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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
Tutto in una notte 1

 

anna koudella


 



Personaggi e Interpreti

La protagonista: Marianna DeSanti
L’amante: Luca
L’ex marito: Fabio
La zia: Zia Betty
L’amica: Cecilia
Il Marito di Cecilia: Christian
La Moglie di Luca: Daniela
Il Commissario di Polizia: Renzo Salvetti
Il portiere: Gino
Il cane maremmano della zia Betty: Augusto
La compagna dell'ex marito: Laura


CAPITOLO I


Il telefono di soprassalto. Mi sveglio. Guardo l’ora, le due. A quest’ora di notte! Un sussulto di cuore. Aspetto la segreteria telefonica, muta, nessuno parla. Non era urgente, mi rassicuro. Ma chi può essere a quest’ora? Tre squilli e poi niente, tre squilli per svegliarmi. Chi può essere? Cerco tra i volti di giorno una faccia qualunque.
“Ma è uno sbaglio!” Cerco di rassicurarmi.
“Non lo vedi che è uno sbaglio?” Mi ripeto ad alta voce per convincermi, per riaddormentarmi. Hanno sentito la segreteria e si sono accorti d’aver sbagliato. Dio devo cambiare quel messaggio. Che voce gracchiante! Dico io, ma come mi è venuto in mente di registrare quel messaggio quando ero raffreddata. Ok lo cambio.
Domani devo alzarmi presto. Buonanotte.

Prima di riaddormentarmi penso a mia madre. Sono tre giorni che non la sento! Che figlia snaturata, sicuramente domani la chiamo.
Dopo cinque minuti altri squilli e io riaspetto. Accendo la luce e guardo il soffitto. Aspetto la voce, una qualunque.
“Dai parla, per favore, parla!” Ma niente, solo il tu tu di chi ci ha ripensato un’altra volta.
Niente.
Penso alle tante storie di stalking viste in tv. Alle tante donne perseguitate e condannate all’ansia ed alla paura. Ma chi mai può farmi questo? Un ammiratore segreto? Scorro i tanti volti della mia quotidianità. Nessuno davvero e neanche il mio ex marito, innamorato perso della sua compagna…

Mentre penso altri tre squilli.
E se fosse quel tizio sposato del terzo piano?
Lui sa che vivo da sola e stranamente ogni sera lo incontro. Qualunque sia l’ora mi aspetta per prendere insieme l’ascensore.
“Prego Signora”. Che voce da maniaco!
Con fare viscido! Con la scusa del perfetto cavaliere mi fa passare prima di lui e si tiene a debita distanza. Sono sicura che la cortesia che ostenta è solo un pretesto per vedermi le forme da dietro.
Mi chiedo che gusto ci trovino gli uomini a guardare un contorno di stoffa!
“Ma che piacere incontrarla!” Ogni giorno la stessa frase… come se non mi fossi accorta che non è affatto una coincidenza... E poi suda, ha le dita grassocce, gli occhiali appannati, il dopo barba al sapore di menta. Dio che orrore!

Una volta ha anche tentato un approccio. Discreto sì, ma comunque un approccio, tanto per farmi capire che non disdegnerebbe uscire con me. Come se non lo avessi capito, poi…
E’ responsabile editoriale di una grossa casa di distribuzione. “Mi farebbe piacere invitarla ad un’anteprima. Mi dica quando e sono a sua disposizione…” Mi ha detto un pomeriggio mentre attraversavamo il vialetto di casa.
Naturalmente ho rifiutato.
Eh sì credo proprio che sia lui, ha la faccia da maiale ed ora, a pensarci, non me ne vengono altri.
Sì sì, senz’altro è lui…

Del resto chi altro può sapere che dormo da sola? Colleghi, amici, parenti. Chi mai potrebbe spaventarmi in questo modo? Resto muta, quasi non respiro. La casa è piena di rumori: un mobile che scricchiola, l’acqua che corre nei tubi, il frigorifero, la serranda della sala che sbatte… Sento addirittura la tenda in sala da pranzo che si muove, dovrei alzarmi ed andare a chiudere la finestra, ma non ci penso proprio…

Vedo con la coda dell’occhio l’ingresso, è più buio del solito, più fitto di tutte le altre sere. E nell’oscurità distinguo ombre che si materializzano e poi svaniscono. Oddio vedo un’ombra, viene verso di me, cammina strana, rasenta la parete del corridoio, sbatte, cade. Sembra una uomo anziano, gobbo, ma non parla, ora si muove a scatti, salta, svanisce in una nuvola di fumo. Oddio noooo! Devo stare tranquilla! Non c’è nessuno a parte la mia pazzia.
Ma che vado a pensare? Solo io posso immaginare un’ombra zoppa!

