|
HOME
CERCA
CONTATTI
COOKIE POLICY 
RACCONTO

Adamo Bencivenga
LA
STORIA DI GIOVANNA 2
“Mi chiesi più volte
se altre donne avessero mai vissuto il mio strazio e
come si fossero comportate. Non lo sapevo, ma ero
certa di vivere una storia sbagliata, incredibile,
sporca e il destino aveva scelto me tra le tante!”

Il giorno dopo, un lunedì,
inventai una scusa a casa: un ricevimento in grande
stile di un diplomatico dove era richiesta la mia
presenza. Con Mauro avevamo deciso, per non destare
sospetti di raggiungere il motel separatamente, ciascuno
con il proprio mezzo, attenti a non lasciare tracce che
potessero tradirci. Il posto era anonimo, appena fuori
dalla Balduina, un edificio basso e sbiadito, con tende
pesanti alle finestre, macchiate dal tempo, e un’insegna
al neon intermittente che ronzava come un insetto
fastidioso. Attraversai il piccolo parcheggio con passi
incerti, intimorita e rassegnata, ma con una strana,
inconfessabile eccitazione.
Mi ero vestita con
cura, come se l’abbigliamento potesse in qualche modo
giustificare o mascherare ciò che stavo facendo.
Indossavo un abito nero aderente che mi fasciava i
fianchi e si fermava appena sopra le ginocchia,
lasciando intravedere la trama velata delle mie calze
nere. Le décolleté argentate, con il tacco alto,
ticchettavano sulla ghiaia del vialetto mentre mi
avvicinavo all’entrata. Il trucco era studiato, discreto
ma intenzionale: un velo di fondotinta, un tocco di
mascara per allungare le ciglia, e un rossetto rosso
scuro, quasi bordeaux, scelto con cura per non spegnere
quella scintilla che avevo visto negli occhi di Mauro la
sera prima. Mi ero guardata allo specchio prima di
uscire di casa, incerta se quel rossetto fosse troppo
audace, troppo dichiaratamente seducente, ma alla fine
l’avevo lasciato, come un sigillo sulla mia decisione di
andare fino in fondo. Mauro era lì ad aspettarmi.
Entrammo.
Davanti al concierge, un uomo di mezza
età con occhiali spessi e un’espressione impassibile, mi
fermai per un istante, sentendo il suo sguardo su di me.
Quegli occhi, freddi e indagatori, mi trafissero come se
sapessero tutto: chi ero, perché ero lì, cosa stavo per
fare. In quel momento, la consapevolezza di essere
ufficialmente un’amante mi colpì come un pugno sul viso.
Non ero più solo Giovanna, la moglie, la madre, la donna
rispettabile. Ero qualcos’altro, qualcosa di segreto, di
proibito, un oggetto sessuale che si prestava per fini
poco nobili. Arrossii, abbassando lo sguardo, poi lui
con un rapido cenno, ci porse la chiave, senza dire una
parola, ma il suo silenzio era più eloquente di
qualsiasi giudizio.
Entrammo nella stanza, l’aria
era densa di un silenzio che pesava più delle parole non
dette, un silenzio che sembrava avvolgere ogni cosa come
una coltre invisibile. Non c’era spazio per esitazioni.
Mauro non perse tempo, avvicinandosi con una
determinazione che mi fece sentire piccola, ma anche
desiderata. Le sue mani, calde e sicure, mi cinsero i
fianchi, guidandomi verso il letto con una naturalezza
che mi spiazzò. Mi lasciai andare completamente,
spegnendo quella voce interiore che mi ricordava chi ero
e cosa stavo rischiando. Il letto scricchiolava sotto di
noi, mentre il mondo fuori, Roma, la mia casa, Armando,
Beatrice, sembravano svanire in un angolo lontano della
mia mente, ridotto a un’eco distante, priva di contorni.
Non mi spogliò. Mi lasciò in lingerie dicendomi che
ero bella così e quando lo accolsi, fu diverso da tutto
ciò che conoscevo. Con Armando, l’amore era sempre stato
rassicurante, familiare, protettivo, come un rituale
consolidato dal tempo, fatto di gesti prevedibili e di
una tenerezza che, pur sincera, si era ormai incrostata
di abitudine. Con Mauro, invece, c’era qualcosa di
selvaggio, di urgente e peccaminoso. Le sue mani
esploravano il mio corpo con una curiosità che mi faceva
sentire nuova, come se fossi una terra sconosciuta, da
scoprire centimetro dopo centimetro. Ogni tocco era
elettrico, ogni bacio un’esplosione di calore che mi
attraversava la pelle, lasciandomi senza fiato. Era
piacevole, sì, ma in un modo che mi disorientava: non
c’era la sicurezza di Armando, la dolcezza prevedibile
dei suoi gesti. C’era, invece, un’intensità che mi
spaventava e mi attirava allo stesso tempo, un misto di
desiderio e pericolo che mi faceva tremare.
