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IL MESTIERE ANTICO
 


VIAGGIO NEL PIACERE

Sicilia
“Signorine, in camera!”


 


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Fino all’anno 1200 la condizione della donna in Sicilia non era differente dal resto del mondo e le prostitute in particolare erano considerate esseri inferiori perlopiù infette. Venivano emarginate ed escluse dalla società e vivevano in estremo disagio in capanne fuori delle mura della città. Oggetto di continue violenze, soprusi e omicidi si rese necessaria una legge da parte di Federico II nella quale si condannava alla pena di morte tutti coloro che abusavano, aggredivano o picchiavano una donna di compagnia. La prostituta però per essere credibile doveva fornire prove evidenti dell’accaduto negli 8 giorni successivi all’avvenimento, doveva provare che durante l’atto di violenza lei aveva gridato per chiedere aiuto e portare almeno un testimone maschio che avesse ascoltato la sua richiesta di aiuto.

PALERMO
Nella Sicilia del 1200 le meretrici avevano l'obbligo di risiedere fuori le mura della città per scongiurare la loro vicinanza alla gente onesta. Anche a Palermo le meretrici dovevano abitare lontano dai quartieri bene. Sempre lo stesso Federico II emise un editto in cui venivano elencate punizioni esemplari, come il taglio del naso, per tutte le prostitute colte ad esercitare la loro attività nelle strade del centro storico. Quel taglio, oltre ad essere estremamente doloroso, lasciava un segno indelebile che consentiva di riconoscere immediatamente le donne colte ad esercitare la turpe attività in luoghi non consentiti.

Con la peste del 1575 e poi nel 1626 per le meretrici le cose peggiorarono perché considerate portatrici di malattie terribili. Ma si sa “Unni ci su campani, ci su bbuttani!” e il mestiere più antico del mondo resistette alla storia fino a che fu inevitabile controllarlo attraverso la legalizzazione dei bordelli.

Durante il fascismo c’erano decine di case di appuntamento nel centro storico legalmente riconosciute e strettamente sorvegliate dalla Pubblica sicurezza. La legge fascista mise un po’ d’ordine regolando i rapporti fra tenutarie e prostitute e ponendo norme comportamentali come il permesso di uscire solo un'ora al giorno e mai in gruppo e controlli sanitari.
Generalmente, le signorine che prestavano servizio in queste case, seguivano la regola della rotazione ogni quindici giorni, una girandola che serviva soprattutto a riassortire la merce e a evitare che le signorine si innamorassero dei loro clienti.
Il compenso per la prestazione era chiamato marchetta ed era variabile per classe di bordello e per il tipo e la durata della prestazione. Di solito era divisa in parti uguali tra la tenutaria e la signorina. La tariffa standard in media era di 5 lire per la prestazione normale, dieci per la doppia, 15 lire per mezz'ora di sesso e 30 lire per un'ora.

Il più prestigioso bordello era quello gestito da Teresa Valido, donna capace di mettere in riga anche i gerarchi fascisti. Il suo bordello lussuoso con grandi specchi, divani morbidi e letti a baldacchino si trovava in via Vittorio Emanuele, nei pressi della Marina. Poi i gerarchi furono sostituiti dagli ufficiali americani ma gattopardescamente parlando nulla cambiò. C’erano anche i casini meno eleganti e confortevoli: si trovavano disseminati in tutta la città, dalla Cala alla via dei Cassari, dal vicolo Ragusi a via dei Candelai, ma non mancavano le irregolari sparpagliate nei bassifondi del centro che si concedevano per una sola lira e con molti più rischi. Le infezioni da malattie veneree e soprattutto dalla sifilide erano all’ordine del giorno.

Approvata la Legge Merlin, alla vigilia della chiusura nei pressi di piazza Marina, una orchestrina formata da violinisti suonò struggenti melodie per salutare le avvenenti signorine ormai disoccupate, ma la maggior parte di loro si dispersero in città, continuando l’attività in piccoli appartamenti del centro storico cadendo nelle mani dei protettori.

