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RACCONTI

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Adamo Bencivenga
L'Amante Ufficiale
QUINTA PARTE





 

 

A Saigon

Ormai la guerra non ci dava più tregua. Tutto era guerra, il mercato e gli affetti, il contrabbando e l’acqua corrente. A Saigon esplodevano bombe come tombini strapieni di acqua. Una al mercato aveva fatto migliaia di vittime, corpi deturpati, sfigurati, perché neanche la morte era più dignitosa.

Pensavo se la notizia si sarebbe sparsa per il mondo fino ad arrivare nelle case belle di Parigi o nelle villette dei sobborghi di Londra. Pensavo davvero che ci servivi! Che ci mancavi per tutto!
Tua moglie ed io avevamo dato una mano e lavato ferite. Tra quelle carni straziate mi chiedevo a cosa servisse la guerra, ma soprattutto a cosa servisse quel nostro darci da fare. Ormai era l’inferno!

L’unico posto sicuro era la Maison Rouge dove tua moglie mi avrebbe impedito di mettere piede. Stavano finendo anche le sterline dei vestiti. Il padrone di casa ci aveva già mandato a dire che avevamo una settimana di tempo per fare le valigie.
Ero distrutta! Mia madre e mia sorella mi ripetevano ogni giorno di tornare immediatamente a fare la ballerina. Decisi di non andarle più a trovare. Come facevo a lasciare tua moglie? Ogni notte si faceva sempre più piccola, voleva che la contenessi in un unico bacio, in un'unica carezza.
Era troppo intenso il suo amore, troppo grande la sua voglia d’essere posseduta, tanto che mi veniva il dubbio se davvero si fosse mai innamorata di te o di qualsiasi altro uomo.
Era questa la sua prima volta, e come tutte le prime volte bruciava e faceva male, saziava e faceva dolore. Mi giurava che avrebbe fatto di tutto per dimostrarmelo.
A volte cenavamo completamente nude in veranda, avevamo poco da mangiare ma tanto da offrire ai nostri occhi. Ed ogni volta erano delle esperienze uniche, anche se io l’avevo già fatto con altri uomini.
Con una donna sei alla pari, con una donna la senti quanto ti sente, e tua moglie era bella, incantevole, le sue tette poggiavano sul tavolo, finivano nel piatto. Non ho resistito e mi sono alzata per leccargliene il sapore, lei è rimasta ferma per non farmi perdere nemmeno una briciola di gusto.

In quei momenti ho capito il vero significato di quando mi ripeteva “Siamo due zoccole”, quando mi diceva che l’anima che aveva tra le gambe era la stessa che io chiamavo fica. Pensavo che voi occidentali avevate un modo crudo di chiamare le cose, come se le vostre parole, i vostri nomi fossero nudi al contrario della nostra poesia che cominciava dal suono.
“Siamo due zoccole povere!” Diceva seria. “La nostra meta è arrivare ogni giorno a domani.” Ho provato a dirle più volte che se lei avesse voluto, sarei potuta tornare alla Maison, ma lei mi amava, mi voleva tutta per sé. Ho provato anche a dirle che ti amavo, avevo un peso sulla coscienza ma non ce l’ho fatta a confessarle di noi, ero sicura che si sarebbe lasciata morire.
Come in un gioco a scacchi, aspettavo. Sai qui noi siamo abituate ad aspettare, sin da bimbi ci insegnano l´arte dell’attesa.





Ritorno a Cao Tho

Eravamo disperate. Una sera snocciolando tra quei pochi ricordi ci è venuta in mente la scampagnata lungo le rive del Mekong. Tua moglie disse che in fin dei conti lì non era ancora arrivata la guerra e poi il tuo amico Hong Ti quella volta si era mostrato gentile ed ospitale.

