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Adamo Bencivenga
SINGLE AD OGNI COSTO
Un erotico inno alla leggerezza femminile, tra desiderio travolgente e addio inevitabile. Sonia, 54enne manager indipendente, si lascia sedurre dalla passione con Federico, affascinante 29enne, in un turbine di notti ardenti.
Ma quando lui lascia tutto per lei, sconvolgendo la propria vita, Sonia difende la sua libertà ferrea, scegliendo se stessa sopra ogni legame.




 
Ho conosciuto Federico circa sei mesi fa, durante un convegno organizzato dalla mia banca, lui era ospite esterno come rappresentante di una nota società di investimenti estera. Ero seduta tra i colleghi, immersa in un’atmosfera formale fatta di discorsi tecnici e presentazioni, quando lui è salito sul palco. Non so dire esattamente cosa mi abbia colpita: forse il suo aspetto, così giovane e curato, o quelle mani sensuali che sembravano catturare ogni sguardo nella sala.

Aveva 29 anni mentre io ne ho 54 eppure in quel momento non riuscivo a distogliere gli occhi. Ero lì, tra il pubblico, con il mio tailleur da donna in carriera, in un ruolo che di solito mi fa sentire sicura, a mio agio. Ma quando Federico ha preso la parola, qualcosa in me si è acceso. Era bello, sì, ma non era solo questo. Parlava con competenza e c’era un’energia in lui, una sicurezza naturale che rendeva ogni suo gesto magnetico.

Su quel palco, sembrava quasi irraggiungibile, una figura che incarnava qualcosa di nuovo ed io con i miei 54 anni, mi sono ritrovata a chiedermi cosa stessi provando. Era attrazione? Curiosità? O forse solo la sorpresa di sentirmi donna vera in un momento che avrebbe dovuto essere solo lavoro.

Quando il suo intervento è finito, la sala è esplosa in un applauso. Ho battuto le mani anch’io, ma dentro di me c’era un tumulto di pensieri. Mi sono chiesta se avrei avuto il coraggio di avvicinarmi e scambiare qualche parola. Lui è sceso dal palco, sorridente, stringendo mani e rispondendo a domande con quella disinvoltura che mi aveva già conquistata. Per un attimo, i nostri sguardi si sono incrociati. È stato solo un istante. Il suo sorriso era caldo, diretto, e per un secondo ho pensato che fosse rivolto proprio a me.

Quando ci siamo trasferiti nell'hall dell'albergo, durante il buffet con la sala piena di colleghi e ospiti, l’ho visto, a pochi metri da me. Con un calice di vino in mano ho cercato di mantenere la mia solita compostezza professionale. Ma lui ha iniziato a fissarmi. Non era uno sguardo casuale, di quelli che si scambiano per caso e poi si dimenticano. Era insistente, diretto. I suoi occhi, di un colore che non riuscivo a distinguere sotto le luci soffuse dell’hall, sembravano inchiodarmi.

Mi sono sentita travolta da una strana sensazione, un misto di emozioni che non riuscivo a decifrare del tutto. Da una parte, c’era l’eccitazione di sentirmi osservata da un uomo così giovane e magnetico, dall’altra, però, un forte imbarazzo che mi stringeva lo stomaco. Mi chiedevo cosa vedesse in me, una donna di 54 anni in un contesto in cui ero abituata a essere vista soltanto per il mio ruolo. Mi sentivo esposta, ma allo stesso tempo viva come non mi capitava da tempo.

Ho cercato di concentrarmi sul buffet, prendendo un piatto e fingendo di essere disinvolta, ma il suo sguardo non mi lasciava. Ogni tanto alzavo gli occhi, e lui era ancora lì, con un mezzo sorriso che sembrava dire più di quanto le parole potessero esprimere. Non so se fosse il contesto o il suo modo di fare, ma qualcosa in me stava cambiando. Nonostante la differenza di età, nonostante il mio ruolo nella banca, nonostante tutto quello che mi diceva di mantenere le distanze, mi sentivo attratta da lui. Era un’attrazione fisica, certo, ma anche la curiosità di scoprire chi fosse davvero e cosa lo spingesse a guardarmi in quel modo.


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Poi, è successo. Federico si è avvicinato, con passo deciso, come se sapesse esattamente cosa stava facendo. Ha preso un bicchiere dal tavolo accanto a me e, con una scusa che ora mi sembra quasi comica nella sua semplicità, mi ha chiesto: “Scusa, posso chiederti che ruolo occupi nella banca? Ho notato che eri molto attenta durante il mio intervento.” Ho risposto, cercando di mantenere il tono professionale: “Sono responsabile delle relazioni con i clienti istituzionali.” Ma le parole mi uscivano a fatica e la verità è che non stavo davvero pensando a cosa dicessi. Ero troppo concentrata su di lui. In quel momento, ho capito che sarebbe successo qualcosa. Non so cosa, ma qualcosa sarebbe successo. C’era un’energia tra noi, una tensione che non potevo ignorare. Mi sentivo come se stessi camminando su una corda tesa, tra il desiderio di essere più accattivante e la paura di ciò che avrebbe potuto significare. Lui era lì, giovane, affascinante, con quel modo di fare che sembrava promettere tutto e niente allo stesso tempo. E io, a 54 anni, mi sentivo quasi ridicola ritrovandomi a chiedermi quale sarebbe stata la sua prossima mossa…

Sono sempre stata una donna riservata, con uno spirito libero che mi ha guidata per tutta la vita. Non mi capita spesso di provare un’attrazione così forte, di quelle che ti fanno quasi perdere l’equilibrio. Single per vocazione, ho i miei flirt, le mie serate piccanti, i momenti in cui mi lascio andare al gioco della seduzione, ai sottintesi che portano a una notte di passione. Ma ho sempre avuto una regola ferrea: leggerezza. Nessun coinvolgimento sentimentale, nessuna promessa. Mi piace il brivido di una serata in cui tutto è possibile, in cui uno sguardo o un sorriso può accendere qualcosa, ma la mattina voglio svegliarmi da sola, nel mio letto, con la mia indipendenza immacolata.
È per questo che non mi sono mai sposata, che a 54 anni custodisco gelosamente la mia libertà, come un tesoro che nessuna relazione, per quanto intensa, per quanto travolgente potrà mai portarmi via.

