HOME       CERCA NEL SITO       CONTATTI      COOKIE POLICY

1
RACCONTI

1

Adamo Bencivenga
L'Amante Ufficiale
QUARTA PARTE





 

 

Lungo il fiume


Lungo il fiume si riflettono verande di legno marcio di bettole fatiscenti a palafitta nell’acqua. Se ci vai con gli occhi da turista vedrai topi e ragni che si contendono carne prelibata di zanzare morenti. Vedrai rughe di uomini giovani cotte dalla fatica e dal sole. Se ci vai da turista ti passa la fame al solo sentire l’odore che sale dal fiume o che esce denso da quelle cucine.
Ti prego lasciati condurre verso quel fiume dove sciamano barche e scorre la vita che apparentemente non ha un verso, una direzione, dove s’accavallano voci e stridono urla che anche per uno del posto è arduo capire.
Se hai voglia davvero di risalire alla sorgente del mio infinito bene, se davvero hai voglia di conoscere da dove proviene il gusto dei miei baci, allora lasciati andare, ti prenderò per mano e dall’altra tua moglie, perché io sono fatta di quest’acqua di fiume, di fango e palude, sono solo un enorme insetto nato alle spalle di questa foresta che bacia bene, ma ama come tutti gli abitanti di questo fiume.
Tua moglie è troppo occidentale per capire, ma io la amo anche per questo. Si rifiuterà di venire, di capire, e mai comprenderebbe come hai fatto a sentirti maschio dentro la mia carne.

T’ho visto sai quando sei entrato, i tuoi occhi hanno assunto un colore indefinito, le tue labbra la forma di voglia, ma anche tu eri sorpreso, quasi quasi non credevi che potesse succedere.
“Ora, mi credi vero?” Ti ho detto.
Perché noi siamo così. Noi abbiamo il potere sulle cose. E non serve una puttana per questo, qualunque ragazza di Saigon sente oltre i sensi e pigia i tasti giusti affinché la musica mai s’interrompa. “Mi capisci vero?”
Ma tu rimanevi incredulo. Hai riso pensando alle tante volte fallite. Hai riso pensando all’ultima volta buona. Ma non te la ricordavi. Erano passati troppi anni.
Hai riso, ed io era piena di te, piena di gioia.






Il contadino Hong Ti

Il giorno dopo siamo andati a fare una scampagnata lungo le rive del Mekong verso Cao Tho. Ricordi? Tu guidavi la Jeep dell’esercito francese, io e tua moglie eravamo appollaiate sui sedili posteriori sballottate dalle buche e dal terreno non asfaltato.

Il vento faceva svolazzare i lembi delle nostre gonne. Tu portavi un cappello di paglia, gli occhiali da sole e un vestito bianco. Oddio come eri bello! Tua moglie rideva e tu non eri triste. Mi sono sentita bene sai.

Ai bordi della strada sterrata c’erano uomini e donne che ci salutavano contenti. Dio quanto era ospitale quella gente! Quando siamo arrivati nella zona dei villaggi sull’acqua abbiamo dovuto lasciare la macchina. Abbiamo proseguito a piedi, i nostri tacchi affondavano completamente nel fango di distese di riso.

Il contadino Hong Ti ci ha accolto lungo la strada. Era un tuo amico e fu contento di vederti. Mi hai presentato come tua amica, ho notato il tuo imbarazzo.
Lì era tutto tranquillo, la guerra non era ancora arrivata. Siamo passati in mezzo a piante di zucchine e lattuga rigogliose. Hong era fiero dei suoi campi di ortaggi.

Aveva già fatto preparare il pranzo. Mangiammo tutti e quattro all’ombra di una incannucciata al riparo di mosche e zanzare. La moglie di Hong aveva cucinato delle gustose polpette di fiocchi di riso e una crostata di scarola e asparagi.
Dio come ero contenta! Sembravamo una famiglia felice, mi pareva di avervi conosciuto da sempre.

Dopo pranzo la moglie di Hong ci aveva preparato due stanze accoglienti per riposare, ma tu hai voluto che anch’io venissi nella vostra. Tua moglie naturalmente fu felice. Appena entrati mi avete abbracciata insieme. Ero lì in mezzo a voi due, dove da sempre sarei voluta stare.
Hai chiuso la porta ed io ho chiuso gli occhi sperando che quei momenti durassero per sempre.

Ancora ricordo l’emozione su quel letto. Tu eri con la sola camicia indosso, lei aveva appeso il suo vestito su un chiodo ed era rimasta in reggiseno e mutandine.
Sentivo i suoi brividi caldi sfiorarmi, ma sono rimasta immobile. Stavo tra voi due! E non chiedevo altro.
Tu consultavi una mappa. Tua moglie fumava. Ma tra di voi non c’era il solito vuoto. Finalmente ero riuscita a riempirlo. Addirittura vi siete parlati e per me era già molto. Lei ti ha chiesto quando saresti ripartito. Tu le hai risposto che avresti voluto evitare la missione. Troppo pericoloso!

