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REPORTAGE

LA CAPITALE MONDIALE
DELLA TERAPIA CELLULARE
Beirut & Caramel
Un milione e mezzo di
interventi estetici all’anno su 4 milioni di abitanti
Ebbene sì, con il
naso o gli occhi giusti, si trova sempre un buon marito!

Ricordate il film
Caramel? Incentrato sulle vite incrociate di cinque
donne libanesi alle prese con i problemi di tutti i
giorni. Il centro della scena è un salone di bellezza e
in quel microcosmo colorato e pieno di sensualità, le
cinque donne di diverse generazioni, parlano di loro
stesse, si scambiano confidenze e si raccontano le loro
storie personali. Ognuna ha un problema: chi è
imprigionata in una relazione con un uomo sposato, chi
non è più vergine, ma il suo futuro marito è musulmano,
chi è attratta dalle donne, chi ha il terrore di
invecchiare, chi ha dedicato la sua vita a prendersi
cura della sorella maggiore.
Appunto Beirut &
Caramel, bombe e zucchero filato, rossetti e problemi…
Mi viene in mente questo film geniale mentre ammiro il
panorama al tramonto di questa misteriosa città dalla
terrazza del Majestic Royal Hotel, una meravigliosa
struttura in stile Art Déco. In questo lembo di terra
contraddittoria convivono magicamente cristiani e
musulmani, chiese e moschee, minigonne e niqāb,
ricchezza e povertà, ciminiere fumanti, edifici
bombardati e mega strutture modernissime, come del resto
questo albergo dove risiedo e si eleva sui campi
profughi palestinesi stipati di miseria e disperazione.
Nella Parigi del Medio Oriente, crogiolo infinito di
etnie, religioni e storia, dove spesso i cristiani
negano d'avere radici arabe per definirsi fenici,
l’atmosfera è sempre strana: si può gustare del sushi,
mangiare un piatto di spaghetti al pomodoro, ammirare la
fine del Ramadan o entrare in locali dove sul piazzale
antistante ci sono parcheggiate Ferrari e Porsche!
Eppure ad un’ora e mezzo di macchina ci sono i conflitti
armati, ad un’ora di macchina c’è la Siria o il sud del
paese controllato dall’esercito israeliano e dal partito
di Dio Hezbollah. Qui dove convivono il tabulè,
l’hummus, il musakhan, il fattoush e i grandi piatti di
cucina internazionale, qui si svolgono addirittura
raduni di playmate di Playboy! Nei night club vengono a
esibirsi DJ di fama mondiale.
Ma le
contraddizioni sono insite nella società libanese e la
vita delle donne non fa eccezione. Nonostante abbia
delle tradizioni femministe più antiche del Medio
Oriente, le leggi del Paese sono tutt’altro che moderne
e non rispecchiano affatto la realtà della società
civile. Qui si delega alla religione le leggi che
riguardano il matrimonio e la famiglia. Tradizione vuole
che le donne libanesi si sposino piuttosto presto e che,
superati i 30 anni ancora nubili, debbano affrontare una
certa diffidenza sociale. Il mito delle verginità rimane
ben ancorato in tutte le religioni, ma le donne
musulmane in base alla Shari'a, non possono chiedere il
divorzio, mentre gli uomini al contrario hanno facoltà
di ottenerlo anche in modo unilaterale. Ai padri,
inoltre, va sempre l’affidamento dei figli. Qui non
esistono matrimoni misti ed ogni comunità religiosa
regola in modo diverso le norme della convivenza e la
donna di fatto è legata secondo la legge prima al volere
del padre e poi a quella del marito. Le donne ereditano
la metà degli uomini. Inoltre, hanno molte difficoltà ad
ottenere un prestito in banca senza la garanzia di un
uomo. Ma il paese civile è un’altra cosa, qui le donne
sono ambasciatrici, giudici, medici, manager e
professioniste di un certo valore.