Concentrato su ogni mio respiro, lui iniziò a baciarmi
tra le gambe con una maestria che alternava ritmi veloci
e lenti, intervallati da pause strategiche che
amplificavano il mio desiderio. Ogni bacio era
un’esplorazione attenta, come se lui stesse decifrando
ogni mia reazione, ogni fremito del mio corpo. Nulla era
casuale, ma un gioco sapiente che accendeva i miei
sensi, creando un’attesa quasi insostenibile. Sentivo il
mio respiro farsi più corto, mentre un calore avvolgente
si diffondeva dal centro del mio essere.
La mia
mente si arrese al piacere, lasciando spazio solo
all’istinto e a un desiderio puro. Lentamente, mi
abbandonai a quel vortice di sensazioni con il mio corpo
sempre più in sintonia con i suoi movimenti. Il
desiderio cresceva, intenso e irresistibile, fino a
sorprendermi: fui io, con un sussurro carico di emozione
e urgenza, a chiedergli di farmi sua, e fu come liberare
una parte di me che non sapevo esistesse.
Quando
i nostri corpi si unirono, mi sentii viva in un modo che
avevo dimenticato, come se stessi riscoprendo una parte
di me che avevo sepolto sotto anni di doveri e routine.
Eppure, in fondo al cuore, una piccola crepa si apriva:
la consapevolezza che quel piacere, così intenso e
travolgente, era anche il prezzo di un tradimento, un
segreto che avrei dovuto portare con me, come un’ombra
nascosta dietro il rossetto rosso e l’abito nero.
Mentre facevamo l’amore, Mauro si fermò un istante,
il respiro affannoso, gli occhi fissi nei miei.
“Giovanna.” Sussurrò, la voce incrinata da un’emozione
che non mi aspettavo. “Sono innamorato di te. Non voglio
perderti, per nessuna ragione al mondo.” Le sue parole
mi colpirono come un fulmine. Non era solo desiderio,
non era solo un gioco di potere, lui il padrone ed io la
cameriera. C’era qualcosa di sincero, quasi disperato,
nel modo in cui lo disse. Ma invece di sentirmi
sollevata, provai un vuoto. Quindi non era solo un
momento, una serata, una scopata! Sapevo che, accettando
tutto questo, stavo salvando il mio lavoro, e con esso
la mia famiglia. Ogni bacio, ogni carezza era un patto
silenzioso per tenere insieme i pezzi della mia vita.
Eppure, il senso di colpa mi mordeva.
“Dici sul
serio?” Mormorai, cercando nei suoi occhi una risposta
che mi desse un appiglio. Lui annuì, sfiorandomi il
viso. “Non sono mai stato più serio, Giovanna. Tu sei…
diversa. Voglio che tu stia bene, che non debba
preoccuparti di niente.” Le sue parole erano miele, ma
avevano un retrogusto amaro. Sapevo che non era amore,
non come lo intendevo io. Era un legame nato dalla mia
disperazione e dal suo bisogno di controllo. Ma annuii,
forzando un sorriso. “Va bene, Mauro. Ma non lasciarmi
sola, promesso?” Lui sorrise, un sorriso che era insieme
rassicurante e possessivo. “Mai.” Disse e mi baciò di
nuovo, come a sigillare un contratto.
Da quella
notte, iniziò la nostra relazione. Ci vedevamo due volte
a settimana dopo il lavoro, sempre al motel o in angoli
nascosti della città, lontano da occhi indiscreti. Mauro
era sempre più preso, i suoi gesti pieni di
un’attenzione che mi lusingava e mi spaventava allo
stesso tempo. Cominciò a regalarmi cose: calze
autoreggenti di seta, un reggicalze nero e una serie di
mutandine rosse, la sua vera ossessione, che sceglieva
con cura. “Indossale solo per me, ok?” Mi diceva, con un
tono che oscillava tra la supplica e l’ordine. Io lo
accontentavo, infilando quei capi con le mani tremanti,
guardandomi allo specchio e chiedendomi chi fosse la
donna che vedevo. Ogni regalo era il prezzo che stavo
pagando, ma anche una promessa di stabilità. “Non mi
abbandonerà. Non so stancherà di me.” Mi ripetevo,
cercando di soffocare il senso di colpa che mi svegliava
di notte, sola in quel grande letto matrimoniale, con
mio marito nell’altra stanza che russava ignaro di
tutto.
