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Adamo Bencivenga
QUANDO LA MOGLIE E’ IN VACANZA
Mi chiamo Stefania, ho 47 anni e so di essere una donna che attira gli sguardi. Mio marito mi dice "illumina la stanza". Con Marco, ho girato gran parte del mondo, le nostre vacanze sono sempre state un’avventura condivisa, ma l’estate del 2024 è stata diversa….



 
Mi chiamo Stefania, ho 47 anni e, senza falsa modestia, so di essere una donna che attira gli sguardi. Sì ok ho il seno grande e due gambe perfette, ed ho sempre curato il mio aspetto. I capelli castani sempre in piega, il guardaroba impeccabile, un sorriso che mio marito dice "illumina la stanza". Con Marco, ho girato il mondo dal caos profumato dei souk mediorientali alle meraviglie silenziose della Cina. Le nostre estati sono sempre state un’avventura condivisa, con i nostri due figli, Giulia di 16 anni e Matteo di 12, a completare il quadretto perfetto.
Ma l’estate del 2024 è stata diversa…

Marco, che gestisce un’azienda di tende e finestre per grandi enti, aveva ricevuto una commessa importante, una di quelle che non si possono rifiutare. Così, invece di partire per chissà quale meta esotica, abbiamo affittato una villa al Circeo, a un’ora da Roma. L’idea era semplice: io e i ragazzi avremmo goduto del mare, e lui ci avrebbe raggiunti nei weekend. La villa era un sogno: un giardino ampio e rigoglioso con una fontana tra l’erba, il profumo di salsedine, il suono delle cicale. Eppure, senza Marco, mi sentivo un po’ alla deriva…

Fu lì che ho conosciuto Sabrina, la mia vicina di villa. Anche lei sposata, anche lei sola durante la settimana, con il marito incastrato a Parigi per lavoro. Sabrina era un turbine di energia: capelli biondi, risata contagiosa, un bicchiere di prosecco sempre in mano. Iniziammo a chiacchierare, prima con cortesia attraverso la siepe d’alloro che divideva le due proprietà, poi con confidenza nelle ore pomeridiane sotto la palma del mio giardino.

Una sera, nella veranda della sua villa, tra un sorso di vino e il canto dei grilli, percepii che aveva voglia di confidarsi e dopo qualche battuta maliziosa mi disse: “Posso fidarmi di te vero?” E prima di annuire lei iniziò a raccontarmi una storia che mi spiazzò. Insomma l’anno prima aveva avuto una breve relazione con un ragazzo del posto, un barista di vent’anni più giovane. “È stato un errore.” Aggiunse subito dopo, ma con un misto di rimpianto e nostalgia che si scorgeva dai suoi occhi. “Sai, Stefania, in vacanza tutto sembra… possibile.”

Quelle parole mi colpirono. Tradire? Io? Era un’idea che non mi aveva mai sfiorata e mi sembrava così estranea, quasi assurda. Marco e io avevamo costruito una vita insieme, solida, fatta di fiducia e risate. Lui sempre disponibile con me ed io altrettanto. Tradirlo sarebbe stato come tradire me stessa. Eppure, quella sera, mentre tornavo alla mia villa, qualcosa si era insinuato nella mia mente, qualcosa aveva smosso i miei pensieri. Un’idea piccola, quasi impercettibile, ma molesta e insistente. “E se…?”

Per un istante, un po’ per curiosità e un po’ per malizia femminile, mi immaginai tra le braccia di un altro uomo, non aveva un volto, era quasi un’ombra indefinita, ma percepivo quell’energia come necessaria. Ecco in quel momento provai una sensazione nuova, come se il tempo si fosse riavvolto, riportandomi a quei giorni spensierati prima del matrimonio, prima delle responsabilità, dei figli, delle abitudini, della vita che, per quanto amata, a volte sembrava scorrere su binari troppo prevedibili.

Quel fremito mi fece quasi sorridere, ma non mi eccitò. “Come potrei più guardare Marco negli occhi?” Pensai, mentre il canto dei grilli si mescolava al battito accelerato del mio cuore. Marco, con il suo sorriso gentile, le sue telefonate serali, la sua abitudine che mi faceva sentire protetta, il modo in cui ancora mi prendeva e il desiderio di fare l’amore con me… Scossi la testa come per scacciare il pensiero: “No no, non merita per nulla al mondo di essere tradito.” Sarebbe stato come spezzare qualcosa di puro, qualcosa che avevamo costruito insieme, mattone dopo mattone.

