha baciato il
seno, ma era una bocca quasi da incesto, da figlio già
sazio che non ha più voglia di latte. Lui, la sua
razione l’aveva già avuta, il suo piacere già lo aveva
trovato davanti a quel bar e quella che stavamo vivendo
era solo una noiosa e banale conseguenza. Allora mi sono
tolta la gonna, ma l’effetto dei pizzi, dei mille
fiocchetti, del rosso e del nero, del reggicalze della
Perla messo per la prima volta, è rimasto solo dentro i
miei occhi.
“Non lo vedi come mi sono vestita
per te? Ti rendi conto di come mi sono sentita davanti
ai tuoi amici?” Solo a quel punto, quando ho accennato
ai suoi amici ho visto il suo istinto risvegliarsi, i
suoi grandi occhi vispi neri ravvivarsi come se mi
vedesse per la prima volta, come se ad un tratto
ripensasse a quella signora che allargava le gambe come
terra di conquista su una panchina. Ha abbassato la
lampo dei pantaloni e con fare da borgata mi ha indicato
la sua voglia: “Baciamelo!”
Ecco sì in quel
momento ho pensato che la giornata non fosse passata
inutilmente e che le nostre conversazioni serali, le mie
e le sue mio caro, diventassero di colpo materia e
carne. Allora, guardando il suo sesso, mi sono finta
sorpresa cercando l’esclamazione più appropriata. Ma,
mio caro, le giuro, non era nulla di che, era solo un
banalissimo sesso ancora acerbo appena ventenne,
nonostante l’eccitazione evidente. Recitando la parte
di chissà quale scena vista in qualche film di un cinema
di periferia mi ha preso la testa dicendo di fare il mio
dovere e vincendo la mia finta resistenza.
Da
subito ho sentito i suoi gemiti caldi ed io finalmente
ero decisa a svolgere nel migliore dei modi la mia
parte. Ho chiuso gli occhi ed afferrato il piacere, ma
non ne sarei stata all’altezza se ad un tratto un
brivido caldo non mi avesse percorso la schiena. Certo
ero precisamente quella che io e lei avevamo sempre
sognato e il merito era di un piccolo delinquente di
borgata incontrato per caso.
Niente a che vedere
con la scena del lago! Sentivo in bocca il sapore
dell’eccitazione della quale io ne ero la causa, sentivo
la forma che si faceva consistenza, il mio sogno realtà
vera. Per la prima volta assaporavo un gusto diverso da
quello di mio marito e in quanto tale un gusto forte dai
mille sapori. Certo non era niente di che, non era
quell’atto la mia soddisfazione, ma il pensiero di
quanti uomini nella mia vita avrebbero voluto godere di
quella mia saliva, invece come prima volta avevo scelto
una discarica e un ragazzino che neanche si degnava di
guardare le mie gambe. Ostinatamente cercavo il suo
piacere, quando, con la coda dell’occhio ho visto delle
ombre aggirarsi intorno alla mia auto. Già non eravamo
soli. Forse non lo eravamo stati sin dall’inizio, ma io
non mi ero accorta di nulla! Fuori dalla macchina, con
gli occhi incollati ai vetri, si sono materializzate le
facce dei due incontrati davanti al bar. La faccia da
galera e l’altro suo amico che evidentemente ci avevano
seguito o sapevano bene dove Marco mi avrebbe portata.
Marco a quel punto mi ha detto di fermarmi, di
interrompere quello che stavo facendo e di spogliarmi
completamente. Poi ha voluto che mi voltassi e mettessi
bene in vista il mio seno. Ha voluto che prendessi per
mano il suo piacere e dopo qualche secondo l’ho sentito
urlare di piacere. Tra quei gemiti mi ha detto che ero
stata stupenda e che ero stata meglio di una sua amica
che si concedeva per dieci euro. Avrei dovuto essere
contante, ma, in quel momento, le sue parole non mi
hanno procurato l’effetto sperato! In quell’istante mi
sono dovuta ricredere, rendermi conto che il suo
desiderio non fossi io, non fosse la donna che gli aveva
procurato piacere, non fosse la femmina vestita così per
lui, ma quei due fuori dalla macchina che avidamente mi
stavano osservando.
Intuivo cosa mi sarebbe
successo a breve, anzi uno di loro aveva già aperto lo
sportello e l’altro, quello con la faccia da galera,
aveva già sbottonato i suoi pantaloni quando ho visto da
lontano una macchina dei Vigili Urbani spuntare dal
nulla. La macchina percorreva un viottolo lungo il fiume
molto distante da dove eravamo noi. Grazie a Dio ho
fatto in tempo a rivestirmi mentre Marco e i suoi due
amici sono fuggiti in direzione opposta sgasando con i
loro motorini senza essere visti.
Quando la
macchina con la luce lampeggiante si è avvicinata sono
scesa dall’auto e la vigilessa molto gentile mi ha messo
in guardia dicendomi che in quel posto giravano brutti
ceffi, piccoli delinquenti di borgata che smontano
motorini rubati per poi rivendere i pezzi per pochi
euro. Già brutti ceffi che io mi ero cercata!
Mio caro, questo è il racconto di quello che mi è
successo stamattina, ma c’è una cosa che mi inquieta e
non riesco a non pensarci, ossia, nonostante la paura,
quando i tizi hanno aperto lo sportello ho pensato
davvero che avrei potuto trovare linfa per mia mente
malata, la perdizione che vado cercando, essere terra di
semi infecondi, femmina a più riprese di uomini diversi
nel giro di qualche minuto, madre natura e quant’altro
concedendo parte di me se solo fossero stati più gentili
o avessero fatto le loro richieste senza spaventarmi.
Mio caro, quando si ha l’anima vuota ci sono sensazioni
che non possono essere spiegate! Ma davvero ci ho
pensato! Soprattutto al fatto che ora le avrei potuto
raccontare altri dettagli e lei di certo sarebbe stato
orgoglioso di me! È stato un attimo lo so, finché il
panico ha preso il sopravvento.
Al cospetto dei
vigili mi sono finta preoccupata inventando di essermi
persa. Ho ringraziato la donna più volte senza che lei
potesse immaginare che inconsapevolmente aveva sventato
qualcosa simile ad una violenza di gruppo e soprattutto
l’imbarazzo di dover raccontare per quale diavolo di
motivo mi trovassi in quel posto. Gentilmente mi hanno
scortato fino verso l’uscita.
Beh devo dire che
sono stata fortunata. La sua…
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CONTINUA...
ELENCO DEI RACCONTI DI AMORE IN CHAT
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RACCONTI DI LIBERAEVA
Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
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