Con una voce nuova ci hai spiegato che lì infuriava la battaglia tra le truppe Viet Minh comandate dal generale Vo Nguyen Giap e le truppe francesi dei paracadutisti e della Legione straniera.
Si parlava di una grossa offensiva dell’esercito francese che aveva paracadutato sulla zona novemila uomini in meno di tre giorni. I comunisti colti di sorpresa avevano vacillato, ma grazie a dei missili russi avevano iniziato a colpire le basi aeree francesi con un bombardamento incessante.

Eri preoccupato. Con un gesto spontaneo ti ho stretto la mano. Tua moglie se ne è accorta, ma capiva che in quel momento avevi bisogno di affetto. Non c’era sesso e mai il minimo dubbio l’avrebbe sfiorata. Si unì a noi accarezzandomi i capelli.

Baciò il mio profilo, tu sei rimasto a guardarci. Ma non andò oltre nonostante il mio abbandono. Dio sa quanto avrei voluto in quel momento vedervi distesi supini, adagiarmi sui vostri corpi e sfiorarvi contemporaneamente con i miei seni duri.

E’ inutile dirti che quel pomeriggio rimarrà scolpito nel mio cuore per sempre.






Quattro mesi dopo

Passarono quattro mesi da quella volta e nonostante i miei sforzi tutto era rimasto come prima, tutto immobile come il mare di Saigon quando lo guardo dal porto.
Mi ero illusa di portare pace, amore, invece c’era soltanto guerra. Già la guerra quella che spara ed ammazza oramai era alle porte della città. La vita di ogni giorno era sempre più complicata, ed io ormai mi rifiutavo di capire. C’erano francesi dappertutto e poi inglesi, qualche americano e bombe che esplodevano senza un nome, un motivo, pallottole che vagavano in attesa che qualcuno uscisse di casa.

Oramai non c’era più niente, anche la guerra era senza padrone. Mio fratello era stato ferito dentro il suo taxi, ma io non sapevo con chi prendermela. Ho pregato il Cielo con tutta me stessa. Dopo giorni e giorni di agonia inspiegabilmente si è ripreso, ha perso solo un occhio ed io ho ringraziato Dio.
Mi chiedevo se davvero c’era un bene futuro che giustificava quel dolore. Nella mia ingenuità ripetevo che se veramente avessi dovuto fare una guerra l’avrei fatta contro la fame, le zanzare, contro la miseria che trasformava gli uomini in bestie e le donne in puttane.

Io ero con tua moglie, nel quartiere francese, bello e ricco e non dovevo temere nulla. Ogni tanto qualche boato, ma era sempre lontano nella zona dei villaggi, perché questa guerra aggiunge miseria a miseria e difficilmente si fa vedere da queste parti.
Solo qualche disagio sopportabile, usavamo lampade a petrolio e mancava ogni tanto l’acqua.
Avevo soltanto un pensiero invadente. Tu eri di nuovo al fronte, perché il console ti aveva dato comunque l’incarico di capire cosa stava succedendo oltre le linee francesi che per noi era deserto.

Erano tre mesi che mancavi ed io ero lì ovattata e incosciente, convinta ancora di amarvi entrambi. Capiscimi, non vi amavo ad uno ad uno, ma insieme, uno indispensabile all’altro, tanto che se uno dei due fosse mancato non avrei più provato nulla per l’altro!

No, non credere che abbia avuto qualche preferenza, amavo la somma di vuoi due e per me eravate uguali perché ognuno dei due creava il totale.
Provavo amore, immenso amore, come mai un singolo essere era riuscito a farmi sentire. Provavo dolore perché non c’eri e non davi notizie, perché non riuscivo a donarmi per intero a tua moglie.
Tua moglie, quando arrivò la lettera di missione del console, ti aveva di nuovo rimproverato di aver non aver fatto nulla per evitarla. Tu sei andato via sbattendo la porta.

Dopo la scampagnata a Cao Tho avvertivo che tra voi due era nata una sottile rivalità. Non avevate capito proprio niente del mio amore! Ed io mi sono presa tutte le colpe. Invece di portare armonia avevo portato l’odio, invece di amore solo gelosie e litigi, ma nonostante ciò, ero ostinata e credevo con tutta me stessa che il tempo mi avrebbe dato una mano.

