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ROMANZO BREVE Prima Parte

Adamo Bencivenga
L'AMORE AL TEMPO
DELLE AGENZIE MATRIMONIALI
Roma, 1963. Camminando per una traversa
di Via Nazionale, notai una piccola targa d’ottone: “Agenzia
Matrimoniale”. Mi fermai: "Io, Giovanni Martelli, 32 anni, single,
bancario, davvero stavo considerando di trovare l'anima gemella in
quel modo?"

Roma, 1963 Roma negli
anni '60 era una città immersa nel fermento del boom
economico. La Capitale, ancora intrisa del fascino
neorealista del dopoguerra, si stava trasformando nel
simbolo della Dolce Vita con i suoi caffè storici come
Rosati a Piazza del Popolo, Berardo sotto la Galleria
Colonna o il Cafè de Paris in via Veneto. Le sue strade
erano un mosaico di vita: i vicoli di Trastevere e del
centro storico brulicavano di osterie, botteghe
artigiane e mercati rionali come quello di Campo de’
Fiori, dove le voci dei venditori si mescolavano ai
clacson stridulo delle Fiat 500 e delle Vespe che
sfrecciavano tra i sanpietrini.
Per un impiegato
come me, Roma significava svegliarsi con l’odore del
pane fresco dalla panetteria sotto casa a San Giovanni,
prendere un autobus affollato e raggiungere la banca
vicino Piazza Navona, e magari nel pomeriggio fermarsi a
bere un Campari da Ciampini in via Frattina o al Caffè
Greco in via Condotti, osservando il viavai dei turisti
e la scalinata di Piazza di Spagna. Beh sì, mi
presento. Mi chiamo Giovanni Martelli, all’epoca avevo
trentadue anni e lavoravo come impiegato di banca, un
mestiere che mi garantiva uno stipendio dignitoso, ma
anche una routine prevedibile che non mi consentiva di
fare nuove conoscenze. Vivevo in un piccolo appartamento
in affitto nella zona di San Giovanni, con un balconcino
che dava sui tetti rossi e un gatto, Cesare, che era la
mia unica compagnia. Non ero un donnaiolo, né un timido
cronico, ma qualcosa sembrava sempre sfuggirmi e nei
miei pensieri non mancava mai la speranza di una
conoscenza che mi avrebbe cambiato la vita, insomma una
scintilla che avrebbe trasformato un incontro in
qualcosa di più.
Ci avevo provato, ma senza
successo. Negli ultimi anni avevo frequentato caffè,
sale da ballo, persino le feste organizzate da amici
sposati che, con un misto di pena e buone intenzioni,
cercavano di sistemarmi combinando qualche incontro. Ma
le donne che avevo conosciuto erano o troppo frivole, o
troppo prese dai loro sogni di grandeur, o
semplicemente… non erano per me.
Roma, con il suo
caos di voci e volti, mi aveva sempre fatto sentire un
po’ a disagio. E poi c’era la pressione, quella che
sentivo ovunque. Al tempo, a trentadue anni, essere
scapolo non era più una scelta, era quasi una colpa. Le
zie al pranzo di Natale non perdevano occasione per
chiedermi “E la fidanzata?” mentre i colleghi sposati mi
guardavano con un misto di curiosità e compatimento. Mia
madre, poi, ogni domenica a tavola mi ricordava che “una
casa senza una donna era come una chiesa senza campane”.
L’Agenzia matrimoniale Fu un
pomeriggio di primavera, dopo l’ennesima delusione –
avevo aspettato inutilmente due ore, sotto la lampada
Osram, alla stazione Termini, una ragazza che avevo
conosciuto in banca il giorno prima – che decisi di fare
qualcosa di più concreto per me stesso. Premetto che
mai avrei pensato che fossi il tipo da finire in
un’agenzia matrimoniale. Mi consideravo una persona
socievole e piacente, di aspetto discreto, non troppo
alto, con capelli castani un po’ ribelli e occhi verdi
che, a detta di mia madre, “parlavano più di quanto
avrebbero dovuto”.
Camminando però per una
traversa di Via Nazionale, notai una piccola targa
d’ottone su una porta discreta: “Agenzia Cuore d’Oro”.