Immaginai il momento in cui lui avrebbe potuto scoprirlo: la delusione nei suoi occhi, il silenzio che avrebbe sostituito le sue risate liberatorie e soprattutto i miei sensi di colpa. “Non sono come Sabrina…” Mi ripetevo cercando le chiavi del cancello. Eppure, una piccola parte di me, quella che ancora si aggrappava a quell’immagine di libertà di quando non avevo ancora vincoli, mi sussurrava: “E se fosse solo per una volta? Solo per sentirmi di nuovo… me stessa?

In casa guardandomi allo specchio, ripensai al giovane barista di Sabrina: “Chissà se anche io potrei ottenere gli stessi successi?” Beh sì certo, passeggiando per il paese, mentre facevo la spesa, percepivo gli sguardi dei ragazzi, appetitosi, passionali che non avevano solo il sapore dell’ammirazione. Ma la telefonata serale di Marco rimise ogni pensiero al suo posto, del resto la fiducia che avevo in lui, e quella che Marco aveva in me, erano il pilastro della nostra vita insieme. Infrangerlo, anche solo per un momento di ebbrezza, mi sembrava un prezzo troppo alto.
Nei giorni successivi cercai di evitare Sabrina dedicandomi ai miei figli: accompagnavo Matteo al corso di vela, discutevo con Giulia su quanto tempo stare al telefono col suo fidanzato o mi distendevo sulla spiaggia sotto un sole cocente con l’unico fine di abbronzarmi e migliorare il mio aspetto per il sabato successivo quando sarebbe arrivato Marco. Poi ovviamente facevo la spesa al mercato del paese, entravo in qualche boutique elegante e mi impegnavo nelle piccole faccende di casa. Ma c’era qualcosa di diverso nell’aria. Il Circeo, con i suoi tramonti dorati e gli aperitivi in riva al mare, aveva un’energia che non avevo mai notato prima.

La storia di Sabrina svanì gradualmente dalla mia mente, finché una mattina seduta di fuori al bar dove prendevo il mio solito caffè conobbi il proprietario, Luca, un uomo sulla cinquantina, con i capelli mossi dal sole, un completo bianco e un sorriso che sembrava conoscere tutti i segreti del mondo. Beh sì non era solo bello, ma aveva un modo di fare rilassato, di chi sa ascoltare e dare la massima attenzione ad una donna.

La prima volta parlammo per un banalissimo errore nel conto. La seconda, “per scusarsi”, mi offrì il caffè e la terza, chiacchierammo di libri, di mare, di Roma. Lui ovviamente in piedi ed io seduta, ma non so perché, senza che me ne accorgessi, le mie gambe abbronzate assumevano pose sempre più aggraziate, a volte accavallandole, a volte puntando il tacco sul selciato.
Era facile parlare con lui, troppo facile. Non so quando iniziai a cercarlo con lo sguardo, non so quando iniziai a scegliere con cura cosa indossare, dal cappello alle scarpe, per andare a prendere quel dannato caffè. Ma so che un giorno, mentre Matteo era a vela e Giulia dormiva fino a tardi, mi ritrovai a passeggiare con lui lungo la spiaggia.

Luca mi raccontava del Circeo, delle sue estati da ragazzo, e io mi sentivo… viva. Non era solo attrazione. Era la sensazione di essere vista, non come la mamma di Giulia e Matteo, non come una moglie, ma come Stefania, una donna che avrebbe potuto dare ciò che gli altri non vedevano in me da tempo. Non accadde nulla, ma quando mi sfiorò la mano per indicarmi la sua casa sulla collina, provai un brivido che non sentivo da anni.

Capii allora. Tornata a casa scorsi da Sabrina e le raccontai tutto. La tentazione c’era. Lei sorridendo mi accarezzò la spalla: “Tesoro non sei la sola, e noi due non siamo delle aliene. Sai ho letto da qualche parte che la stragrande maggioranza delle donne in vacanza ha provato questa sensazione almeno una volta. Senza poi contare che tradire in vacanza quando si è lontano dai mariti è più facile da nascondere e quindi anche i sensi di colpa svaniscono rapidamente.” Aveva ragione Sabrina! Durante quella passeggiata, con Marco a Roma, i figli indaffarati nelle loro faccende e con il mare negli occhi e un uomo che mi guardava come se fossi l’unica donna al mondo, mi sentivo come se tutto fosse possibile e senza rubare nulla agli altri.

