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Adamo Bencivenga
SINGLE AD OGNI COSTO
Un erotico inno alla
leggerezza femminile, tra desiderio travolgente e
addio inevitabile. Sonia, 54enne manager
indipendente, si lascia sedurre dalla passione con
Federico, affascinante 29enne, in un turbine di
notti ardenti. Ma quando lui lascia tutto per
lei, sconvolgendo la propria vita, Sonia difende la
sua libertà ferrea, scegliendo se stessa sopra ogni
legame.

Ho conosciuto Federico circa
sei mesi fa, durante un convegno organizzato dalla mia
banca, lui era ospite esterno come rappresentante di una
nota società di investimenti estera. Ero seduta tra i
colleghi, immersa in un’atmosfera formale fatta di
discorsi tecnici e presentazioni, quando lui è salito
sul palco. Non so dire esattamente cosa mi abbia
colpita: forse il suo aspetto, così giovane e curato, o
quelle mani sensuali che sembravano catturare ogni
sguardo nella sala.
Aveva 29 anni mentre io ne
ho 54 eppure in quel momento non riuscivo a distogliere
gli occhi. Ero lì, tra il pubblico, con il mio tailleur
da donna in carriera, in un ruolo che di solito mi fa
sentire sicura, a mio agio. Ma quando Federico ha preso
la parola, qualcosa in me si è acceso. Era bello, sì, ma
non era solo questo. Parlava con competenza e c’era
un’energia in lui, una sicurezza naturale che rendeva
ogni suo gesto magnetico.
Su quel palco,
sembrava quasi irraggiungibile, una figura che incarnava
qualcosa di nuovo ed io con i miei 54 anni, mi sono
ritrovata a chiedermi cosa stessi provando. Era
attrazione? Curiosità? O forse solo la sorpresa di
sentirmi donna vera in un momento che avrebbe dovuto
essere solo lavoro.
Quando il suo intervento è
finito, la sala è esplosa in un applauso. Ho battuto le
mani anch’io, ma dentro di me c’era un tumulto di
pensieri. Mi sono chiesta se avrei avuto il coraggio di
avvicinarmi e scambiare qualche parola. Lui è sceso dal
palco, sorridente, stringendo mani e rispondendo a
domande con quella disinvoltura che mi aveva già
conquistata. Per un attimo, i nostri sguardi si sono
incrociati. È stato solo un istante. Il suo sorriso era
caldo, diretto, e per un secondo ho pensato che fosse
rivolto proprio a me.
Quando ci siamo trasferiti
nell'hall dell'albergo, durante il buffet con la sala
piena di colleghi e ospiti, l’ho visto, a pochi metri da
me. Con un calice di vino in mano ho cercato di
mantenere la mia solita compostezza professionale. Ma
lui ha iniziato a fissarmi. Non era uno sguardo casuale,
di quelli che si scambiano per caso e poi si
dimenticano. Era insistente, diretto. I suoi occhi, di
un colore che non riuscivo a distinguere sotto le luci
soffuse dell’hall, sembravano inchiodarmi.
Mi
sono sentita travolta da una strana sensazione, un misto
di emozioni che non riuscivo a decifrare del tutto. Da
una parte, c’era l’eccitazione di sentirmi osservata da
un uomo così giovane e magnetico, dall’altra, però, un
forte imbarazzo che mi stringeva lo stomaco. Mi chiedevo
cosa vedesse in me, una donna di 54 anni in un contesto
in cui ero abituata a essere vista soltanto per il mio
ruolo. Mi sentivo esposta, ma allo stesso tempo viva
come non mi capitava da tempo.
Ho cercato di
concentrarmi sul buffet, prendendo un piatto e fingendo
di essere disinvolta, ma il suo sguardo non mi lasciava.
Ogni tanto alzavo gli occhi, e lui era ancora lì, con un
mezzo sorriso che sembrava dire più di quanto le parole
potessero esprimere. Non so se fosse il contesto o il
suo modo di fare, ma qualcosa in me stava cambiando.
Nonostante la differenza di età, nonostante il mio ruolo
nella banca, nonostante tutto quello che mi diceva di
mantenere le distanze, mi sentivo attratta da lui. Era
un’attrazione fisica, certo, ma anche la curiosità di
scoprire chi fosse davvero e cosa lo spingesse a
guardarmi in quel modo.
******
Poi, è
successo. Federico si è avvicinato, con passo deciso,
come se sapesse esattamente cosa stava facendo. Ha preso
un bicchiere dal tavolo accanto a me e, con una scusa
che ora mi sembra quasi comica nella sua semplicità, mi
ha chiesto: “Scusa, posso chiederti che ruolo occupi
nella banca? Ho notato che eri molto attenta durante il
mio intervento.” Ho risposto, cercando di mantenere il
tono professionale: “Sono responsabile delle relazioni
con i clienti istituzionali.” Ma le parole mi uscivano a
fatica e la verità è che non stavo davvero pensando a
cosa dicessi. Ero troppo concentrata su di lui. In quel
momento, ho capito che sarebbe successo qualcosa. Non so
cosa, ma qualcosa sarebbe successo. C’era un’energia tra
noi, una tensione che non potevo ignorare. Mi sentivo
come se stessi camminando su una corda tesa, tra il
desiderio di essere più accattivante e la paura di ciò
che avrebbe potuto significare. Lui era lì, giovane,
affascinante, con quel modo di fare che sembrava
promettere tutto e niente allo stesso tempo. E io, a 54
anni, mi sentivo quasi ridicola ritrovandomi a chiedermi
quale sarebbe stata la sua prossima mossa…
Sono
sempre stata una donna riservata, con uno spirito libero
che mi ha guidata per tutta la vita. Non mi capita
spesso di provare un’attrazione così forte, di quelle
che ti fanno quasi perdere l’equilibrio. Single per
vocazione, ho i miei flirt, le mie serate piccanti, i
momenti in cui mi lascio andare al gioco della
seduzione, ai sottintesi che portano a una notte di
passione. Ma ho sempre avuto una regola ferrea:
leggerezza. Nessun coinvolgimento sentimentale, nessuna
promessa. Mi piace il brivido di una serata in cui tutto
è possibile, in cui uno sguardo o un sorriso può
accendere qualcosa, ma la mattina voglio svegliarmi da
sola, nel mio letto, con la mia indipendenza immacolata.
È per questo che non mi sono mai sposata, che a 54
anni custodisco gelosamente la mia libertà, come un
tesoro che nessuna relazione, per quanto intensa, per
quanto travolgente potrà mai portarmi via.