Eppure, quella mattina, Federico mi stava mettendo alla prova. Mi sentivo desiderata, e quella sensazione mi elettrizzava, ma allo stesso tempo mi imbarazzava. Io, che di solito controllo ogni situazione, che so come gestire un flirt senza perdere il comando, mi ritrovavo improvvisamente fragile. La differenza di età rendeva tutto più complicato, più carico di significato. Cosa vedeva in me oltre le rughe?

“Mi piacerebbe saperne di più. Magari davanti a un caffè, lontano da tutto questo.” Eccola la frase che non mi aspettavo! Immaginavo già il brivido di una conversazione che si fa sempre più intima, di sguardi che si intrecciano, di una notte che avrebbe potuto essere indimenticabile. Ma Federico era diverso non era come i miei partner occasionali, quelli con cui condividevo una serata e poi sparivo. E quella parte di me, quella che protegge la mia indipendenza con le unghie e con i denti, mi gridava di fare un passo indietro. Ho sorriso, un sorriso che speravo fosse disinvolto, e ho risposto: “Un caffè potrebbe essere interessante, ma sono una donna impegnata.” Una risposta evasiva, un modo per tenere le distanze senza chiudere del tutto la porta. Lui ha riso, una risata leggera, come se capisse il gioco ma non fosse pronto a ritirarsi. “Capisco.” Ha detto. “Ma non si sa mai...”

Davanti a quel buffet abbiamo continuato a parlare e a ridere e poi nel momento di salutarci mi ha chiesto il numero di telefono. Senza pensare ho accettato. Andando via ho scosso la testa: "Sonia, ma è possibile? È un ragazzino dai! Non fa per te!" Ma quel suo sguardo diceva qualcosa di diverso, il sottile corteggiamento, il modo in cui mi guardava che sembrava mangiarmi con gli occhi!

Non lo nascondo, ci ho pensato per tutta la notte e continuavo a rivedere il suo sorriso, quel modo di guardarmi che mi faceva sentire desiderata. Mi chiedevo cosa ci fosse di diverso in lui. I suoi 29 anni, la sua sicurezza, il suo modo di sfiorare il confine tra cortesia e malizia.

La mattina dopo, era sabato, ho acceso il telefono e ho trovato un messaggio su WhatsApp. Tanti cuoricini discreti, quasi timidi, e un invito: “Ti andrebbe un aperitivo? Solo noi due, qualcosa di tranquillo.” Il mio cuore ha fatto un balzo. Non ho esitato a rispondere: “Sì.” Subito dopo, però, il mio primo pensiero è stato: “Come mi presento? Cosa indosso?” Non volevo sembrare troppo disponibile, troppo evidente nel mio desiderio di piacergli. Non volevo che pensasse che fossi una donna che si getta ai suoi piedi solo perché è giovane e affascinante.
Allo stesso tempo, non volevo nemmeno presentarmi come un’anonima cinquantenne, una che si nasconde dietro i suoi anni, come se il tempo mi avesse tolto il diritto di sentirmi desiderabile. Dovevo trovare un equilibrio, un modo per essere me stessa: elegante, sicura, ma con quel pizzico di mistero che lasciasse a lui il compito di fare il prossimo passo.

Ho passato la mattinata davanti all’armadio, provando e scartando outfit con una cura che non mi riconoscevo. Un vestito nero attillato? Troppo audace, troppo scontato. Un tailleur? Troppo rigido, troppo da ufficio. Alla fine, ho scelto una mise che mi sembrava perfetta: un abito a colori pastello, morbido, che scivolava sulle curve senza stringerle, con una gonna che si fermava appena sopra il ginocchio. Ho aggiunto un cappello di paglia a falde larghe, un tocco eccentrico ma sbarazzino, che mi dava un’aria rilassata, ma non banale. Guardandomi allo specchio, ho pensato: “Non è il massimo della sensualità, ma non è questo il punto.” Il mio intento non era conquistarlo a tutti i costi. Volevo che fosse lui a scegliere, a fare un passo verso di me. Io, ovviamente, ci sarei stata. Ma alle mie condizioni, con la mia leggerezza, senza rinunciare a quella libertà che ho sempre protetto.


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Appuntamento da Giolitti all’eur. Federico era già lì, seduto a un tavolino vicino al laghetto, con una camicia bianca aperta sul collo e un’aria rilassata che lo rendeva ancora più irresistibile. Era una bellissima giornata di sole di dicembre e il clima gradevole. Quando mi ha vista, si è alzato, con quel sorriso che mi aveva già conquistata al convegno. “Sei… diversa.” Ha detto, e c’era una nota di ammirazione nella sua voce. “Diversa in senso buono, spero…” Ho risposto, con un sorriso che speravo fosse disinvolto.

Davanti a due spritz abbiamo cominciato a conoscerci. La conversazione è iniziata leggera, quasi banale: il convegno, il suo lavoro, qualche aneddoto sulla banca. Ma c’era qualcosa nei suoi occhi, un’intensità che rendeva ogni parola più carica di significato. Ogni tanto, le nostre mani si sfioravano sul tavolo, e io sentivo un brivido che cercavo di ignorare. Mi raccontava del suo ultimo viaggio a Londra, della sua passione per il surf, e io mi ritrovavo a ridere, a sentirmi più giovane, più leggera.

Ed è lì che mi ha detto che aveva una compagna coetanea, che vivevano insieme e che avevano già fissato il giorno delle nozze. Non so cosa mi aspettassi, in fondo non cercavo una storia seria, ma quella rivelazione mi ha colpita più di quanto volessi ammettere. Non era solo la sua giovane età a dividerci, adesso c’era anche lei, una donna della sua età, una compagna che condivideva la sua vita. Ho sorriso: “Congratulazioni.” Ho detto con un tono leggero, ma dentro di me, qualcosa si stava incrinando. Non era gelosia. Era l’idea di lui, così giovane, così desiderabile, già legato a qualcun’altra, mi faceva sentire… Respinta. Superata. Vecchia. O forse semplicemente fuori posto.

Lui attento ad ogni mia minima espressione mi guardava. “Non fraintendermi.” Ha detto, come se avesse letto i miei pensieri. “Sono qui perché… sei diversa. Sei una donna speciale.” Ma in quel momento, con Federico di fronte a me, mi sentivo come se stessi combattendo una battaglia che non avevo previsto. Per portarmelo a letto non dovevo solo affrontare la differenza di età, il suo carisma, la mia paura di perdere il controllo ma anche competere con una lei, una donna giovane, probabilmente bella, che condivideva con lui una vita che io non avrei mai voluto e che per mia scelta mai avrei potuto offrirgli. E forse, in fondo, era proprio questo a bruciare: il fatto che, per la prima volta, mi sentivo come se stessi inseguendo qualcosa che non potevo avere.