Certo sì, il pensiero di Marco e dei miei figli mi inchiodava alle mie responsabilità, mi ripetevo che non sarebbe mai stato possibile. Quella sera chiamai Marco pregandolo di venire un giorno prima per trascorrere tre giorni insieme anziché due. “Tutto bene, amore?” Mi chiese, e io risposi di sì, ma con un nodo in gola, come se la sua presenza potesse scacciare ogni tentazione.
Quando arrivò quel weekend, con il suo solito sorriso disarmante e un mazzo di fiori comprato al volo, mi abbracciò e io capii che ero già dove volevo essere. Quella sera durante l’amore mi chiese: “Stefania, cos’hai? Stasera ti sento più viva, non so, più partecipe. Cosa c’è?” Negai, rispondendo con un sorriso che era solo la voglia di lui, che quella settimana lontani mi era sembrata un’eternità. Ma dentro mi sentivo inquieta. Marco mi conosceva troppo bene, i suoi occhi cercavano i miei come se potessero leggere oltre le mie parole. Sostenni il suo sguardo, accarezzandogli il viso, e per un momento mi sentii al sicuro, avvolta dal calore della nostra intimità, dalla nostra reciproca fiducia e dal conforto di ciò che avevamo costruito insieme.

Fare l’amore con lui quella notte fu diverso dal solito: non solo passione, ma un modo per ancorarmi a lui, per scacciare quel fremito che aveva osato insinuarsi nella mia mente. Ogni bacio, ogni carezza, era una promessa silenziosa a me stessa: non avrei ceduto, non avrei tradito ciò che eravamo. Eppure, quando il lunedì mattina Marco ripartì per Roma, lasciandomi un bacio sulla fronte e un “Ci vediamo presto, amore…” quella sensazione tornò, strisciante, subdola.

La villa al Circeo, con il suo giardino profumato e il mare all’orizzonte, sembrava improvvisamente troppo grande, troppo vuota. I ragazzi erano assorbiti dalle loro vite – Matteo con il suo corso di vela, Giulia persa tra il telefono e le sue cuffiette – e io mi ritrovavo sola con i miei pensieri. Luca, il proprietario del bar, con i suoi capelli mossi e quel sorriso che sembrava promettere tutto e niente, continuava a insinuarsi nei miei momenti di distrazione. Non era solo il suo aspetto, era il modo in cui mi faceva sentire desiderata, come se fossi una nuova donna libera da ogni vincolo.

Cercai di tenermi occupata, ma ogni volta che passavo davanti al bar, il mio passo rallentava. Non entravo sempre, ma quando lo facevo, Luca era lì, con quel suo modo di fare rilassato, come se il tempo non avesse fretta, come se conoscesse alla perfezione le donne sposate e che prima o poi sarebbero cadute nella sua rete... “Il solito caffè, Stefania?” Diceva, e il modo in cui pronunciava il mio nome mi faceva quasi arrossire. Sentivo in quella nota qualcosa di estremamente confidenziale, quasi di intimo. Era un gioco innocente, mi dicevo. Solo chiacchiere, solo un caffè. Ma allora perché sceglievo camicette che lasciavano intravedere la pelle più chiara del mio seno? Perché sentivo il bisogno di accavallare le gambe in quel modo studiato, di lasciare che il mio sorriso si facesse più malizioso?

Una mattina, dopo aver accompagnato Matteo, mi ritrovai di nuovo lì. Luca era dietro il bancone, ma quando mi vide, fece un cenno al suo collega e mi raggiunse al tavolino. “Ti va una passeggiata?” Mi chiese con quella naturalezza che mi disarmava. Esitai, ma poi annuii.
Camminammo lungo la spiaggia, il vento che portava il profumo del mare, e lui parlava di tutto e di niente: di un libro che stava leggendo, della sua barca ormeggiata nel piccolo porto. Io ascoltavo, ma soprattutto sentivo. Sentivo il sole sulla pelle, il suono delle onde, e quel brivido che tornava ogni volta che i nostri sguardi si incrociavano troppo a lungo. Quando mi prese sottobraccio trattenni il respiro pensando che l’inevitabile fosse più vicino di quanto credessi.

Seduti su uno scoglio, mi propose una cena con quella naturalezza che lo rendeva così pericolosamente irresistibile. “Stefania, niente di impegnativo, solo una serata tra amici…” Disse con il suo sorriso ironico che nascondeva altro. Esitai, ma quella vocina: “E se…?” Prese il sopravvento. “Solo una cena.” Risposi sospirando come se potesse davvero essere così semplice.

A casa Sabrina, con la sua risata contagiosa e il bicchiere di prosecco sempre in mano, si rivelò un’alleata insospettabile. “Vai, divertiti.” Mi disse strizzandomi l’occhio. “Stasera esco anche io per cui hai una copertura formidabile con i ragazzi, non preoccuparti.” E così, fu facile inventare una scusa per Giulia e Matteo: “Vado a cena con Sabrina e delle sue amiche, farò un po’ tardi.” I ragazzi alzarono a malapena lo sguardo, borbottando un “Ok, mamma.”
Era fatta.