Dalla terrazza fissavamo il panorama di Saigon, ogni pochi secondi si accendeva a distanza un nuovo bagliore. Riuscivamo a distinguere dal diametro del fuoco gli spari dalle bombe. Ormai nessuna zona della città era al sicuro. Ci siamo guardate in faccia e abbiamo deciso senza parlare.

La mattina al mercato siamo riuscite a farci dare un passaggio da due contadini che andavano in quella zona. Ci hanno fatto sedere dietro nella cabina, nascoste tra le casse di cipolle e peperoni. Il più grande dei due aveva paura di qualche posto di blocco francese lungo la strada, l’altro, da come ci guardava, aveva qualche altro desiderio che per fortuna tenne per sé.

Il viaggio è stato lungo e massacrante. Ben presto ci siamo rese conto che anche lì la guerra, non solo era arrivata, ma aveva portato morte e distruzione. Quasi quasi non riuscivamo ad orientarci, il paesaggio era diverso e il ricordo della nostra scampagnata svanì in un baleno.

La moglie di Hong Ti nel frattempo era morta per colpa di una maledetta mina vicino al campo di ortaggi.
Lui era distrutto dal dolore, ma è stato gentile con noi. Figurati ci ha dato la stessa stanza di quel pomeriggio.
La sera abbiamo mangiato insieme a lui una zuppa calda di ortaggi e ceci e bevuto del liquore fatto in casa. L’aveva fatto sua moglie e lui pianse ad ogni sorso.

Ma Hong Ti era un uomo e come tutti gli uomini davanti a due donne sole alla fine della cena ci ha chiesto il conto.

Appena qualche minuto dopo ha bussato alla porta della nostra stanza e visto che non rispondevamo, ha spalancato la porta. Non ha detto nulla, ma con la sua aria timida ci ha fatto ampi gesti inconfondibili.
Abbiamo cercato di convincerlo, ma non c’è stato verso.

Dopo qualche minuto di esitazione tua moglie a malincuore mi ha ordinato di sacrificarmi. Eh già, in fin dei conti io ero una puttana ed il mestiere ti rimane impresso per tutta la vita. Con voi mi ero quasi illusa di non esserlo più, ma che significa essere un ex puttana? E’ come dire essere un ex assassino, ma gli occhi di un uomo che hai spento rimane un ricordo indelebile per tutta la vita!

Hong Ti è stato molto delicato. Sono andata nella sua stanza, mi sono coricata chiudendo gli occhi. Giuro, è stato un attimo. Disteso su un fianco mi ha presa delicatamente confessandomi ad ogni respiro che erano anni che non faceva l’amore ed io ero il dono di Dio, giunto a ripagare il dolore della scomparsa di sua moglie.
E’ stato un attimo davvero, durato quanto una puntura che ti lascia soltanto un leggero bruciore.

Tornata nella nostra stanza pensavo che anche questo era guerra ed io m’ero venduta per un piatto di ceci ed una stanza calda, ma ero contenta di aver salvato tua moglie.

Ma lei era fuori dalla grazie di Dio, mi ha aggredito dicendomi parole irripetibili che nemmeno nella Maison avevo mai sentito nella bocca dei soldati francesi. Me le ripeteva rabbiosa, in faccia quasi sputando ed aspettando una mia reazione come se di tutte conoscessi il significato.

Sì, aveva voluto lei e solo con il suo permesso ero andata nella stanza di Hong Ti, ma non era per questo che inveiva contro di me, mai avrebbe potuto!
Mi accusava di aver goduto, di aver urlato, di essere ancora eccitata al pensiero di quel sesso di maschio. Oddio caro tu conosci Hong Ti! Come mai avrei potuto? Un uomo vecchio con la pelle cotta dal sole e un sorriso senza tempo e senza denti.