******
Mauro mantenne la
sua parola, andando oltre ogni mia aspettativa. Una
sera, mentre eravamo al motel, mi prese la mano e disse:
“So che sei preoccupata per Armando. Ho un amico, un
bravo psicologo, uno specialista. Posso organizzare
tutto, per i soldi non devi preoccuparti. Voglio che tu
sia serena e che ti dedichi a me, anima e corpo!” Lo
guardai, sorpresa. “Perché fai tutto questo per me?”
Chiesi. Lui scrollò le spalle: “Perché sono solo, perché
tengo a te. E perché so che, senza di me, la tua vita
sarebbe maledettamente più complicata.” Quelle parole mi
trafissero. Era la verità, e la odiavo per questo.
Comunque accettai l’offerta, non perché credessi che
Armando sarebbe tornato l’uomo di un tempo, ma perché
non potevo permettermi di rifiutare. Quando tornai a
casa quella notte, mi sedetti al tavolo della cucina,
Beatrice parlava al telefono con una sua amica. “Lo sto
facendo per lei.” Mi dissi, ma la mia voce tremava. Mi
guardai le mani, ancora profumate del sapone del motel,
e sentii un nodo in gola. “Chi sono diventata?”
La sera stessa dissi ad Armando l’offerta di Mauro e lui
da quel giorno iniziò a parlare di Mauro con una
frequenza che mi metteva in allarme. “Sai, Giovanna, mi
farebbe piacere rivederlo.” Diceva, con un’ombra di
nostalgia negli occhi. “È un sacco che non ci vediamo,
dai tempi dell’università. Chissà com’è diventato.” Le
sue parole erano un coltello che girava nella piaga.
Ogni volta che nominava Mauro, sentivo il peso del mio
segreto, il motel, i regali, le calze, i tacchi
esageratamente alti e le mutandine rosse che indossavo
per lui in gran segreto. Ma non potevo dirgli di no. Non
potevo rischiare che sospettasse qualcosa. Così, una
sera, presi il coraggio a due mani e chiesi a Mauro di
venire a casa nostra. “Solo per una cena.” Gli dissi al
telefono, la voce bassa per non farmi sentire da
Armando. “Fallo per il mio bene, Mauro. Armando vuole
vederti.”
Mauro accettò senza esitazione, e da
quella prima cena iniziò a frequentare casa nostra con
una regolarità che mi spaventava e mi rassicurava allo
stesso tempo. Arrivava sempre con qualcosa in mano: una
bottiglia di Barolo pregiato, un mazzo di fiori per me,
regali per Beatrice – una collanina d’oro con un piccolo
cuore, un ciondolo a forma di stella, persino un iPhone
ultimo modello che fece illuminare gli occhi di mia
figlia. Armando, che non rideva da mesi, sembrava rinato
in sua presenza. Dopo cena passavano ore seduti in
salotto davanti ad una bottiglia di Courvoisier o una
grappa pregiata. “Mauro, sei un dono del cielo!” Gli
diceva, battendogli una mano sulla spalla mentre
ricordavano pezzi di vita passata. La sua risata, così
rara ormai, mi spezzava il cuore. Era la risata
dell’uomo che avevo sposato, ma ogni suo sorriso era un
promemoria del mio tradimento.
Io, seduta al
tavolo della nostra piccola cucina, cercavo di
nascondere il mio disagio. Ogni regalo di Mauro era un
nodo che si stringeva intorno al mio stomaco. Una sera,
mentre sparecchiavo e Armando era in bagno, presi Mauro
da parte vicino alla porta della cucina. “È troppo,
Mauro.” Sussurrai, indicando la scatola dell’iPhone
ancora aperta sul tavolo. “Tutti questi regali… Armando
potrebbe sospettare qualcosa. Non è normale, capisci?”
Lui mi guardò, il suo sorriso caldo, ma con quella
sfumatura che conoscevo troppo bene, quella che mi
ricordava chi aveva il controllo. “Giovanna, rilassati.”