“Non sembri sorpresa.” Mi ha detto Federico, inclinando la testa con quel suo sorriso che mi faceva impazzire. “Non proprio, ma ammetto che non me l’aspettavo. Non credevo che un futuro sposo corteggiasse una donna come hai fatto tu!”
Lui ha riso: “Ma sai, non è tutto così semplice come sembra.” Ha detto, abbassando lo sguardo per un momento. Poi ha subito rilanciato: “E tu cosa desideri?” Mi sono appoggiata allo schienale della sedia e ho deciso di giocare le mie carte. “Voglio divertirmi. Voglio sentirmi viva, senza complicazioni.” L’ho visto incuriosito. E da quel momento ha voluto sapere tutto di me, della mia vita, del mio essere single alla mia età e alla fine ho dedotto che era davvero interessato a me. In quel momento avrei voluto uno specchio e guardare cosa di me lo attrasse, non certo le rughe. Insomma sentivo che gli piacevo e nei discorsi successivi ho tenuto ben in chiaro la mia intenzione di non impegnarmi, e tanto meno con un ragazzo di 29 anni a pochi mesi dal matrimonio. Lui annuiva e mi è sembrato sincero anche perché pensavo sarebbe stato fuori di testa da parte sua pensare ad una vera e propria relazione con 25 anni e dico 25 di differenza.


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Due giorni dopo il nostro aperitivo da Giolitti, mi ha scritto di nuovo. Un messaggio diretto senza esitazioni: “Passo a prenderti sotto l’ufficio domani sera, verso le 18:30. Ti va una passeggiata?” Il brivido di rivederlo, di ritrovarmi di nuovo sotto il suo sguardo, era più forte di qualsiasi cautela. Non ho esitato a rispondere di sì.
Quando sono scesa dall’ufficio, lui era lì, appoggiato con noncuranza al tronco di un pino. Con un accenno di barba incolta, indossava un cappotto blu scuro, con il colletto alzato contro il fresco di dicembre, una specie di Alain Delon, bello e maledetto. I suoi occhi mi hanno trovata subito. “Sonia sei bellissima!” Ha detto con quel sorriso che ormai conoscevo fin troppo bene. Imbarazzata ho risposto: “Dove mi porti?”

Abbiamo iniziato a camminare lui con le mani in tasca, ogni tanto i nostri gomiti si sfioravano, un contatto casuale, ma fortemente voluto. Parlavamo di tutto e di niente: delle luci natalizie che iniziavano a decorare Piazza di Spagna, del profumo di caldarroste che si spandeva nell’aria, di un quadro che aveva visto il giorno prima in una galleria e che gli aveva fatto pensare a me. “Un dipinto di Klimt, il ritratto di una donna forte che ha deciso di essere se stessa, ma con uno sguardo che nasconde un segreto.” Mi sono chiesta se stesse davvero parlando del quadro o di me.
La passeggiata ci ha portati verso Via di Ripetta, ci siamo fermati davanti a un piccolo ristorante, con un’insegna discreta che prometteva cucina romana autentica. “Ti va di provare questo posto?” Ha chiesto, con un tono che sembrava lasciare poco spazio al rifiuto. Non avevo previsto una cena ma ho annuito, e mentre entravamo, ho sentito una vampata di calore: non solo per il tepore del locale, ma per la consapevolezza che quella serata stava prendendo una piega diversa, più intima, più pericolosa.

Il ristorante era piccolo, con tavoli di legno scuro. Ci siamo seduti in un angolo, vicino a una finestra che dava sulla strada. Federico non smetteva di guardarmi: “Sai… C’è qualcosa nel tuo sguardo che mi intriga, non so… come un enigma che vorrei risolvere.” Ho sorriso, cercando di mantenere il controllo. “Un enigma, eh? Attento, potresti scoprire che sono una donna che ama essere corteggiata, ma fondamentalmente ama la sua libertà.” Dentro di me sapevo che quelle parole erano solo un modo per aprire un varco ed avere una conferma per il dopocena. Lui ha riso, una risata bassa, quasi complice, e ha alzato il calice per un brindisi. “Alla libertà, allora.”

La cena è stata un gioco di equilibri. Parlava del suo lavoro, dei viaggi che lo portavano in giro per il mondo, della sua passione per il rischio. Io raccontavo aneddoti della mia carriera, frammenti della mia vita da single, sempre attenta a non rivelare troppo, a non lasciargli intravedere quanto mi sentissi attratta da lui. Ma ogni tanto, i nostri sguardi si incrociavano, e in quei momenti quel piccolo locale sembrava restringersi ancora di più a noi due. Il sapore della cacio e pepe, il vino che mi scaldava il petto, il suono della sua voce: tutto contribuiva a creare una bolla in cui il resto, la sua compagna, la differenza d’età, il matrimonio prossimo, sembrava svanire.

Non lo nego mi sentivo bene. C’era una parte di me che già assaporava il “dopo cena”, che immaginava come sarebbe stata la notte insieme a lui. Quando Federico si sporgeva verso di me o quando le sue dita sfioravano le mie sentivo un brivido che non aveva nulla a che fare con il freddo di dicembre. Mi vedevo riflessa nei suoi occhi, non la donna di 54 anni con una carriera solida e una vita costruita, ma una ragazzina desiderabile, viva, capace di accendere qualcosa in un uomo come lui.
Quando abbiamo finito di cenare, il cameriere ha portato via i piatti, e Federico ha proposto di continuare la serata altrove: “C’è un posto qui vicino un bar con una vista pazzesca sul Tevere. Ti va?” Il suo tono era casuale, ma i suoi occhi dicevano altro.

In quel momento, con il vino che mi scaldava le vene, il suo sorriso che mi sfidava e una vocina interna che mi esortava ad essere più audace ho detto: “Si farebbe troppo tardi… Ti va di bere qualcosa a casa mia? Ti assicuro che Roma è molto più bella dal mio balcone!” Del resto non volevo un altro locale, non volevo il rumore di un bar o la distanza di un tavolino. Volevo lui, e lo volevo in quell’istante. Il suo sorriso si è allargato, lento e complice, come se avesse aspettato tutto il tempo quella frase. “Mi piace l’idea.” Ha risposto, e in quel momento ho capito che stavamo oltrepassando un confine da cui non si torna indietro.