Ma lei era fuori di sé. Prima mi ha schiaffeggiato e poi come un cane ha iniziato ad annusarmi. Metteva il suo naso dentro le mie labbra alla ricerca delle tracce del mio godimento. Poi mi leccava, fedele ed obbediente come se nulla fosse accaduto.
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Io non ho detto niente perché ero convinta che non sarebbe servito dirle che ero stata fredda ed immobile. Hong non poteva capire, era troppo tempo che non sentiva una donna, ma credo che la sensazione che gli ho offerto fosse come quella di un uomo che infila il suo sesso dentro due pietre fredde di marmo.

Quella notte non ho dormito. Guardavo tua moglie al riflesso di un fascio di luce che penetrava dalla finestra. Era piccola e gelosa. La capivo sai. Alternava stati d’animo anche nel sonno. Contemporaneamente sorrideva e tendeva i muscoli della faccia. Ogni tanto aveva un sussulto, si svegliava e cominciava a picchiarmi finché per la prima volta da quando stavamo insieme mi ha detto fredda che tra noi era tutto finito.

Ho ingoiato saliva, l’ho scongiurata più volte di non farmi del male. Tremavo al solo pensiero di stare lontana da lei, da voi, ma poi mi sono convinta che era solo rabbia e che per nessuna ragione al mondo poteva essere vero.

La mattina ho pregato Hong Ti di andarla a svegliare, di offrirle un fiore di campo dicendole che non avevo goduto. Povero Hong Ti lui non capiva, mai avrebbe potuto capire che tra due donne possa scorrere lo stesso fiume di passione, che è la stessa foce, la stessa sorgente da cui sgorga acqua che bolle, lo stesso sentimento che a volte straripa e spazza via ogni cosa come la vergogna in quel momento di fargli comprendere che non eravamo solo amiche.
Povero Hong Ti, ha obbedito, senza chiedere, senza parlare.

Tua moglie quando è scesa sorrideva raggiante ed io mi sono tranquillizzata. Era bellissima, incantevole, portava un cappello a falde larghe ed un vestito verde leggero. Chissà in quale baule l’aveva conservato!

Siamo rimaste solo una settimana aiutando Hong Ti a lavorare la terra e curare i suoi ortaggi.
Lui la sera non ci ha più chiesto il conto e noi tranquille siamo anche riuscite a fare l’amore.
Ma la guerra era lì. Non aveva senso fuggire e siamo tornate a Saigon.






Numi ti devo parlare

Durante il ritorno non abbiamo più parlato di quell’episodio. Credevo che tua moglie l’avesse rimosso completamente, ma in realtà, come le succedeva spesso, lo stava solo assimilando.

“Numi ti devo parlare, non voglio che tu dica nulla. Devi solo ascoltare.” Mi ha detto qualche giorno dopo.
Con aria grave ha iniziato ringraziandomi per aver accettato la proposta di Hong Ti e scusandosi più volte per quella reazione istintiva. Aveva capito, come ora era convinta che se fossimo state vicine niente avrebbe potuto dividerci.

Alla fine stringendomi tutte e due le mani mi ha confessato che aveva riflettuto e in fin dei conti accettare qualche ballo alla Maison non era poi così male.
Non chiese il mio parere perché era più che convinta che qualche altra puntura indolore ci avrebbe fatto sicuramente sbarcare il lunario in attesa del tuo ritorno.
Non credevo alle mie orecchie, ma ormai lei aveva deciso.

Lo stesso giorno siamo andate al mercato e abbiamo comprato la stoffa più bella. Un lontano parente di mio cugino Tan Chi, adocchiando l’affare, ci ha fatto credito senza problemi.

Come due bambine siamo tornate a casa accarezzando le margherite della stoffa ricamate sopra uno sfondo di celeste sfumato. Io sono brava a cucire e se non fosse stato per la mia bellezza sarebbe stato quello il mio mestiere.
Ci ho impiegato soltanto tre ore a cucire un abito identico a quello in cui mi hai visto la prima sera. Tre ore soltanto e tua moglie bambina seguiva ogni punto dell’ago e il ricamo che nasceva sotto i suoi occhi.
Quando l’ha indossato ci siamo baciate per minuti e minuti senza che il respiro ci chiedesse una tregua. Mi crucciava il cuore che tu non potessi vederla. Era bella, bella, bella.
Sono sicura che se tu l’avessi vista, l’avresti presa all’istante senza un indugio. Davvero avrei voluto che fossero stati i tuoi occhi a guardarla, mai avrei potuto possederla, mai soddisfare il suo dietro rigonfio che sinuoso si muoveva per stare nella parte.

