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REPORTAGE
 
 

Luce d'Ombra
Quegli erotici anni Venti!
Nella loro ingenuità, oggi le cartoline Art Deco, fanno un po' sorridere. Eppure sono uno dei primi segni del cambiamento e dell'uso del nudo in fotografia. Era la ricerca dell'erotismo applicata alla grande diffusione. Molte di queste immagini sono diventate cartoline Art Deco e raccontano gli anni che vanno dal 1915 a 1930.




 

Parigi, 1923. La pioggia scivolava leggera sui tetti di Montmartre, un velo umido accarezzava le strade acciottolate e rifletteva le luci gialle dei lampioni. Nella penombra di un piccolo atelier al numero 12 di Rue des Lilas, il fotografo Julien Duval sistemava con cura il suo treppiede. La stanza odorava di carta chimica e di lavanda, un profumo che si mescolava alla tensione silenziosa di quel momento. Sullo sfondo, un fondale di velluto nero pendeva come un sipario, pronto a incorniciare la sua prossima creazione. La modella, Claire, era seduta su una sedia di legno intarsiato, avvolta in un kimono di seta che lasciava intravedere le curve delicate del suo seno. Non era una delle solite ragazze degli atelier di pittori, quelle che posavano per pochi franchi e un bicchiere di assenzio. Claire era diversa: aveva occhi che sembravano rubati a un dipinto di Manet, profondi e inquieti, e un sorriso che nascondeva i segreti della sua vita passata.

Aveva ventidue anni, un viso che avrebbe potuto ispirare poeti, e una vita che la costringeva a contare ogni franco. Non era una modella di professione, non come quelle che posavano per i grandi pittori negli atelier di Montparnasse. Claire era una cameriera in un bistrot di giorno, una sognatrice di notte, e da qualche mese, per necessità, una musa per fotografi come Julien Duval.

Claire ci era arrivata per caso, rispondendo a un annuncio scritto a mano, affisso fuori da una bottega: Cercasi modella per scatti artistici. Discrezione garantita. Aveva esitato, ma il pensiero della bolletta del gas non pagata e del pane che scarseggiava l’aveva spinta a bussare. “Solo pose eleganti.” Le aveva assicurato Julien, con occhi gentili ma distanti. “Niente di volgare.” E lei aveva accettato, perché cinque franchi per un’ora di lavoro erano più di quanto guadagnava in due giorni al bistrot.

Quella sera, Claire si tolse il cappotto e lo appoggiò su una sedia. Indossava un abito semplice, ma Julien le porse il kimono rosso e delle calze di seta nere. “Mettiti queste.” Disse, indicando un angolo della stanza dove poteva cambiarsi dietro un paravento. Lei obbedì, sentendo il tessuto scivolarle sulla pelle come un lusso che non le apparteneva.

Quando uscì, la luce della lampada la avvolse, e Julien le indicò come posare: un braccio sollevato, il mento appena inclinato, lo sguardo lontano, verso un punto che non esisteva. “Pensa a qualcosa di bello.” Le disse. Ma Claire pensava solo a come avrebbe speso quei franchi: un po’ di carbone per la stufa, forse una brioche per la colazione.

Mostrare la spalla, lasciare che la seta scivolasse appena, era un gioco pericoloso in un’epoca in cui anche le calze di una donna erano uno scandalo. Claire lo sapeva, ma il bisogno era più forte della paura. E poi, c’era qualcosa in quell’atelier che la faceva sentire viva: il clic della macchina fotografica, lo sguardo di Julien che non era mai invadente, ma sempre attento, come se cercasse di catturare non solo il suo corpo, ma un frammento della sua anima.

“Perché lo fai?” Le chiese una volta, mentre sviluppava una lastra nella camera oscura. Claire, ancora avvolta nel drappo di seta, scrollò le spalle. “Per vivere.” Rispose semplicemente. Ma non era tutta la verità. C’era una parte di lei che amava quei momenti, il sentirsi vista, desiderata, trasformata in qualcosa di eterno. Ogni cartolina che Julien avrebbe venduto portava un pezzo di lei, anche se nessuno avrebbe mai saputo il suo nome.