Certo di giustificarmi. In questi momenti mi sento indifesa, fragile a qualsiasi evento. Chissà perché sto pensando ad un uomo, una presenza che possa tranquillizzarmi, come se una figura maschile possa allarmarmi e nello stesso tempo darmi sicurezza. Ma qui non c’è nessuno, nessuno con cui spartire l’angoscia, nessuno a rassicurarmi che non è nulla, ad accarezzarmi i capelli, asciugarmi la fronte e combattere ora questa paura fatta di niente.
“Santo Cielo! E’ solo un telefono che squilla!” Cerco di rilassarmi.
Qualcuno davvero che ha sbagliato numero tre volte. Guardo l’orologio, sono passati altri cinque minuti. Tutto silenzio. Ok, era proprio uno sbaglio.

Penso a Luca, il mio compagno da tre mesi. Non ce lo vedo proprio come stalker. Forse sta cercando di avvertirmi. Chissà forse è successo qualcosa, ma non posso chiamarlo. Che direbbe sua moglie? Che direbbe suo figlio? O meglio non direbbe niente, ma si sveglierebbe e piangerebbe! Quasi rido pensando alla faccia che farebbe…
Una telefonata dall’amante alle due di notte!
Magari risponde lei…
“Ciao, tu non mi conosci, io sono Marianna, un’amica di tuo marito… Ho ricevuto degli squilli e mi sono preoccupata… Lì tutto bene, vero?”
Dio che imbarazzo!
No, no lasciamo perdere.
Mi tranquillizzo, ma rimango pietrificata in apnea, come se i miei respiri mi impedissero di ascoltare o fossero proprio i miei respiri a causare gli squilli. Guardo ancora l’orologio, oramai sono dieci minuti che il telefono è muto. Potrei mettermi a leggere, ma no, sarebbe come aspettare il prossimo squillo. Potrei guardare un concerto di Liga su YouTube. No, no non devo fare cose diverse dal solito.
Devo distruggere il nemico con l’indifferenza. Meglio dormire, o almeno provarci, volto la testa e rispengo la luce, ma passa solo una manciata di secondi…

Oddio un altro squillo! Due, tre squilli, quattro. “Dopo il bip lasciate un messaggio”. Tu tu tu, poi niente. Buio totale. Silenzio assoluto. Lo seguo mentalmente, è un tunnel senza uscita, un cunicolo senza luce, la parte più cieca del mio colon ascendente!
E’ uno scherzo, è evidente che è uno stupido scherzo. Oppure qualcuno si è accanito su un numero a caso, oppure hanno memorizzato un numero sbagliato. Nessuno mai potrebbe essere così crudele da farlo intenzionalmente, nessuno di quelli che conosco. Ma allora perché non parlano?

E se fosse un maniaco? La parola mi rimbomba nella testa. Un maniaco sì, uno che mi ha vista passare, magari quando vado a fare la spesa, oppure proprio lì al centro commerciale, oppure in coda all’ufficio Postale, oppure mi ha visto entrare al beauty center? Ecco ci sono, il cassiere del discount… E come ha fatto ad avere il mio numero di casa e chi può averglielo dato? No, no nessuno, lo escludo a priori, nessuno mi conosce così bene da sapere il mio nome.

E poi non sono così appariscente, o forse sì? Mi viene voglia di alzarmi e guardarmi alla specchio. Desisto, Vabbè sì, non sono brutta, ho le mie forme nei posti giusti, mi piace vestire alle volte eccentrica, ma tutto questo non giustifica perdere il sonno per il gusto di fare telefonate mute in piena notte!