Il Majestic mi
dicono sia il migliore hotel in cui soggiornare: aria
condizionata, accappatoi, quotidiano, film in camera, Tv
via cavo/satellite, wireless, angolo tè e caffè… E poi
servizi di alta qualità tipo: massaggi, piscina coperta
e scoperta, jacuzzi, palestra, sauna, campi da tennis,
centro termale, campi da squash, quattro ristoranti,
drink a bordo piscina, belle donne ovunque. E ultimo ma
non ultimo il centro benessere con servizi completi
disponibili 24 ore su 24: trattamenti per il corpo,
bagni turchi, sale per massaggi, trattamenti per il viso
e trattamenti di bellezza.
La hostess è molto
carina e gentile, è vestita d’azzurro e bianco con uno
sgargiante foulard giallo. Le sue labbra sono di un
rosso sangue intenso, il suo ombretto ad ali di farfalla
regina. Nell’occidente perso nel proprio consumismo di
massa è cosa rara ammirare questa straripante
femminilità, quest’accortezza maniacale del dettaglio.
Ha in mano un vassoio d’argento con dei flut di
prosecco. Mi riconosce dall’accredito. Già sono un
giornalista! Mi dice in perfetto francese che la
presentazione del convegno inizierà esattamente tra 15
minuti. Il tema? Terapia cellulare. Non a caso si svolge
qui a Beirut, la capitale del nuovo Rinascimento
mediorientale, dell’autonomia della donna nel mondo
arabo. Guardo la mia hostess mentre prendo posto nella
grande sala. I suoi lineamenti sono incredibilmente
perfetti, che sia opera della chirurgia?
Si
calcola che nella sola capitale su un bacino di quattro
milioni circa di abitanti in un solo anno vi siano stati
oltre un milione e mezzo di interventi di chirurgia
plastica. Di fatto, strappando il primato a Los Angeles,
è divenuta la capitale degli interventi estetici grazie
al sostegno delle banche con prestiti su misura, ad un
protocollo medico molto meno rigido di quello americano
e, non ultimi, i costi decisamente contenuti rispetto a
molti paesi occidentali: un rifacimento del naso si può
ottenere con meno di tremila dollari, una protesi al
seno con meno di quattromila. Interventi questi che nei
paesi occidentali ai aggirano dai sette ai diecimila
dollari.
A Beirut, che negli anni 60 era
considerata la Parigi del Medio Oriente il rifacimento
di seni, labbra e nasi è una moda dilagante, soprattutto
tra le ventenni. Nel mondo arabo, anche in hijab, la
bellezza femminile è fondamentale, se gli uomini sono
giudicati per il loro talento le donne per il loro
sex-appeal! Qui, prendere marito, è fondamentale per cui
sono le stesse famiglie che persuadono le giovanissime a
questi tipi di trattamento.
Tutto ciò spinge a
innovazioni scientifiche sempre più all’avanguardia e la
terapia cellulare è senza ombra di dubbio un sistema
innovativo che estrae le staminali dal grasso di addome
e glutei e le inietta nelle parti del corpo da trattare,
dove si trasformano in cellule identiche a quelle
circostanti. Il grasso è, infatti, il miglior filler: a
differenza di protesi o riempitivi sintetici, è del
tutto naturale e garantisce un risultato
semi-permanente. Le cellule staminali estratte hanno
infatti la capacità di generare altre cellule staminali,
in grado quindi di auto-rigenerarsi, e di dare origine a
cellule più differenziate, portando a miglioramenti
significativi nella pelle invecchiata. Utilizzate fin
d’ora a scopo terapeutico e quindi indirizzate al
trattamento delle ustioni, dell’alopecia, o della
vitiligine ultimamente l’utilizzo è rivolto sempre più
verso terapie meramente estetiche, sicuramente meno
problematiche dal punto di vista etico. Durante la
presentazione vengono illustrate varie diapositive,
tutte a dimostrare come nella terapia cellulare Beirut
sia all’avanguardia. Intervengono due tre luminari della
locale Università.
Poi si passa al cocktail di
saluto, incontro di nuovo la mia hostess preferita.
