“Adamo, quando scoppia il caso?”
"Era una mattina umida e fredda del 30 novembre
1946. Milano. Via San Gregorio 40. La commessa del
negozio di stoffe di Giuseppe Ricciardi, come tutte
le mattine, bussa invano alla porta dell’abitazione
del titolare per farsi consegnare dalla moglie le
chiavi del negozio. Non ottenendo risposta e visto
che la porta era socchiusa si introdusse
nell’appartamento."
"E cosa scoprì?"
"Mancò poco che svenisse! Avvolti in un lago di
sangue vide la moglie di Ricciardi ed uno dei figli
riversi sul pavimento. Scappò immediatamente
chiedendo aiuto in strada. Gridava che c’erano due
cadaveri…"
"…Ma in realtà erano
quattro?"
"Infatti, quando arrivò la
polizia vide i corpi senza vita della donna e dei
suoi tre figli: Giovanni e Giuseppina, di sette e
cinque anni, e Antonio, di soli dieci mesi.
Un
cronista del Corriere della sera presente sul posto
riportò un inquietante indizio: sul pavimento era
stata trovata una fotografia stracciata che ritraeva
i coniugi Ricciardi il giorno delle nozze. Subito
venne avanzata l’ipotesi di un delitto a scopo
passionale."
"Quindi niente rapina?"
"L’assassino era sicuramente un conoscente in quanto
la vittima oltre ad avergli aperto la porta le aveva
offerto del liquore. Furono trovati infatti tre
bicchierini sporchi sulla tavola. Anzi a questo
punto gli assassini potevano essere due. La scena
del delitto si presentava come una vera e propria
vendetta. Qualunque rapinatore avrebbe quantomeno
risparmiato il più piccolo dei figli, che mai
avrebbe potuto testimoniare data la tenera età.
Altro particolare fondamentale per le indagini fu la
scoperta di una ciocca di capelli lunghi neri che la
vittima stringeva nel pugno chiuso. Quindi gli
inquirenti si convinsero che doveva esserci di mezzo
una donna."
"Scusa, ma il marito
dov’era?"
"Giuseppe Ricciardi si trovava
a Prato per motivi di lavoro. L’ipotesi che si
trattava di un delitto passionale si faceva strada
man mano che la polizia indagava sul passato di
Giuseppe Ricciardi."
"Cosa scoprì nel
suo passato?"
"Ricciardi, commerciante
siciliano di stoffe, approdò a Milano in fuga da
Catania occupata dagli americani. Si era stabilito
in via San Gregorio, una delle vie popolari
costruite sulle macerie del Lazzaretto.
Qui
conduceva una vita praticamente da scapolo. Le
indagini confermarono quanto si diceva in giro:
Ricciardi tradiva la moglie, rimasta a Catania, con
frequenti scappatelle. Durante queste indagini
ricorreva spesso il nome di un ex commessa del
negozio di stoffe."
"Rita Fort?"
"Già. La loro relazione sentimentale era di dominio
pubblico, tanto che la moglie, venuta a conoscenza
della cosa, decise di trasferirsi insieme ai figli
in pianta stabile a Milano e obbligò il marito a
licenziare la bella commessa. Poi tutto tornò alla
normalità. La coppia ebbe un altro figlio ed era in
attesa di un quarto."
"Quindi abbiamo
trovato l’assassina e il movente?"
"Caterina Fort, per tutti Rina, in un colpo solo
avevo perso l’amante e il lavoro e, per la polizia
non c’erano dubbi. Venne immediatamente arrestata.
Durante le oltre cento ore di interrogatorio Rina
confessò e ritrattò più volte. Raccontò comunque di
essere stata l’amante del Ricciardi, quando questi
era solo a Milano. Avevano anche convissuto, a
partire dal settembre 1945. Poi con la salita della
moglie tutto era terminato."
"Dell’omicidio, ovviamente, non sapeva nulla?"
