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RACCONTO

LIBERAEVA
BAGNI GIUDITTA
APPUNTAMENTO AL PLAZA
"I Bagni Giuditta sono ancora vuoti e
mio padre già mi crede a Malpensa con destinazione primo volo
internazionale in partenza. Mi ha solo domandato se avessi soldi
abbastanza. Mia madre mi ha dato solo un bacio da lontano, intenta
com’era a provarsi il suo nuovo vestito rosso fuoco che sfoggerà
stasera stessa ad una cena di vecchi amici dai nomi sicuramente
inventati."

“Ma che stai dicendo, sei
pazza?” Fanny mi guarda di traverso rovistando nel
beauty-case alla ricerca di una lima per unghie.
“Fanny io devo decidere di smettere o dedicarci anche
l’anima! Non posso pensare di fare la escort d’alta
classe e vivere ancora con i miei, ho bisogno di
staccare la spina e magari poi decidere di fare la
puttana e nient’altro.” “Ma tu la puttana non la devi
fare, devi esserlo!” Mi guarda come se stesse partendo
uno sputo. “Appunto, io a quello che faccio ci devo
credere fino in fondo. Ed ora ti giuro che ho paura di
fare cazzate, magari abbandonare tutto e trovarmi nelle
braccia di Luca vestita da sposa.” Fanny si volta di
scatto. I suoi occhi di odio mi trafiggono la pelle.
L’anticipo prima che la sua bocca si riempia di schifo.
“Dai. Ho esagerato! Non credo di arrivare fino a quel
punto! Ma ti giuro che quando mi guardo nuda allo
specchio, ho paura di non reggere. Ho paura che questo
sesso possa un giorno dividere solo le cosce.” Fanny
s’avvicina e mi ficca il suo sguardo nell’unico dubbio
ancora rimasto. “Ma dove volevi andare?” Mi strappa la
valigia dalle mani e mi fa sentire cretina, m’avvicina
le labbra e m’invade un fremito che mi scioglie il
respiro e m’annoda la gola.
I Bagni Giuditta sono
ancora vuoti e mio padre già mi crede a Malpensa con
destinazione primo volo internazionale in partenza. Mi
ha solo domandato se avessi soldi abbastanza. Mia madre
mi ha dato solo un bacio da lontano, intenta com’era a
provarsi il suo nuovo vestito rosso fuoco che sfoggerà
stasera stessa ad una cena di vecchi amici dai nomi
sicuramente inventati. Stavolta davvero non riesco ad
immaginare chi sarà il fortunato, chi a breve prima di
salire qualsiasi scala, la tempesterà di “lo giuro” e
ridicole promesse per il solo gusto di vedere che tipo
di mutandine porta una povera illusa. Già la sento che
s’illude d’essere padrona e sicura e che domani ci sia
ancora un altro letto, un altro strappo di calza da
farsi baciare. E’ bella, bella da prenderla a schiaffi!
Se solo avesse fatto il mio mestiere ora saremmo ricchi
sfondati, se solo si fosse fatta pagare da almeno metà
dei tanti con cui è stata non avrebbe quella faccia da
eterna insoddisfatta, di chi cerca pretesti per andare a
letto, illudendosi di cercare letti per avere un
pretesto.
“Fanny ti amo. Non so se faccio bene
ad ascoltarti, se non c’è altro posto nel mondo,
migliore dei Bagni Giuditta. Ma io con te sto bene e mi
avresti squarciato il cuore se mi avessi lasciata
partire.” Ma lei è già oltre, la sua faccia nel
frattempo ha cambiato dieci volte espressione, fascino e
pazzia. Mi ricorda la prima volta che la vidi, tre birre
allo stesso tavolo dell’Angel Pub ci unirono più di un
patto di sangue. Lei portava già i capelli flashati di
viola e le unghie esperte, mentre la mia rabbia non
aveva ancora una forma e tanto meno uno sfogo. Un po’
come adesso, convinta che il mondo sia diviso in persone
che hanno domande ed altre soltanto risposte. Subito,
senza pensarci due volte, mi offrì la possibilità di
guadagnarmi il prezzo dei miei stivali. Mi disse che ero
bella, che sarebbe stato un peccato sprecarla dentro le
mani inesperte e senza soldi di un qualsiasi coetaneo.