La fissai per un momento e mi dissi: “Un’agenzia
matrimoniale? Io, Giovanni Martelli, bancario, davvero
stavo considerando una cosa del genere?” Eppure, c’era
qualcosa di liberatorio in quell’idea: affidarmi a
qualcuno che, con metodo, discrezione e professionalità,
potesse aiutarmi a trovare ciò che da solo non riuscivo
a raggiungere. Non l’amore da romanzo, non era quello
che cercavo, ma una donna con cui costruire qualcosa di
vero e soprattutto serio.
Così, con un misto di
curiosità e vergogna, respirai profondamente e spinsi la
porta. Un campanello tintinnò sopra di me, e mi ritrovai
in un mondo che non mi aspettavo. L’interno
dell’agenzia, in penombra, era un’oasi di raffinatezza
un po’ retrò: pareti con carta a fiori sbiadita, un
divanetto di velluto verde e un tappeto persiano che
dava un tocco solenne e rassicurante.
Dietro la
scrivania di mogano, una donna sulla cinquantina mi
accolse con un sorriso cortese. Mi porse la mano e si
presentò come Adele, la titolare dell’Agenzia. Molto
elegante, portava i capelli raccolti in uno chignon
tempestato di brillantini, un tailleur color prugna con
la gonna a portafoglio e un paio di occhiali appesi a
una catenella d’oro. Immediatamente mi invitò ad
accomodarmi su una delle due poltroncine davanti alla
sua scrivania, mentre le sue mani, ornate da anelli,
ripresero a sfogliare con grazia un registro foderato in
pelle. Forse notando la mia timidezza, dopo avermi
chiesto il nome, mi disse: “Non c’è nulla di cui
vergognarsi, sa? Lei non è il primo né sarà l’ultimo a
varcare quella porta. Roma è grande, ma a volte troppo
grande per trovare l’anima gemella senza un piccolo
aiuto.”
Fu la risposta esatta alle mie domande e,
col cuore più leggero, mi sedetti. Lei iniziò a parlare:
“La mia agenzia esiste da circa vent’anni, e le assicuro
che abbiamo fatto incontrare centinaia di cuori
solitari. Tutto è nato quando, dopo la guerra, ho visto
tanti giovani smarriti, lontani dalle famiglie, in cerca
di un futuro. Non si tratta solo di conoscenze
femminili, signor Martelli, ma di costruire qualcosa di
stabile, di vero. Noi qui non promettiamo l’amore eterno
e neanche il paradiso, quello dipende da voi, ma,
cercando affinità, vi mettiamo sulla strada giusta.”
A quel punto le chiesi come funzionasse, e lei si
illuminò. “È semplice. Lei compilerà un modulo con le
sue informazioni: età, professione, interessi, aspetto
fisico, e ovviamente cosa cerca in una donna. Poi,
subito dopo, ci sarà un colloquio con me, per capire
meglio chi è lei e cosa la muove. Dopodiché, cercheremo
tra i nostri profili, ne abbiamo centinaia, la persona
più adatta. Le proporremo un incontro, sempre in un
ambiente riservato, come il nostro salottino qui dietro.
Se l’incontro va bene, vi lasciamo liberi di proseguire.
Se non scocca la scintilla, cerchiamo ancora. Il costo?
Una quota d’iscrizione di 10.000 lire, più 2.000 per
ogni appuntamento. Non è poco, ma l’amore merita un
investimento, non trova?”
Annuii, un po’
frastornato. Poi, con un sorriso malizioso, la signora
Adele tirò fuori un foglio. “E ora, signor Martelli, le
svelo il nostro piccolo segreto: il decalogo delle
signorine in cerca di marito. Per il buon nome della
nostra agenzia scegliamo solo donne che rispettino
questi requisiti. Le altre le scartiamo. Vuole
ascoltarlo?” “Certo…” mormorai incuriosito. Lei si
schiarì la voce come se recitasse una poesia: “Uno:
una signorina deve essere discreta, mai troppo
sfacciata. Due: deve sapere cucinare. Tre: deve
avere un guardaroba sobrio e niente eccessi. Quattro:
deve conoscere le buone maniere, perché la classe non si
compra. Cinque: deve essere paziente, perché l’uomo
giusto si fa attendere. Sei: deve mostrare interesse
per gli hobby del futuro marito. Sette: deve parlare
poco di sé, ma ascoltare molto. Otto: deve avere un
sogno, ma non troppo grande da spaventare. Nove: deve
essere pronta a sacrificare qualcosa per la famiglia.
