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RACCONTO
 
 
Adamo Bencivenga
PENSIERO STUPENDO!
La Rosa di Rue de Birague
Parigi quella sera era un dipinto impressionista lasciato a metà. La pioggia cadeva lenta, come un velo di lacrime sottili che scivolava sui tetti d’ardesia e si insinuava tra i ciottoli sconnessi di Rue de Birague

 

 


 
Parigi quella sera era un dipinto impressionista lasciato a metà: la pioggia cadeva lenta, un velo di lacrime sottili che scivolava sui tetti d’ardesia, si insinuava tra i ciottoli sconnessi di Rue de Birague e tamburellava contro i vetri appannati della piccola mansarda.

Camille era lì, appoggiata al davanzale con la grazia di una statua greca e l’oscenità del suo corpo troppo femminile. Teneva una sigaretta tra le dita affusolate, come fosse una provocazione, il rosso lucido dello smalto brillava come sangue fresco contro la parete bianca. Il fumo si alzava in piccoli anelli intrecciandosi con l’umidità dell’aria e il profumo della sua pelle. Sapeva di femmina, di tabacco amaro e gelsomino selvatico che saturava la stanza come un ricordo che non voleva svanire.

I capelli neri le cadevano sulle spalle in onde disordinate, incorniciando un viso scolpito fatto solo per incantare gli uomini e renderli schiavi. Gli zigomi alti, le labbra piene, dipinte di un rosso scuro sbordato, quasi nero, e occhi verdi che scintillavano come smeraldi. Indossava un vestito di seta rossa, aderente come una seconda pelle, che si apriva in uno spacco audace sulla coscia sinistra, lungo il quale si intravedeva la trama velata più scura della sua calza di seta.

Dall’altra parte della stanza, Julien la osservava in penombra, seduto su una poltrona di velluto verde, logora agli angoli, con le molle che scricchiolavano sotto il suo peso. Teneva un bicchiere di cognac tra le mani, le dita strette attorno al cristallo come se fosse l’ultimo appiglio prima di un precipizio.

I suoi occhi castani, profondi e tormentati, seguivano ogni movimento della donna, quasi rapiti, quasi fosse la prima volta che la vedesse, attirato dal modo in cui lei inclinava la testa per soffiare il fumo verso la finestra, il lieve tremore della mano quando aspirava, il profilo del suo collo che si stagliava contro la penombra. Era bellissima Camille, sì, ma pericolosa come una rosa che profuma per mestiere, nascondendo spine pronte a ferire.

“Ti ricordi Sorrento?” Chiese lei all’improvviso, senza voltarsi, come fosse la coda di un pensiero più profondo. La sua voce era bassa, quasi un sussurro che vibrava nell’aria come il ronzio di un’ape intrappolata in un bicchiere, affilata da anni di silenzi e promesse non mantenute.

Julien rise, un suono rauco che si perse nel crepitio della pioggia. Posò il bicchiere sul tavolino di legno scheggiato accanto alla poltrona, il liquido ambrato ondeggiava come un mare in tempesta. “Sorrento è stato un sogno, Camille!” Disse, passandosi una mano tra i capelli striati di grigio alle tempie. “E i sogni non durano. Si sciolgono come zucchero nell’acqua, lasciandoti solo il sapore dell’amaro.”

“Un sogno?” Ribatté lei, girandosi di scatto. I suoi occhi lo trafissero, verdi e implacabili. “È così che lo chiami? Io ricordo il sole che mi bruciava la pelle, le tue mani che mi stringevano come se fossi l’unica cosa al mondo. Non era un sogno, Julien. Era vivo.”
“Vivo finché non hai deciso di spezzarlo… di confessarmi il vero significato di quella vacanza…” Disse lui, alzandosi dalla poltrona con un movimento lento. “Te lo ricordi, vero? Il giorno che ti ho trovata con lui, tra le lenzuola ancora calde del nostro letto.”

Camille sorrise, un sorriso che era un coltello avvolto in seta: dolce, crudele, irresistibile. Spense la sigaretta nel posacenere di ceramica sul tavolo, le dita che tremavano per un istante. “Ti amavo, Julien, anche in quel letto, anche quando ho fatto l’amore con lui per la prima volta e tutte le volte successive.” Disse lei avanzando verso di lui con passi lenti, i tacchi che echeggiavano sul pavimento di legno consunto.
Lui strinse i pugni, il volto che si induriva. “Non era lo stesso amore, non provavi le stesse cose. Tu, in quel momento hai fatto una scelta. Del resto eri stata tu a organizzare quella vacanza a tre, senza che io sapessi nulla! E lo hai fatto per mettermi alla prova, per vedere dove arrivasse la mia adorazione per te!”

“Una scelta?” La voce di lei si alzò, tagliente come una lama. “Pensavo fossi diverso, Julien. Tu hai sempre saputo che non ero sola… Te lo dissi fin dal nostro primo incontro, ma tu facevi finta di nulla…”
“Ma credevo che con lui fosse finita!”
“Finita? L’amore non muore mai, in caso rallenta, si ferma per poi ripartire… E comunque pensavo che mi avresti amata comunque e incondizionatamente, che avresti visto oltre le maschere che indosso. Ma tu hai smesso di guardarmi come si guarda una donna, con la fame e il fuoco della passione, e hai iniziato a guardarmi come se non fossi più la tua donna. Cosa dovevo fare? Aspettare che mi soffocassi con la tua indifferenza?”

