Madame scorrendo il suo percorso artistico vedo
sostanzialmente tre fasi, da maliziosa ingenua bionda negli anni trenta a
una bruna e sofisticata femme fatale negli anni quaranta fino a ricoprire
ruoli più maturi negli anni cinquanta. Quale secondo lei è il più adatto e
quale ha contribuito maggiormente al suo successo?
Io vedo
solo un lungo percorso di vita e tre personaggi che si adattano benissimo
al proprio tempo…
Quali sono le sue origini madame?
Sono la terza delle tre figlie dell'attore Richard Bennett e dell'attrice
e agente letterario Adrienne Morrison. Anche le mie due sorelle maggiori
entrarono nel campo dell’arte: Constance Bennett e Barbara Bennett furono
entrambe attrici di discreto successo, in particolare Barbara iniziò come
ballerina calcando teatri famosi.
Una famiglia di artisti!
Certamente, mio nonno materno era l'attore shakespeariano giamaicano Lewis
Morrison, che intraprese la carriera teatrale alla fine dell'Ottocento;
mentre mia nonna materna, l'attrice Rose Wood, era legata al gruppo di
menestrelli itineranti nell'Inghilterra della fine del XVIII secolo.
E lei?
Iniziai nel cinema muto, il primo film fu
The Valley of Decision, nel quale indossavo i panni di una bambina.
Successivamente frequentai la Miss Hopkins School for Girls di Manhattan,
poi la St. Margaret, un collegio di Waterbury, quindi l'Hermitage, una
scuola di comportamento a Versailles, in Francia.
E' vero
che si sposò a 16 anni?
Sì, il 15 settembre 1926 mi sposai a
Londra con John M. Fox. Da quell’unione nacque mia figlia, Adrienne. Ma il
rapporto con mio marito non andò bene, divorziammo dopo due anni a Los
Angeles.
Il vero debutto sulle scene teatrali avvenne
subito dopo il suo divorzio…
Avevo 18 anni quando recitai con
mio padre in Jarnegan (1928), che venne replicato a Broadway per 136 volte
e per il quale ottenni ottime critiche.
A 19 anni il suo
primo ruolo da protagonista…
Eh già, divenni una vera e
propria star cinematografica. Interpretai il ruolo di Phyllis Benton nel
thriller Cercasi avventura (1929), accanto a Ronald Colman.
Poi ci furono altri successi…
Mi specializzai in ruoli
brillanti ed il pubblico apprezzò molto questa donna bionda (che tra
l’altro era il mio colore di capelli naturale) e maliziosa come ad esempio
il ruolo di Dolores Fenton in Puttin' on the Ritz e quello di Jane Miller
al fianco di Spencer Tracy. Con Spencer recitai anche in Io e la mia
ragazza nei panni della bella cameriera Helen Riley.
Intanto affrontò un altro matrimonio…
Ero una inguaribile
romantica e il 16 marzo 1932 mi risposai a Los Angeles con lo
sceneggiatore e produttore Gene Markey. Questa volta durò un po’ di più…
ben cinque anni! Da quel matrimonio nacque mia figlia, Melinda Markey.
Poi fu la volta di Piccole donne di George Cukor…
Interpretai Amy, l'irriverente sorellina minore in competizione con la Jo
March interpretata da Katherine Hepburn. Con quel film si interruppe
definitivamente la mia prima fase. Mi tinsi i capelli di nero per dare
vita ad una sofisticata e seducente femme fatale. Sentivo dentro me stessa
di poter dare molto di più al mio pubblico.
Soddisfatta del
cambiamento?
Avevo superato la trentina e devo dire che il mio
nuovo look bruno unitamente alla mia voce piuttosto roca, contribuì a
delineare una personalità meno angelica e più accattivante ed adatta ai
ruoli che via via mi si presentavano.
Sta parlando dei film
noir con Fritz Lang?
Con Fritz girai quattro pellicole e mi
consacrarono tra le più famose attrici hollywoodiane dell'epoca: fui la
prostituta londinese Jerry Stokes in Duello mortale; la misteriosa modella
Alice Reed in La donna del ritratto; la volgare ricattatrice Kitty March
in Strada scarlatta (1945) e infine Celia Lamphere in Dietro la porta
chiusa, che secondo molti fu il miglior film hollywoodiano di Lang.