Dieci: deve credere nell’amore, perché senza fede non
c’è speranza.” “È… interessante…” Commentai pur
avendo perso qualche punto del decalogo. “Queste
regole sono il frutto di anni di esperienza. E vedrà che
le signorine che le proporrò avranno tutte o una parte
significativa di queste caratteristiche.” Alla fine,
persuaso dalle sue parole, accettai e passai il resto
dell’incontro a compilare moduli.
Le
confidenze della signora Adele Finito
l’ultimo foglio, la signora Adele si alzò e mi invitò a
seguirla nella stanza attigua con un piccolo divano di
velluto bordeaux, un po’ consunto, ma elegante, un
tavolino di legno scuro e un vassoio con una teiera e
due tazze di porcellana. Mi invitò ad accomodarmi,
mentre lei si sedette davanti, teneva tra le mani un
taccuino rilegato in pelle e una penna stilografica,
pronta a prendere appunti: “L’ho fatta trasferire qui,
perché credo che un’atmosfera più intima la faccia
sentire più a suo agio. Non crede?” Ma non aspettò
una mia risposta e abbassando leggermente il tono della
voce disse: “Bene, signor Martelli… Ora entriamo nel
cuore della questione. Mi parli onestamente di ciò che
cerca in una donna. Non si limiti alle cose ovvie, mi
dica cosa davvero le importa.”
Mi appoggiai allo
schienale e incrociai le braccia: “Beh… non saprei da
dove cominciare. Vorrei una donna gentile, questo sì.
Qualcuno con cui si possa parlare, che non sia solo
interessata a vestiti di moda o pettegolezzi. Insomma
che non sia troppo frivola e che abbia un po’ di
carattere… ecco. E magari che ami Roma, perché questa
città è parte di me, anche se a volte mi confonde.”
La signora Adele annuì scribacchiando qualcosa sul
taccuino. “Interessante. E fisicamente? Ha preferenze?
Bionda, mora, alta, in carne, minuta, prosperosa?” A
quella domanda così diretta arrossii. “Non sono uno che
bada troppo a queste cose… Certo, una donna curata, che
si presenti bene, che abbia un’eleganza innata… ma non
cerco una diva del cinema. Mi piacciono gli occhi
espressivi, forse, e un sorriso sincero. Ma non è tanto
l’aspetto, è più… il modo in cui ti guarda, capisce?”
“Può essere un po’ più preciso?” Mi chiese. In quel
momento la guardai, cercando le parole giuste. Forse era
il modo con cui accavallava le gambe oppure come si era
sistemata la gonna sedendosi, e allora spontaneamente
risposi sorridendo: “Beh sì, un tipo come lei, signora
Adele.”
Lei non si scompose. “Signor Martelli, io
non ho più l’età da marito…” Poi, premendosi la punta
della penna sulle labbra come se stesse valutando
qualcosa di più profondo, disse: “Comunque capisco
perfettamente cosa intende. E ascolti… L’amore, signor
Martelli? Cosa significa per lei? È una passione
travolgente, un’amicizia che cresce piano, un progetto
comune?” La domanda mi colse di sorpresa. “Non lo so,
a dire il vero. Non credo alle follie d’amore, quelle
cose da poeti. Però… vorrei una persona comprensiva con
un forte istinto materno. Qualcuno che mi faccia venir
voglia di tornare ogni sera a casa. Non so se è amore,
ma è quello che immagino.”
La signora Adele
sorrise, posò il taccuino sul tavolino e si sporse
leggermente verso di me con le mani intrecciate in
grembo. “Sa, signor Martelli, anch’io mi sono chiesta
spesso cosa fosse l’amore. E seppur sono stata sposata,
ancora oggi è una domanda che non smette di tormentarti,
nemmeno quando ho creduto di aver trovato la risposta.”
Fece una pausa quasi teatrale, poi, con un tono più
morbido, continuò: “Io stessa trovai la buonanima di mio
marito tramite un’agenzia, molti anni fa. Non proprio
questa, ma una simile, poco dopo la guerra.”
