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I racconti di LiberaEva
LA VEDOVA
Ci sono dei giorni che non
hanno un inizio, come se l’alba non si fosse mai
rischiarata, e la notte che l’ha preceduta, fosse
rimasta dall’altra parte del mondo...

Ci sono dei giorni che non
hanno un inizio, come se l’alba non si fosse mai
rischiarata, e la notte che l’ha preceduta, fosse
rimasta dall’altra parte del mondo. Ci sono dei giorni
interi e spaiati, che non hanno bisogno di ieri o
domani, e soli giustificano anni di giorni, che passano
anonimi senza sussulto, spezzano a metà esistenze e
catene, come reti da pesca dividono i mari, dove il
prima s’affoga in un solo ricordo e subito dopo
ricominci a contare.
Ci sono dei giorni quando
rincasi la sera, lentamente ti chiudi la porta alle
spalle, e ti rendi conto d’essere sola, avvolta da un
odore di umido e muffa, che sale verdastro sui muri di
casa, perché oggi è un anno preciso, che hai
accompagnato tuo marito nell’ultimo viaggio, spinta a
forza da una campana distante, che gonfiava le pene e il
tuo vestito più nero, e scandiva gli ultimi passi
strascicati di ghiaia. E l’hai visto dentro una bara,
trasportata a spalla come un quarto di bue, e poi
incassata dentro un loculo stretto, al quinto piano come
immondizie. Perché proprio oggi ci sei ritornata, e la
tristezza t’avvolto identica a prima, come se un anno
non fosse passato, come se il rumore di ghiaia fosse
ancora dentro le orecchie.
Ci sono dei giorni
forse gli stessi di prima, che ad ogni costo non vuoi
stare da sola, e trascini ed allunghi i tuoi impegni più
insulsi, per paura che il cervello sia costretto a
pensare, e ad ogni evenienza tralasci un bottone,
l’elastico nuovo delle tue mutande ordinarie, appoggiate
da giorni sulla poltrona. Lungo le ore più chiare
all’aperto, ti confondi tra facce che non hanno rilievo,
tra vuoti che pieni ti fanno rumore, per poi finire
dentro un cinema buio, al riparo di sguardi che
insinuano maschi, e fissano il lutto oltre l’orlo e il
ricamo, oltre lo spacco a malapena cucito.
Ci
sono dei giorni che rimani in disparte, e non vuoi
davvero sentire nessuno, tranne quella maga che ti legge
le carte, sapendo benissimo che è solo un imbroglio, che
il tuo futuro non è scritto nel cielo, o nell’inferno
che temi e t’angoscia, ma che se veramente esistesse,
smetteresti all’istante di pregare nel letto. Ma
t’affidi e t’attacchi a qualsiasi pensiero, che per un
attimo solo diventa reale, e ti lava di dentro tutto il
dolore, che ti consuma nel fondo e ingordo ti mangia,
quel pezzetto di fegato che ancora ti resta.
Ci
sono dei giorni come questo più cupo, che t’abbandoni
smarrita sul divano di pelle, e segui il percorso della
crepa sul muro, che muore e rinasce dal pavimento di
marmo. Ripeti il tragitto per centinaia di volte, finché
sei pronta a giurare sicura, che ha cambiato percorso
fino a sdoppiarsi, fino a quando ti sembra sentire il
frastuono, di un’anima inquieta di una casa che crolla.
Per puro caso tra le pareti che cadono a pezzi, senti
parole come dette nell’acqua, rimbombi di suoni di bolle
ovattate, e t’illudi che sia un campanello, un qualcuno
che ha deciso stasera, di venirti a trovare. Ti desti ma
è solo silenzio, ti concentri ma sono solo sospiri, di
qualcuno dall’altra parte del muro, che solo e testardo
si procura piacere.
Di notte s’aggrovigliano
vive le smanie, le facce di chi in tempi lontani, quando
ancora ragazza t’ha reso felice, ma che ora è ridicolo
soltanto parlarci, incontrarli per caso dentro una
stazione di metro, o cercarli con un paio d’occhiali,
tra i numeri che scendono sotto il tuo dito, di una
rubrica di nomi che anonimi non dicono niente. Ti
accorgi che ti sei trascurata, che quest’unghia che
scorre pare quella di un uomo, che questa mano venosa ha
bisogno di crema, e il seno che cala ha bisogno di
voglia. Indugi di nuovo davanti allo specchio, ti rendi
conto che un anno ha annientato il tuo uomo, come del
resto ha sfiancato il tuo viso, ora gonfio di borse e
solcato da rughe, che sinuose s’allungano senza nessuna
creanza.
Ci sono dei giorni che vorresti reagire,
ed indossi in segreto un vestito a fiori, e t’illudi che
il lutto lo porti di dentro, che lui sopra una nuvola ti
vede e t’apprezza, per tutto l’amore che gli hai saputo
donare. Durante la notte ci parli e t’approva, lo sogni
e ti pare che ti stia convincendo, che quel letto è
troppo grande per rifarlo al mattino, che quel fascio di
luna che filtra deciso, è troppo incalzante per non
rimanerne aggrappata.