Eppure, quella mattina, Federico mi stava mettendo alla
prova. Mi sentivo desiderata, e quella sensazione mi
elettrizzava, ma allo stesso tempo mi imbarazzava. Io,
che di solito controllo ogni situazione, che so come
gestire un flirt senza perdere il comando, mi ritrovavo
improvvisamente fragile. La differenza di età rendeva
tutto più complicato, più carico di significato. Cosa
vedeva in me oltre le rughe?
“Mi piacerebbe
saperne di più. Magari davanti a un caffè, lontano da
tutto questo.” Eccola la frase che non mi aspettavo!
Immaginavo già il brivido di una conversazione che si fa
sempre più intima, di sguardi che si intrecciano, di una
notte che avrebbe potuto essere indimenticabile. Ma
Federico era diverso non era come i miei partner
occasionali, quelli con cui condividevo una serata e poi
sparivo. E quella parte di me, quella che protegge la
mia indipendenza con le unghie e con i denti, mi gridava
di fare un passo indietro. Ho sorriso, un sorriso che
speravo fosse disinvolto, e ho risposto: “Un caffè
potrebbe essere interessante, ma sono una donna
impegnata.” Una risposta evasiva, un modo per tenere le
distanze senza chiudere del tutto la porta. Lui ha riso,
una risata leggera, come se capisse il gioco ma non
fosse pronto a ritirarsi. “Capisco.” Ha detto. “Ma non
si sa mai...”
Davanti a quel buffet abbiamo
continuato a parlare e a ridere e poi nel momento di
salutarci mi ha chiesto il numero di telefono. Senza
pensare ho accettato. Andando via ho scosso la testa:
"Sonia, ma è possibile? È un ragazzino dai! Non fa per
te!" Ma quel suo sguardo diceva qualcosa di diverso, il
sottile corteggiamento, il modo in cui mi guardava che
sembrava mangiarmi con gli occhi!
Non lo
nascondo, ci ho pensato per tutta la notte e continuavo
a rivedere il suo sorriso, quel modo di guardarmi che mi
faceva sentire desiderata. Mi chiedevo cosa ci fosse di
diverso in lui. I suoi 29 anni, la sua sicurezza, il suo
modo di sfiorare il confine tra cortesia e malizia.
La mattina dopo, era sabato, ho acceso il telefono e
ho trovato un messaggio su WhatsApp. Tanti cuoricini
discreti, quasi timidi, e un invito: “Ti andrebbe un
aperitivo? Solo noi due, qualcosa di tranquillo.” Il mio
cuore ha fatto un balzo. Non ho esitato a rispondere:
“Sì.” Subito dopo, però, il mio primo pensiero è stato:
“Come mi presento? Cosa indosso?” Non volevo sembrare
troppo disponibile, troppo evidente nel mio desiderio di
piacergli. Non volevo che pensasse che fossi una donna
che si getta ai suoi piedi solo perché è giovane e
affascinante. Allo stesso tempo, non volevo nemmeno
presentarmi come un’anonima cinquantenne, una che si
nasconde dietro i suoi anni, come se il tempo mi avesse
tolto il diritto di sentirmi desiderabile. Dovevo
trovare un equilibrio, un modo per essere me stessa:
elegante, sicura, ma con quel pizzico di mistero che
lasciasse a lui il compito di fare il prossimo passo.
Ho passato la mattinata davanti all’armadio,
provando e scartando outfit con una cura che non mi
riconoscevo. Un vestito nero attillato? Troppo audace,
troppo scontato. Un tailleur? Troppo rigido, troppo da
ufficio. Alla fine, ho scelto una mise che mi sembrava
perfetta: un abito a colori pastello, morbido, che
scivolava sulle curve senza stringerle, con una gonna
che si fermava appena sopra il ginocchio. Ho aggiunto un
cappello di paglia a falde larghe, un tocco eccentrico
ma sbarazzino, che mi dava un’aria rilassata, ma non
banale. Guardandomi allo specchio, ho pensato: “Non è il
massimo della sensualità, ma non è questo il punto.” Il
mio intento non era conquistarlo a tutti i costi. Volevo
che fosse lui a scegliere, a fare un passo verso di me.
Io, ovviamente, ci sarei stata. Ma alle mie condizioni,
con la mia leggerezza, senza rinunciare a quella libertà
che ho sempre protetto.
******
Appuntamento da Giolitti all’eur. Federico era già lì,
seduto a un tavolino vicino al laghetto, con una camicia
bianca aperta sul collo e un’aria rilassata che lo
rendeva ancora più irresistibile. Era una bellissima
giornata di sole di dicembre e il clima gradevole.
Quando mi ha vista, si è alzato, con quel sorriso che mi
aveva già conquistata al convegno. “Sei… diversa.” Ha
detto, e c’era una nota di ammirazione nella sua voce.
“Diversa in senso buono, spero…” Ho risposto, con un
sorriso che speravo fosse disinvolto.
Davanti a
due spritz abbiamo cominciato a conoscerci. La
conversazione è iniziata leggera, quasi banale: il
convegno, il suo lavoro, qualche aneddoto sulla banca.
Ma c’era qualcosa nei suoi occhi, un’intensità che
rendeva ogni parola più carica di significato. Ogni
tanto, le nostre mani si sfioravano sul tavolo, e io
sentivo un brivido che cercavo di ignorare. Mi
raccontava del suo ultimo viaggio a Londra, della sua
passione per il surf, e io mi ritrovavo a ridere, a
sentirmi più giovane, più leggera.
Ed è lì che mi
ha detto che aveva una compagna coetanea, che vivevano
insieme e che avevano già fissato il giorno delle nozze.
Non so cosa mi aspettassi, in fondo non cercavo una
storia seria, ma quella rivelazione mi ha colpita più di
quanto volessi ammettere. Non era solo la sua giovane
età a dividerci, adesso c’era anche lei, una donna della
sua età, una compagna che condivideva la sua vita. Ho
sorriso: “Congratulazioni.” Ho detto con un tono
leggero, ma dentro di me, qualcosa si stava incrinando.
Non era gelosia. Era l’idea di lui, così giovane, così
desiderabile, già legato a qualcun’altra, mi faceva
sentire… Respinta. Superata. Vecchia. O forse
semplicemente fuori posto.
Lui attento ad ogni
mia minima espressione mi guardava. “Non fraintendermi.”
Ha detto, come se avesse letto i miei pensieri. “Sono
qui perché… sei diversa. Sei una donna speciale.” Ma in
quel momento, con Federico di fronte a me, mi sentivo
come se stessi combattendo una battaglia che non avevo
previsto. Per portarmelo a letto non dovevo solo
affrontare la differenza di età, il suo carisma, la mia
paura di perdere il controllo ma anche competere con una
lei, una donna giovane, probabilmente bella, che
condivideva con lui una vita che io non avrei mai voluto
e che per mia scelta mai avrei potuto offrirgli. E
forse, in fondo, era proprio questo a bruciare: il fatto
che, per la prima volta, mi sentivo come se stessi
inseguendo qualcosa che non potevo avere.