Rovisto tra le conoscenze più strette… chi può sapere il mio numero? Giusto il portiere, il meccanico, il dentista, i colleghi di lavoro o l’impiegato di banca… Loro sì che possono risalire al mio nome. E se fosse proprio lui, l’impiegato di banca? Con quella faccia furbetta dietro la scrivania, che insiste e rinsiste sui miei decolté, che insiste e rinsiste su battute che lascio cadere? Ha un umorismo a dir poco cretino. Vabbè lo ammetto, mi fa il filo e lo faccio fare. E’ inevitabile, appena sanno che sei separata diventano tutti avvoltoi.

Proprio l’altro giorno mi ha invitato ad una cena take away, naturalmente a casa sua. Lui non va tanto per le lunghe… Cena cinese e sesso! Che squallida combinazione!
Già, una volta mi ha detto che non è sposato, ecco, sicuramente lui è libero a quest’ora di notte, libero di accedere ai miei dati personali e soprattutto libero di fare queste stupidaggini mentre io sono qui che mi lascio trasportare dal pensiero che a breve un maniaco busserà alla porta. Oddio la porta? L’avrò chiusa stasera? Avrò lasciato le chiavi dentro la toppa, avrò dato almeno due mandate?
Cerco di rassicurarmi, ripasso gli ultimi momenti, non riesco a ricordare esattamente. Questo dubbio non mi fa dormire…

Niente, non riesco a prendere sonno, mi alzo, prendo coraggio e la vestaglia poggiata sulla spalliera, accendo la luce. Ho i brividi di freddo, i riscaldamenti sono spenti e fuori c’è un tempo da lupi.
Piove da tre giorni e le previsioni non promettono nulla di buono. Speriamo che non vada via la luce. Alle volte succede. Intreccio le dita.

Scorro tra le stampe di Klimt lungo il corridoio. Accendo la luce dell’ingresso, un faro mi abbaglia. Ok la chiave è nella toppa. Per sicurezza tolgo e rimetto le mandate per due volte. Chiunque sia ora dovrebbe fare un rumore infernale per entrare in casa! Penso al maniaco… Che faccia può avere un maniaco, che mani, che occhi? Come potrebbe essere vestito? Me lo immagino anziano e fuori moda, con la giacca di tweed e la cravatta a strisce, oppure con il classico impermeabile chiaro, il bavero alzato, le mani in tasca e la barba appena fatta. Sento inconfondibile l’odore dolciastro del dopobarba.
E se fosse vestito in modo diverso? Come faccio a riconoscerlo, a capire che sia lui, se ha l’aspetto di un impiegato di banca, di un meccanico o di un portiere?

Vado in cucina, guardo sotto il mobile della credenza, dietro il frigorifero, nel ripostiglio delle scope, non si sa mai… Dio che tardi! Torno in camera pensando alla faccia del maniaco. Mi tolgo la vestaglia e mi rimetto a letto. Brrr… che freddo! Sarà difficile riprendere sonno, riposarsi almeno qualche ora prima che faccia giorno.
Guardo tra le fessure della serranda, ancora buio. Alle sette mi devo alzare ed io sono qui che penso al maniaco… se non fossi sola, se ci fosse qualcuno con me, forse rideremmo a crepapelle, ma se fossi in compagnia forse nessuno si azzarderebbe!
“Buonanotte.” Mi ripeto a voce alta. Ma non dormo, il pensiero è sempre lì, incollato al telefono.

E se non fosse un maniaco, ma una tragedia? Chissà qualcuno mi vuole avvertire che nei dintorni c’è stato un terremoto, fuori piove e piove sempre quando avvengono queste disgrazie. Magari un’alluvione! Quasi rido per come riesco a collocarmi al centro del mondo, come se quattro squilli dentro una casa privata fossero materia di prima notizia al telegiornale. La luce funziona, il telefono pure. No, non può essere una catastrofe.

Guardo il mio cellulare, nessuna chiamata, nessun messaggio. Ecco questo è un dettaglio importante. Il maniaco conosce il mio numero di casa, ma non il numero del telefonino! Comunque per qualsiasi evenienza lo spengo.
“Buonanotte.”