Disse, abbassando la voce. “Sono solo, lo sai. Non ho
una famiglia, non ho figli, non ho nessuno. Per me voi
siete… come una seconda famiglia. Voglio solo prendermi
cura di te, di loro. Vedi come è contenta Beatrice? Ogni
suo sorriso è un dono del cielo e lo stesso dovrebbe
essere per te…”
Le sue parole erano gentili, ma
mi gelavano. C’era una verità in quello che diceva – la
sua solitudine, il vuoto lasciato dalla moglie – ma
anche un calcolo che non potevo ignorare. Ogni regalo,
ogni gesto, era un filo che mi legava più stretta a lui.
“Non dirlo così.” Mormorai, distogliendo lo sguardo.
“Sai che non è solo questo... Loro non sanno il vero
motivo…” Lui si avvicinò fissandomi: “Sai alle volte è
meglio non sapere…” Poi sfiorandomi il braccio aggiunse:
“Giovanna, fidati di me. E poi, guarda Armando, grazie a
quello specialista sta meglio, no? Non è questo che
volevi?” Annuii, incapace di ribattere. Aveva ragione.
Lo psicologo che Mauro aveva pagato stava aiutando
Armando, anche se i progressi erano lenti. Ma ogni passo
avanti di mio marito era un altro pezzo di me che si
sgretolava.
Tornai in salotto, dove Beatrice
stava provando il nuovo iPhone. “Mamma, guarda che
figo!” Disse, gli occhi pieni di gioia. Sorrisi, ma il
mio cuore era un groviglio di emozioni. Mi sedetti
accanto a lei cercando di perdermi nel suo entusiasmo,
ma sentivo gli occhi di Mauro su di me, anche dall’altra
parte della stanza e mi chiesi: “Cosa sto facendo a
questa famiglia?” Ogni risata di Armando, ogni sorriso
di Beatrice, era una vittoria pagata con un pezzo della
mia anima.
******
Per qualche
mese, sembrò tutto un sogno ed addirittura ringraziavo
quel giorno quando in quel motel mi ero lasciata andare.
Certo i miei conflitti interni rimanevano: “Ma può una
donna concedersi senza amore?” Provavo per Mauro
affetto, stima, gratitudine, riconoscenza e una grande
paura di perderlo, ma non era amore. A lavoro mi aveva
raddoppiato la paga e, grazie a lui, i soldi non erano
più un problema. Mi aveva anche cambiato le mansioni,
ora non servivo più ai tavoli, ero diventata la
responsabile della gestione del servizio, del contatto
con i clienti e della presa delle ordinazioni,
occupandomi anche di dirigere e coordinare il personale
di sala.
Ormai quella nuova mansione al
ristorante richiedeva la mia piena disponibilità per cui
d’accordo con Mauro e Armando decisi di lavorare a tempo
pieno e non solo nei week end. A malincuore lasciai lo
studio dentistico lavorando al ristorante nei giorni di
apertura ossia dal giovedì alla domenica. Rispetto a
prima avevo più tempo a disposizione e soprattutto
guadagnavo il doppio dello stipendio. Beh sì anche se
sapevo che quella scelta mi avrebbe legata mani e piedi
a Mauro, non smettevo mai di ringraziarlo. E lui ogni
volta rispondeva: “Giovanna, sono io che devo
ringraziare te!”
Anche Armando lo considerava un
benefattore. Spesso mi chiedeva: “Ma Mauro quando viene
a trovarci?” Ignorando, chissà quanto inconsapevolmente,
i nostri sguardi complici, i miei abiti sempre più
provocanti e quel rossetto rosso fuoco che era diventato
ormai la mia seconda pelle. Anche Beatrice non faceva
che chiedere quando sarebbe tornato, aspettandosi
l’ennesimo regalo. Lei cresceva a vista d’occhio, era
diventata sempre più esigente e consapevole della sua
femminilità. Quando la osservavo truccarsi nel piccolo
specchio della sua stanza mi perdevo nei pensieri:
quanti ragazzi della sua età avrebbero perso la testa
per lei? A quanti aveva già detto di no e quanti le
avevano strappato un timido sì. Mi somigliava tanto, e
questo mi riempiva d’orgoglio.
******
Col passare del tempo quelle domande scomode che mi
tormentavano l’anima si erano affievolite, come un’eco
che si spegneva lentamente. Accettavo i nostri incontri
al motel come una necessità, un rituale che, pur nella
sua trasgressione, sembrava indispensabile per la mia
sopravvivenza. Eppure, non potevo negare a me stessa
quanto quelle braccia capienti, che mi stringevano con
un misto di forza e considerazione, mi facessero sentire
protetta, viva, e soprattutto donna. Ogni incontro era
un gioco di equilibri sottili, un intreccio di desideri
che si alimentavano a vicenda, un rituale condiviso che
si arricchiva ogni volta di dettagli carichi di
significato.