Era come l’avevi sempre sognata, ma non era scelta ma solo bisogno. Ci ho impiegato altre due ore per cucire il mio con la metà della stoffa rimasta. L’ho fatto identico, volevo essere bella come lei, come un’anima gemella figlie della stessa passione.
Abbiamo camminato per casa in lungo e in largo, dalla terrazza all’entrata e poi in bagno e nella stanza danza da letto.

Quando eri atterrato non avevi nessuna altra donna. Tua moglie era ancora in viaggio e tu disperato sei entrato dentro un bordello. Mentre ora t’aspettavano due puttane, due bellissime puttane che come due fiori di femmina si strusciavano i vestiti scambiandosi l’odore.





Dio come ci mancavi!

Al tramonto siamo uscite, abbiamo preso un risciò pagandolo con una tetta per uno. Il ragazzo contento ci ha lasciate quasi davanti alla Maison.
Tua moglie era splendida, il padrone cinese non ha fatto obiezioni, l’ha guardata per rendersi conto, poi l’ha palpata per sentirne l’effetto. Era evidente il suo imbarazzo, mai una occidentale aveva prestato servizio, ma i tempi stavano cambiando, la guerra cambia gli uomini ed anche le regole.

Seduta la guardavo e pensavo che rispetto al giorno che me l’avevi presentata ci eravamo scambiate i ruoli. Lei ballava ed io prendevo un infuso di menta. Nella cornice del suo vestito di margherite mi sorrideva aspettando una mia approvazione.

Ma quella sera nella Maison non c´era neanche l’ombra di uno straniero. Il mio guadagno misero sono stati soltanto quattro balli a tariffa ed uno riservato al primo piano. Tua moglie soltanto un ballo e niente stanza!
Era fuori di sé ed io non sapevo come calmarla, l’ho trascinata fuori pensando che lì dentro per me non ci sarebbe stato più posto.

“Non sono buona a nulla! Nemmeno a fare la puttana!”

Per strada ho cercato di convincerla dicendole che i ricchi del posto preferiscono noi orientali.
Lei per nulla convinta ha aperto le gambe, ha urlato e sbraitato dicendo che l’avrebbe data al primo che si fosse fatto avanti offrendole una birra. Io le stavo dietro e cercavo di zittirla. Le coprivo il vestito ma non c’era verso. I suoi seni ballavano sfrontati, orfani di un comando di maschio.
Dio come ci mancavi!






La pattuglia francese

Una pattuglia francese si è fermata di colpo. Un soldato è sceso di corsa, l’ha presa di peso e l’ha trasportata sulla Jeep.
Era lui! Il mio bel tenente francese. Sì proprio lui, quello al ballo dell’ambasciata!

Lei urlava, come un gallo strozzato, la sua angoscia di non essere stata all’altezza, o più probabilmente il difetto di non essere stata al mio pari. Temeva, pensavo, che tra noi due si fosse rotto l’incantesimo della complicità ed io, che sapevo di mestiere, ne avessi in qualche modo approfittato.

Il bel tenente ha cercato di calmarla mentre io seduta nel posto davanti indicavo al soldato la strada di casa.
Una volta in casa ho preparato un infuso per tua moglie, lei coricata sul letto guardava il soffitto, era in uno stato di apparente calma. Davvero credevo che non ci sarebbe statoa mai fine a quella tristezza, a quella condizione d’essere troppo belle e inutili.