Julien si avvicinò, il calore del suo corpo che si mescolava al profumo di lei. “Non era indifferenza, era amore e gelosia che mi strappava le viscere…” La sua voce tremava di rabbia e dolore. “Ogni volta che chiudevo gli occhi, vedevo te, ti vedevo in quel letto, tu sopra di lui che gli offrivi il tuo seno, lui sopra di te che si prendeva il meglio. Ogni volta che respiravo, sentivo il tuo profumo. Eri un pensiero stupendo, Camille, un’ossessione che mi ha divorato. Ma non si può vivere così, sentivo che non mi appartenevi.”

Lei lo fissò, il respiro che si spezzava per un istante. “E invece ti sbagli, io ero tua anche in quei momenti, anzi più lui mi dava amore e più sentivo di appartenerti.”
Lui scosse la testa, la mano tra i capelli: “Camille, giuro che non ti capisco, come non ti capivo allora…”
“Julien, non riesci a guardare oltre il tuo egoismo! Ti assicuro che si può amare due uomini con la stessa intensità senza preferenze e senza che uno dei due si senta in difetto.” Poi con un filo di voce aggiunse: “Io l’ho fatto, ci sono riuscita. Vi amavo entrambi e mai avrei permesso che uno dei due prevaricasse l’altro. Lui sapeva tutto di te e al contrario di te aveva accettato la situazione per non perdermi e per lasciarmi libera di amare.”

Julien attratto dal magnetismo di quel corpo fece un passo indietro per non cedere: “Beh io non ci riesco. Non riesco a distinguere l’amore dal possesso.”
Camille con un gesto plateale alzò la sua gonna fino al gancetto del reggicalze nero: “Però sei attratto da me pur sapendo che tutto questo non è solo tuo… Dai dillo che ora mi vorresti scopare, Julien!”
Lui rimase distante: “No, se lo facessi, ti considererei come una puttana di strada. Nessun cliente si illude di essere il primo e tanto meno l’ultimo.”

Lei fece finta di non sentire: “Guardala Julien!” Camille scostò appena le sue mutandine di pizzo nero: “Cosa cambia se qualcuno prima di te ha goduto dentro questo tesoro? Rimane comunque una cosa preziosa, che è tua e solo tua nel momento che sei dentro, ma che torna libera quando i sensi lasciano il posto all’affetto.”
“Hai detto bene! Questo non è amore, ma affetto, Camille!”
“Allora perché stasera mi hai chiamata? Perché mi hai voluta qui? Perché ti sei ridotto in queste condizioni?” Mormorò lei, così piano che quasi si perse nel rumore della pioggia. “Se ti faccio solo del male, perché non mi lasci andare?”

Lui alzò una mano, sfiorandole il viso con le dita, ma non era una carezza… Strinse forte quella pelle morbida, tiepida, e per un istante gli sembrò di tornare a Sorrento, sotto quel cielo troppo azzurro, con il mare che cantava e le sue labbra che sapevano di sale. “Perché non so come si fa.” Confessò, la voce ridotta a un sussurro. “Non so come si smette di amarti.”

Camille non si ritrasse subito. Lo lasciò fare, e il tempo parve fermarsi. Il ticchettio della pioggia, il battito del suo cuore, il pensiero stupendo che per mesi aveva covato come possibile. Con il ventre proteso sfiorò quello di lui, come per dargli un segnale, come per dire che ancora tutto sarebbe stato possibile, ma poi inclinò la testa, spezzando il contatto. “È troppo tardi per noi, Julien, tu desideri una donna diversa da me… tu vuoi ciò che io non posso darti.” Disse, voltandosi verso la porta.

“Camille, aspetta…” La chiamò lui, un ultimo tentativo disperato. “Dimmi che mi ami incondizionatamente ed io proverò a fare finta di nulla.”
Lei si fermò sulla soglia, la mano sulla maniglia, il freddo della notte che si riversava dentro portando l’odore di pietra bagnata e foglie marce. “No Julien, non sarebbe abbastanza. Non posso vivere di sotterfugi! L’amore è qualcosa che si vive alla luce del sole!” Rispose, senza guardarlo.
“Stai andando da lui?”
“Sì, forse, non so. Ma sappi che sarei rimasta volentieri qui…”

Aprì la porta e uscì, il suono dei suoi tacchi si perdeva tra i vicoli di Rue de Birague, inghiottito dalla pioggia. Julien rimase fermo davanti alla finestra, le mani infilate nelle tasche della giacca sgualcita, a fissare quell’ombra che svaniva nella notte. Forse davvero stava andando da lui. Le rose, pensò, profumano per mestiere. Ma il loro profumo svanisce troppo in fretta, lasciandoti solo il ricordo di ciò che non puoi avere completamente.










Questo racconto è opera di pura fantasia.
Nomi, personaggi e luoghi sono frutto
dell’immaginazione dell’autore e non sono da
considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con
fatti, scenari e persone è del tutto casuale.


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