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Il tragitto verso casa mia è stato un misto di silenzio carico di tensione e chiacchiere leggere per sciogliere l’attesa. Sentivo un fuoco che non riuscivo a spegnere. A 54 anni, pensavo di conoscere ogni sfumatura del desiderio, ma c’era qualcosa di diverso in quella notte, qualcosa che mi faceva sentire come se stessi riscoprendo una parte di me che avevo dimenticato. Arrivati a casa mia ho acceso solo poche luci, lasciando che l’atmosfera fosse intima senza essere troppo studiata. Ho aperto una bottiglia di Brunello, e mentre versavo il vino nei calici, sentivo il suo sguardo su di me, come se stesse già immaginando cosa sarebbe successo.

“Bel posto.” Ha detto avvicinandosi al balcone per guardare la città. “Ma sai, non è Roma che mi interessa stasera.” Non ricordo esattamente come siamo passati dal balcone al divano. È stato un fluire naturale, come se ogni gesto, ogni sguardo, ogni parola fosse un passo verso l’inevitabile. Mi sono allontanata un attimo, con una scusa qualsiasi, sono andata in bagno e ho indossato una négligé di seta con abbinata la lingerie che avevo scelto con cura sin dalla mattina: un completo di pizzo nero, audace, ma elegante, che esaltava le mie curve.

Quando sono tornata, Federico era seduto sul divano, con il bicchiere di vino in mano e un’espressione che oscillava tra la sorpresa e la fame. “Sonia…” Ha detto, trattenendo il respiro, come se il mio ingresso gli avesse tolto ogni parola. “Non ho mai visto niente di più sensuale in vita mia.” Le sue parole erano un misto di adorazione e desiderio, e in quel momento mi sono sentita potente, desiderata, viva.

Ci siamo avvicinati, e quando le sue mani hanno sfiorato la mia pelle, ho sentito un’energia che non provavo da anni. È stato meraviglioso. Federico era un misto di entusiasmo giovanile e una devozione quasi reverenziale, come se fossi una musa che incarnava un sogno che aveva coltivato fin da adolescente. Ogni suo tocco era deciso, ma attento, come se volesse memorizzare ogni curva, ogni dettaglio di me. Niente era scontato. Mi sussurrava frasi che mi facevano quasi ridere per la loro intensità: “Nessuna è come te, Sonia. Nessuna vale un’unghia del tuo dito mignolo.” Quelle parole mi accendevano, mi lusingavano, ma allo stesso tempo suonavano come una nota stonata. Non perché non le credessi, ma perché mi riportavano alla realtà. C’era una compagna nella sua vita, una donna che condivideva il suo quotidiano, che aveva un posto che io non volevo e non avrei mai voluto occupare.

Dal canto mio, l’ho accolto con tutta l’ospitalità che si riserva a un ospite gradito. Non c’erano tappeti rossi o candele accese, ma c’era la mia passione, la mia sicurezza, il mio desiderio di vivere quel momento senza riserve. La lingerie di pizzo nero non era solo un capo d’abbigliamento: era una dichiarazione, un modo per dire “Sono qui, sono io, e sono pronta a prendere ciò che voglio.” E l’ho fatto. Quella notte è stata un vortice di sensazioni: il calore della sua pelle, il ritmo del suo respiro, la potenza del maschio, la sensazione di essere al centro del suo mondo. Non era solo il piacere fisico, anche se quello era travolgente. Era il senso di essere vista non come una donna di 54 anni, ma come una donna, punto. Una donna che poteva ancora accendere un fuoco, che poteva ancora sorprendere e sorprendere se stessa.

Eppure, anche in mezzo a quell’estasi, c’era una parte di me che non smetteva di pensare. Mentre Federico era dentro di me, mentre il suo sesso travalicava ogni confine e le sue parole mi avvolgevano come una coperta, sentivo quella nota stonata che non riuscivo a ignorare. Parlava di me come se fossi unica, insostituibile, ma io non volevo sostituire nessuno. Non volevo essere la “donna matura” che sconvolge la sua vita, né la tentazione che lo allontana dalla sua compagna. Io volevo solo quella notte, un momento, un’esplosione di vita che mi ricordasse chi sono.

Quando tutto è finito, ci siamo sdraiati uno accanto all’altra, con il silenzio che si insinuava tra noi. “Sonia mi hai stregato.” Ho sorriso, ma non ho risposto. Dentro di me, sentivo un groviglio di emozioni: sicuramente soddisfazione, ma anche un pizzico di malinconia, perché sapevo che non ci sarebbe stato un “dopo”. La mia regola ferrea di single ad ogni costa era ancora lì, intatta, ma temevo che per lui quella notte avesse cambiato qualcosa.


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Da quella notte a casa mia, qualcosa è cambiato, anche se non saprei dire esattamente cosa. Non era amore, non nel senso classico del termine – la mia regola di leggerezza era ancora lì, salda come una roccia – ma c’era un’intesa, una chimica che ci spingeva a cercarci, sera dopo sera. Federico sembrava trovare ogni scusa possibile per tornare da me: un messaggio nel tardo pomeriggio, una telefonata con quella sua voce che oscillava tra il giocoso e il seducente, un “Passo da te stasera?” che non ammetteva rifiuti. E io, contro ogni mia abitudine di tenere le distanze, rispondevo sempre di sì.

Le nostre serate si svolgevano quasi sempre a casa mia, un rifugio sicuro lontano dagli occhi indiscreti di Roma, dove potevamo essere solo noi due, senza il rischio di incrociare colleghi, conoscenti o, peggio, qualcuno che potesse collegarlo alla sua vita “ufficiale”. Casa mia era diventata il nostro mondo parallelo. Il mio appartamento, con le sue luci soffuse, i cuscini sparsi sul divano e il balcone che incorniciava i tetti, si trasformava ogni sera in uno spazio sospeso, dove il tempo sembrava fermarsi quando i nostri corpi si cercavano, come se ogni incontro fosse una continuazione di quella prima notte. Federico arrivava con una bottiglia di rosso sottobraccio, altre con un mazzo di fiori comprato all’ultimo minuto da un ambulante. “Per la donna più intrigante di Roma.” Diceva, e io ridevo, scuotendo la testa, ma dentro di me sentivo un calore che non riuscivo a ignorare.