La discrezione era parte del loro patto non detto. "Guarda verso la finestra, Claire." Disse Julien, la voce calma ma ferma, mentre regolava la luce di una lampada a olio. "Voglio che la luce ti sfiori appena, come un pensiero." Lei obbedì, inclinando il capo. La seta del kimono scivolò un po’ di più, e la sua pelle brillò sotto il bagliore morbido, come alabastro illuminato dalla luna. Julien trattenne il respiro. Ogni scatto era un rischio, un gioco con la legge e con la morale di un’epoca che si scandalizzava per un polpaccio intravisto sotto una gonna. Ma era anche un’arte, la sua arte, e in quel momento non esisteva nulla al di fuori dell’inquadratura.

Le cartoline che produceva non erano semplici immagini. Erano frammenti di un sogno, di un desiderio proibito che si insinuava nei salotti borghesi, nelle tasche dei viaggiatori, sotto i cappotti delle donne che le vendevano di nascosto nelle stazioni. Le chiamavano “French Postcards” oltreoceano, e Julien sorrideva al pensiero di quelle sue creazioni che attraversavano l’Atlantico, contrabbandate come tesori. Firmava ogni foto con uno pseudonimo, Luce d’Ombra, per proteggersi dalle autorità e da chi avrebbe potuto riconoscerlo. Non era solo una questione di legge: era la libertà di creare senza essere giudicato.

Quella sera, mentre sviluppava la lastra nella camera oscura, l’immagine di Claire prese vita dentro un lavandino pieno d’acqua. I contorni del suo corpo emergevano come una scultura classica, ma con una sensualità viva, reale, che nessun dipinto avrebbe mai potuto catturare. Julien sfiorò la carta fotografica con la punta delle dita, quasi temendo di rovinarla. Poi, con un pennello sottile, iniziò a colorare a mano l’immagine, aggiungendo un viraggio ocra che dava alla pelle di Claire una tonalità calda, quasi irreale. Era un rituale, quello della colorazione, che trasformava ogni scatto in qualcosa di unico, come un quadro che si poteva tenere tra le mani.

Quando Claire uscì dall’atelier, quella sera, stringeva in mano i cinque franchi, avvolti in un fazzoletto. La pioggia era cessata, e Parigi scintillava sotto le luci dei caffè. Claire si fermò a guardare una vetrina, dove un paio di guanti di pizzo attirò il suo sguardo. Costavano troppo, ma per un momento si permise di sognare. Poi infilò i franchi in tasca e si incamminò verso casa, il cuore un po’ più leggero, ma già pronto per la prossima posa, la prossima luce, la prossima ombra che l’avrebbe trasformata in un sogno di carta.

Fuori, Parigi continuava a vivere la sua notte, ignara. Nei caffè, artisti e poeti discutevano di libertà e modernità, mentre le cartoline di Julien, nascoste in scatole di latta o sotto i banconi dei negozi, raccontavano un’altra storia: quella di un mondo che desiderava guardare oltre le convenzioni, ma non osava dirlo ad alta voce. Claire, con il suo sguardo enigmatico, era la musa di quel desiderio. E Julien, con la sua macchina fotografica, era il suo narratore.

Una settimana dopo, una serie di dodici cartoline, ciascuna con una posa diversa di Claire, era pronta. Julien le affidò a una venditrice che lavorava vicino alla Gare du Nord. “Non mostrarle a chiunque.” Le disse, infilando le immagini in una scatola di fiammiferi decorata. “Solo a chi sa apprezzarle.” La ragazza annuì, con un sorriso complice, e sparì tra la folla.

Anni dopo, una di quelle cartoline sarebbe finita nelle mani di un collezionista americano, che l’avrebbe custodita come un gioiello raro. Sul retro, in un angolo, c’era la firma Luce d’Ombra e una dedica sbiadita: A chi osa guardare. Julien non lo avrebbe mai saputo, ma il suo lavoro aveva attraversato il tempo, portando con sé il sussurro di un’epoca che, tra scandalo e bellezza, aveva imparato a sognare in silenzio.

 





RACCONTO DI ADAMO BENCIVENGA







 
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