“Non
sembri sorpresa.” Mi ha detto Federico, inclinando la
testa con quel suo sorriso che mi faceva impazzire. “Non
proprio, ma ammetto che non me l’aspettavo. Non credevo
che un futuro sposo corteggiasse una donna come hai
fatto tu!” Lui ha riso: “Ma sai, non è tutto così
semplice come sembra.” Ha detto, abbassando lo sguardo
per un momento. Poi ha subito rilanciato: “E tu cosa
desideri?” Mi sono appoggiata allo schienale della sedia
e ho deciso di giocare le mie carte. “Voglio divertirmi.
Voglio sentirmi viva, senza complicazioni.” L’ho visto
incuriosito. E da quel momento ha voluto sapere tutto di
me, della mia vita, del mio essere single alla mia età e
alla fine ho dedotto che era davvero interessato a me.
In quel momento avrei voluto uno specchio e guardare
cosa di me lo attrasse, non certo le rughe. Insomma
sentivo che gli piacevo e nei discorsi successivi ho
tenuto ben in chiaro la mia intenzione di non
impegnarmi, e tanto meno con un ragazzo di 29 anni a
pochi mesi dal matrimonio. Lui annuiva e mi è sembrato
sincero anche perché pensavo sarebbe stato fuori di
testa da parte sua pensare ad una vera e propria
relazione con 25 anni e dico 25 di differenza.
******
Due giorni dopo il nostro
aperitivo da Giolitti, mi ha scritto di nuovo. Un
messaggio diretto senza esitazioni: “Passo a prenderti
sotto l’ufficio domani sera, verso le 18:30. Ti va una
passeggiata?” Il brivido di rivederlo, di ritrovarmi di
nuovo sotto il suo sguardo, era più forte di qualsiasi
cautela. Non ho esitato a rispondere di sì. Quando
sono scesa dall’ufficio, lui era lì, appoggiato con
noncuranza al tronco di un pino. Con un accenno di barba
incolta, indossava un cappotto blu scuro, con il
colletto alzato contro il fresco di dicembre, una specie
di Alain Delon, bello e maledetto. I suoi occhi mi hanno
trovata subito. “Sonia sei bellissima!” Ha detto con
quel sorriso che ormai conoscevo fin troppo bene.
Imbarazzata ho risposto: “Dove mi porti?”
Abbiamo iniziato a camminare lui con le mani in tasca,
ogni tanto i nostri gomiti si sfioravano, un contatto
casuale, ma fortemente voluto. Parlavamo di tutto e di
niente: delle luci natalizie che iniziavano a decorare
Piazza di Spagna, del profumo di caldarroste che si
spandeva nell’aria, di un quadro che aveva visto il
giorno prima in una galleria e che gli aveva fatto
pensare a me. “Un dipinto di Klimt, il ritratto di una
donna forte che ha deciso di essere se stessa, ma con
uno sguardo che nasconde un segreto.” Mi sono chiesta se
stesse davvero parlando del quadro o di me. La
passeggiata ci ha portati verso Via di Ripetta, ci siamo
fermati davanti a un piccolo ristorante, con un’insegna
discreta che prometteva cucina romana autentica. “Ti va
di provare questo posto?” Ha chiesto, con un tono che
sembrava lasciare poco spazio al rifiuto. Non avevo
previsto una cena ma ho annuito, e mentre entravamo, ho
sentito una vampata di calore: non solo per il tepore
del locale, ma per la consapevolezza che quella serata
stava prendendo una piega diversa, più intima, più
pericolosa.
Il ristorante era piccolo, con tavoli
di legno scuro. Ci siamo seduti in un angolo, vicino a
una finestra che dava sulla strada. Federico non
smetteva di guardarmi: “Sai… C’è qualcosa nel tuo
sguardo che mi intriga, non so… come un enigma che
vorrei risolvere.” Ho sorriso, cercando di mantenere il
controllo. “Un enigma, eh? Attento, potresti scoprire
che sono una donna che ama essere corteggiata, ma
fondamentalmente ama la sua libertà.” Dentro di me
sapevo che quelle parole erano solo un modo per aprire
un varco ed avere una conferma per il dopocena. Lui ha
riso, una risata bassa, quasi complice, e ha alzato il
calice per un brindisi. “Alla libertà, allora.”
La cena è stata un gioco di equilibri. Parlava del suo
lavoro, dei viaggi che lo portavano in giro per il
mondo, della sua passione per il rischio. Io raccontavo
aneddoti della mia carriera, frammenti della mia vita da
single, sempre attenta a non rivelare troppo, a non
lasciargli intravedere quanto mi sentissi attratta da
lui. Ma ogni tanto, i nostri sguardi si incrociavano, e
in quei momenti quel piccolo locale sembrava
restringersi ancora di più a noi due. Il sapore della
cacio e pepe, il vino che mi scaldava il petto, il suono
della sua voce: tutto contribuiva a creare una bolla in
cui il resto, la sua compagna, la differenza d’età, il
matrimonio prossimo, sembrava svanire.
Non lo
nego mi sentivo bene. C’era una parte di me che già
assaporava il “dopo cena”, che immaginava come sarebbe
stata la notte insieme a lui. Quando Federico si
sporgeva verso di me o quando le sue dita sfioravano le
mie sentivo un brivido che non aveva nulla a che fare
con il freddo di dicembre. Mi vedevo riflessa nei suoi
occhi, non la donna di 54 anni con una carriera solida e
una vita costruita, ma una ragazzina desiderabile, viva,
capace di accendere qualcosa in un uomo come lui.
Quando abbiamo finito di cenare, il cameriere ha portato
via i piatti, e Federico ha proposto di continuare la
serata altrove: “C’è un posto qui vicino un bar con una
vista pazzesca sul Tevere. Ti va?” Il suo tono era
casuale, ma i suoi occhi dicevano altro.
In quel
momento, con il vino che mi scaldava le vene, il suo
sorriso che mi sfidava e una vocina interna che mi
esortava ad essere più audace ho detto: “Si farebbe
troppo tardi… Ti va di bere qualcosa a casa mia? Ti
assicuro che Roma è molto più bella dal mio balcone!”
Del resto non volevo un altro locale, non volevo il
rumore di un bar o la distanza di un tavolino. Volevo
lui, e lo volevo in quell’istante. Il suo sorriso si è
allargato, lento e complice, come se avesse aspettato
tutto il tempo quella frase. “Mi piace l’idea.” Ha
risposto, e in quel momento ho capito che stavamo
oltrepassando un confine da cui non si torna indietro.