Niente, è più forte di me, non riesco a non pensarci. Scagiono l’impiegato di banca, lui può accedere a tutti i miei recapiti. Poverino l’ho accusato ingiustamente! Chi è che può sapere solo il numero di casa e non quello del cellulare? Sicuramente il portiere. Ma no, non ce lo vedo come maniaco. Per essere un maniaco occorre avere una sessualità deviata, una perversione innata e non mi sembra che il signor Gino abbia carisma e personalità da vendere.





CAPITOLO II


Nel dormiveglia mi giro e mi rigiro nel letto. Non so quanto tempo sia passato, non dormo. Anzi sto sudando. Forse mi sono addormentata, forse no. Sì, sì, qualche secondo ho dormito! Ho sognato mia zia Betty, quella morta, eravamo nella sua casa di campagna, sedute tutte e due sulle poltrone di vimini nel patio. Vicino a noi, sonnecchiava Augusto, il suo cagnolone maremmano. Lei mi accarezzava i capelli. Che dolce!
E’ evidente che ho bisogno di sicurezza! Assolutamente non devo deprimermi! Cerco la parte più fresca nel letto. Cerco di tranquillizzarmi pensando agli impegni di domani. Ah giusto, dopo il lavoro, il parrucchiere. Colore e taglio. Questa volta devo fare attenzione, non voglio tagliarli troppo corti come la volta scorsa. E poi domani sera la cena con le amiche della palestra… E sabato sera un vernissage a bordo piscina di un pittore amico dei miei. Adoro l’arte e mi piacciono queste occasioni mondane. Si incontra sempre gente interessante e a dir poco stravagante!

Penso e comunque non mi riaddormento. Che faccio? No, no niente libro. Non riuscirei a concentrarmi. Potrei alzarmi, accendere tutte le luci e far finta che sia già giorno. Che ne so, potrei mettermi a stirare o preparare un dolce. Potrei accendere la radio e scoraggiare i malintenzionati… I maniaci non si presentano di giorno o meglio noi non li pensiamo maniaci alla luce del sole…

Dio, no! Un altro squillo, ma stavolta mi precipito. Devo rispondere, fare la voce sicura, non devo dare il fianco al mio violentatore notturno.
Un “Pronto!” rimbomba tra le pareti buie e silenziose. Ma è venuto male, era troppo vibrante ed incerto.
Ancora un altro “Pronto!”, ora più sicuro, più deciso, la voce bassa e decisamente scocciata. Dall’altra parte sento dei suoni strani, sembrano rumori di strada, macchine che corrono sull’asfalto bagnato, forse un cane che abbaia, forse una lattina che rotola, rumori di pioggia fitta sopra dei vetri. Immagino un uomo dentro una cabina telefonica… Ma esistono ancora le cabine? Sono troppo influenzata dai film noir!
Dico ancora “Pronto!”, mi accorgo che sto quasi urlando. Poi finalmente una voce mi parla. E’ lontana, quasi un sussurro, quasi malata. Oddio qualcuno che non sta bene, che chiede aiuto. Ancora un “Prontoooo…”

Ecco ora la voce è più vicina, la riconosco! D’un tratto la tensione si scioglie e lascia il posto alla rabbia. Un respiro profondo. Due. E’ la voce di Fabio, il mio ex marito. Cerco sette parole volgari da mettere in fila, inizio con una a caso, ma lui mi blocca immediatamente.
“Scusa, cara, ho provato a chiamarti al cellulare ma è spento. Dormivi? Immagino di sì. Scusa se t’ho svegliata, ma non trovo più le chiavi del mio appartamento. Non riesco a rientrare in casa, Laura è a Parigi.”

Fermo per un istante i miei pensieri. Giusto, Laura, la sua compagna. Ma perché mi chiama? Cosa c’entro io con le sue chiavi? Spero proprio che non stia pensando di passare la notte qui! Mica è matto!
Riprende: “Qui sta diluviando. Sono due ore che sono rinchiuso nella macchina davanti al cancello di casa, non so cosa fare. Allora ho pensato di chiamarti.” Si ferma.
“Fabio, sei stato tu a chiamarmi prima, a fare quella serie di squilli?” Lo incalzo speranzosa.
“No, è la prima volta che chiamo qui e mi hai risposto immediatamente. Non dormivi vero?”
Oddio, allora chi sarà stato? Le parolacce rimangono in gola, l’angoscia risale. Allora davvero c’è un maniaco insonne.
“Ma sei sicuro?”
“Ma che ti prende? Certo che sono sicuro! Perché dovrei raccontarti una balla…. Senti… volevo dirti, in casa ci dovrebbe essere un duplicato delle mie chiavi.”