Senza aspettare risposta mi porse il suo rossetto d’un
rosso che non avevo mai visto. Come tutte le cose che
in apparenza non hanno un’origine mi ritrovai nel bagno
del locale a scrutarmi allo specchio curiosa di sapere
com’era una puttana, curiosa d’abbinare la mia bocca ad
un concetto che finora avevo visto soltanto di notte per
strada. “È facile fare questo mestiere, non devi fare
nulla che aspettare.” Mi disse guardando la porta alle
nostre spalle. Passarono meno di due minuti ed apparve
un uomo grasso, tedesco, gonfio di birra e di voglia.
Mi sono sempre domandata se un cesso avesse avuto la
stessa funzione, ma tant’è che mi prese senza fiatare.
Lo lasciai fare e subito dopo mi ritrovai tra le mani un
enorme sesso nudo pensando: “ora che diavolo ci
faccio?”. Ma poi con l’istinto e Fanny vicina meritai
quella cifra, lei mi prese la testa e mi spinse più in
basso tanto che davvero credevo di strozzarmi, che le
mie labbra, dopo l’amore, non avessero ripreso una forma
e un colore decente.
“Fanny, mi senti?” Ma lei
non m’ascolta, sa che è il momento che deve
abbracciarmi, come quella volta nel cesso del pub col
tedesco che si riordinava la camicia. Eravamo alte
uguali e i nostri seni fecero fatica a trovare la
posizione. Ma questa volta li sento più morbidi, meno
volgari, come se davvero fossero riempiti d’amore o
qualcosa che in lei sta lentamente cambiando. La
guardo, basta questo a convincermi che davvero sarebbe
stata una pazzia partire, stare ora sul primo aereo in
volo per Istanbul. Era vero! Il mio mondo era lì tra
l’odore di umido dei Bagni Giuditta, tra questi seni
abbondanti di Fanny che in macchina per la prima volta
mi concede ed avida non mi faccio pregare. Ma non
reagiscono e soffrono come un dovere, come se avessero
capito d’essere l’unico appiglio per non farmi scappare,
ma questa mano che mi accarezza i capelli, mi ripaga di
tutte le volte che avrei voluto, di tutte le volte che
esauste di uomini abbiamo visto l’alba spuntare.
“Brutta stronza, tu l’avevi capito?” Rido goffamente
accarezzando il suo seno. “Dai vediamo se sei
all’altezza d’un uomo… Vediamo se ci riesci a farmeli
diventare viola!” Mi sfida ma io non raccolgo. “Dai
Fanny partiamo! Andiamocene, prendiamo un treno, che ne
so io, a Venezia o in qualche altra parte del mondo dove
due donne per mano passano indifferenti. “Giurami che mi
terrai la mano, che non ci sarà un misero uomo gonfio di
soldi e di birra che ci distragga.”
Ma Fanny già
non m’ascolta più, riordina il suo seno come una gonna
piena di briciole. “Cara questa sera abbiamo un
impegno!” Dice fredda mentre mette la prima. Mi sento a
pezzi, io per la prima volta mi ero dichiarata e lei mi
aveva offerto il suo seno come una mamma che inzucchera
un ciuccio. Altro che Venezia, i ponti, l’acqua! Stasera
ha un impegno dove sicuramente non può andare da sola,
dove sicuramente ci mette il suo sesso come io la mia
bocca, o viceversa, oppure altro quello che lei non ha
mai dato, che io offro per far la mia parte, come se
fosse una chicca, un regalo, un compendio o
semplicemente l’attrazione della serata.
Mi
guardo la faccia nello specchietto e assomiglio
perfettamente al sesso che offro, un avanzo da prendere
se proprio hanno voglia fare stravizi, mentre lei disfa
e dispone da protagonista, mi trascina e trascina le
voglie come una cagna per strada che non ha ancora
deciso. Mi irrigidisco, ma Fanny non si cura della
cosa perché ormai ha vinto, psicologicamente più forte
dispone di me, sicura al punto di cambiare umore senza
spiegazione. Guida e lo sa, fuma e ne era certa che se
calasse di nuovo il vestito, sarei ancora lì a chiedere
di tapparmi la bocca e strozzarmi il respiro, se solo mi
concedesse di baciarla starei lì a piagnucolare che non
mi sento compresa, che il bene che mi offre è solo carne
che lievita la mia amarezza. Ma Fanny stasera ha le
mani ostili come un foglio di via, femmina tutta, nata
per far la puttana. E’ una barca di clandestini stipati,
un nido caldo e capiente di uccelli migratori, i suoi
seni sono a forma di bocca di uomo di un colore sbiadito
tra il rosa e il verde come le banconote.