Al tenente ho offerto l’unica birra che possedevamo. Lui, seduto ai piedi del letto, non poteva non notare la sporcizia, il degrado che ci accompagnava ormai da mesi.
Cercai di far leva sulla sua compassione, ma lui era inevitabilmente un uomo e come Hong Ti o qualunque altra vittima della guerra non credo che l’avesse fatto per nulla, per il bisogno innato d’aiutare qualcuno.
Lui era un soldato e noi due donne. Una ballerina a tariffa e una stupenda femmina senza il suo maschio.

Seduto su quel letto è rimasto fermo a guardare tua moglie. Per logica, dopo Hong Ti si sarebbe dovuta sacrificare lei. Ma era un discorso troppo alla pari!
Lei nel frattempo si era ripresa. Aveva di nuovo il viso disteso, l’episodio in strada l’aveva completamente eluso. Addirittura, tra due sorsi bollenti di infuso, ha raccontato una storiella sui soldati francesi.

Mentre ridevamo ci siamo penetrate negli occhi ed è bastato uno sguardo, un cenno d’intesa per essere pronte. Contemporaneamente avevamo notato l’affare, capito che avevamo davanti l’unica fonte per rialzare la testa.

Lui ha messo sul tavolo poche sterline, ma per noi era una goccia di sangue. Mi sono distesa immediatamente sul letto a fianco di tua moglie, con la convinzione che sarebbe stato soltanto il primo di un esercito, alla porta.






L’amore francese

Tu sei tornato proprio in quel momento! Ma dico io, di tanti momenti di un giorno, di tante lune di un mese, proprio in quel momento! Non hai bussato, avevi ancora la chiave e nonostante la mia pena, eri in gran forma.
Ci hai visto nude, l’hai vista nuda senza neanche quel vestito di cielo sfumato. Hai visto lui sopra di noi che faceva a turno. Non ho mai capito come un uomo riesca ad entrare in due buchi diversi e saziarsi meglio che in uno.
Alle volte mi chiedo davvero se siamo fatte, diversamente se davvero un uomo riesca a godere, a sentire la differenza della nostra pelle interna.

Il francese entrava ed usciva come in un autobus pubblico all’ora di punta, facendo attenzione che nei momenti di vuoto non si sentisse troppo l’assenza. Si aiutava con le mani, con la bocca, con i gomiti e le ginocchia. Invasato non avrebbe chiesto di meglio! Era uno, ma sembravano tanti.
Dall’ultima occidentale era passato del tempo, e tua moglie era davvero il massimo consentito per un tenente d’occupazione! Dall’ultima orientale solo poche ore, ma con me si stava facendo il ricordo di quello sfregamento continuo sopra il mio vestito di seta, la sorpresa di accorgersi che ero senza mutande.

Era un amante perfetto e da uomo in guerra ci martellava senza sosta, erano bombe e granate dentro i nostri corpi affamati di cibo e maschio. Pigiava come un ossesso la rabbia d’essere lontano dagli amici, dagli affetti, dalla sua casa e da tutto ciò che era il suo mondo.
Tra me e tua moglie non faceva distinzione, non giocava a preferirne qualcuna, scopava come un gallo appena arrivato in un pollaio nella certezza d’essere utile. Ci scopava l’astinenza, la tua assenza, il Viet-nam e le zanzare, mia sorella che continuava a cucire, il bisogno di quei pochi dollari ancora sul tavolo in sala da pranzo.

Ecco tu sei arrivato proprio in quel momento nell’attimo preciso in cui usciva ed entrava…
Io non ho mai capito cosa si provi ad essere gelosi, perché io non lo sono mai stata. Non capisco cosa scatta dentro il fegato, dentro la pancia.
I tuoi occhi sono diventati di colpo buchi senza luce, senz’anima, crateri dove s’annida il freddo dell’indifferenza.