Stacco per un attimo il telefono dall’orecchio, mi mangio l’unghia dell’indice destro e penso.
“Ma è pazzo? Le sue chiavi qui?” Mai avrei sospettato che nella mia casa, anzi nella nostra casa ci fosse la prova del nido d’amore di lui e di quella sciacquetta, la prova schiacciante della loro relazione clandestina durata per anni, prima che ne venissi a conoscenza, prima che lo cacciassi di casa.
“Se non hai cambiato disposizione è tra le altre chiavi nel primo cassetto del mobile all’ingresso. Ha un anellino di plastica rosso ed un piccolissimo elefante di peluche grigio. Puoi farmi il favore di controllare?”

Stanotte impazzisco per davvero, non è possibile che il mio ex marito mi chiami dopo due anni, nel pieno di una notte turbolenta, e con la voce candida mi chieda di cercargli un paio di chiavi. E che chiavi!!!
Comunque frugo nel disordine del cassetto, tiro fuori di tutto, cartoline, biglietti da visita, una candela, una partecipazione di nozze, una mia foto a tredici anni e vecchie bollette. Frugo ancora e in fondo al cassetto finalmente trovo una chiave mai vista, anonima che sa di box, di cantina, non certo di garçonnière, di tradimento, di sesso alle mie spalle.

“C’è solo quella di casa, vero?
“Non so se sia quella di casa, ma è abbastanza grande…”
“Se non ti dispiace vengo a prenderla, per quella del portone vedrò come fare.”
Sento uno strano sollievo, come se per la prima volta la presenza di un uomo dentro questa casa mi rassicurasse, la stessa presenza che per due anni di fila ho cercato con tutta me stessa di farla svanire.
Ho fatto ridipingere le pareti e i soffitti per non sentire più il suo odore, ho bruciato ogni indizio, qualsiasi prova che mi riconducesse a quel periodo… ma questo cassetto è rimasto indenne alle mie ruspe mentali.
“Ok, va bene, ti aspetto.”

Riattaccando cerco tra i tanti anni insieme un ricordo che mi faccia digerire questo “ti aspetto”. Mi rendo conto che è difficile, è stata troppa l’amarezza, la delusione che tra le pieghe della gola ancora sento. Invano cerco di inghiottirlo. “Va bene t’aspetto.” Ma che aspetto! Che cavolo aspetto?

Una notte sotto la pioggia era il minimo che gli potesse capitare! Una notte dentro una macchina è un dolce imprevisto rispetto a quello che ho dovuto subire! Preferita ad un’altra che non conoscevo, ma della quale dopo alcuni mesi ero certa dell’esistenza. Guardavo le loro foto di nascosto, foto di casa, di famiglia, al compleanno, alla vigilia della vigilia di Natale, lei al mare sdraiata sopra un’amaca sotto un palmeto chissà dove, lui sorridente seduto sugli scalini di una chiesa.

Poi, la sera, far finta di niente, sperare che tutto prima o poi passasse, speravo davvero di riprendermelo indietro. Mi confidavo con mia madre, lei mi consigliava di lasciarlo immediatamente, ma io aspettavo, chissà cosa!
Che scema! Annusavo le sue camicie per l’ennesima prova, strofinavo i suoi colletti per non farmi accorgere d’aver capito. Lui continuava a comportarsi normalmente, a fare la sua vita. Piena di bugie, di cene con colleghi, di viaggi di lavoro, di partite a tennis…
Chissà forse avrebbe continuato per anni, anni, e ancora anni, se una qualunque sera, presa dall’ira davanti all’ennesima menzogna, non ce l’ho fatta più e sono esplosa tirandogli appresso, oltre ai piatti ed ai bicchieri del servizio buono, tutti gli indizi raccolti in tanti mesi. Ma la chiave no, quella la ignoravo!
Eccomi ora, con questa voce imbecille che mi ritrovo, a dirgli “Va bene t’aspetto.” Ma che cavolo aspetto? Io non voglio aspettare nessuno e tanto meno lui.





