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GIALLO PASSIONE

BARBRA STREISAND e MARLON BRANDO
“Vorrei tanto scoparti”
Quando Marlon Brando
disse a Barbra Streisand: “I’d Like to Fuck You!”

Era il 1966, una di quelle
serate hollywoodiane dove il fumo delle sigarette si
mescolava ai bicchieri di whisky e il jazz di sottofondo
copriva i segreti. Barbra Streisand, ventiquattro anni
appena compiuti, con i capelli cotonati e un abito che
le accarezzava le curve come una melodia di Broadway, si
aggirava tra la folla. Aveva appena finito di girare
Funny Girl, il film che l'avrebbe lanciata nell'olimpo
delle star. Ma quella sera, il suo pensiero andava a un
uomo che era stato la sua cotta adolescenziale: Marlon
Brando.
Ricordava ancora quando appena
quattordicenne, in un cinema di Brooklyn con le poltrone
di velluto consumato e l’odore di popcorn stantio, vide
per la prima volta “Un tram che si chiama desiderio”. Il
film era uscito da cinque anni, ma per lei fu come se il
tempo si fosse fermato. Marlon Brando, in canottiera
bianca, sudato, con i capelli arruffati e quella voce
spezzata, era Stanley Kowalski: un animale, un dio, un
incubo fatto carne. Rimase seduta fino ai titoli di coda
con le mani strette sulle ginocchia. Quella sera tornò a
casa e, invece di fare i compiti, prese un foglio e
scrisse: “Un giorno lo incontrerò. E gli dirò che mi ha
cambiato la vita”.
Gli anni passarono. Barbra
cantava nei nightclub del Village, dormiva su divani
altrui, si tingeva i capelli di nero per sembrare più
grande. Ma Marlon non usciva mai dalla sua testa.
Comprava riviste con le sue foto, ritagliava articoli.
Lo studiava come una partitura: il modo in cui si
muoveva, il modo in cui ascoltava le battute prima di
rispondere, il modo in cui sembrava sempre sul punto di
esplodere o di crollare. “È come se recitasse con il
sangue.” Diceva alle amiche. “Lo so che è un donnaiolo,
un alcolizzato, un disastro, ma a me piace.”
In
quella sala nel 1966 lei si sentiva ancora quella
ragazzina di Brooklyn con il poster di Marlon appeso
sopra il letto. Così, quando entrò nella sala e lo vide,
più vecchio, più stanco, ma sempre con quella luce negli
occhi, disse tra sé: “Ce l’ho fatta. Sono qui. E lui è
reale.” Non era più una cotta adolescenziale: era un
dialogo iniziato quindici anni prima, in un cinema buio,
e che quella sera avrebbe finalmente trovato una voce.
Lui, quarantadue anni di fascino ribelle, con quella
mascella squadrata e gli occhi che sembravano aver visto
troppi tramonti, si muoveva con disinvoltura salutando i
suoi vecchi amici. Fresco del suo terzo matrimonio con
la giovane attrice francese Tarita Teriipaia, si
avvicinò a Barbra come un leone che fiuta la preda.
Indossava una camicia sbottonata quel tanto che bastava
a mostrare il petto abbronzato, e un sorriso da
donnaiolo incallito. “Barbra, tesoro…” Esordì con quella
voce profonda, rauca come il sax di un nightclub,
stringendole la mano un po' troppo a lungo. “Ho visto
Funny Girl. Sei stata straordinaria. Davvero, mi hai
fatto piangere... e ridere.”
Lei arrossì, ma
tenne lo sguardo fisso nei suoi occhi. “Grazie, Marlon.
Non sai quanto tenga ai tuoi giudizi. Sei stato il mio
idolo fin da quando ero una ragazzina a Brooklyn.» Lui
rise chinandosi verso di lei per evitare le orecchie
indiscrete. “Sei stata brava, ma corri in modo buffo!
Sembri una paperella che insegue un sogno…” Barbra
scoppiò a ridere, coprendosi la bocca con la mano. “Ehi,
non è gentile! Ma almeno sono arrivata alla meta.”
Marlon si fece più vicino, il suo respiro caldo sul
collo di lei. La stanza sembrava svanire. “Sai, vorrei
tanto scoparti.” Lei si irrigidì per un istante, gli
occhi spalancati. Non era scioccata, conosceva la
reputazione di Marlon, l'uomo che aveva almeno undici
figli sparsi per il mondo, relazioni con donne e uomini,
matrimoni lampo come quello con Anna Kashfi o Movita
Castaneda. Ma era Barbra, la ragazza ebrea di New York,
educata e gentile. Non disse sì, non disse no. Solo un
sorriso timido e un “Marlon, sei incorreggibile.”
Ma quelle parole le erano entrate dentro come una
lama, taglienti, dirette, senza fronzoli. E per un
istante, solo un istante, il suo corpo rispose prima
della mente: un calore improvviso tra le cosce, un
brivido che le risalì la schiena. Sì, pensò, sì, lo