Ogni mattina appena sveglia avevo pensato al momento in cui saresti tornato, ed ogni mattina era sempre più bello perché era un giorno tolto all’attesa.
Ogni notte nel sogno ti materializzavo a quella porta e ogni notte cacciavo un urlo, correvo, correvo a perdifiato lungo un corridoio interminabile finché mi ritrovavo tra le tue braccia e ti baciavo le orecchie, i capelli, ti leccavo gli occhi con l’infinita voglia nel cuore di essere stretta tra le tue braccia capienti. Che pena!

Sei rimasto lì in attesa appoggiato alla porta. Ma cosa aspettavi? Cosa t’aspettavi? Il francese era lì che si fotteva la guerra e non s’era accorto di nulla. Di spalle continuava imperterrito a scopare senza sosta tua moglie. Tu hai fatto un timido passo proprio nel momento che la prendeva da dietro, senza che lei sentisse il minimo dolore, senza che lei facesse la minima smorfia.
Era tutto troppo evidente per dire una sola parola.

Niente aveva più senso. Nulla avrebbe giustificato quella scena. Sì, eravamo senza soldi, sì, ti aveva aspettato… ma tu non sapevi nulla. Per te solo quell’attimo indelebile di un uomo qualunque, di un uomo francese che stava scopando le tue donne.
Nulla sarebbe valso e nulla ti ho detto. Sono rimasta impietrita nel letto, toccando con mano quello che stavi pensando.
Non hai detto parola, i tuoi occhi non avevano bisogno di domandare niente. In silenzio sei uscito come eri entrato con lo zaino in spalla e lo schifo di fianco.
Un’ultima occhiata per vedere il francese che m’entrava dentro e godeva che padrone del letto urlava e bestemmiava giurando che, costasse una notte, ci avrebbe saziate.






Il padrone cinese

Mi rendo conto che ancora adesso sarebbe inutile chiedere perdono, perché tu a me credevi, credevi a quella dedizione che non avevi mai trovato, invece ero lì piena di sesso per tre sterline che avrai pure visto.

Se per caso ti capitasse di ripensarci ricordati che l’ho fatto per amore, per essere la vostra amante ufficiale.
Il francese mi ha sentito rigida ed è uscito immediatamente ma tu questo non potevi saperlo!

Ha preferito il calore più affamato di tua moglie che a gambe larghe non aspettava che quello. Chissà da quanto tempo non faceva sesso con un uomo, mi dava quasi fastidio quel rumore di risucchio, quei fiati strozzati che chiedevano altro.

Ti pensavo per le strade di Saigon avvolto dalla più profonda tristezza, ti pensavo sul ponte più vicino alla morte di quanto non avesse saputo fare una guerra.
Mi sono alzata di fretta, ho preso quello che era rimasto della mia roba, mentre tua moglie continuava ad urlare di gioia e dolore, mentre il francese infilava e premeva, sbatteva e pigiava, ansimava e gridava… Per loro tu non eri mai tornato, per tua moglie eri ancora lì immerso nel fango della guerra, la stessa melma che ora lasciava tua moglie nel letto e una ballerina a tariffa in cerca della sua identità che solo per poco aveva creduto di disfarsene.

Sono scesa in strada ma tu non c’eri più, ti ho cercato ovunque, nei vicoli stretti delle case del porto, lungo il fiume, tra le barche, sotto i pavimenti di legno.
Avevo il terrore di vedere da un momento all’altro la tua testa affiorare dall’acqua, ma imperterrita ho continuato la ricerca. Nemmeno una luce, nulla. Solo la forza della mia disperazione, il rincorrere l’odore delle nostre cose insieme.

Sono stata nel posto che ci aveva accolto clandestini, dove per giorni e giorni abbiamo tentato di fare l’amore, di ripetere l’unica volta in veranda che mai scorderò per tutta la vita.
Non avevo la chiave, ho scardinato il lucchetto, slegato lo spago che teneva ferma la porta, sono entrata, ma c’erano solo topi.