Le nostre serate seguivano un ritmo che era diventato quasi un rituale. Ci raccontavamo della giornata trascorsa e poi, inevitabilmente, la conversazione si dissolveva in silenzi carichi di tensione, in sguardi appassionati, in tocchi che accendevano la pelle. Era una danza, un gioco di seduzione che ogni volta mi lasciava senza fiato. Federico aveva un modo di guardarmi che mi faceva sentire unica, come se fossi l’unica donna al mondo capace di accendere quel fuoco in lui. “Sonia, tu sei diversa.” Ripeteva spesso con quella sua voce bassa. “Non c’è nessuno come te.” E io, pur lusingata, sentivo quella nota stonata, quel riferimento implicito alla sua compagna, che aleggiava come un’ombra tra noi.

Ogni tanto, tra un bicchiere di vino e un bacio, gli chiedevo di lei. Non per gelosia, ma per una curiosità che mascherava una sorta di responsabilità morale. “Non sospetta nulla?” Gli chiedevo, cercando di mantenere un tono neutro. Lui si scherniva, con un sorriso che sembrava voler liquidare la questione. “Non devi preoccuparti, Sonia. È tutto sotto controllo.” E io, in fondo, gli davo ragione. Non perché fossi ingenua, ma perché avevo bisogno di crederci. Ero stata chiara fin dall’inizio: la nostra storia era un’avventura, un fuoco che bruciava intenso, ma che non poteva, non doveva, intrecciarsi con le nostre vite reali. Era come un viaggio in una città lontana, dove sai che il biglietto di ritorno è già prenotato, e ogni momento di passione è tanto più prezioso perché ha una data di scadenza.

Federico si sarebbe sposato di lì a poco ed io non volevo essere un ostacolo, non volevo essere la donna che sconvolge la una vita o la causa di un dramma. Questa storia doveva rimanere spensierata, come una parentesi di piacere puro, senza promesse né aspettative. Eppure, c’era qualcosa in quelle serate che mi faceva vacillare. Non sapevo esattamente cosa lui provasse per me, mi illudevo che non fosse amore, ma solo una sorta di dipendenza alla passione, alla mia maturità che mi faceva sentire desiderata e potente. A 54 anni, con una vita piena di esperienze Federico mi stava ricordando che potevo ancora sorprendermi, offrire qualcosa.

Le nostre notti erano un’esplosione di passione. La lingerie di pizzo nero, che avevo indossato quella prima volta, era diventata una sorta di firma, un’arma segreta che tiravo fuori quando volevo farlo impazzire. E funzionava, ogni volta, cavolo se funzionava! I suoi occhi si accendevano, il suo respiro si faceva corto, e le sue mani cercavano la mia pelle con un’urgenza che mi faceva sentire come una dea. Ma c’era di più: c’era una devozione in lui, un’ammirazione che andava oltre il desiderio fisico. Mi raccontava, tra un bacio e l’altro, che da adolescente sognava donne come me, di una sua zia che non si era mai sposata e che lui spiava dal buco della serratura. Insomma donne piene di fascino, forti, indipendenti, con un’eleganza che non aveva nulla a che fare con l’età. “Tu sei tutto quello che ho sempre voluto.” Diceva, e quelle parole mi colpivano come una freccia, perché erano sincere, ma anche pericolose. Non volevo essere il suo “tutto”. Non volevo essere per nessuna ragione il sogno che lo allontanava dalla sua realtà.

A volte, dopo che si era addormentato accanto a me, mi ritrovavo ad accarezzargli i capelli, con il suono del suo respiro regolare che riempiva la stanza. Pensavo a lui, alla sua compagna, al matrimonio che si avvicinava. Pensavo a me, a quella regola di leggerezza che avevo sempre seguito come un mantra. Mi chiedevo se stessi davvero proteggendo la mia libertà o se, in fondo, stessi solo evitando di guardare in faccia qualcosa di più profondo. Eppure, continuavo a ripetermi che questa storia aveva un inizio e una fine. Come un’avventura esotica, come un viaggio in un posto lontano, sapevo che il giorno della partenza sarebbe stato inevitabilmente il giorno della fine di una relazione. E io sarei tornata alla mia vita, alla mia indipendenza, alla mia leggerezza.


******

Le serate a casa mia continuavano, ma qualcosa nell’aria era cambiato. Quello che all’inizio era un gioco, un’avventura leggera e senza vincoli, stava assumendo contorni diversi, più sfumati, più pericolosi. Le luci soffuse del mio appartamento, il jazz che suonava piano in sottofondo, il profumo del vino che riempiva i calici: tutto era ancora lì, immutato, ma l’energia tra me e Federico si stava trasformando. Non era più solo il brivido di un incontro clandestino, di una passione che bruciava senza lasciare tracce. C’era qualcosa di più pesante, qualcosa che iniziava a pesare sul mio cuore e a disturbare la mia regola ferrea di leggerezza.

Federico era cambiato. O forse, più semplicemente, stava mostrando una parte di sé che fino a quel momento aveva tenuto nascosta. Le sue visite erano diventate più frequenti, quasi ossessive. Arrivava a casa mia con un’urgenza negli occhi che non aveva più nulla di giocoso. Non era solo desiderio fisico era come se fossi diventata una necessità, una droga che non poteva smettere di iniettarsi per endovena. “Sonia, non riesco a stare lontano da te.” Mi diceva, con una voce che oscillava tra la confessione e la disperazione. “Sei indispensabile. È come se fossi affamato da giorni e tu fossi l’unica cosa che può saziarmi.” Quelle parole, all’inizio, mi lusingavano. Sentirmi così centrale nella vita di un uomo giovane e carismatico come lui, accendeva una parte di me che amava essere al centro della scena. Ma presto, quelle stesse parole hanno iniziato a suonare come un allarme.

Le nostre serate stavano diventando un terreno scivoloso. Federico arrivava con una frenesia che non riusciva a nascondere. Mi cercava con una voracità che andava oltre il corpo, come se ogni bacio, ogni tocco, fosse un tentativo di afferrare qualcosa che gli sfuggiva. Parlava di me in terza persona come se fossi una musa, un’ossessione, un sogno che non poteva lasciar andare. “Non ho mai provato niente di simile.” Diceva, stringendomi come se temesse che da un momento all’altro potessi svanire tra quelle braccia. “Nessuna è come te, Sonia. Nessuna.” E io, che di solito sapevo come gestire un flirt, come mantenere le distanze, mi ritrovavo spiazzata. Non era più il gioco che avevo immaginato, quell’avventura esotica con una data di scadenza. Stava diventando qualcosa di patologico. Una dipendenza che non era solo sua, ma che rischiava di trascinare anche me.