Luca guidava verso Terracina con una mano rilassata sul volante, la sua Jeep scoperta lasciava entrare la brezza marina. Seduta accanto respiravo quella voglia di libertà, il vento che mi spettinava dolcemente i capelli sotto un cappello bianco a falde larghe. Dopo tanti dubbi davanti allo specchio avevo deciso di vestirmi elegante con il mio abito di lino candido, che mi scivolava addosso e metteva in risalto la mia femminilità. Luca invece indossava dei jeans e una camicia azzurra aperta sul collo, il volto abbronzato che risplendeva sotto le luci della sera, gli occhi azzurro mare che sembravano riflettere l’intero orizzonte. Ogni tanto mi lanciava un’occhiata, e quel sorriso – quel dannato sorriso – mi faceva vacillare.

Il ristorante era un gioiello sul lungomare, con i tavoli illuminati da piccole luci colorate e il suono delle onde come sottofondo. Il cameriere, impeccabile, versò un Vermentino fresco che scintillava nei calici, mentre la brezza accarezzava la mia pelle, rendendo tutto surreale, come se il destino avesse orchestrato ogni dettaglio per noi.
Luca mi guardava, i suoi occhi non si staccavano dai miei. “Sei bellissima, Stefania…” Mi diceva con la sua voce calda. “Un incanto. Un paradiso.” Ogni parola era un colpo al cuore, un invito a lasciarmi andare. Sentivo che ero ad un passo, ad un passo da tutto. Comunque sorridevo cercando di svicolare da quel corteggiamento: “Smettila, Luca, ti prego…” Sorridevo per alleggerire l’atmosfera, ma il rossore sulle mie guance tradiva l’effetto che avrei voluto dare a quelle parole. “Tu sei esperto di donne sposate, vero? Sai come farle crollare!” Gli dissi a un certo punto, mezzo scherzando, mezzo seriamente, cercando di riportare la conversazione su un terreno più sicuro.

Lui rise con un ghigno che ammetteva tutto senza bisogno di parole. “Diciamo che so riconoscere una donna straordinaria e tu lo sei.” Rispose guardandomi con i suoi occhi penetranti. Beh sì lo ammetto, mi faceva sentire viva, desiderata, pericolosamente vicina a un confine che non avrei mai pensato di oltrepassare.
Dentro di me, la lotta era feroce. Il pensiero di Marco, del suo sorriso gentile, delle risate di Giulia e Matteo, erano un’ancora che mi tratteneva. Ma la tentazione era lì, potente, alimentata dal vino, dalla brezza, dal modo in cui Luca sembrava sapere esattamente cosa dire, cosa fare. Ogni sorso di Vermentino, ogni sguardo, mi spingeva più vicina a un precipizio che non volevo nemmeno nominare e la cena era finita troppo in fretta lasciandomi con tante domande e poche risposte.

Sulla strada di ritorno Luca guidava in silenzio, la radio mandava un pezzo dei Genesis, ma la tensione tra noi era palpabile, come una corda tesa pronta a spezzarsi. Poi, a un certo punto, senza preavviso, lui accostò davanti a un motel. Le luci calde e gialle illuminavano a malapena il piazzale, il motore si spense, e il silenzio si fece ancora più pesante. Avvertivo il momento, sapevo che non avrei avuto più tempo, lui si è voltò verso di me, i suoi occhi azzurri brillavano come il mare sotto la luna. Non disse nulla, ma il suo sguardo era una domanda, una sfida, un invito.

E lì, in quel momento sospeso, il mondo si fermò. Cosa sarebbe successo un secondo dopo? Sarei scesa dalla macchina e sottobraccio a Luca mi sarei fatta condurre in quel paradiso o lo avrei pregato di accendere il motore e andare? Chissà! Ma una cosa era certa: quando una moglie è in vacanza, lontana dalla routine, dai doveri, dal peso delle responsabilità, il confine tra la fedeltà e la tentazione diventa sottile, quasi invisibile. Io in quel momento ero lì, senza sapere se avessi già varcato quel confine, o cosa sarebbe stato giusto o sbagliato fare, perché a volte tradire accade, eccome se accade, senza nemmeno la volontà di farlo, senza l’imbarazzo di decidere, come se il destino avesse già deciso tutto…




Questo racconto pur basato su vicende
comuni è opera di pura fantasia.
Nomi, personaggi e luoghi sono frutto
dell’immaginazione dell’autore e
qualsiasi somiglianza con
fatti, scenari e persone è del tutto casuale.

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