Io e te, dopo la sera in veranda avevamo tentato un’altra decina di volte, ma inutilmente. Andavamo in una bettola lungo il fiume. Era diventata il nostro rifugio segreto.
La sera invece era dedicata a tua moglie, nascoste nel bagno, ma lei non era mai contenta e iniziava a sospettare qualcosa, di te, del tenente francese, di qualsiasi uomo che entrasse nel suo campo visivo.
Lei non era convinta perché il sapore del mio sesso, quello che sgorga dal cuore, sapeva di voglia appagata, il mio seno di salive e passioni che ti ritornano nel naso e ti disgustano dopo l’amore.
Faceva domande e rimanevo muta, perché l’ultima bugia che ho detto ancora la ricordo. Mi sospirava puttana dentro l’orecchio e dentro la bocca e qualcosa di me si ritorceva ogni volta come budella che invano cercano di non cedere al veleno.

Me lo sospirava sopra i capelli lungo la curva della mia schiena, ma davvero lo ero, lo sono?
Come potevo dirle che la forma di sesso di maschio che desideravo aveva quella di suo marito. Non avrebbe mai creduto che sopra quella veranda mi avevi scopato prendendomi la gioia infinita di sentirti più grande, più uomo tra le mie gambe.
Come avrei potuto dirle che sopra quel pavimento di legno marcio, tra topi e zanzare, mi fottevi il sogno d’essere presa di nuovo, mi fottevi la voglia che rimaneva penosamente intatta.

Per lei sarebbe stato un duro colpo sapere che ero innamorata pazza di un uomo che non mi portava all’orgasmo e che nonostante ciò mi sentivo appagata dal ricordo dell’unica volta in terrazza. Dio quella volta!
Non ci avrebbe mai creduto perché per lei era soltanto un eunuco, che al massimo poteva riempirmi di poesie e parole. Ma la sua gelosia andava oltre quando mi leccava e piangeva facendomi ogni volta giurare che non era successo, che nessun amore francese mi riempiva furtivamente di notte.
Poi piano piano si convinceva ed era amore vero. Mi prometteva che m’avrebbe portato a Dublino, che m’avrebbe fatto vestire da occidentale, tagliato i capelli e truccata per essere sua anche davanti allo specchio.

E rideva e succhiava per aspirare l’essenza e togliermi l’anima per lei indipendente, troppo indipendente, che minacciava la sua richiesta di bene, il suo sentirsi padrona tra le mie cosce.
Mi faceva indossare calze di seta e reggiseni ripieni per gonfiarmi le tette. Vestiti scollati e scarpe bianche per passeggiare lungo le vie fangose del mercato. Desiderava che ogni uomo, ogni straccione, ogni mercante arricchito con la guerra, si perdesse nel mio seno fintamente grande.
Voleva che diventassi una sfida, una minaccia per tutti quegli occhi che m’avrebbero divorata, per poi pensare che ero sua, soltanto sua. Ogni giorno una richiesta più audace perché ormai era una continua sfida con se stessa, con quel diritto inalienabile che è il possesso.






Quei nove biglietti

Dalla guerra ci arrivavano notizie di immense stragi di soldati e civili. Il sangue scorreva a fiotti e molti francesi venivano catturati e morivano in seguito di infezioni e malattie.

Tu non mandavi notizie. Dio che angoscia! E noi ogni giorno ci aggrappavamo ai seni dell’altra, li ciucciavamo per bere il nutrimento di non sentirci più sole, per riappropriarci della forza che scemava ogni giorno.
Lì ho capito che ti amava, che ti voleva bene nonostante la sua ostinazione. Aveva cambiato modo di fare l’amore, niente più donna padrona appoggiata alla spalliera del letto, niente più fumo e stivali. Era un amore alla pari. Ognuna in cerca dell’altra per dare amore senza pensare di riceverlo in cambio. Contenta scivolavo con la mia bocca lungo il suo corpo tra le lenzuola, felice scivolava con la sua lingua tra le mie cosce...

Ormai lo facevamo dappertutto, in ogni posto possibile, in ogni ora del giorno. Era un’urgenza indispensabile quasi vitale. Era un attimo, riconoscevo quell’attimo quando i suoi occhi rimanevano fissi scollegati dalla testa e stampando un sorriso sulle labbra vogliose.
S’inginocchiava e m’alzava il vestito e voleva assolutamente impregnarsi del mio odore, bagnarsi il naso, le orecchie i capelli della mia voglia. Lei come donna, io come uomo, in piedi come quando si piscia o quando a pagamento si sceglie l’amore veloce. In piedi mentre guardavo il cielo avaro di nubi fino a che il piacere calava le mie palpebre e lei stremava per terra.

