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RACCONTO

LIBERAEVA
BAGNI GIUDITTA
La mia amica Fanny
“Quella stronza come al solito mi fa
aspettare!” Guardo l’orologio impaziente mentre mi esce
un’imprecazione violenta e corposa come uno sputo denso di
raffreddore. "

Poggiata sul solito muretto
davanti ai Bagni Giuditta aspetto e maledico senza
motivo queste nuvole basse che mi fanno da cappa
all’ansia di non essere perfetta, di non essere al
meglio ai tanti occhi che a breve pretenderanno soltanto
il piacere di guardarmi immacolata. I miei capelli
afflosciati hanno già esaurito tutto il tempo disposti
ad aspettare, come le tante sigarette a metà finite
sotto le suole non prima d’avermi consumato lucido e
contorno di labbra. Dentro un misero specchietto mi vedo
sciatta e inguardabile, immaginandomi come una qualsiasi
donna ordinaria che si trucca alla buona per avere una
chance prima che l’ennesimo sabato finisca ancora in un
nulla di fatto.
“Ma perché non arriva?” Mentre mi
sale una stupida paura di vedere la faccia incredula di
mio padre che mi guarda conciata con una sola striscia
di gonna che non mi copre vergogna e mutande se solo
stasera avessi deciso di portarmele appresso. Hai
voglia a dirgli che ho preso otto in latino, che
quest’anno non mi faccio fregare! Chissà forse mi
guarderebbe con quel solito disgusto di chi non capisce,
di chi non si degna neanche di fare uno sforzo di
intuire che ai Bagni Giuditta non vado per farmi
invitare a ballare.
Con mia madre nessun
problema, sono anni che si pompa il vicino di casa per
poi la sera a cena chiamare mio padre “Amore e Tesoro”!
Ma oramai conosco il suo viso che s’increspa di ansia se
in tutti i giorni feriali non riesce ad uscire dalle due
alle quattro. Mi viene fastidio vederla che mi ruba
patetica i perizoma più stretti, che s’inventa ogni
giorno una scusa diversa agitando le mani per asciugare
lo smalto. Più di una volta ho tentato di esserle
solidale, in fin dei conti tutte due entriamo nello
stesso bagno ad ore diverse e ci trucchiamo le labbra
con lo stesso desiderio di vederle sgualcire. Mi
verrebbe d’abbracciarla anche se usiamo tonalità di
rossetto diverse, anche se lei consuma bombolette intere
di lacca, anche se lei è costretta ad abbassarsi almeno
una volta al mese ai doveri del letto. Mi verrebbe da
dirle che l’ho vista quando esce di casa e continua a
truccarsi mentre toglie la sottogonna per farsi vedere
quel residuo di stoffa che ancora chiamiamo mutande.
Ma è di una vecchia generazione, ha imparato l’amore dai
fotoromanzi e credo davvero che i suoi sogni siano
rimasti ancora in banco e nero. Non cerca altro che
poesia, illusione di una vita diversa, ma poi si è
ridotta a sbattersi il vicino di casa sicura di riuscire
nell’intento di colmare dei vuoti facendosi imbottire
dalle due alle quattro mentre mio padre lavora.
La stronza è Fanny che ancora non si vede! Mai una volta
che arrivi in tempo, mai una volta che ho il gusto di
vederla aspettare, magari, come me, poggiata su questo
cemento che divide la spiaggia dall’asfalto. Tra poco
arriverà attraversando la strada di corsa senza
guardare, senza il minimo dubbio che anche così bella e
perfetta potrebbe finire sotto una macchina. La conosco
da qualche mese, ci siamo incontrate e piaciute mentre
patetiche tentavamo di fare i primi passetti sopra
questi tacchi che ci fanno più oche. Come me è una pazza
scatenata e non c’è voluto poi molto per andare
d’accordo. A quindici anni nel bel mezzo di una mattina
piovosa s’è rifiutata di andare a scuola ed ora a
ventidue vive alzandosi quando sua madre apparecchia la
tavola per la cena. Si chiama Clotilde, ma credo
nessuno, tranne i genitori, la conosca col
quell’orribile nome. Lei è Fanny, perché ribelle e
sconclusionata, perché si tinge i capelli con i colori a
tempera e usa pennelli da imbianchino per truccarsi la
faccia. Si vanta di non pensare e di agire con il solo
fiuto dell’istinto che a notte fonda o all’alba
inoltrata la riporta comunque verso casa.
Sarà
questo vento fastidioso che mi sparecchia la gonna,
saranno questi occhi che s’accalcano all’entrata e mi
vorrebbero più nuda di quanto questa luna già illumina.
Sarà che non sopporto rimanere ancora un istante
appoggiata su questo muretto, ma stasera avrei voglia di
fare un altro lavoro, magari la cameriera se non fosse
che comunque farei l’alba e mio padre non sarebbe
contento. Ma senza Fanny sarei una normale puttana di
notte intenta a sfidare carichi di truppe di colore che
si riversano a sera sulla litoranea. Senza Fanny sarebbe
tutto più serio, davvero un lavoro, vuoto di questa
sottile pazzia che invece colora le nostri notti, vuoto
di quest’enorme competizione d’essere padrone del mondo
con qualsiasi mezzo. Che ci fa essere sfrontate e
irraggiungibili, Paradiso ed Inferno dove in entrambi i
casi offriamo il nostro meglio. Perché insieme riusciamo
a soddisfare ogni mania, perché ognuna di noi è
specializzata in un buco che ci permette di variegare
l’offerta e di sentirci orgogliosamente vergini
dall’altro. Senza di lei dovrei accontentarli dove
nessuno è mai entrato, dove riservo quel posto al primo
che avrà gli occhi d’amore, al primo che solo potrà
baciarmi le labbra anziché schiacciarmi i capelli.