CAPITOLO III



Adesso davvero non ho più sonno. Sono solo carica di adrenalina! Ma chi l’avrebbe mai detto che il destino mi avrebbe riservato una notte così magnifica! Che schifo…
Mi infilo la vestaglia ed un paio di ciabatte. Vado in cucina, bevo un po’ d’acqua, metto su la moca.
Potrei offrirgli un caffè se non ha tanta fretta. Un po’ di latte caldo se ha ancora più tempo. Almeno il tempo basterebbe a me per scongiurare del tutto la presenza del maniaco! Ma che dico? Gli do la chiave davanti alla porta e guai se entra.

Accendo una sigaretta e il gas. Mi siedo e cerco di rilassarmi. Ora mi sembra di essere più tranquilla, mai avrei pensato che quel periodo buio della mia vita mi togliesse l’ansia dello stalker e mi facesse essere più serena!
Vabbè sì, serena è una parola grossa, diciamo almeno senza quell’angoscia di prima… Ma chi diavolo sarà stato a fare quegli squilli? Fabio dice di non essere stato e non ho valide ragioni per non credergli.

Vado in bagno, mi guardo allo specchio. Oddio che faccia! Il maniaco m’ha distrutta. Mi metto un filo di trucco e rido. Chissà cosa direbbe Luca, il mio amante, se mi vedesse che curo il mio viso, i capelli, per l’uomo più odiato del mondo e lui sa quanto io possa odiare Fabio. In fin dei conti sono passati solo due anni e non posso essere cambiata. Beh sì, un po’ ingrassata senz’altro. Beh prima o poi questi tre chili di troppo spariranno, almeno mi illudo. A parte la palestra, non ho mai fatto diete e mai le farò, devo solo stabilizzare la mia vita e tutto sarà risolto.

Mi guardo ancora allo specchio. Indecisa allaccio e slaccio l’ultimo bottone rimasto. Non vorrei dargli segnali di alcun genere. Né troppo sulla difensiva e né tantomeno l’immagine di una donna aggressiva. Rido. Chissà quante volte mi ha visto in vestaglia, senza trucco e la faccia assonnata. Ed ora che cambia?

A volte mi chiedo cosa mi riserverà la vita. Quanti domani si coloreranno d’azzurro, quanti tramonti di rosso, quante albe d’arancio, innamorata di un uomo che ancora non conosco. Ma esistono gli uomini così? Penso di essere stata proprio sfortunata nella vita tanto da non aver mai conosciuto un pittore… Niente tramonti rossi, solo corna incolori…

Inevitabilmente il pensiero ritorna a Fabio. Ero diventata un’esperta, ormai avevo l’occhio allenato, quando tornava a casa, guardandolo, tiravo ad indovinare: “Stasera ha fatto sesso.” Nella maggior parte dei casi ci prendevo. Annusando la sua biancheria sporca avevo la conferma.

Ormai ero in un tunnel senza uscita, anche se cercavo ogni volta un remoto spiraglio, un’illusione piena di luce: “Si, ok magari solo dei baci sulla bocca, oppure lei lo ha baciato lì…”
Ciò che mi dava fastidio non era pensare all’orgasmo di lui, che consideravo pari ad uno sfogo di qualsiasi altro animale, ma a quello di lei! Com’era possibile che un’altra donna potesse provare ciò che a me era negato?
Altre volte mi facevo del male pensando esattamente al momento, immaginando la stanza comprese le tendine a fiori e un filo di musica di sottofondo e immaginando lei in un completino di intimo romantico, una vera passione per i desideri di Fabio!

No!!! Ancora il telefono. Dio me lo ero scordato… Mi precipito di nuovo in ingresso.
“Pronto! Pronto! Pronto!”
Mi aspetto la voce di mio marito che ha ritrovato le chiavi. Negli anni non è cambiato per niente, ancora sbadato, ancora assorto nei suoi tanti pensieri.
“Pronto.” Quasi mi dispiace.
“Pronto.” Senza più nessuno che mi riempia questa notte.
“Pronto.” Niente, nessuno risponde.
“Fabio ci sei?” Questa volta non sento rumori di strada, niente barattoli che ruotano sull’asfalto. Mi attacco ad un lieve sibilo, ma non è il cane di prima e neanche l’asfalto bagnato!