Lui aveva un lato feticistico che
non nascondeva, un’ossessione per i dettagli che
trasformava ogni nostro incontro in una danza di
seduzione studiata. Gli piaceva guardarmi, scrutarmi,
come se volesse catturare ogni sfumatura del mio corpo e
dei miei gesti. E io, consapevole di quel desiderio che
gli accendeva gli occhi, mi preparavo per lui con cura,
scegliendo con attenzione ogni elemento del mio
abbigliamento. Le autoreggenti nere, quelle con il bordo
di pizzo alto, erano il suo punto debole. E poi, le
mutandine rosse, audaci, che scivolavano sulla pelle
come un sussurro. Sapevo che indossarle era come
accendere un fuoco che bruciava lento, ma inesorabile.
La luce soffusa della stanza del motel rendeva tutto
più intimo, quasi surreale. Quando entravo, lui era già
lì, seduto sul bordo del letto, con un bicchiere di
whiskey in mano, lo sguardo che mi cercava come un
predatore paziente. Mi fermavo sulla soglia, lasciando
che il suo sguardo mi avvolgesse. Le autoreggenti
incorniciavano le mie cosce, il pizzo che contrastava
con la pelle chiara, e la trasparenza rossa delle
mutandine brillava appena sotto l’orlo della gonna corta
che avevo sceglievo per lui. Ero orgogliosa di me, del
mio sesso in mostra che offrivo sfacciatamente ai suoi
occhi e alla sua passione. “Vieni qui tesoro, sei un
incanto.” Sussurrava ogni volta posando il bicchiere
senza mai distogliere gli occhi da me. Io facevo qualche
passo verso di lui, lentamente, lasciando che il suono
dei miei tacchi sul pavimento e il fruscio del nylon
riempisse il silenzio. “Dimmi che ti piaccio tanto.”
Chiedevo con un sorriso che giocava tra malizia e
provocazione. Sapevo che ogni parola, ogni movimento,
alimentava il suo desiderio. Lui si alzava,
avvicinandosi, e le sue mani scivolavano lungo il mio
corpo, soffermandosi sul bordo delle calze. “Non hai
idea.” Mormorava sfiorando e scostando le mutandine.
“Rosse! Sai che non posso fare a meno di questo colore.
Le hai messe per me, vero?” “Forse.” Rispondevo ogni
volta. “Mi piace pensare che non riesci a smettere di
guardarmi.” E tutte le volte replicava: “Non smetterò
mai, mai Giovanna!”
******
Ma non fu
così! Con il passare delle settimane e subito dopo che
mi ero legata a lui firmando quel contratto a tempo
pieno, Mauro iniziò a saltare qualche incontro al motel
e a diradare le visite a casa. Le cene, che un tempo
erano un appuntamento quasi settimanale, si ridussero a
incontri sporadici, come se qualcosa in lui si fosse
incrinato. Quello che avevo sempre temuto si stava
avverando… Forse si era stancato di giocare oppure ero
io che non riuscivo ad essere coinvolta. Ero la sua
amante, e anche se mi aveva dato tutto – soldi, regali,
un lavoro migliore – forse desiderava qualcosa che non
potevo offrirgli: un amore che non sentivo, un posto
stabile nella mia vita che non potevo concedergli senza
distruggere la mia famiglia.
A casa, quasi ogni
sera, Armando mi chiedeva di lui con un’insistenza che
mi faceva male: “Quand’è che torna? È un pezzo che non
lo vediamo.” Quelle domande, così innocenti, erano un
altro colpo al mio cuore già pesante di segreti. Mi
chiedevo cosa stesse succedendo. Era possibile che
Mauro, nonostante la sua generosità, si sentisse a
disagio in quel quadretto familiare che avevamo creato?
Forse, pensavo, quelle cene, con le risate di Armando e
l’entusiasmo di Beatrice, gli ricordavano ciò che non
aveva: una famiglia sua, un calore che non poteva
comprare con i suoi gesti magnanimi. O forse, più
semplicemente, si stava stancando di quel gioco
pericoloso.
Eppure, non potevo ignorare il vuoto
che la sua assenza cominciava a lasciare. Non era amore,
no, ma una sorta di dipendenza. Mauro aveva riempito i
buchi della mia vita – le bollette pagate, il sorriso
ritrovato di Armando, i sogni di Beatrice che si
realizzavano con ogni nuovo regalo. Senza di lui, temevo
che tutto sarebbe crollato di nuovo. Ogni volta che
Armando nominava Mauro, sentivo il peso del mio
tradimento, ma anche una paura nuova: e se Mauro avesse
deciso di sparire del tutto? Cosa sarebbe stato di noi?