Tento qualche battuta in francese, direi infelice.
Fintamente mi informo su qualche ristorante per la sera.
Lei sorride, chissà se avrà capito… La guardo di nuovo,
il viso è di una linearità sconvolgente, il naso, la
bocca, il contorno degli occhi, sembrano che siano stati
forgiati dallo scalpello del Canova … Chissà se sia
tutto frutto della natura o della terapia cellulare?
Il sole è ormai tramontato, e dalla terrazza del
Majestic Royal Hotel, Beirut si accende di luci, un
mosaico di contraddizioni che brilla sotto un cielo
stellato. La sala del convegno è un vortice di voci,
bicchieri che tintinnano e presentazioni accademiche
sulla terapia cellulare, ma i miei occhi tornano
inevitabilmente a lei: la hostess che mi ha accolto. Si
chiama Layla, un nome che sembra danzare sulle sue
labbra dipinte di rosso sangue. È bionda, alta, magra,
con un fisico che sembra scolpito per catturare ogni
sguardo nella stanza. La sua uniforme azzurra e bianca,
stretta quanto basta, accentua le curve perfette, e il
foulard giallo al collo aggiunge un tocco di audacia. Il
suo viso è un’opera d’arte: zigomi alti, naso sottile,
occhi grandi incorniciati da un ombretto ad ali di
farfalla. È impossibile non chiedersi se sia il dono
della natura o il frutto di quella chirurgia estetica
che a Beirut è quasi un rito.
Durante il
cocktail, la incrocio di nuovo. Mi avvicino, armato di
un sorriso e di una battuta in francese che, lo ammetto,
cade un po’ piatta. “Un consiglio per un ristorante
stasera?” Chiedo, fingendo disinvoltura. Layla sorride,
un sorriso che è allo stesso tempo gentile e malizioso,
come se avesse capito il mio gioco. “Dipende…” risponde
con un accento che tradisce una padronanza perfetta del
francese. “Vuoi qualcosa di tradizionale o…
un’esperienza più… internazionale?” I suoi occhi
brillano e per un attimo mi perdo.
Ci spostiamo
leggermente in disparte, lontano dal brusio della folla.
Layla è cristiana, mi racconta, e con un sorriso
aggiunge: “Sai, noi cristiane abbiamo una chance in più
rispetto alle musulmane. Qui a Beirut, possiamo
permetterci di essere… un po’ più libere… Ed io abito da
sola…” Il modo in cui lo dice, con quella leggera
inclinazione della testa e un lampo di sfida negli
occhi, è un invito a immaginare una remota possibilità.
Mi sento attratto, invogliato da quelle parole che
sembrano promettere qualcosa di più. Faccio un passo
avanti, lasciando che il mio tono si tinga di audacia.
“E questa libertà… come la usi stasera?”
Il suo
sorriso si allarga, ma poi si ritrae appena, come se
volesse mantenere il controllo. “Oh, sei diretto.” Dice,
ridendo piano. “Ma devo dirtelo, sono impegnata. Il mio
fidanzato mi aspetta qui fuori nel parcheggio dell’hotel
a fine turno, e credimi, è un tipo molto, ma molto
geloso.” La delusione mi colpisce, ma prima che
possa rispondere, lei si avvicina di un passo,
abbassando la voce. “Però… c’è una porta di servizio sul
retro. Potrebbe essere una via di fuga… Che ne dici?”
Il cuore mi salta in gola. La proposta è allettante, un
biglietto per un’avventura in questa città dove tutto
sembra possibile. Layla mi guarda, in attesa, il suo
profumo mi avvolge. La porta di servizio, la notte di
Beirut e una donna che incarna il fascino di questa
terra contraddittoria: tutto sembra convergere. “Allora
giornalista? Vuoi rischiare o rimanere qui e scrivere il
tuo articolo su Beirut & Caramel?”
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ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
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http://d.repubblica.it/attualita/2014/08/10/
news/interventi_estetici_beirut-2241373/
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