Oddio, di nuovo il maniaco. Aspetto senza fiatare con il telefono incollato all’orecchio la voce di Gino il portiere o del cassiere del discount. L’impiegato di banca no, lui è uscito indenne dalla mia indagine personale. Penso a lui per distrarmi, certo che, se non fosse così invadente non sarebbe poi male, troppo appiccicoso per i miei gusti. Troppo diretto, sa quello che vuole, e chissà quante donne sono disposte a passare con lui solo una notte e cenare take away cinese. Di certo io no! Anche se a volte il sesso mi manca, mi manca il contorno, l’atmosfera romantica, mi mancano le cene a lume di candela, mi manca quell’ora di toilette mentre mi preparo, mi mancano le attese, la mia lingerie, i vestiti scollati…
Luca del resto non ha mai tempo…

Dico ancora “Pronto!” Niente, nessuno, nemmeno il meccanico con le mani sporche di grasso. Rido, per un attimo rido, pensando all’altra notte nel letto da sola, quando il cuscino è scivolato tra le mie gambe, quando per un attimo intenso ho pensato a quelle mani, proprio a quelle mani sporche d’olio che mi toccavano i seni e poi oltre… Strofinavano il mio piacere attraverso il vestito bianco di seta che da anni non metto. Mi piaceva quel contrasto tra sporco e pulito, quella trasgressione… E lui così focoso! La sua passione non mi dava respiro.
A proposito, chissà se quel vestito mi starà ancora bene! Un giorno o l’altro dovrò provarmelo. C’è sempre un occasione no?

“Ma cosa vado a pensare?” E’ possibile che stanotte sia tutto così strano? Adesso ci voleva solo che mi venissero in mente quei pochi minuti dove mi raccolgo da sola, dove il mondo di fuori è ad uso e consumo di quello che sento. Certo che ci sono un meccanico, l’impiegato di banca e perfino il tizio del terzo piano, sposato e con la faccia da porco che mi dice affettato: “Prego, Signora.” Immagino la sua faccia, il ghigno di voglia… Lo so, lo so che mi guarda il sedere e l’invito al cinema, se accettassi, è solo un permesso per potermelo toccare!
E nel sogno quei volti diventano scontornati, tutti si assomigliano, confonderei benissimo un manager da un operaio perché ciò che conta è in funzione del mio piacere. Chiunque sia, qualunque cosa faccia!
Comunque… mi accarezzo sì, ma non è una vera e propria masturbazione, non ho un orgasmo riconoscibile ma solo momenti di velato piacere, tutto qui.

Ora, però, dentro questa notte, tutto si espande, si dilata e mi fa vergognare, come la mia scrittura imprecisa attraverso una lente, come la mia voce dentro un registratore. Tutto diventa onirico, una visione frastagliata che si fa breccia nel mio intimo senza capo e né coda ed a uso e consumo del mio pudore.

Basta! Mi ribello! Accendo la radio, solo musica ed io invece adesso cerco parole. Niente, fuori nel mondo non è successo nulla! La spengo.
“Oddio la moca!” Per un attimo l’odore di caffè ha inondato la casa, poi un odore di bruciato. Corro in cucina, il gas si è spento. Dio che disastro! Devo ricominciare, uffa.
Mentre pulisco il piano cottura sento passi per le scale, poi una porta che si chiude. Ora rumori sul soffitto, provengono dalla casa di sopra, ma è disabitata da tempo! Cosa succede? La vecchia padrona è andata a vivere fuori città con sua sorella. Era troppo anziana per vivere da sola.
Sento ancora rumori… prima in corrispondenza del bagno, poi sopra la sala da pranzo. Sono rumori di tacchi, poi niente, poi intensi. Ora un crash di un bicchiere caduto a terra o forse un coltello… Dio ma cosa sta succedendo?

