Madame la sua vita è riassunta molto efficacemente nel suo
romanzo più famoso: The Bell Jar (La campana di vetro)…
Beh
quel libro non rispecchia esattamente la mia vita, è un romanzo
semi-autobiografico scritto tra l’altro sotto lo pseudonimo di Victoria
Lucas.
Ci racconti della protagonista Esthere…
Esther Greenwood, è una brillante studentessa dello Smith College, che
inizia a soffrire di psicosi durante un tirocinio presso un giornale di
moda newyorkese...
Proprio in questo passaggio molti hanno
visto un parallelo con la sua vita...
Trascorsi anch'io un
periodo presso la rivista femminile Mademoiselle e successivamente al
quale, in preda a un forte stato di depressione, tentai il suicidio.
Lei sue origini Madame?
Sono nata in un distretto
di Boston da genitori immigrati: mia madre, Aurelia Schober, apparteneva
ad una famiglia austriaca e durante la sua esistenza si rifiutò sempre di
parlare inglese continuando a parlare il tedesco. Mio padre, Otto Emil
Plath, professore di college, figlio di genitori tedeschi, si trasferì in
America a sedici anni per diventare in seguito uno stimato entomologo, in
particolare in materia di api.
Dicono che sin da piccola
dimostrò un talento precoce…
Pubblicai la mia prima poesia
all'età di otto anni. Fu una gioia immensa, da quel giorno non smisi più,
continuando a pubblicare poesie e racconti su varie riviste americane.
Purtroppo la perdita di suo padre le lasciò strascichi molto
seri…
Morì di embolia in seguito ad un'operazione chirurgica.
Avevo solo otto anni ed al momento non mi resi conto del grande vuoto che
aveva lasciato.
Soffrì per una grave forma di depressione…
Alternavo momenti di intensa vitalità a forti crisi depressive. Pensi ero
entrata nello Smith College con una borsa di studio nel 1950, ma nel
penultimo anno tentai il mio primo suicidio… Mi nascosi nello scantinato
di casa ed ingerii un intero flacone di sonniferi. Fui trovata in fin di
vita da mio fratello.
Siamo all’incirca nel 1953, fu
costretta ad abbandonare gli studi?
Beh, immediatamente, fui
ricoverata in un istituto psichiatrico, il McLean Hospital. Subii una
serie di elettroshock… fu un'esperienza terribile ed atroce. Appena uscii
dall'ospedale ripresi a studiare. Preparai la tesi su Dostoewskij e mi
laureai con lode ottenendo una borsa di studio e la possibilità di
continuare gli studi nell’università di Cambridge. Era il 1955.
Mi scusi la brutalità ma cosa porta una donna giovane e bella,
intelligente e sensibile a desiderare la morte?
Non lo so,
sentivo solo una grande pena e un grande vuoto dentro. E mi rendevo conto
a volte quanto fossero inutili le mie parole e le mie poesie non
riuscivano a colmare quel dolore… E la conoscenza del dolore spesso è un
fardello troppo pesante da portare da sole.
A Cambridge
incontrò l’amore…
Già, conobbi il poeta inglese Ted Hughes. Fu
un colpo di fulmine. Il suo fascino mi travolse. Ci sposammo il 16 giugno
1956 e decidemmo di trasferirci negli Stati Uniti. Io trovai lavoro a
Boston insegnando presso lo Smith College.
Poi tornaste in
Inghilterra…
Abitammo per un breve periodo a Londra ed in
seguito ci stabilimmo a North Tawton, in una piccola città commerciale nel
Devon.
E le sue poesie?
Pubblicai la mia prima
raccolta The Colossus nel 1960. Nel febbraio 1961 purtroppo persi il mio
primo figlio. Fu per me un evento drammatico che mi segnò notevolmente.
E suo marito non l’aiutò?
Il matrimonio si
incrinò e decidemmo di separarci. Ma questo avvenne poco dopo la nascita
del nostro secondo figlio.
Per incompatibilità…
No, semplicemente una banale questione di tradimento. Ted frequentava
corrisposto Assia Wevill Gutman una donna molto affascinante e moglie di
un nostro amico poeta e vicino di casa.
Leggo che la
separazione fu traumatica…
Affrontai Ted ma lui negò ogni
cosa. Mi resi conto che quando dai a qualcuno tutto il tuo cuore e lui non
lo vuole, non puoi riprenderlo indietro. Se ne è andato per sempre...
Comunque me ne andai immediatamente di casa e ritornai a Londra,
naturalmente con i miei due figli, Frieda e Nicholas.
Quanto delusa?
Ero solo una donna che aveva tentato di
seppellire l’ansia di libertà e la vocazione di scrittrice in un
matrimonio apparentemente felice. Non rifiutai mai il mio ruolo, tentai
fino alla fine di conciliarlo con le mie aspirazioni, di giorno facevo la
madre e la moglie, accudendo i miei figli, la notte rubavo qualche ora per
scrivere, cercando di soffocare il mio istinto ribelle che riversavo solo
nelle poesie. In mezzo a queste difficoltà la scoperta del tradimento fu
davvero troppo.
Nelle sue opere i personaggi femminili
vivono situazioni difficili, disperate…
Secondo me li
caratterizza una sorta di ribellione interiore e un’insaziabile sete
d’amore difficile da colmare. Nella mia poesia ho sempre cercato di
esorcizzare il mio disagio persistente e le mie esperienze personali
attraverso un’identità scissa che mi proiettava in un mondo tutto mio.
Cosa fece a Londra?
Affittai un appartamento in
centro. Fui invasa da una immensa gioia quando seppi che in quella casa vi
aveva abitato W.B. Yeats. Sentivo dentro un’energia non indifferente e
iniziai a scrivere… Quell’anno l’inverno fu molo duro, non uscivo mai di
casa. Ma alla fine venne fuori un capolavoro… The Bell Jar
L'11
febbraio 1963 era passato solo un mese dalla pubblicazione del romanzo
quando Sylvia si tolse la vita. Poco prima dell'alba, dopo aver scacciato
più volte la tentazione, preparò la colazione, depose pane, latte e burro
sui comodini accanto ai letti dei suoi figli, aprì le imposte della loro
stanza, poi sigillò porte, finestre ed ogni fessura con nastro isolante e
asciugamani arrotolati. Scese in cucina, si chiuse dentro. Aprì lo
sportello del forno e dopo aver aperto la manopola del gas, si
inginocchiò, infilò la testa nel forno e si lasciò morire.
Sei giorni
prima aveva scritto l’ultima poesia, “Limite”, spedita il giorno stesso
all’“Observer”, poi pubblicata postuma.
È seppellita nel cimitero di
Heptonstall, nel West Yorkshire.
Ted Hughes, dal quale non divorziò
mai, nonostante le pratiche di separazione, si occupò dei beni letterari
di Sylvia. Distrusse l'ultimo volume del diario di Sylvia, che descriveva
il periodo che avevano trascorso insieme.
Nel 1982, Sylvia Plath
divenne la prima poetessa che vinse il Premio Pulitzer dopo la propria
morte (per The Collected Poems).
“Di là vedo il
velato barbaglio marino
delle tue estasi, le tue visioni nel cristallo.
Di qua la lampada irreparabilmente infranta
nella mia cripta di sogno,
tenebra totale
sotto la pietra della tua tomba.”
Esisterà qualche
altra strada oltre a quella della mente?
Non sono un'ombra, anche se
un'ombra si diparte da me. Sono una moglie.
Morire / È un'arte, come
qualsiasi altra cosa. / Ci riesco particolarmente bene.
.
FINE