Per tutta la notte ti ho cercato, lungo i bassifondi di Colon, tra gli alberghi di lusso e i bordelli ancora pieni di gente. Quando sono arrivata di fronte al mare, mi sono sentita persa. Ero sfinita.
Distesa sulla sabbia mi sono addormentata con la convinzione che non avevo altra meta che chiedere perdono al padrone cinese.
Ero bella, ancora bella, e lui avrebbe accettato.






Sul divano rosso

Eccomi ora sono qui seduta su questo divano rosso e guardo la porta. Ogni tanto entra qualche irlandese che t’assomiglia. Faccio un balzo, ma poi mi rimetto seduta.
Qualche volta ci viene a far visita il tenente francese, ogni tanto mi chiede di ballare, ma da quella volta non siamo mai saliti al piano di sopra. Ha sempre il vizio di strusciarsi contro le gonne, di sentirsi uomo nei buchi che sono di altri.
Mi ha detto che ha vissuto per giorni nella nostra casa insieme a tua moglie. Non so se l’ha mai amata, so solo che i suoi occhi si sono intristiti quando mi ha detto che poi lei è partita.

Già tua moglie! Chissà se finalmente ha trovato quello che andava cercando? Un uomo che incatenasse il suo fiato venerandola come Madonna. Chissà se mi pensa o se davvero sono stata soltanto un ripiego. Lei non è mai riuscita a distinguere il bene dal sesso, la sua fica dal cuore, per questo ha sempre creduto che tu non l’amassi.

Non so se tu l’abbia più rivista e non so nemmeno se tu poi sia tornato in Europa. Mi si stringe il cuore pensare che non mi abbia più cercata. Eppure sapevi dove trovarmi!
Che sciocca che sono, ancora m’illudo, come vedi! Per voi in fin dei conti è stata una missione come tante altre. Magari in questo momento, mentre commentate le foto dei vostri tanti viaggi, state sorseggiando tranquillamente una buona e bollente tazza di tè rigorosamente irlandese.

E l’amore? Mi sono chiesta per giorni. Che cos’è l’amore per voi? Se non un diversivo di guerra. Tante amanti ufficiali in ogni parte del mondo che s’illudono di riempire un vuoto.

Ogni tanto interrompo i pensieri per un ballo a tariffa. I clienti occidentali ormai sono merce rara e quelli orientali non t’invitano mai a salire le scale.
Mi fanno i complimenti, mi dicono che sono la più bella, ma la mia testa è altrove, è li che penso più convinta che se il destino ha deciso così non poteva andare in maniera diversa. Anche se a me piace pensare che ogni tanto si può andare contro la sorte, come cambiare di netto il corso d’un fiume. Alle volte ci credo, chissà davvero che non sia accaduto, che su quella spiaggia mi sia alzata di fretta, e nuda e scalza t’abbia rincorso ripercorrendo a ritroso i vicoli fangosi del porto.

Ti chiamavo, urlavo il tuo nome che per vergogna ancora non ho detto, e che per timore che tu possa leggere queste righe, ho omesso anche quello di tua moglie. Ho detto che sei irlandese, che sei un inviato di guerra, ma chissà quante storie uguali si sono consumate in questa città piena di guerra e di fame.

Sogno ad occhi aperti che alla fine di quella fuga dalla realtà cruda sono riuscita a trovarti e tu mi hai stretta forte tra le tue braccia.
Non so se tu leggerai mai questa lettera, ma credo che non sia stato inutile scriverla. Mi ha aiutato a ricostruire, a mettere a posto i giorni, le cose e noi stessi, vittime e padroni dei nostri sentimenti. Perché da qualsiasi dolore tu voglia vedere la storia, da qualsiasi eremo giudicarla, mi fa piacere pensare che questo tempo passato t’abbia convinto che tutto ciò che è stato, è stato soltanto per quest’infinito bisogno che chiamano amore.


FINE











 






 
 
 



Il racconto è frutto di fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti è puramente casuale..
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TUTTI I RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
Photo  ChaoPavit

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