Dentro di me, i dubbi che avevo sempre avuto si stavano trasformando in un grido. Avevo voluto che questa storia rimanesse spensierata, un fuoco che bruciava senza lasciare cenere. Ma ora sentivo che quel fuoco stava sfuggendo al controllo, minacciando di incendiare tutto. Ogni volta che Federico mi guardava con quegli occhi pieni di bisogno, sentivo una stretta al cuore. Non era solo il pensiero della sua compagna, anche se quello continuava a pesarmi. Era la consapevolezza che questa passione, che all’inizio mi aveva fatta sentire viva, stava diventando una prigione che non avevo previsto.

Una sera, mentre eravamo sdraiati sul mio letto Federico ha preso la mia mano e l’ha stretta forte. “Sonia… E se volessi di più? Se volessi che fosse tutto?” In quel momento, ho capito che la linea che avevo tracciato era stata superata. Era come se Federico stesse cercando di costruirmi un piedistallo, ma io non volevo essere una statua. Non volevo essere la sua ragione di vita, causa di un caos che non avevo chiesto.

I giorni passavano e ogni incontro portava con sé un peso crescente. La passione era ancora lì, travolgente come sempre, ma ora era accompagnata da una tensione che non potevo ignorare. Quando Federico mi stringeva, sentivo il suo bisogno di me, ma anche il mio bisogno di proteggermi. Ogni tanto, gli chiedevo ancora di lei, della sua compagna, sperando che mi desse una risposta che mi rassicurasse. “Non preoccuparti.” Ripeteva, ma io mi preoccupavo, non per lei, ma per me, per la donna che ero e che volevo rimanere.

Lui vedeva i miei dubbi e una sera per dimostrarmi quanto fosse vero e reale il suo amore ha detto: “Sei tu la mia donna, basterebbe un tuo cenno e la lascio, anche ora!” Mi si è gelato il sangue e ho capito che non potevo più ignorare la realtà. Questa storia, che avevo voluto leggera come una brezza estiva, si era trasformata in una tempesta. E io, che avevo sempre navigato con maestria tra i miei flirt impalpabili, mi sentivo improvvisamente in balia di qualcosa che non controllavo più. Gliel’ho detto senza giri di parole, con una fermezza che mi costava fatica ma che sentivo necessaria. “Federico, dobbiamo smettere di vederci.”
In un tratto il mio salotto, le luci soffuse, il panorama su Roma, il jazz in sottofondo, i calici di vino rosso mi sono sembrati fuori posto e tutto era diventato una scenografia sbagliata. “Non è più un gioco.” Ho continuato con la morte nel cuore. “Non provo quello che provi tu. Non l’ho mai provato. E tu hai una vita, un matrimonio, una donna che ti aspetta. Non posso essere quella che rovina tutto.” Le mie parole erano dure, ma sincere. Ero spaventata, sì, ma non solo da lui. Ero spaventata da me stessa, dal fatto che una parte di me si sentiva lusingata dalle sue parole, dal suo bisogno di me. E questo mi terrorizzava più di ogni altra cosa.

Ma Federico non sentiva ragioni. I suoi occhi, che una volta mi avevano conquistata, ora bruciavano di un’intensità che mi metteva a disagio. “Sonia, tu non capisci.” Ha detto, avvicinandosi a me con un passo che sembrava quasi disperato. “Non è solo sesso. Non è mai stato solo quello. Io sono innamorato di te. Voglio vivere con te.” Quelle parole mi hanno colpita come uno schiaffo. “Tu sei pazzo.” Ho risposto, alzando una mano per fermarlo, per mettere una distanza fisica che rispecchiasse quella emotiva. “Hai 29 anni, Federico. Hai una compagna, un matrimonio già fissato. Non puoi buttare tutto all’aria per… per cosa? Per me? Non ha senso.” Ma lui non si arrendeva. “Sei tu la mia donna. Basterebbe un tuo cenno, Sonia. Un tuo sì, e lascio tutto. Anche ora.” Quelle parole ripetute, “anche ora”, mi risuonavano nella testa come un’eco ossessiva. Erano il peso, la responsabilità il terrore di perdere me stessa, che si lascia trascinare in un dramma che non le appartiene.

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Le sere successive sono state un incubo. Federico non si arrendeva. Ogni sera, quando tornavo a casa dal lavoro, lo trovavo lì, sotto il mio palazzo, appoggiato alla sua macchina o seduto su una panchina, con quell’aria di chi aspetta qualcosa che non può avere. “Sonia, parlami.” Diceva, con una voce che oscillava tra la supplica e la determinazione. “Non posso andare avanti senza di te.” Io scuotevo la testa, cercando di mantenere la mia compostezza. “Federico, smettila.” Rispondevo, con un tono che volevo fosse fermo ma che tradiva la mia stanchezza. “Pensa a lei. Pensa al tuo matrimonio, pensa ai figli che avrete, io non posso darti neanche quelli! Ma lui non ascoltava. Mi seguiva con lo sguardo mentre entravo nel portone, e a volte sentivo il suo messaggio arrivare pochi minuti dopo: “Non posso smettere di pensarti. Sei tutto per me.” Ma io non volevo essere “tutto” per lui, la sua musa, la sua dipendenza. Io ero Sonia, 54 anni, single per scelta, una donna che amava la sua libertà sopra ogni cosa.

Una sera, dopo l’ennesima discussione sotto il mio palazzo, ho perso la pazienza. “Federico, basta!” Ho detto, alzando la voce più di quanto volessi. “Non sono la tua donna. Non lo sarò mai. Vai da lei e lasciami in pace.” Lui mi ha guardata, con gli occhi lucidi, e per un momento ho pensato che stesse per piangere. “Non capisci, Sonia. La mia non è una scelta. È quello che sento.” Ho scosso la testa, sentendo una stretta al cuore. “Allora è un tuo problema, non mio.” Ho risposto, e sono entrata nel portone senza voltarmi indietro.