“Davvero?” risposi sorpreso da quella confidenza.
“Oh, sì. Ero giovane, poco più che ventenne. La guerra
aveva lasciato tutti un po’ smarriti, con un passato di
macerie, senza presente e senza futuro. La mia famiglia,
commercianti di stoffe, aveva perso molto, e io… beh,
sognavo una vita nuova, qualcosa di stabile, ma anche di
bello. Non ero una romantica incallita, ma credevo che
l’amore potesse essere una specie di rifugio. Così, mi
iscrissi a un’agenzia. Pensavo fosse una follia, proprio
come probabilmente lo pensa lei ora.”
A quel
punto, curioso di sentire la sua storia, mi rilassai. “E
com’è andata?” “All’inizio, ero terrorizzata. Gli
incontri erano così formali, così… innaturali. Ma poi
conobbi Vittorio. Non era il più bello, né il più
brillante, ma aveva una dolcezza che mi conquistò. Era
un insegnante, amava i libri e la musica, e quando
parlava di Dante o di Verdi, i suoi occhi si
illuminavano. Iniziammo a scriverci lettere, prima
ancora di fidanzarci ufficialmente. E in quelle lettere
scoprii chi era davvero. Ci sposammo nel ’47, e siamo
rimasti insieme fino a quando lui è mancato, dieci anni
fa.” Dopo una breve pausa riprese. “Non fu sempre
facile. Vittorio era testardo, e io… beh, non sono certo
una santa. Ma costruimmo una vita. Una casa, due figli,
tanti piccoli momenti. L’amore, signor Martelli, non è
una scintilla che dura per sempre. È più come un fuoco
che devi alimentare, giorno dopo giorno.”
Ascoltai in silenzio, colpito dalla sua sincerità. Non
mi aspettavo che quella donna così composta, così
professionale, si aprisse in quel modo a me. In effetti
ero solo un suo cliente, ma vedevo in lei una
spontaneità che mi faceva sentire meno solo e meno
goffo. Riprendendo il suo tono professionale, mi
chiese: “E lei, signor Martelli? Mi dica del suo lavoro.
La banca, dev’essere un ambiente interessante, no?
Incontra tante persone, immagino.” Scrollai le
spalle, un po’ imbarazzato. “Interessante non direi. È
un lavoro sicuro, questo sì. Passo le giornate tra
numeri, conti, clienti che si lamentano. Ma mi piace
l’ordine che porta, e poi… essere vicino a Piazza Navona
non è male. A volte, in pausa pranzo, mi siedo su una
panchina e guardo la fontana, pensando a chissà cosa.”
Lei sorrise, riprendendo a scrivere sul suo
taccuino. “Un uomo che sa apprezzare l’arte non è da
sottovalutare. E i suoi sogni, signor Martelli? Non mi
dica che si accontenta di conti e fontane.” Sorrisi
alla sua schiettezza. “Sogni? Non sono bravo con i
sogni. Forse… mi piacerebbe viaggiare un po’. Non dico
l’America, ma magari il Sud, la Sicilia, o anche solo le
colline toscane. E poi, come le ho detto, una donna
accanto che mi faccia sentire il calore della vita.
Niente di grandioso, ma qualcosa che sia davvero
nostro.” Lei mi osservava con attenzione, come se
stesse già immaginando una donna che potesse camminare
al mio fianco. “Sa, signor Martelli, lei mi piace. È
onesto, e questo è raro. Troveremo qualcuno per lei, ne
sono certa. Qualcuno che sappia apprezzare la sua
sensibilità, i suoi profondi occhi verdi e il suo modo
di guardare le fontane.” A quel punto sorrise, si alzò e
mi porse la mano.
Quando uscii, mi sentivo un po’
frastornato, ma pensavo a quella donna e che non mi
sarebbe affatto dispiaciuto incontrare un tipo come lei
che aveva tanto charme da vendere. Per la prima volta mi
ero sentito leggero. Quelle confidenze, il suo modo di
aprirsi e di ascoltarmi, mi avevano fatto dimenticare la
vergogna di essere entrato in un’agenzia matrimoniale e,
per un momento, l’idea di trovare l’amore lì non mi era
sembrata poi così malvagia.