“Questa stronza mi fa sempre aspettare” ripeto
malferma sugli stivali di vernice. Nonostante la pioggia
ed il vento che mi alza la gonna, anche stasera ai Bagni
Giuditta si balla e si tenta d’arrivare indenni fino a
domani. Chiunque da mille miglia ci dia un’occhiata
distratta può scommettere di vincere senza timore
centinaia di euro che io e Fanny non siamo lì per
divertirci. Anzi, nei pochi momenti di buco, ci annoiamo
maledettamente guardando militari del posto e badanti di
colore che ballano osceni su quella spianata.
Incredibilmente anche stasera c’è il pieno e di sicuro
in quel pieno qualche disperato avrà voglia d’amore
ovviamente finto che offriamo alla modica cifra di due
buone bottiglie di Porto o Tequila. Oltre la spianata
c’è il mare e ci sono folate intermittenti di musica che
il vento trasporta e si riprende, ma soprattutto
quell’oscurità che fatti due passi li fa sentire
consapevolmente clienti, capaci di assaporare la fortuna
guardando contemporaneamente nei miei e negli occhi di
Fanny. Capaci di rendersi conto che hanno già pagato il
dovuto e non rimane che adagiarsi dentro due profumi
diversi, dentro il ricordo domani di non riuscire ad
abbinare questo di dietro imbottito, dove difficilmente
risalgono, con la faccia di Fanny che fuma ed aspetta.
Sarà che stasera queste nuvole non presentano nulla
di buono, sarà che Fanny non viene, sarà che questi
occhi li sento addosso più di due mani quando lavoro,
sarà che per la prima volta mi sento impacciata con
questo vento che mi asciuga i sudori, ma senza Fanny mi
sento slegata, senza i Bagni non mi sento la prima.
Vabbè conosco il latino, so declinare fino alla quinta e
non credo che morirei di fame se davvero stasera dovessi
saltare per sempre la corsa. Ma senza i miei stivali
neri mi sento fuori luogo, senza questi Bagni che ora mi
reclamano dovrei davvero pensare a cosa fare da grande.
Tornare anonima ed in fila con gli occhi degli uomini
che ti guardano di traverso, diversi da quelli che
adesso ti mirano dritto il cuore e l’anima e questa
striscia di gonna che mi fa sentire una stella che
luccica quanto il mio lucidalabbra. Anche se in fin dei
conti non faccio che scolare piacere di maschio, il mio
futuro è lì sotto, il mio lavoro vicino la riva tra
quelle due barche che non si muovono da anni. Il mio
domani è fare quello che faccio senza per questo dover
fare concorsi o abbassarmi per reclamare un lavoro più
di quanto ora faccio vicino alla riva.
Alle
volte ci penso davvero a cosa farò da grande, se per
uccidere questa insofferenza dovrò dire amore e tesoro
come fa mia madre per spianarsi la strada, oppure
continuerò a mostrare queste due tette e considerarlo
lavoro, ma che in fin dei conti è troppo anarchico per
pensarlo tale, perché è troppo distante da mio padre
perché io non possa continuarlo a fare.
Ma
stasera non mi sento più tanto sicura, ho paura che
dovrò smettere e come un fumatore incallito mi dovrò
accontentare di ciucciare caramelle. Ho paura di
diventare vecchia che tra due o tre anni nessuno più
sentirà il desiderio di leccarmi gli stivali. Ho paura
che Fanny non venga né oggi né mai perché sbadatamente
ha attraversato una strada, una strada qualunque. Ho
paura di rimanere senza riparo, che questo vento porti
in alto mare le barche, che l’acqua risucchi il
bagnasciuga, che l’alta marea sommerga per sempre i
Bagni Giuditta. Ho paura che mia madre non si tolga più
la sottogonna mentre scende le scale, che mio padre
s’accorga che ha una figlia puttana. Ho paura di non
essere in grado di far la cameriera e di servire ai
tavoli due bottiglie di Porto o Tequila.
Ormai
Fanny non viene e queste scale sono troppo ripide per i
miei stivali, quelle voglie troppo gonfie per i miei
tacchi che dondolo e cerco di non farli strusciare.
Cerco nella mente una scusa per essere tornata a casa
troppo presto, mentre guardo la mia gonna obbediente
all’ennesimo strappo di vento. Sono nuda, completamente
nuda! Mi sale un leggero sorriso misto alla sorpresa
d’essere ancora vergine e alla convinzione che quando
m’innamorerò sarà davvero la prima volta.
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Questo racconto
è opera di pura fantasia. Nomi, personaggi e
luoghi sono frutto dell’immaginazione
dell’autore e non sono da considerarsi reali.
Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari e
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