******
Il tragitto verso casa mia è stato
un misto di silenzio carico di tensione e chiacchiere
leggere per sciogliere l’attesa. Sentivo un fuoco che
non riuscivo a spegnere. A 54 anni, pensavo di conoscere
ogni sfumatura del desiderio, ma c’era qualcosa di
diverso in quella notte, qualcosa che mi faceva sentire
come se stessi riscoprendo una parte di me che avevo
dimenticato. Arrivati a casa mia ho acceso solo poche
luci, lasciando che l’atmosfera fosse intima senza
essere troppo studiata. Ho aperto una bottiglia di
Brunello, e mentre versavo il vino nei calici, sentivo
il suo sguardo su di me, come se stesse già immaginando
cosa sarebbe successo.
“Bel posto.” Ha detto
avvicinandosi al balcone per guardare la città. “Ma sai,
non è Roma che mi interessa stasera.” Non ricordo
esattamente come siamo passati dal balcone al divano. È
stato un fluire naturale, come se ogni gesto, ogni
sguardo, ogni parola fosse un passo verso l’inevitabile.
Mi sono allontanata un attimo, con una scusa qualsiasi,
sono andata in bagno e ho indossato una négligé di seta
con abbinata la lingerie che avevo scelto con cura sin
dalla mattina: un completo di pizzo nero, audace, ma
elegante, che esaltava le mie curve.
Quando sono
tornata, Federico era seduto sul divano, con il
bicchiere di vino in mano e un’espressione che oscillava
tra la sorpresa e la fame. “Sonia…” Ha detto,
trattenendo il respiro, come se il mio ingresso gli
avesse tolto ogni parola. “Non ho mai visto niente di
più sensuale in vita mia.” Le sue parole erano un misto
di adorazione e desiderio, e in quel momento mi sono
sentita potente, desiderata, viva.
Ci siamo
avvicinati, e quando le sue mani hanno sfiorato la mia
pelle, ho sentito un’energia che non provavo da anni. È
stato meraviglioso. Federico era un misto di entusiasmo
giovanile e una devozione quasi reverenziale, come se
fossi una musa che incarnava un sogno che aveva
coltivato fin da adolescente. Ogni suo tocco era deciso,
ma attento, come se volesse memorizzare ogni curva, ogni
dettaglio di me. Niente era scontato. Mi sussurrava
frasi che mi facevano quasi ridere per la loro
intensità: “Nessuna è come te, Sonia. Nessuna vale
un’unghia del tuo dito mignolo.” Quelle parole mi
accendevano, mi lusingavano, ma allo stesso tempo
suonavano come una nota stonata. Non perché non le
credessi, ma perché mi riportavano alla realtà. C’era
una compagna nella sua vita, una donna che condivideva
il suo quotidiano, che aveva un posto che io non volevo
e non avrei mai voluto occupare.
Dal canto mio,
l’ho accolto con tutta l’ospitalità che si riserva a un
ospite gradito. Non c’erano tappeti rossi o candele
accese, ma c’era la mia passione, la mia sicurezza, il
mio desiderio di vivere quel momento senza riserve. La
lingerie di pizzo nero non era solo un capo
d’abbigliamento: era una dichiarazione, un modo per dire
“Sono qui, sono io, e sono pronta a prendere ciò che
voglio.” E l’ho fatto. Quella notte è stata un vortice
di sensazioni: il calore della sua pelle, il ritmo del
suo respiro, la potenza del maschio, la sensazione di
essere al centro del suo mondo. Non era solo il piacere
fisico, anche se quello era travolgente. Era il senso di
essere vista non come una donna di 54 anni, ma come una
donna, punto. Una donna che poteva ancora accendere un
fuoco, che poteva ancora sorprendere e sorprendere se
stessa.
Eppure, anche in mezzo a quell’estasi,
c’era una parte di me che non smetteva di pensare.
Mentre Federico era dentro di me, mentre il suo sesso
travalicava ogni confine e le sue parole mi avvolgevano
come una coperta, sentivo quella nota stonata che non
riuscivo a ignorare. Parlava di me come se fossi unica,
insostituibile, ma io non volevo sostituire nessuno. Non
volevo essere la “donna matura” che sconvolge la sua
vita, né la tentazione che lo allontana dalla sua
compagna. Io volevo solo quella notte, un momento,
un’esplosione di vita che mi ricordasse chi sono.
Quando tutto è finito, ci siamo sdraiati uno accanto
all’altra, con il silenzio che si insinuava tra noi.
“Sonia mi hai stregato.” Ho sorriso, ma non ho risposto.
Dentro di me, sentivo un groviglio di emozioni:
sicuramente soddisfazione, ma anche un pizzico di
malinconia, perché sapevo che non ci sarebbe stato un
“dopo”. La mia regola ferrea di single ad ogni costa era
ancora lì, intatta, ma temevo che per lui quella notte
avesse cambiato qualcosa.
******
Da
quella notte a casa mia, qualcosa è cambiato, anche se
non saprei dire esattamente cosa. Non era amore, non nel
senso classico del termine – la mia regola di leggerezza
era ancora lì, salda come una roccia – ma c’era
un’intesa, una chimica che ci spingeva a cercarci, sera
dopo sera. Federico sembrava trovare ogni scusa
possibile per tornare da me: un messaggio nel tardo
pomeriggio, una telefonata con quella sua voce che
oscillava tra il giocoso e il seducente, un “Passo da te
stasera?” che non ammetteva rifiuti. E io, contro ogni
mia abitudine di tenere le distanze, rispondevo sempre
di sì.
Le nostre serate si svolgevano quasi
sempre a casa mia, un rifugio sicuro lontano dagli occhi
indiscreti di Roma, dove potevamo essere solo noi due,
senza il rischio di incrociare colleghi, conoscenti o,
peggio, qualcuno che potesse collegarlo alla sua vita
“ufficiale”. Casa mia era diventata il nostro mondo
parallelo. Il mio appartamento, con le sue luci soffuse,
i cuscini sparsi sul divano e il balcone che
incorniciava i tetti, si trasformava ogni sera in uno
spazio sospeso, dove il tempo sembrava fermarsi quando i
nostri corpi si cercavano, come se ogni incontro fosse
una continuazione di quella prima notte. Federico
arrivava con una bottiglia di rosso sottobraccio, altre
con un mazzo di fiori comprato all’ultimo minuto da un
ambulante. “Per la donna più intrigante di Roma.”
Diceva, e io ridevo, scuotendo la testa, ma dentro di me
sentivo un calore che non riuscivo a ignorare.