Rosetta
Una settimana dopo, la signora Adele mi chiamò per il
primo appuntamento. Ammetto che ero emozionato. La
notte, per i tanti pensieri, non avevo dormito. Arrivai
mezz’ora prima e la signora Adele mi fece accomodare nel
salottino dicendomi che avrei incontrato Rosetta. Mi
disse: “In sincera onestà, Giovanni, le devo dire che
dopo il nostro colloquio ho trovato non poche difficoltà
a cercare una donna adatta a lei. Comunque non si
demoralizzi, lo consideri solo un primo tentativo e se
la signorina in questione non risponde ai suoi gusti non
si preoccupi. Non le addebiterò le duemila lire
dell’appuntamento.”
Dopo circa mezz’ora arrivò
Rosetta e il primo impatto non fu dei migliori:
venticinque anni circa, capelli castani crespi e un
vestito azzurro che sembrava uscito da un catalogo di
Postal Market. Mi alzai e ci stringemmo la mano. La
signora Adele, dopo aver versato il tè ed averci
presentati, ci lasciò soli. Seguì un silenzio
imbarazzante, finché chiesi: “Allora, Rosetta, cosa fa
nella vita?” “Sono segretaria in un ufficio. E lei?”
“Impiegato di banca. Le piace il suo lavoro?” “È un
lavoro.” Tagliò corto. Poi, più che farmi domande e
conoscermi, Rosetta iniziò a elencare i requisiti del
suo marito ideale, ossia serio, credente e con un buono
stipendio, aggiungendo che, essendo una donna pratica,
odiava tutte le cose frivole tipo l’arte, il ballo e le
scampagnate. Quando provai a raccontarle del mio amore
per il cinema, sbuffò. “Il cinema? Una perdita di
tempo...” Dopo mezz’ora, fu chiaro che non c’era
alcuna speranza. Ci salutammo freddamente e uscii dal
salottino con un’espressione piuttosto delusa. La
signora Adele, che mi aspettava seduta alla sua
scrivania, lesse la delusione sul mio viso. “Non si
scoraggi, signor Martelli. La prossima sarà diversa.
L’avevo avvertita, lei è un tipo sensibile, ma vedrà ci
riuscirò!”
Teresa Due
settimane dopo, la titolare mi convocò per un secondo
incontro, stavolta in un caffè vicino Piazza di Spagna.
Teresa, ventisette anni, era di una timidezza
patologica. Minuta, lunghi capelli neri e occhi grandi
che sembravano sempre sul punto di piangere o chiedere
perdono. Indossava un abitino grigio, semplice, ma ben
tenuto, e teneva le mani strette in grembo come se
temesse di romperle. “Buongiorno, Signor Giovanni.”
Sussurrò, quasi senza guardarmi. “Buongiorno,
Teresa.” Risposi, sorridendo per metterla a suo agio. “È
la prima volta che fai una cosa del genere?” Lei
annuì arrossendo. “Sì… non è facile per me, ma i miei
genitori desiderano che mi sposi in fretta. Sapete… per
loro una ragazza che vive da sola a Roma diventa
matematicamente una poco di buono. Non sono originaria
di questa città, provengo da un piccolo paesino in
Abruzzo. Faccio la governante in un appartamento in via
Cola di Rienzo. Roma è tanto grande, mi spaventa, ed io
vorrei una persona che si prendesse cura di me… Non
cerco lusso, solo… una casa e una famiglia.”
Il
suo candore mi colpì, ma mi mise anche a disagio.
Parlammo per quasi un’ora, mi dava del voi, e la mia
opinione su di lei rimase ferma a quella del primo
approccio: Teresa era dolce, ingenua, ma anche
tremendamente spaventata dal mondo. Non aveva sogni,
solo bisogni. Insomma, voleva un marito che le desse
sicurezza e protezione, non l’amore. Io, invece, cercavo
una complice con cui condividere risate, sogni, arte,
vacanza, ballo e magari qualche serata al cinema. Quando
ci salutammo, le strinsi la mano e le augurai buona
fortuna, sapendo che non l’avrei più rivista.
Un’ora dopo tornai in agenzia con il cuore più pesante.
La signora Adele mi accolse con un sorriso formale.