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Non era facile, ma non potevo continuare a essere il centro della sua ossessione, né volevo rischiare di perdere me stessa in quel vortice che aveva smesso di essere un gioco. Così, quando mi è stato offerto un progetto a Milano – un incarico di tre mesi per gestire le relazioni con un gruppo di investitori internazionali – l’ho accettato senza esitazione. Non gli ho detto nulla. Nessun messaggio, nessuna spiegazione. Ho spento il mio telefono personale, usando solo quello aziendale che Federico non conosceva, e sono partita per Milano con la speranza che la distanza facesse ciò che le mie parole non erano riuscite a fare: riportarlo alla sua vita, alla sua compagna, al suo matrimonio. E, soprattutto, liberarmi da quel peso che non avevo chiesto di portare.

A Milano, i giorni scorrevano veloci, pieni di riunioni, cene di lavoro e nuove sfide. La città, con il suo ritmo frenetico e il suo cielo grigio, era l’antitesi di Roma: fredda, pragmatica, senza spazio per le distrazioni. Mi ci sono buttata a capofitto nel lavoro, cercando di lasciarmi alle spalle il ricordo delle notti con Federico, dei suoi sguardi, delle sue parole che ancora mi risuonavano nella testa come un’eco. “Sei tu la mia donna.” “Basterebbe un tuo cenno.”

Ogni tanto, nelle sere più silenziose, quando ero sola nel mio appartamento temporaneo vicino al Duomo, mi ritrovavo a pensare a lui. Non era nostalgia. Era più una curiosità, un misto di sollievo e inquietudine. Mi chiedevo se la mia assenza lo avesse finalmente spinto a voltare pagina, a tornare alla sua vita, a sposare la sua compagna come aveva pianificato. Il giorno del suo matrimonio, che sapevo essere passato durante quei tre mesi, mi era sembrato una sorta di confine: una linea che, una volta superata, avrebbe chiuso definitivamente questa storia.

Ma Roma, come sempre, aveva altri piani. La sera in cui sono tornata, dopo tre mesi di silenzio, l’ho trovato lì, sotto il mio palazzo, seduto su un muretto come un naufrago che aspetta una nave che non arriva. Non era il Federico che conoscevo. I capelli spettinati, la camicia sbottonata, gli occhi cerchiati: sembrava un cane bastonato, un uomo che aveva perso la sua vitalità. Stentavo a riconoscerlo. Il ragazzo sicuro di sé, con quel sorriso magnetico che mi aveva conquistata al convegno, era sparito. Al suo posto c’era qualcuno di fragile, consumato, come se quei tre mesi lo avessero svuotato. “Sonia.” Ha detto, alzandosi dal muretto con un movimento lento, quasi esitante. “Sei tornata.”

Non so cosa mi abbia colpita di più: il suo aspetto, la sua voce rotta, o il fatto che fosse lì, dopo tutto quel tempo, come se non si fosse mai mosso. Ho sentito un nodo stringermi lo stomaco, un misto di sorpresa, colpa e quella stessa paura che mi aveva spinta a partire. “Che ci fai qui?” Ho chiesto, cercando di mantenere un tono neutro. Non ha risposto subito. Mi ha guardata, con quegli occhi che sembravano cercare qualcosa: “Non ho mai smesso di pensarti. Ogni giorno, ogni ora, ogni momento, eri qui con me.” Quelle parole non erano la dichiarazione appassionata di un amante, erano il lamento di un uomo che sembrava perso, come se la mia assenza lo avesse lasciato alla deriva.

Siamo saliti nel mio appartamento in silenzio, con il rumore dei nostri passi sulle scale che sembrava amplificare la tensione. Non volevo invitarlo, ma non potevo lasciarlo lì, sotto il mio portone. Una volta dentro, Federico si è seduto sul divano, con le spalle curve, come se portasse un peso invisibile. “Non mi sono sposato.” Ha detto all’improvviso, senza guardarmi. “Non potevo… Non ce l’ho fatta.”

Quelle parole mi hanno gelata. Non mi ero mai considerata una donna capace di sconvolgere la vita di qualcuno, ma solo di renderla leggera offrendo le mie grazie per un momento d’amore. Eppure eccolo lì, davanti a me, un uomo che aveva rinunciato al suo futuro, a una moglie, a una famiglia, a dei figli, per un’ossessione.
“Ti avevo detto di andare avanti, di pensare a lei, alla tua vita. Perché non l’hai fatto?” Lui ha alzato lo sguardo guardandomi come se fossi l’unica cosa al mondo. “Perché non posso. Tu sei ovunque, Sonia. Nel mio caffè la mattina, nelle strade che cammino, nei sogni che faccio. Non posso vivere senza di te.”

Ho sentito un’ondata di emozioni contrastanti: rabbia, per il modo in cui mi stava caricando di una responsabilità che non volevo; colpa, per aver permesso a questa storia di arrivare a quel punto; e una sorta di tristezza, per l’uomo che avevo davanti, così diverso dal ragazzo che mi aveva conquistata mesi prima. “Federico, io non sono la tua donna, non lo sono mai stata. Quello che c’era tra noi era un momento, una passione. Non un amore, non una vita insieme. Non puoi buttare via tutto per me.” Ma lui ha scosso la testa, con un sorriso amaro. “Non è una scelta, Sonia. È quello che sento. E non posso farci niente.”

Eravamo seduti sul divano, lo stesso divano che mesi prima aveva ospitato le nostre notti di passione. Ma ora tutto era diverso. “Ho lasciato tutto per te, Sonia. Ho detto a lei: ‘Scusa, ma mi sono innamorato perso di una donna meravigliosa.’ Sono tornato a vivere dai miei genitori. Questa è la prova del mio amore infinito per te!” Le sue parole avevano un tono epico, come se fossimo i protagonisti di una serie drammatica, arrivati all’ultima scena di un finale struggente. Credeva davvero che quel gesto fosse la prova regina, il sacrificio supremo che mi avrebbe fatta cedere. Nei suoi occhi c’era una luce febbrile, un misto di speranza e disperazione, come se si aspettasse che io, colpita dalla grandezza del suo gesto, gli gettassi le braccia al collo e dicessi: “Sì, Federico, anch’io ti amo.” Ma non era così. Non lo era mai stato. E in quel momento, per la prima volta, ho visto oltre il fascino, oltre la sicurezza, oltre la passione che mi aveva travolta mesi prima. Ho visto un ragazzo, un ragazzo giovane e incosciente, che aveva confuso una passione travolgente con un amore destinato a cambiare la sua vita.