"Ripeto dopo cento ore e più crollò. Stremata ed
affamata, umiliata e minacciata si decise a
confessare solo parzialmente dove il suo ruolo si
riduceva a complice, con l’incarico marginale di
accompagnare l’assassino fino alla casa della
vittima, e di convincere la moglie di Ricciardi ad
aprire la porta. Fece il nome di Carmelo Zappulla,
esecutore materiale, e soprattutto indicò in
Giuseppe Ricciardi il mandante degli omicidi."
"Che interesse aveva il Ricciardi ad
uccidere la moglie?"
"Voleva liberarsi
della moglie o comunque spaventarla e farla tornare
in Sicilia. Nel corso della confessione modificò la
sua deposizione: gli affari al negozio andavano
parecchio male, e i creditori non intendevano più
aspettare. Allora Ricciardi aveva convinto lei e
Carmelo ad andare nell’appartamento per inscenare
una rapina. Lui, nel frattempo, si sarebbe tenuto
per un po’ lontano da Milano, giusto per crearsi un
alibi."
"Colpo di scena! Fu creduta?"
"I due vengono arrestati e condotti a San Vittore.
Rimasero in carcere per un anno e mezzo per poi
uscirne senza nessun addebito di colpa."
"Come andarono gli interrogatori dei due?"
"Ricciardi continuava a ripetere che era una pazza
isterica. In effetti aveva avuto tantissimi problemi
anche psicologici. Seviziata dal primo marito poi
finito in manicomio era venuta in città per fare la
cameriera ma era stata oggetto di ricatti sessuali
dal suo datore di lavoro. Secondo il Ricciardi, la
Fort non aveva sopportato di essere stata scaricata
anche da lui e si era voluta tremendamente vendicare
sulla moglie e i figli."
"E la
posizione Rina Fort?"
"Fu l’unica
imputata del processo che si svolse nel gennaio del
1950. Quando entrò nella sala dell’udienza la gente
assiepata chiese a gran voce la pena di morte.
Durante il processo la donna inceppò in numerose
contraddizioni fino ad ammettere la sua
colpevolezza, ma continuando a sostenere il
coinvolgimento dei due complici."
"Cosa disse?"
"Disse che mentre
rincasava fu avvicinata da Carmelo. Lui è offrì una
sigaretta probabilmente drogata in quanto avverì
immediatamente un senso di stordimento così forte da
seguire Carmelo, che la condusse nell’appartamento.
Da quel momento naturalmente non ricordava nulla."
"Fu credibile?"
"Assolutamente no! Pensa che durante il
riconoscimento del complice la Fort invece di
indicare Carmelo additò con convinzione niente meno
che uno dei poliziotti!"
"La
sentenza?"
"Canterina Fort era colpevole
di omicidio volontario nei confronti della signora
Franca e dei piccoli Giovanni, Giuseppina, Antonio,
e di simulazione di reato per quanto riguardava la
rapina e di calunnia a danno di Carmelo Zappulla. La
condanna fu l’ergastolo con isolamento diurno per
sei mesi, interdizione perpetua dai pubblici uffici
e interdizione legale. In separato giudizio civile
sarebbero poi state valutate le spese per i
risarcimento danni. La condanna fu poi confermata in
Appello e in Cassazione."
"Ma lei non
confermò mai il pieno conivolgimento?"
"Dal carcere di Perugia scrisse molte lettere al suo
avvocato. Tra le tante frasi, forse la più
inquietante fu: “Non è la quantità della pena che mi
spaventa. C’è una parte del delitto che non ho
commesso e non voglio”."
"Rimase
per sempre in carcere?"
"No, nel ’75
ottenne la grazia per buona condotta, dopo aver
scontato 28 di carcere. Uscì pochi mesi dopo la
morte di Ricciardi, si cambiò nome in Caterina
Benedet e andò a vivere a Firenze. Morì di infarto
nel marzo del ‘88, portandosi dietro la sua versione
dei fatti mai creduta. La sua ostinata ed ultima
versione fu sempre quella di aver agito sotto la
spinta materiale e morale di un complice del
Ricciardi."