Fu un susseguirsi di successi…
Beh sì, ricordo
inoltre con piacere la principessa Maria Teresa in La maschera di ferro,
ma anche qualche delusione…
Ovvero?
Durante i
test per l'assegnazione del ruolo di Rossella O'Hara in Via col vento a
causa del mio nuovo aspetto non venni considerata adatta al ruolo. La
scelta finale ricadde su Vivien Leigh.
Nel ’40 l’ennesimo
matrimonio…
Era solo il terzo… sposai Walter Wanger a Phoenix.
Dal matrimonio nacquero altre due mie figlie, Stephanie e Shelley. Vivemmo
insieme per 25 anni! Direi una scelta azzeccata… ma non troppo…
Si riferisce al famoso scandalo agli inizi degli anni cinquanta?
Proprio quello! Quando mio marito ferì con due colpi d'arma da fuoco il
mio agente Jennings Lang.
Ci può raccontare le circostanze?
Io e il mio agente ci incontrammo un pomeriggio del 13 dicembre 1951 per
parlare di lavoro. Posteggiai la mia Cadillac decapottabile nel parcheggio
sul retro degli uffici del mio agente e andai via con Lang sull'automobile
di lui.
E cosa ci fu di scandaloso?
Nulla, ma
mio marito passando di lì e vedendo la mia macchina si insospettì e si
fermò ad aspettare. Quando rientrammo nel parcheggio, qualche ora dopo,
Lang mi accompagnò fino alla mia macchina e continuammo a parlare. Fu a
quel punto che mio marito si avvicinò e sparò due volte, ferendo l'agente
alla coscia destra e nella zona inguinale.
E lei cosa fece?
Appena riconobbi mio marito gli gridai: “Vattene e lasciaci soli”. Lui,
non so per quale ragione, gettò la pistola nella mia macchina. Con l’aiuto
del gestore del parcheggio, accompagnai Lang dal suo medico e subito dopo
in ospedale, dove fortunatamente si riprese.
Suo marito
come spiegò l’accaduto?
"Gli ho sparato perché pensavo che
stesse smembrando la mia famiglia," Così disse al capo della polizia di
Beverly Hills. Fu accusato di assalto con intenti omicidi.
La polizia le fece domande imbarazzanti?
Beh certo, ma non
avevo nulla da temere. Lang era il mio agente e un caro amico di lunga
data. Conoscevo benissimo sua moglie Pam. Mio marito aveva torto marcio
nel pensare che tra me e il mio agente ci fosse una storia di letto! Ma lo
capivo, era sull’orlo di un esaurimento nervoso per via dei numerosi
contrattempi finanziari.
Come finì la storia?
Naturalmente ci fu un processo e l’avvocato di Walter predispose la difesa
puntando tutto sull'infermità mentale temporanea rimettendosi alla pietà
della corte. Gli andò benissimo, fu condannato a soli quattro mesi.
L’episodio non gli lasciò strascichi, scontata la pena, tornò rapidamente
alla sua carriera, mettendo a segno una serie di film di successo.
Purtroppo per lei andò diversamente…
Evidentemente non
fui brava a togliere ogni dubbio al mio pubblico. Mi rimase una specie di
macchia indelebile, dove mio marito era la vittima ed io la colpevole. Per
cui venni inserita virtualmente nella lista nera ed in effetti nel
decennio successivo riuscii a girare solo cinque film.
A
sessantotto anni un altro matrimonio…
Mi risposai il giorno di
San Valentino del 1978 con l'editore e critico cinematografico David Wilde
e finalmente questo matrimonio durò per sempre…
Famosa per non
essersi mai presa troppo sul serio, in un'intervista rilasciata nel 1986
la Bennett dichiarò: “Non penso molto alla gran parte dei film che ho
fatto, ma essere una star cinematografica era qualcosa che mi piaceva un
sacco”.
Joan Bennett morì all'età di 80 anni a causa di un attacco di
cuore, nella sua residenza di Scarsdale. È sepolta al Pleasant View
Cemetery, Lyme, accanto ai suoi genitori.
Ha una stella sull'Hollywood
Walk of Fame al 6310 di Hollywood Boulevard, a Hollywood.