Le nostre serate seguivano un ritmo che era diventato
quasi un rituale. Ci raccontavamo della giornata
trascorsa e poi, inevitabilmente, la conversazione si
dissolveva in silenzi carichi di tensione, in sguardi
appassionati, in tocchi che accendevano la pelle. Era
una danza, un gioco di seduzione che ogni volta mi
lasciava senza fiato. Federico aveva un modo di
guardarmi che mi faceva sentire unica, come se fossi
l’unica donna al mondo capace di accendere quel fuoco in
lui. “Sonia, tu sei diversa.” Ripeteva spesso con quella
sua voce bassa. “Non c’è nessuno come te.” E io, pur
lusingata, sentivo quella nota stonata, quel riferimento
implicito alla sua compagna, che aleggiava come un’ombra
tra noi.
Ogni tanto, tra un bicchiere di vino e
un bacio, gli chiedevo di lei. Non per gelosia, ma per
una curiosità che mascherava una sorta di responsabilità
morale. “Non sospetta nulla?” Gli chiedevo, cercando di
mantenere un tono neutro. Lui si scherniva, con un
sorriso che sembrava voler liquidare la questione. “Non
devi preoccuparti, Sonia. È tutto sotto controllo.” E
io, in fondo, gli davo ragione. Non perché fossi
ingenua, ma perché avevo bisogno di crederci. Ero stata
chiara fin dall’inizio: la nostra storia era
un’avventura, un fuoco che bruciava intenso, ma che non
poteva, non doveva, intrecciarsi con le nostre vite
reali. Era come un viaggio in una città lontana, dove
sai che il biglietto di ritorno è già prenotato, e ogni
momento di passione è tanto più prezioso perché ha una
data di scadenza.
Federico si sarebbe sposato di
lì a poco ed io non volevo essere un ostacolo, non
volevo essere la donna che sconvolge la una vita o la
causa di un dramma. Questa storia doveva rimanere
spensierata, come una parentesi di piacere puro, senza
promesse né aspettative. Eppure, c’era qualcosa in
quelle serate che mi faceva vacillare. Non sapevo
esattamente cosa lui provasse per me, mi illudevo che
non fosse amore, ma solo una sorta di dipendenza alla
passione, alla mia maturità che mi faceva sentire
desiderata e potente. A 54 anni, con una vita piena di
esperienze Federico mi stava ricordando che potevo
ancora sorprendermi, offrire qualcosa.
Le nostre
notti erano un’esplosione di passione. La lingerie di
pizzo nero, che avevo indossato quella prima volta, era
diventata una sorta di firma, un’arma segreta che tiravo
fuori quando volevo farlo impazzire. E funzionava, ogni
volta, cavolo se funzionava! I suoi occhi si
accendevano, il suo respiro si faceva corto, e le sue
mani cercavano la mia pelle con un’urgenza che mi faceva
sentire come una dea. Ma c’era di più: c’era una
devozione in lui, un’ammirazione che andava oltre il
desiderio fisico. Mi raccontava, tra un bacio e l’altro,
che da adolescente sognava donne come me, di una sua zia
che non si era mai sposata e che lui spiava dal buco
della serratura. Insomma donne piene di fascino, forti,
indipendenti, con un’eleganza che non aveva nulla a che
fare con l’età. “Tu sei tutto quello che ho sempre
voluto.” Diceva, e quelle parole mi colpivano come una
freccia, perché erano sincere, ma anche pericolose. Non
volevo essere il suo “tutto”. Non volevo essere per
nessuna ragione il sogno che lo allontanava dalla sua
realtà.
A volte, dopo che si era addormentato
accanto a me, mi ritrovavo ad accarezzargli i capelli,
con il suono del suo respiro regolare che riempiva la
stanza. Pensavo a lui, alla sua compagna, al matrimonio
che si avvicinava. Pensavo a me, a quella regola di
leggerezza che avevo sempre seguito come un mantra. Mi
chiedevo se stessi davvero proteggendo la mia libertà o
se, in fondo, stessi solo evitando di guardare in faccia
qualcosa di più profondo. Eppure, continuavo a ripetermi
che questa storia aveva un inizio e una fine. Come
un’avventura esotica, come un viaggio in un posto
lontano, sapevo che il giorno della partenza sarebbe
stato inevitabilmente il giorno della fine di una
relazione. E io sarei tornata alla mia vita, alla mia
indipendenza, alla mia leggerezza.
******
Le serate a casa mia continuavano, ma qualcosa
nell’aria era cambiato. Quello che all’inizio era un
gioco, un’avventura leggera e senza vincoli, stava
assumendo contorni diversi, più sfumati, più pericolosi.
Le luci soffuse del mio appartamento, il jazz che
suonava piano in sottofondo, il profumo del vino che
riempiva i calici: tutto era ancora lì, immutato, ma
l’energia tra me e Federico si stava trasformando. Non
era più solo il brivido di un incontro clandestino, di
una passione che bruciava senza lasciare tracce. C’era
qualcosa di più pesante, qualcosa che iniziava a pesare
sul mio cuore e a disturbare la mia regola ferrea di
leggerezza.
Federico era cambiato. O forse, più
semplicemente, stava mostrando una parte di sé che fino
a quel momento aveva tenuto nascosta. Le sue visite
erano diventate più frequenti, quasi ossessive. Arrivava
a casa mia con un’urgenza negli occhi che non aveva più
nulla di giocoso. Non era solo desiderio fisico era come
se fossi diventata una necessità, una droga che non
poteva smettere di iniettarsi per endovena. “Sonia, non
riesco a stare lontano da te.” Mi diceva, con una voce
che oscillava tra la confessione e la disperazione. “Sei
indispensabile. È come se fossi affamato da giorni e tu
fossi l’unica cosa che può saziarmi.” Quelle parole,
all’inizio, mi lusingavano. Sentirmi così centrale nella
vita di un uomo giovane e carismatico come lui,
accendeva una parte di me che amava essere al centro
della scena. Ma presto, quelle stesse parole hanno
iniziato a suonare come un allarme.
Le nostre
serate stavano diventando un terreno scivoloso. Federico
arrivava con una frenesia che non riusciva a nascondere.
Mi cercava con una voracità che andava oltre il corpo,
come se ogni bacio, ogni tocco, fosse un tentativo di
afferrare qualcosa che gli sfuggiva. Parlava di me in
terza persona come se fossi una musa, un’ossessione, un
sogno che non poteva lasciar andare. “Non ho mai provato
niente di simile.” Diceva, stringendomi come se temesse
che da un momento all’altro potessi svanire tra quelle
braccia. “Nessuna è come te, Sonia. Nessuna.” E io, che
di solito sapevo come gestire un flirt, come mantenere
le distanze, mi ritrovavo spiazzata. Non era più il
gioco che avevo immaginato, quell’avventura esotica con
una data di scadenza. Stava diventando qualcosa di
patologico. Una dipendenza che non era solo sua, ma che
rischiava di trascinare anche me.