Mi guardavo allo specchio e mi chiedevo se quel
rossetto, quelle calze velate, quei tacchi alti non
fossero abbastanza.
Una sera, dopo l’ennesima
domanda di Armando su Mauro, decisi che non potevo più
sopportare l’incertezza ed aspettare fino al giorno dopo
per cui presi il telefono e lo chiamai. Quando la sua
voce calda risuonò dall’altra parte, mi sentii quasi
sollevata. “Mauro, dobbiamo parlare.” Dissi, tenendo la
voce bassa per non farmi sentire da Armando, che era in
salotto a guardare la televisione. “Armando continua a
chiedere di te, e… beh, anch’io mi sto chiedendo che
succede. Perché ti stai allontanando?” Ci fu un silenzio
dall’altra parte, lungo abbastanza da farmi temere che
non avrebbe risposto. Poi, con un tono più serio del
solito, disse: “Giovanna, non è facile per me. Venire a
casa vostra, vedere te, Armando, Beatrice… è come vivere
un sogno che non mi appartiene. Mi piace, non
fraintendermi, ma ogni volta che sono lì, mi ricordo che
non sono davvero parte di tutto questo. Tu sei sua, non
mia.”
Le sue parole mi colpirono come uno
schiaffo. “Mauro, io… ho accettato la situazione, ma non
ti ho mai promesso niente di più.” Balbettai. “Lo sai.
Faccio tutto questo per loro, per Beatrice, per Armando.
Tu lo sapevi dall’inizio.” “Lo so.” Rispose, la voce
più morbida ora, ma con una punta di amarezza. “E non ti
sto chiedendo di lasciare tutto per me. Ma non è facile
guardarti sparecchiare la tavola, vedere Armando,
Beatrice… È una tortura, Giovanna. Voglio aiutarti, lo
voglio davvero, ma a volte mi chiedo se ne valga la
pena.”
Mi sentii gelare. Per la prima volta lo
sentii distante. “Mi stai dicendo che vuoi smettere? Che
vuoi lasciarci?” Chiesi. Non volevo ammetterlo, ma
l’idea mi terrorizzava. Non era solo per i soldi o i
regali, ma per il fragile equilibrio che Mauro aveva
portato nella mia vita. “No, non voglio smettere.”
Disse dopo un altro silenzio. “Ma ho bisogno di un po’
di spazio. Non posso continuare a venire a casa vostra
come se fosse tutto normale…” “Ma lo è stato fino a
qualche settimana fa…” Risposi d’impeto. “Mauro cosa è
cambiato? Cosa succede?” “Niente Giovanna,
tranquilla. Devo solo riflettere, alle volte la vita ci
mette di fronte altri scenari, non so come dirtelo…” Mi
gelai, non risposi. Quando riattaccai, mi sedetti al
tavolo della cucina, e sentii di nuovo quel nodo in
gola. “Cosa sta succedendo?” Chiedendomi quali fossero
questi scenari… Ripensai agli ultimi tempi e misi in
fila i nostri momenti insieme.
|
CONTINUA LA LETTURA
Questo racconto
è opera di pura fantasia. Nomi, personaggi e
luoghi sono frutto dell’immaginazione
dell’autore e non sono da considerarsi reali.
Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari e
persone è del tutto casuale. IMMAGINE GENERATA DA
IA
© All rights
reserved Adamo Bencivenga
LEGGI GLI ALTRI RACCONTI
© Tutti i diritti riservati
Il presente racconto è tutelato dai diritti d'autore.
L'utilizzo è limitato ad un ambito esclusivamente personale.
Ne è vietata la riproduzione, in qualsiasi forma, senza il consenso
dell'autore



Tutte
le immagini pubblicate sono di proprietà dei rispettivi
autori. Qualora l'autore ritenesse
improprio l'uso, lo comunichi e l'immagine in questione
verrà ritirata immediatamente. (All
images and materials are copyright protected and are the
property of their respective authors.and are the
property of their respective authors.If the
author deems improper use, they will be deleted from our
site upon notification.) Scrivi a
liberaeva@libero.it
COOKIE
POLICY
TORNA SU (TOP)
LiberaEva Magazine
Tutti i diritti Riservati
Contatti

|
|