Ora mi
faccio guidare, Fanny entra in un locale fumoso ed io la
seguo come il suo cane, lei è il mio sostentamento il
mio latte materno, la vedo che parla con due tizi pieni
di anelli mi spaventa solo l’idea d’avvicinarmi, di
scambiarmici il fiato dentro una macchina appannata, ma
per fortuna la sento che parla di altri, di una cena
stasera a base di pesce. Tratta un prezzo senza
scontargli neanche mezzo euro. Loro parlano
semplicemente di due donne in affitto, ad un certo punto
mi guardano e danno il loro assenso. Fanny esce,
saltella e mi bacia con il malloppo in tasca, sono una
barca di soldi offerti da due macellai di qualche valle
bresciana venuti da queste parti per sfatare il mito di
due bocche emiliane. Sono disposti ad aggiungere altri
soldi per due vacche che oggi non devono portare al
macello. L’appuntamento al Plaza è alle dieci vestite
da sera senza nessuna stravaganza tranne un rossetto
spalmato a secchiate per vederlo d’incanto sparire
durante la cena, per ritrovarlo più fresco quando la
sera non può offrire di meglio.
In albergo il
portiere ci indica la stanza. Lo sa che siamo due troie,
lo sa che queste tette che s’intravedono appena e
sembrano timide tra poco si offriranno per essere munte.
Lo sa che andiamo a calare le patte e respirare bassi
fondi di macellai bresciani nonostante parliamo un
italiano perfetto ed i nostri capelli vaporosi
ondeggiano aggraziati come signore per bene. Saliamo
e Fanny mi precede lungo le scale. Sbircio le sue gambe
da sotto la gonna. E’ lei la troia! Solo lei l’oggetto
dove gli uomini desiderano entrare, dentro l’anima in
mezzo alle cosce dove nessun essere, uomo o donna che
sia, finora è riuscito a farci un piccolo nido o
qualcosa di simile che sappia d’amore. Mi chiedo per
quanto ancora potrò approfittarne, per quanto ancora mi
darà l’illusione di poterla sognare e poter accettare
quello che faccio, mentre ai Bagni Giuditta mi cercano,
ridono e fanno attrito. A volte mi chiedo se dentro di
me ci sia una parte di lesbica che ancora non conosco,
forse lo sono senza saperlo, ma dentro m’offende
soltanto a pensarlo, peggio di quando allo specchio mi
chiamo puttana e voglio farmi del male, peggio di quando
m’infilano le voglie ed io non li vedo. Ma io l’uomo
lo conosco e lo giudico solo tra le cabine del Bagno
Giuditta, solo dalla consistenza, dai quei respiri che
mi fiata sul collo, per tutte le volte che mi paragona a
qualsiasi altra donna, a sua moglie, a sua madre, alla
sua amante di turno che ora magari ha altro da fare.
Saliamo ed ancora la fisso. Non ci pensa nemmeno che
il suo atteggiamento mi fa diventare più piccola, che
ora vorrei un guscio di noce per raccogliermi dentro, se
fosse possibile, magari le sue mani che m’accarezzano il
viso e mi rimboccano la coperta, per proteggere i sogni
e non farli scappare. Perché altrimenti davvero
scappo, riparto, altrimenti li dipingo più belli in
qualsiasi altro posto. Non importa dove, non importa se
c’è il mare, se ci sono gabbiani che vengono a riva
perché tra poco sarà pioggia, sarà temporale. Mi
basterebbero davvero i suoi occhi incollati sull’unica
parte di me ancora intatta che batte e mi tiene sospesa
d’emozioni e di fiato, che muoio dalla voglia di
scambiarlo col suo.
Poi farei tutto, come ora sto
facendo, come ora ho obbedito ai suoi capricci ispidi e
salgo le scale, per poi vivere un giorno di rendita, per
comprarci scarpe e vestiti. Non importa che siano belle,
soltanto che facciano invidia e costino un occhio della
testa! Proprio ieri ne ho visto un paio con il laccetto
alla caviglia col tacco a spillo che t’arriva in gola, o
più semplicemente nei buchi degli uomini che
baratterebbero mogli solo per farci l’amore, quando
s’incuneano nel piacere della trasgressione e mi
chiamano figlia, e subito dopo, quando molli gocciano
parole, sono pronti a giurare che il mio nome Giuditta
non chiama nessuno.
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Questo racconto
è opera di pura fantasia. Nomi, personaggi e
luoghi sono frutto dell’immaginazione
dell’autore e non sono da considerarsi reali.
Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari e
persone è del tutto casuale.
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