Penso a dei ladri o magari sarà stata riaffittata. Strano che il portiere non mi abbia detto niente e non mi sembra di aver visto un cartello Affittasi. Strano! Comunque a quest’ora è insolito.
Penso alla badante ucraina, magari ha conservato le chiavi, penso al nipote dell’anziana signora che non veniva mai a trovarla. Magari stanotte ha deciso di fare l’alba in compagnia. Sento risa, gemiti, poi porte che sbattono. Ecco sì, li riconosco! Sono inconfondibili rumori d’amore sopra la testa. Anzi no, diciamo pure chiari rumori di sesso.

Dio non ce la faccio più. Il telefono squilla ancora ed io sono praticamente immobile appoggiata al muro tra il corridoio e la cucina. Stringo i pugni, non devo piangere, devo fare qualcosa! Voglio uscire da questo incubo! Sì, sì devo reagire e immediatamente.

Potrei uscire, prendere la macchina e farmi un giro, ma dove vado a quest’ora di notte? No, no, i miei non li chiamo, troppo orgogliosa! Già sento le parole di mia madre: “Te l’avevo detto Marianna! Una donna non può vivere da sola!” E giù stracci appiccicosi di retorica e morale d’altri tempi! No, no, non ce la faccio a sopportarla ora!

Cecilia sì! Ma come ho fatto a non pensare a lei? La mia amica da sempre, dal tempo dell’università, ci siamo perse di vista e poi riavvicinate. Ora non passa giorno che non ci sentiamo e quando siamo libere da impegni facciamo del tutto per vederci…
Penso. Dio ma è tardissimo! Non so se sia il caso. Sono indecisa se chiamarla. Alzo il telefono, ma poi ci ripenso. No, no, meglio di no. Ma Cecilia è sola, farebbe tutto per me come io per lei. Il marito è a Bruxelles per lavoro, mi faccio ospitare almeno per questa notte.

Ripenso alla volta che mi chiamò lei in piena notte, era rimasta bloccata con l’auto in panne in una zona malfamata sotto un ponte dell’autostrada. Pioveva e praticamente c’era stata un’alluvione nei dintorni a causa di un torrente esondato. A fatica era riuscita ad uscire dall’auto e mettersi in salvo sopra una pedana. Purtroppo una coppia di nomadi ne aveva approfittato e le aveva rubato la borsa poggiata sul sedile!

Immediatamente l’andai a recuperare non prima di aver chiamato il servizio notturno per il soccorso dell’auto.
La trovai in preda al panico, bagnata, sporca di fango, affamata e senza soldi! Non le chiesi mai il motivo perché si trovasse lì, ma riuscii a convincerla a passare la notte qui da me, non prima di averle preparato un bagno caldo e una spuntino leggero.
Ancora mi ringrazia per quella notte e non vedo perché ora che ho bisogno di aiuto non potrei chiamarla…

Riprendo il telefono, rimango con la cornetta in mano. Meglio di no. Potrei avere il telefono sotto controllo. Immagino già il maniaco con la faccia soddisfatta e la bava in bocca che ascolta la telefonata. Poi magari me lo ritrovo qui sotto il portone oppure sotto casa di Cecilia e sicuramente metterei nei guai anche lei! No, no…

Allora vado direttamente, le citofono, in caso mi manda bonariamente a quel paese. Mi sembra l’idea migliore…
In meno di trenta secondi mi infilo un vestito, le scarpe, prendo il cellulare, l’ombrello, le chiavi ed esco non prima di aver preparato il sacchetto dell’immondizia per depistare gli eventuali malintenzionati.
Oddio e mio marito? Solo ora mi viene in mente, ma sì, chi se ne frega di Fabio, anzi meglio che aspetti, magari fino a domani, anzi per sempre...
Mi sale il gusto dolce ed amaro della vendetta, beh prima o poi doveva capitare, no?

Non prendo l’ascensore, scendo le scale a piedi. Il rumore dei miei passi rimbomba. Vedo la mia ombra sul muro. Dio come sono ingrassata e come fanno paura queste porte chiuse, ma non devo pensare, devo essere più forte di qualsiasi paura. Sento un telefono che squilla, sarà sicuramente il mio.
Apro il portone.




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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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L'utilizzo è limitato ad un ambito esclusivamente personale.
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Photo Anna Koudella


 





 
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