SIRACUSA
Anche nella Siracusa del Trecento le donne dovevano abitare lontano dalla gente onesta. Qui venne approfondito il concetto della contaminazione e quindi del pericolo di corruzione dovuto alla vicinanza con donne oneste. Sempre nell'ottica del controllo del male necessario nel 1400 a Siracusa fu decisa la costruzione di un postribolo pubblico ratificato in seduta solenne dal parlamento siracusano. Si tenga conto che Siracusa al tempo era un fiorente porto di commercio internazionale per cui il fenomeno era molto sentito dalla popolazione. Giornalmente vi approdavano navi cariche di schiavi che incrementavano la prostituzione, esercitata oltre che nei luoghi autorizzati, anche clandestinamente nelle taverne.

MESSINA
Comunque, la prima casa autorizzata dalla legge e di fatto costruita, aprì i battenti a Messina nel 1432 durante il regno di Alfonso d'Aragona. Il Re in persona concesse al fedelissimo suddito messinese Puccio De Simone, la facoltà di costruire un lupanare regolamentato dalle norme che lo stesso monarca aveva emanato l’anno prima, per la città di Barcellona, demandando al Vicerè l’esecuzione del decreto reale.
Fu una decisione molto impattante per la mentalità della Sicilia, considerata fino ad allora un posto religioso e casto. La società siciliana iniziò a considerare la prostituzione come un male necessario e l’apertura del bordello era fortemente raccomandata per tenere sotto controllo la forte domanda.
Nell'editto era scritto a chiare lettere che "Le femmine non hanno diritto a preferenza in fra questo e quell'ospite. Tutti quelli che si presentano devono essere ricevuti e accontentati eccezion fatta per i leprosi, i briachi fuori di senno e coloro che mostrassero pustole e piaghe ripugnanti all'eccesso".
Prima di allora, la prostituzione a Messina veniva esercitata quasi clandestinamente e in bordelli segreti anche se già nel Duecento vi è traccia storica di prostitute, che svolgevano la loro attività fuori dalle mura cittadine.

CATANIA
Il documento di Alfonso d'Aragona è di vitale importanza in quanto attesta l’esistenza in Sicilia di postriboli con tutte le carte in regola perché riconosciuti, addirittura, dal sovrano in persona.
Anche a Catania le donne che svolgevano la professione dovevano essere riconoscibili. Qui dovevano andare in giro coi capelli sciolti ed il viso ben in vista, mentre le donne fedeli e pulite dovevano coprirsi con un velo come segno di purezza.
In epoca normanna l’adulterio era punito col taglio del naso, marchio infamante che veniva comminato non solo all’adultera, ma a quelle mezzane che prostituivano le vergini o alle madri che vendevano le figlie, sia illibate che sposate.
Comunque la storia di Catania non è dissimile dalle altre città siciliane salvo poi diventare durante l’epoca fascista e oltre, uno centri più attivi per gli incontri a luci rosse diventando meta privilegiata di tutta la Sicilia. In diverse vie della città come in Piazza delle Belle spuntavano bordelli come funghi, piccoli locali frequentati da diversi clienti.

Anche in Sicilia come nel resto d’Italia, per ragioni sempre legate al controllo dell'ordine pubblico, si preferiva dividere le prostitute in diverse categorie: la donna innamorata, una specie di cortigiana del tempo che si accompagnava ad un solo uomo di solito benestante; la concubina che frequentava più uomini contemporaneamente sempre di elevato ceto sociale. Scorrendo le categorie inferiori troviamo la cantunera, cioè colei che si prostituiva clandestinamente per le strade, la donna di partito che esercitava invece nei luoghi autorizzati dalla legge e ultima la schiava, costretta con la violenza a prostituirsi.
 





ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
FOTO GOOGLE IMAGE
FONTI
https://www.leviedeitesori.com/da-via-etnea-a-piazza-delle-belle-quando-catania
https://www.balarm.it/news/da-via-candelai-al-politeama-storie-dei-bordelli-di-palermo
https://www.apicoltura.org/la-storia-della-prostituzione-a-catania/
https://www.mutualpass.it/post/703/1/signorine-in-camera-storia-delle-case-chiuse-a-messina








 
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