Stava parlando con un cliente e aspettai in salottino
per circa dieci minuti. “Allora, signor Martelli?
Com’è andata?” Mi chiese entrando nella stanza senza un
minimo di curiosità. “Non era per me.” Dissi
scrollando le spalle. “Pazienza. Abbiamo tante altre
signorine. Vuole provare ancora?” Mi chiese freddamente.
Sospirai. “Sì, proviamo ancora.” Perché, in fondo,
anche se Roma era grande e caotica, ero convinto che da
qualche parte, tra quelle strade, ci fosse una donna che
aspettava proprio me.
Laura
Due settimane dopo l’appuntamento con Teresa, la signora
Adele mi convocò per un terzo tentativo. Questa volta,
l’incontro si sarebbe tenuto nel salottino dell’agenzia,
un luogo che ormai mi era diventato familiare, con il
suo divano bordeaux e l’aroma di tè che aleggiava
nell’aria. La candidata in questione si chiamava
Laura, ventinove anni, insegnante di lettere in una
scuola media. Quando entrò, mi colpì subito il suo
portamento. Alta, con capelli biondi raccolti in una
coda ordinata, indossava un vestito verde smeraldo che
le dava un’aria elegante, ma non ostentata. I suoi occhi
azzurri, vivaci e curiosi, sembravano scrutarmi con
interesse. “Buongiorno, Giovanni.” Disse con una voce
chiara stringendomi la mano con decisione. “Adele mi ha
parlato molto di te.” Sorrisi, un po’ spiazzato dalla
sua sicurezza. “Spero in bene.”
Ci sedemmo, e la
conversazione iniziò con una naturalezza che non avevo
avvertito nei precedenti incontri. Laura era brillante,
appassionata di letteratura e di cinema, proprio come
me. Quando le raccontai della mia abitudine di sedermi
vicino alla Fontana dei Quattro Fiumi durante la pausa
pranzo, lei sorrise. “Sai, anch’io ho i miei rituali.
Ogni sabato vado a Villa Borghese con un libro e mi
perdo tra gli alberi. È il mio modo di scappare dal caos
di Roma.” Per la prima volta, sentii la scintilla.
Parlammo di Fellini, di Moravia, persino di jazz, e
scoprii che amava il suono malinconico di Chet Baker. Ma
quando la conversazione si spostò sul futuro, qualcosa
si incrinò. Laura aveva sogni grandi: studiava lingue e
voleva viaggiare, magari trasferirsi all’estero,
insegnare in una scuola internazionale. “Non sono una
che si accontenta, Giovanni.” Mi disse fissandomi e
scrutando se anch’io la pensassi allo stesso modo.
“Voglio una vita che mi sorprenda ogni giorno e un uomo
accanto che sappia accompagnarmi con entusiasmo.”
Ammetto che le sue parole mi affascinarono, ma mi
lasciarono anche un senso di inadeguatezza. Io, con il
mio lavoro in banca e il mio appartamento a San Giovanni
con il mio gatto Cesare, cosa mai avrei potuto offrirle?
La mia vita era ordinata, prevedibile, quasi metodica,
lontana dai suoi sogni di avventura. Quando ci
salutammo, lei mi disse: “Sei una persona speciale,
Giovanni. Spero troverai ciò che cerchi.” Aveva capito!
Quando uscii dalla saletta, alla scrivania non c’era
Adele, ma un suo collaboratore. Per strada sentivo il
cuore in subbuglio. Laura mi aveva colpito, ma sapevo
che non ero l’uomo per lei.
Il giorno dopo
chiamai la signora Adele e lei, senza neanche salutarmi,
mi chiese: “Allora?” “Laura è una donna meravigliosa,
grazie per avermela fatta conoscere, ma… è troppo
diversa da me. Lei vuole il mondo, e io… io voglio una
casa.” Sentii Adele annuire senza insistere.
“Capisco. Non si preoccupi, signor Martelli. La pazienza
è la chiave della felicità, le organizzo un altro
incontro?” Annuii anche se una parte di me cominciava
a dubitare.
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Questo racconto
è opera di pura fantasia. Nomi, personaggi e
luoghi sono frutto dell’immaginazione
dell’autore e non sono da considerarsi reali.
Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari e
persone è del tutto casuale.
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