Ogni tanto mi fermavo a guardarla, a riflettere, era troppo forte il suo attaccamento, troppo intensa la voglia di consumarci e di non pensare a cosa sarebbe stato di noi.
Non sapevo quanto ancora sarebbe durato, se fosse solo una questione di giorni e poi sarei tornata alla Maison Rouge.
Se tu m’avessi interrogata il primo giorno mai avrei pensato di innamorarmi di una donna, ma sarei rimasta a guardare il cielo terso mentre con il rossetto mi inumidiva la voglia.
Se tu davvero me lo avessi chiesto, mai avrei pensato di penare per un uomo che mi aveva appagata soltanto dal desiderio di esserlo.

Tu non tornavi, e i viveri stavano scarseggiando. Le notizie dal fronte incrementavano ogni giorno il numero dei morti in migliaia. La sera cenavamo in silenzio, il giorno rimanevamo chiuse in casa, le Moulin Blanc non ci faceva più credito.
Mia cugina Hong era tornata a lavare i piatti nelle bettole lungo il fiume. Gli aerei erano sempre più pieni di europei che tornavano in patria, rimanevano soltanto soldati, rimaneva solo la guerra.

Mi chiedevo se fosse giusto aspettarti. Tua moglie mi rassicurava dicendomi che altre volte era successo, ma io avevo paura, avevo un presagio che quella prima e ultima volta fosse stata l’ultima davvero.
Cercavo di fissarla in mente, di ricordarmi ogni attimo, ogni goccia del nostro sudore che copioso colava lungo i nostri corpi incollati. Ogni tua parola la ripetevo per ricordarmene il sapore.
“Hai ancora nove biglietti vero?”
Eh già, erano tutti lì ad aspettarti. Sopra quel pavimento marcio, contro quelle scatole piene di viveri all’ambasciata… non ne avevi staccato nemmeno uno!







La tana di lucertola

Ogni tanto andavamo a pranzo da mia madre. Ero stata costretta e mi ero fatta forza sfidando la paura e la vergogna. Speravo che mia madre mai avesse capito, in fin dei conti lei era la moglie del mio amante ed eravamo rimaste sole.
Ma lei non capiva, come non riusciva a darsi pace che da mesi non prendevo il mio compenso. Chissà se mia sorella aveva intuito qualcosa.
Ormai parlavamo sussurrando, piano piano per amarci più forte, per sentire tutta la ricchezza di quella complicità che ci faceva sopravvivere, perché non avevamo altro davvero.

Sarei potuta tornare alla Maison Rouge, ad essere ballerina a tariffa, mi avrebbero accolto a braccia aperte, il padrone cinese non aspettava altro. Ma lei non voleva, mai e poi mai avrebbe rinunciato a me, a quel contatto di mani, di occhi, a quel succhiarci il seno in ogni istante della giornata. Veramente non mi sono nemmeno azzardata a chiederglielo, mi basta guardarla per sentire chiara, forte e sdegnata la sua risposta.

Ero preoccupata per te e lei mi consolava come se io fossi stata tua moglie. Avevo paura veramente di diventare vedova!
Passavano i giorni e qualcuno era più lungo, interminabile. Avevamo venduto i suoi vestiti più belli ad una signora francese. Ma era poco e niente, ci sarebbero bastati giusto per qualche settimana.
Da Dublino non arriva nulla. Tua suocera diceva di aver spedito mille sterline. Ogni giorno andavamo all’ufficio postale ma niente.
Stavo davvero vivendo un sogno al contrario, in quel momento il vuoto che sentivo era troppo grande per poterlo riempire, ed io che non ero stata capace nemmeno di riempire quello fra voi due, che al confronto era piccolo quanto una tana di lucertola.

“Che Dio mi dia la forza!” Mi ripetevo quando il cielo s’imbruniva al tramonto. “La forza di continuare a credere che tra poco tornerai, che almeno ti farai vivo, che morto non servi a niente, non servi a me, non servi a lei, non servi a raccontare la guerra.”

Ma tu non tornavi.












 CONTINUA






 
 
 



Il racconto è frutto di fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti è puramente casuale..
© All rights reserved
TUTTI I RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
Photo  ChaoPavit

© Adamo Bencivenga - Tutti i diritti riservati
Il presente racconto è tutelato dai diritti d'autore.
L'utilizzo è limitato ad un ambito esclusivamente personale.
Ne è vietata la riproduzione, in qualsiasi forma, senza il consenso dell'autore


 

1






 
Tutte le immagini pubblicate sono di proprietà dei rispettivi autori. Qualora l'autore ritenesse improprio l'uso, lo comunichi e l'immagine in questione verrà ritirata immediatamente. (All images and materials are copyright protected  and are the property of their respective authors.and are the property of their respective authors. If the author deems improper use, they will be deleted from our site upon notification.) Scrivi a liberaeva@libero.it

 COOKIE POLICY



TORNA SU (TOP)


LiberaEva Magazine Tutti i diritti Riservati
  Contatti