vorrei. Lo aveva sognato per anni, quel momento. Marlon
Brando, l’uomo che aveva popolato le sue fantasie di
adolescente, che le aveva insegnato il desiderio prima
ancora che lo provasse davvero. Immaginava le sue mani
callose sulla sua pelle, la sua bocca che le rubava il
respiro, il peso del suo corpo sopra il suo. Era lì, a
un soffio da lei…
Ma poi la frase tornò, nuda,
cruda, senza poesia. “Vorrei tanto scoparti.” Non aveva
detto “ti voglio” o “sei speciale”, solo un verbo, un
desiderio animale, come se lei fosse una delle tante. E
fu allora che il calore si trasformò in gelo. Barbra
abbassò lo sguardo, fissando il bicchiere di champagne
che stringeva tra le dita. Una delle tante. Lo sapeva.
Lo aveva sempre saputo. Marlon era un collezionista di
corpi e lei sarebbe stata la novità del momento, la
storia da raccontare agli amici over whisky: “Sai, ho
scopato con la Streisand. Ha una voce incredibile anche
a letto.”
Il pensiero le fece stringere la
mascella. No. Non sarebbe stata un nome in una lista.
Non sarebbe stata la ragazza che aveva detto sì solo
perché era Marlon Brando. Lei era Barbra Streisand.
Aveva lottato per ogni ruolo, ogni nota, ogni applauso.
Non avrebbe barattato la sua dignità per un orgasmo, per
quanto leggendario. Ma il desiderio non sparì. Rimase
lì, accovacciato nel suo ventre come una belva in
gabbia. E se fosse diverso con me? si chiese. E se io
fossi l’eccezione? Dopotutto, lui la guardava davvero.
Non solo il suo corpo, ma lei. Aveva visto Funny Girl,
aveva riso per come correva. Forse, forse, non era solo
sesso. Forse era anche ammirazione. Forse… Ma dentro
di lei, la battaglia continuava. Se dico sì, perdo me
stessa. Se dico no, perdo lui. E in quel momento, tra il
desiderio e la paura, scelse se stessa. Non perché non
lo volesse. Ma perché voleva essere voluta, non solo
scopata. Marlon le sfiorò il braccio. “So cosa stai
pensando… ma ci riproverò.” Lei annuì, senza promettere
nulla. Ma dentro, il fuoco bruciava ancora. Solo che ora
aveva un nome: rispetto. E non lo avrebbe spento per
nessuno.
Da quel momento, però, nacque
un'amicizia inaspettata. Passavano ore al telefono, lei
dal suo appartamento a Los Angeles, lui dal suo ranch o
da chissà quale set. Parlavano di tutto: di recitazione,
di vita, di sesso: perché Marlon era ossessionato. “Sai,
Barbra, le disse una sera, la voce impastata da un
whisky: “Mi sveglio la mattina e la prima cosa che penso
è: "Chi mi scopo oggi?" È la mia maledizione e la mia
benedizione.” Lei rideva, ma lo ascoltava. “Marlon, sei
un poeta del desiderio. Ma io? Io voglio l'amore, non
solo il fuoco.” “L'amore è fuoco, tesoro. Brucia e ti
consuma.”
Qualche mese dopo, su un set polveroso
nel deserto della California, si ritrovarono di nuovo.
Marlon, con i capelli scompigliati dal vento, la prese
per mano mentre il sole tramontava arancione
all'orizzonte. “Barbra, andiamo via da qui.! Propose,
gli occhi accesi. “Prendiamo la jeep, guidiamo nel
deserto. Vediamo i fiori di campo che sbocciano solo di
notte, e poi passiamo la serata in quella città fantasma
laggiù. Solo noi due, sotto le stelle. Restiamo lì...
tutta la notte.”
Lei lo guardò, il cuore che
batteva forte. Sapeva cosa intendeva: non solo fiori e
fantasmi. Ma era Barbra, sempre gentile, sempre
misurata: “Marlon, mi piacerebbe tantissimo vedere i
fiori con te. E la città fantasma sembra magica. Accetto
l’invito ma solo di giorno. Ma non posso restare la
notte.” Lui sospirò, ma sorrise, stringendole la mano.
“Sei una ragazza ebrea testarda, eh? Va bene, fino a che
il sole non tramonta. Ma promettimi che un giorno
cambierai idea e passerai tutta la notte con me.”
“Non prometto niente.” Rispose lei, ridendo mentre
salivano sulla jeep. “Ma per ora, guidami verso quei
fiori. E raccontami un'altra delle tue storie folli.” Il
motore ruggì, e il deserto li inghiottì. Amici,
complici, con un desiderio sospeso tra le dune, un
legame che durò anni, fatto di telefonate infinite e
sguardi complici, senza mai oltrepassare quel confine
che Barbra aveva tracciato. Marlon il donnaiolo, Barbra
la stella: due mondi che si sfioravano, ma non si
fondevano del tutto.
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GENERATA DA IA
ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA


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