Dentro di me, i
dubbi che avevo sempre avuto si stavano trasformando in
un grido. Avevo voluto che questa storia rimanesse
spensierata, un fuoco che bruciava senza lasciare
cenere. Ma ora sentivo che quel fuoco stava sfuggendo al
controllo, minacciando di incendiare tutto. Ogni volta
che Federico mi guardava con quegli occhi pieni di
bisogno, sentivo una stretta al cuore. Non era solo il
pensiero della sua compagna, anche se quello continuava
a pesarmi. Era la consapevolezza che questa passione,
che all’inizio mi aveva fatta sentire viva, stava
diventando una prigione che non avevo previsto.
Una sera, mentre eravamo sdraiati sul mio letto Federico
ha preso la mia mano e l’ha stretta forte. “Sonia… E se
volessi di più? Se volessi che fosse tutto?” In quel
momento, ho capito che la linea che avevo tracciato era
stata superata. Era come se Federico stesse cercando di
costruirmi un piedistallo, ma io non volevo essere una
statua. Non volevo essere la sua ragione di vita, causa
di un caos che non avevo chiesto.
I giorni
passavano e ogni incontro portava con sé un peso
crescente. La passione era ancora lì, travolgente come
sempre, ma ora era accompagnata da una tensione che non
potevo ignorare. Quando Federico mi stringeva, sentivo
il suo bisogno di me, ma anche il mio bisogno di
proteggermi. Ogni tanto, gli chiedevo ancora di lei,
della sua compagna, sperando che mi desse una risposta
che mi rassicurasse. “Non preoccuparti.” Ripeteva, ma io
mi preoccupavo, non per lei, ma per me, per la donna che
ero e che volevo rimanere.
Lui vedeva i miei
dubbi e una sera per dimostrarmi quanto fosse vero e
reale il suo amore ha detto: “Sei tu la mia donna,
basterebbe un tuo cenno e la lascio, anche ora!” Mi si è
gelato il sangue e ho capito che non potevo più ignorare
la realtà. Questa storia, che avevo voluto leggera come
una brezza estiva, si era trasformata in una tempesta. E
io, che avevo sempre navigato con maestria tra i miei
flirt impalpabili, mi sentivo improvvisamente in balia
di qualcosa che non controllavo più. Gliel’ho detto
senza giri di parole, con una fermezza che mi costava
fatica ma che sentivo necessaria. “Federico, dobbiamo
smettere di vederci.” In un tratto il mio salotto,
le luci soffuse, il panorama su Roma, il jazz in
sottofondo, i calici di vino rosso mi sono sembrati
fuori posto e tutto era diventato una scenografia
sbagliata. “Non è più un gioco.” Ho continuato con la
morte nel cuore. “Non provo quello che provi tu. Non
l’ho mai provato. E tu hai una vita, un matrimonio, una
donna che ti aspetta. Non posso essere quella che rovina
tutto.” Le mie parole erano dure, ma sincere. Ero
spaventata, sì, ma non solo da lui. Ero spaventata da me
stessa, dal fatto che una parte di me si sentiva
lusingata dalle sue parole, dal suo bisogno di me. E
questo mi terrorizzava più di ogni altra cosa.
Ma
Federico non sentiva ragioni. I suoi occhi, che una
volta mi avevano conquistata, ora bruciavano di
un’intensità che mi metteva a disagio. “Sonia, tu non
capisci.” Ha detto, avvicinandosi a me con un passo che
sembrava quasi disperato. “Non è solo sesso. Non è mai
stato solo quello. Io sono innamorato di te. Voglio
vivere con te.” Quelle parole mi hanno colpita come uno
schiaffo. “Tu sei pazzo.” Ho risposto, alzando una mano
per fermarlo, per mettere una distanza fisica che
rispecchiasse quella emotiva. “Hai 29 anni, Federico.
Hai una compagna, un matrimonio già fissato. Non puoi
buttare tutto all’aria per… per cosa? Per me? Non ha
senso.” Ma lui non si arrendeva. “Sei tu la mia donna.
Basterebbe un tuo cenno, Sonia. Un tuo sì, e lascio
tutto. Anche ora.” Quelle parole ripetute, “anche ora”,
mi risuonavano nella testa come un’eco ossessiva. Erano
il peso, la responsabilità il terrore di perdere me
stessa, che si lascia trascinare in un dramma che non le
appartiene.
******
Le sere successive
sono state un incubo. Federico non si arrendeva. Ogni
sera, quando tornavo a casa dal lavoro, lo trovavo lì,
sotto il mio palazzo, appoggiato alla sua macchina o
seduto su una panchina, con quell’aria di chi aspetta
qualcosa che non può avere. “Sonia, parlami.” Diceva,
con una voce che oscillava tra la supplica e la
determinazione. “Non posso andare avanti senza di te.”
Io scuotevo la testa, cercando di mantenere la mia
compostezza. “Federico, smettila.” Rispondevo, con un
tono che volevo fosse fermo ma che tradiva la mia
stanchezza. “Pensa a lei. Pensa al tuo matrimonio, pensa
ai figli che avrete, io non posso darti neanche quelli!
Ma lui non ascoltava. Mi seguiva con lo sguardo mentre
entravo nel portone, e a volte sentivo il suo messaggio
arrivare pochi minuti dopo: “Non posso smettere di
pensarti. Sei tutto per me.” Ma io non volevo essere
“tutto” per lui, la sua musa, la sua dipendenza. Io ero
Sonia, 54 anni, single per scelta, una donna che amava
la sua libertà sopra ogni cosa.
Una sera, dopo
l’ennesima discussione sotto il mio palazzo, ho perso la
pazienza. “Federico, basta!” Ho detto, alzando la voce
più di quanto volessi. “Non sono la tua donna. Non lo
sarò mai. Vai da lei e lasciami in pace.” Lui mi ha
guardata, con gli occhi lucidi, e per un momento ho
pensato che stesse per piangere. “Non capisci, Sonia. La
mia non è una scelta. È quello che sento.” Ho scosso la
testa, sentendo una stretta al cuore. “Allora è un tuo
problema, non mio.” Ho risposto, e sono entrata nel
portone senza voltarmi indietro.