Ho preso la sua mano, stringendola forte, come se quel gesto potesse trasmettergli la chiarezza che le mie parole cercavano di comunicare. Lo guardavo, e per la prima volta il mio sguardo non era quello di una donna desiderata, né quello di un’amante che gioca con il fuoco. Era uno sguardo materno, caldo ma fermo, il tipo di sguardo che si riserva a qualcuno che ha bisogno di essere guidato, non sedotto. “Federico…” Ho detto lentamente, scegliendo ogni parola con cura. “Non possiamo stare insieme. E io ho sbagliato, ho sbagliato a non fermare tutto quando ho visto le prime avvisaglie. Avrei dovuto essere più chiara, più decisa.”

Lui mi ha guardata, con un’espressione che oscillava tra l’incredulità e il dolore. “Sonia, ho lasciato tutto per te. Tutto. Non capisci cosa significa?” Ho scosso la testa, sentendo una stretta al cuore. “Capisco, Federico. E proprio per questo dobbiamo finire qui. Tu potrai recuperare la tua vita perché io non sono la donna che immagini, non sono il tuo ‘amore infinito’. Sono una donna che ha voluto un momento di passione, un’avventura, niente di più. E tu meriti di più di questo. Meriti una vita che non sia costruita su un’illusione.”

Le mie parole sembravano cadere nel vuoto. Federico ha abbassato lo sguardo, stringendo la mia mano come se fosse l’ultima cosa che lo tenesse ancorato a qualcosa. “Non è un’illusione. Tu sei tutto per me.” Ma io non volevo essere “tutto” per lui. E soprattutto, non avrei voluto essere responsabile del suo dolore. Ma mentre lo guardavo sentivo una fitta di colpa. “Tu hai 29 anni. Hai tutta una vita davanti. Hai fatto un gesto impulsivo, ma non è troppo tardi per tornare indietro, per ricostruire quello che hai rotto. La tua compagna, la tua casa, il tuo futuro, tutto questo è ancora lì, se lo vuoi. Ma non con me. Io non sono la risposta ai tuoi sogni. Sono solo una donna che ha incrociato la tua strada, e ora deve lasciarti andare.” Ho lasciato la sua mano, lentamente, come se quel gesto segnasse la fine di qualcosa. Lui mi ha guardata, con gli occhi lucidi, e per un momento ho temuto che scoppiasse a piangere. Ma non l’ha fatto. È rimasto in silenzio, con le spalle curve, come se il peso delle mie parole lo stesse schiacciando.

L’atmosfera era soffocante. Mi sono alzata, andando verso il balcone per prendere una boccata d’aria, per sfuggire a quell’intensità che mi stava soffocando. Federico non si è mosso. “Non so come fare senza di te.” Ha detto piano, e quelle parole mi hanno colpita come una lama. Non perché ci credessi, ma perché capivo che lui ci credeva. E questo mi spaventava più di ogni altra cosa. Non volevo essere la donna che distrugge, ma non volevo nemmeno essere la donna che salva. Volevo solo essere Sonia, libera, indipendente, fedele a me stessa.

“Devi imparare.” Ho risposto, senza voltarmi. “Perché io non sarò mai quella che pensi.” Sono rimasta lì, a guardare i tetti di Roma. Sapevo che quel momento era la fine, non solo della nostra storia, ma di qualsiasi illusione che Federico potesse aver avuto. E mentre sentivo i suoi passi verso la porta, mentre sentivo il rumore del portone che si chiudeva dietro di lui, ho provato un misto di sollievo e tristezza. Sollievo, perché avevo protetto la mia libertà. Tristezza, perché sapevo che questa storia mi avrebbe lasciata cambiata, anche se non volevo ammetterlo.


******

Sono passati tre giorni dall’ultima sera e mentre scrivo lui è lì, ancora lì, seduto su quel muretto sotto il mio palazzo, con le spalle curve e lo sguardo perso nel vuoto, solo come un cane che aspetta la sua padrona. Ogni volta che lo guardo sento una fitta. Lui non dice una parola, non mi manda messaggi. Non ha bisogno di parlare: la sua presenza è un grido silenzioso, un’implorazione che non so come ignorare. Ma so che devo.
Guardo fuori dalla finestra, con il quaderno aperto sulle ginocchia e la penna che trema tra le dita. Mi fa pena, per la sua giovinezza, per la sua incoscienza, per il dolore che si è inflitto inseguendo un sogno che non esiste. Vorrei scendere, chiamarlo, sorridergli come facevo nei primi tempi. Vorrei accoglierlo tra le mie braccia, lasciarmi andare al calore di un momento che so sarebbe meraviglioso, come lo sono stati tutti i nostri momenti. Ma so cosa succederebbe. Gli darei l’illusione che qualcosa possa cambiare, che io possa essere la donna che lui immagina: la musa, l’amore infinito, la risposta a tutte le sue domande. E non lo sono. Non posso essere quella donna, perché significherebbe rinunciare a me stessa, alla mia leggerezza, alla mia indipendenza. E questo è un prezzo che non sono disposta a pagare, né per lui né per nessun altro.

Chiudo il quaderno, poso la penna, e mi alzo per andare al balcone. Lo guardo un’ultima volta. Poi spengo la luce, chiudo le tende, e mi allontano dalla finestra. Non scenderò da lui. Non lo chiamerò. Non gli sorriderò. Perché so che l’unico modo per aiutarlo, per aiutarmi, è lasciarlo andare. Lasciarlo al suo dolore, alla sua confusione, alla sua vita che deve ricostruire senza di me.
La Sonia che ha accettato la sua corte mesi fa, quella che si è lasciata travolgere dalla passione, è ancora qui, ma ora è più saggia. Ha imparato che anche il fuoco più bello può bruciare, se non lo tieni a bada.
E mentre Roma dorme fuori dalla mia finestra, so che questa storia è finita. Non perché Federico smetterà di aspettarmi sotto casa – forse lo farà ancora per giorni, forse per settimane – ma perché io ho scelto me stessa. Ho scelto la mia libertà, la mia leggerezza, la mia vita senza legami. E anche se il mio cuore piange per lui so che è la scelta giusta. Per me. Per lui. Per la donna che sono e che sarò sempre.







Questo racconto è opera di pura fantasia.
Nomi, personaggi e luoghi sono frutto
dell’immaginazione dell’autore e
qualsiasi somiglianza con
fatti, scenari e persone è del tutto casuale.

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