******
Non era facile, ma non potevo continuare a essere il
centro della sua ossessione, né volevo rischiare di
perdere me stessa in quel vortice che aveva smesso di
essere un gioco. Così, quando mi è stato offerto un
progetto a Milano – un incarico di tre mesi per gestire
le relazioni con un gruppo di investitori internazionali
– l’ho accettato senza esitazione. Non gli ho detto
nulla. Nessun messaggio, nessuna spiegazione. Ho spento
il mio telefono personale, usando solo quello aziendale
che Federico non conosceva, e sono partita per Milano
con la speranza che la distanza facesse ciò che le mie
parole non erano riuscite a fare: riportarlo alla sua
vita, alla sua compagna, al suo matrimonio. E,
soprattutto, liberarmi da quel peso che non avevo
chiesto di portare.
A Milano, i giorni scorrevano
veloci, pieni di riunioni, cene di lavoro e nuove sfide.
La città, con il suo ritmo frenetico e il suo cielo
grigio, era l’antitesi di Roma: fredda, pragmatica,
senza spazio per le distrazioni. Mi ci sono buttata a
capofitto nel lavoro, cercando di lasciarmi alle spalle
il ricordo delle notti con Federico, dei suoi sguardi,
delle sue parole che ancora mi risuonavano nella testa
come un’eco. “Sei tu la mia donna.” “Basterebbe un tuo
cenno.”
Ogni tanto, nelle sere più silenziose,
quando ero sola nel mio appartamento temporaneo vicino
al Duomo, mi ritrovavo a pensare a lui. Non era
nostalgia. Era più una curiosità, un misto di sollievo e
inquietudine. Mi chiedevo se la mia assenza lo avesse
finalmente spinto a voltare pagina, a tornare alla sua
vita, a sposare la sua compagna come aveva pianificato.
Il giorno del suo matrimonio, che sapevo essere passato
durante quei tre mesi, mi era sembrato una sorta di
confine: una linea che, una volta superata, avrebbe
chiuso definitivamente questa storia.
Ma Roma,
come sempre, aveva altri piani. La sera in cui sono
tornata, dopo tre mesi di silenzio, l’ho trovato lì,
sotto il mio palazzo, seduto su un muretto come un
naufrago che aspetta una nave che non arriva. Non era il
Federico che conoscevo. I capelli spettinati, la camicia
sbottonata, gli occhi cerchiati: sembrava un cane
bastonato, un uomo che aveva perso la sua vitalità.
Stentavo a riconoscerlo. Il ragazzo sicuro di sé, con
quel sorriso magnetico che mi aveva conquistata al
convegno, era sparito. Al suo posto c’era qualcuno di
fragile, consumato, come se quei tre mesi lo avessero
svuotato. “Sonia.” Ha detto, alzandosi dal muretto con
un movimento lento, quasi esitante. “Sei tornata.”
Non so cosa mi abbia colpita di più: il suo aspetto,
la sua voce rotta, o il fatto che fosse lì, dopo tutto
quel tempo, come se non si fosse mai mosso. Ho sentito
un nodo stringermi lo stomaco, un misto di sorpresa,
colpa e quella stessa paura che mi aveva spinta a
partire. “Che ci fai qui?” Ho chiesto, cercando di
mantenere un tono neutro. Non ha risposto subito. Mi ha
guardata, con quegli occhi che sembravano cercare
qualcosa: “Non ho mai smesso di pensarti. Ogni giorno,
ogni ora, ogni momento, eri qui con me.” Quelle parole
non erano la dichiarazione appassionata di un amante,
erano il lamento di un uomo che sembrava perso, come se
la mia assenza lo avesse lasciato alla deriva.
Siamo saliti nel mio appartamento in silenzio, con il
rumore dei nostri passi sulle scale che sembrava
amplificare la tensione. Non volevo invitarlo, ma non
potevo lasciarlo lì, sotto il mio portone. Una volta
dentro, Federico si è seduto sul divano, con le spalle
curve, come se portasse un peso invisibile. “Non mi sono
sposato.” Ha detto all’improvviso, senza guardarmi. “Non
potevo… Non ce l’ho fatta.”
Quelle parole mi
hanno gelata. Non mi ero mai considerata una donna
capace di sconvolgere la vita di qualcuno, ma solo di
renderla leggera offrendo le mie grazie per un momento
d’amore. Eppure eccolo lì, davanti a me, un uomo che
aveva rinunciato al suo futuro, a una moglie, a una
famiglia, a dei figli, per un’ossessione. “Ti avevo
detto di andare avanti, di pensare a lei, alla tua vita.
Perché non l’hai fatto?” Lui ha alzato lo sguardo
guardandomi come se fossi l’unica cosa al mondo. “Perché
non posso. Tu sei ovunque, Sonia. Nel mio caffè la
mattina, nelle strade che cammino, nei sogni che faccio.
Non posso vivere senza di te.”
Ho sentito
un’ondata di emozioni contrastanti: rabbia, per il modo
in cui mi stava caricando di una responsabilità che non
volevo; colpa, per aver permesso a questa storia di
arrivare a quel punto; e una sorta di tristezza, per
l’uomo che avevo davanti, così diverso dal ragazzo che
mi aveva conquistata mesi prima. “Federico, io non sono
la tua donna, non lo sono mai stata. Quello che c’era
tra noi era un momento, una passione. Non un amore, non
una vita insieme. Non puoi buttare via tutto per me.” Ma
lui ha scosso la testa, con un sorriso amaro. “Non è una
scelta, Sonia. È quello che sento. E non posso farci
niente.”
Eravamo seduti sul divano, lo stesso
divano che mesi prima aveva ospitato le nostre notti di
passione. Ma ora tutto era diverso. “Ho lasciato tutto
per te, Sonia. Ho detto a lei: ‘Scusa, ma mi sono
innamorato perso di una donna meravigliosa.’ Sono
tornato a vivere dai miei genitori. Questa è la prova
del mio amore infinito per te!” Le sue parole avevano un
tono epico, come se fossimo i protagonisti di una serie
drammatica, arrivati all’ultima scena di un finale
struggente. Credeva davvero che quel gesto fosse la
prova regina, il sacrificio supremo che mi avrebbe fatta
cedere. Nei suoi occhi c’era una luce febbrile, un misto
di speranza e disperazione, come se si aspettasse che
io, colpita dalla grandezza del suo gesto, gli gettassi
le braccia al collo e dicessi: “Sì, Federico, anch’io ti
amo.” Ma non era così. Non lo era mai stato. E in quel
momento, per la prima volta, ho visto oltre il fascino,
oltre la sicurezza, oltre la passione che mi aveva
travolta mesi prima. Ho visto un ragazzo, un ragazzo
giovane e incosciente, che aveva confuso una passione
travolgente con un amore destinato a cambiare la sua
vita.
Ho preso la sua mano, stringendola forte,
come se quel gesto potesse trasmettergli la chiarezza
che le mie parole cercavano di comunicare. Lo guardavo,
e per la prima volta il mio sguardo non era quello di
una donna desiderata, né quello di un’amante che gioca
con il fuoco. Era uno sguardo materno, caldo ma fermo,
il tipo di sguardo che si riserva a qualcuno che ha
bisogno di essere guidato, non sedotto. “Federico…” Ho
detto lentamente, scegliendo ogni parola con cura. “Non
possiamo stare insieme. E io ho sbagliato, ho sbagliato
a non fermare tutto quando ho visto le prime avvisaglie.
Avrei dovuto essere più chiara, più decisa.”
Lui
mi ha guardata, con un’espressione che oscillava tra
l’incredulità e il dolore. “Sonia, ho lasciato tutto per
te. Tutto. Non capisci cosa significa?” Ho scosso la
testa, sentendo una stretta al cuore. “Capisco,
Federico. E proprio per questo dobbiamo finire qui. Tu
potrai recuperare la tua vita perché io non sono la
donna che immagini, non sono il tuo ‘amore infinito’.
Sono una donna che ha voluto un momento di passione,
un’avventura, niente di più. E tu meriti di più di
questo. Meriti una vita che non sia costruita su
un’illusione.”
Le mie parole sembravano cadere
nel vuoto. Federico ha abbassato lo sguardo, stringendo
la mia mano come se fosse l’ultima cosa che lo tenesse
ancorato a qualcosa. “Non è un’illusione. Tu sei tutto
per me.” Ma io non volevo essere “tutto” per lui. E
soprattutto, non avrei voluto essere responsabile del
suo dolore. Ma mentre lo guardavo sentivo una fitta di
colpa. “Tu hai 29 anni. Hai tutta una vita davanti. Hai
fatto un gesto impulsivo, ma non è troppo tardi per
tornare indietro, per ricostruire quello che hai rotto.
La tua compagna, la tua casa, il tuo futuro, tutto
questo è ancora lì, se lo vuoi. Ma non con me. Io non
sono la risposta ai tuoi sogni. Sono solo una donna che
ha incrociato la tua strada, e ora deve lasciarti
andare.” Ho lasciato la sua mano, lentamente, come se
quel gesto segnasse la fine di qualcosa. Lui mi ha
guardata, con gli occhi lucidi, e per un momento ho
temuto che scoppiasse a piangere. Ma non l’ha fatto. È
rimasto in silenzio, con le spalle curve, come se il
peso delle mie parole lo stesse schiacciando.
L’atmosfera era soffocante. Mi sono alzata, andando
verso il balcone per prendere una boccata d’aria, per
sfuggire a quell’intensità che mi stava soffocando.
Federico non si è mosso. “Non so come fare senza di te.”
Ha detto piano, e quelle parole mi hanno colpita come
una lama. Non perché ci credessi, ma perché capivo che
lui ci credeva. E questo mi spaventava più di ogni altra
cosa. Non volevo essere la donna che distrugge, ma non
volevo nemmeno essere la donna che salva. Volevo solo
essere Sonia, libera, indipendente, fedele a me stessa.
“Devi imparare.” Ho risposto, senza voltarmi.
“Perché io non sarò mai quella che pensi.” Sono rimasta
lì, a guardare i tetti di Roma. Sapevo che quel momento
era la fine, non solo della nostra storia, ma di
qualsiasi illusione che Federico potesse aver avuto. E
mentre sentivo i suoi passi verso la porta, mentre
sentivo il rumore del portone che si chiudeva dietro di
lui, ho provato un misto di sollievo e tristezza.
Sollievo, perché avevo protetto la mia libertà.
Tristezza, perché sapevo che questa storia mi avrebbe
lasciata cambiata, anche se non volevo ammetterlo.
******
Sono passati tre giorni
dall’ultima sera e mentre scrivo lui è lì, ancora lì,
seduto su quel muretto sotto il mio palazzo, con le
spalle curve e lo sguardo perso nel vuoto, solo come un
cane che aspetta la sua padrona. Ogni volta che lo
guardo sento una fitta. Lui non dice una parola, non mi
manda messaggi. Non ha bisogno di parlare: la sua
presenza è un grido silenzioso, un’implorazione che non
so come ignorare. Ma so che devo. Guardo fuori dalla
finestra, con il quaderno aperto sulle ginocchia e la
penna che trema tra le dita. Mi fa pena, per la sua
giovinezza, per la sua incoscienza, per il dolore che si
è inflitto inseguendo un sogno che non esiste. Vorrei
scendere, chiamarlo, sorridergli come facevo nei primi
tempi. Vorrei accoglierlo tra le mie braccia, lasciarmi
andare al calore di un momento che so sarebbe
meraviglioso, come lo sono stati tutti i nostri momenti.
Ma so cosa succederebbe. Gli darei l’illusione che
qualcosa possa cambiare, che io possa essere la donna
che lui immagina: la musa, l’amore infinito, la risposta
a tutte le sue domande. E non lo sono. Non posso essere
quella donna, perché significherebbe rinunciare a me
stessa, alla mia leggerezza, alla mia indipendenza. E
questo è un prezzo che non sono disposta a pagare, né
per lui né per nessun altro.
Chiudo il quaderno,
poso la penna, e mi alzo per andare al balcone. Lo
guardo un’ultima volta. Poi spengo la luce, chiudo le
tende, e mi allontano dalla finestra. Non scenderò da
lui. Non lo chiamerò. Non gli sorriderò. Perché so che
l’unico modo per aiutarlo, per aiutarmi, è lasciarlo
andare. Lasciarlo al suo dolore, alla sua confusione,
alla sua vita che deve ricostruire senza di me. La
Sonia che ha accettato la sua corte mesi fa, quella che
si è lasciata travolgere dalla passione, è ancora qui,
ma ora è più saggia. Ha imparato che anche il fuoco più
bello può bruciare, se non lo tieni a bada. E mentre
Roma dorme fuori dalla mia finestra, so che questa
storia è finita. Non perché Federico smetterà di
aspettarmi sotto casa – forse lo farà ancora per giorni,
forse per settimane – ma perché io ho scelto me stessa.
Ho scelto la mia libertà, la mia leggerezza, la mia vita
senza legami. E anche se il mio cuore piange per lui so
che è la scelta giusta. Per me. Per lui. Per la donna
che sono e che sarò sempre.
|
Questo racconto è opera di pura
fantasia. Nomi, personaggi e luoghi sono frutto
dell’immaginazione dell’autore e qualsiasi
somiglianza con fatti, scenari e persone è del
tutto casuale.
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RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
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