E allora sì che ti curi e
ti vesti, e torni a risplendere davanti allo specchio,
sperando che ai tuoi figli non gli salti l’idea, di
venirti a trovare proprio in questo momento, quando ti
rivedi per un attimo bella, per un attimo padrona dei
tuoi desideri, che si sfilacciano nelle occasioni
tralasciate nel tempo, tante davvero che hai lasciato
cadere. Ma una di quelle t’è rimasta incastrata, dentro
la tasca di una borsa d’inverno, con tanto di numero che
poco prima hai chiamato, tra il fiatone più denso
disinvolto e sfacciato.
Ora sul bordo della vasca
giace e risplende, la tua ribellione di seta rosa e
turchese, la tua nuova sensibilità che ti sfiora la
schiena, che ti sfiora le gambe depilate e più lisce,
fino ad adagiarsi sul nylon bianco, sul desiderio che
questo momento non abbia una fine, che sia uno di quei
giorni come quelli di prima, che come reti da pesca
dividono i mari, trancino netti un’esistenza di mesi,
lasciandoti dietro quelli più amari, dove la leggerezza
ti faceva arrossire, come se fosse un peccato mortale.
Ti guardi e ti vedi bella di nuovo, pronta ad
offrirti come quando bambina, misuravi la bellezza
nell’intensità degli sguardi, di qualche coetaneo
nell’impaccio di mani, che toccandoti il seno ti
lasciavano densa, una gioia più grande dalle parti del
cuore. Ti volti e ti rivolti per assomigliarle di nuovo,
per provare ad esserlo nonostante un anno, passato a
schivare gli impulsi di pelle, arida e secca tra cosce e
ragione.
Tra il rumore dell’acqua che scorre
decisa, ascolti i tuoi dubbi che ti fanno più goffa,
come questi fiocchetti fuori luogo e inadatti, oramai
distanti da quello che cerchi, da questo rossetto che
s’è fermato indugiando, ad un palmo più o meno dalle tue
labbra indecise. Lasci cadere la tua mano seguendo,
l’alone incandescente dei tuoi capelli di rame, il
contorno dei seni ravvivati dal pizzo, e ti vedi
indecente come una suora in reggicalze, o un prete che
assolve mentre ti guarda le gambe.
Ma ormai è
tardi maledettamente più tardi, tra poco qualcuno
suonerà alla porta, e tu ancora non hai deciso che fare,
vorresti che tutto fosse come nel sogno, e l’uomo che
aspetta svanisca al mattino, dentro quel letto che ti
ritrova da sola. Vorresti metterti ai piedi le ciabatte
di casa, indossare la camicia da notte, che appesa alla
porta ti fa sentire serena, mentre tuo marito sopra la
nuvola, ti parla e ti dice che non è ancora il momento,
e quell’uomo impaziente fuori la porta, bussi invano per
tutta la notte.
Ma sai che non sarà come credi,
che ti lascerai trasportare in un locale del centro,
come nei tanti discorsi che non servono a niente, che il
fine è tra le tue gambe che accavalli leggera, perché
altrimenti non riesci a capire, per chissà quale ragione
lui parla e t’ascolta, ti guarda negli occhi e cerca di
non far trasparire, l’unico istinto che vi ha fatto
incontrare.
Sarà luce e sarà buio, momenti dove
ripeti che non fai nulla di male, ed altri dove speri
convinta, che questa serata non abbia un’altra fine,
oltre al gelato alla frutta che state gustando, oltre a
lui che ti chiede commosso dell’anno di pene accanto a
un malato. Ma durerà solo il tempo previsto, che tu ti
convinca che è una persona sensibile, perché un momento
dopo ti troverai sorpresa, ad annusare il vapore delle
sue parole più dense, che hanno cambiato l’odore e la
forma, e sono leggere frivole e vane.
Lo bacerai
più volte sul collo e la bocca, giurando che per questa
sera basta ed avanza, che non si andrà più oltre perché
tu hai deciso, proprio nell’instante che la sua mano
improvvisa, spartisce i tuoi seni e sceglie da esperto,
quello più docile per cercarti la voglia. Ti desti e ti
fingi di nuovo sorpresa, ma ormai non t’illudi e non
cerchi pretesti, quando più scomoda affondi vestita, sul
suo divano marrone in sala da pranzo.
Lui ti
preme senza barriere, dove per mesi hai accolto solo
assorbenti, solo ragioni e mutande di lutto, ma stasera
quel nero ha un tono diverso. Ti sembra di impazzire
come tutte le volte, quando pensavi con tuo marito
accanto, che nessuna mai era stata più intensa, e lo
giuri sicura quando i fiati diventano urla, quando le
visioni degli ultimi anni, quelli oltre la rete nei mari
più persi, diventano opache senza più un senso. Perché
l’unico senso è questo uomo che suda, quest’uomo che
fotte e concentra tutto sé stesso, nel caldo bollente di
un unico punto.
Ti domandi dove mai troverà
questa carica, perché mai s’ostina a cercarti la voglia,
e quale ragione lo muove e lo impenna, visto che non ha
figli e non ha moglie, e non ha perso un marito strada
facendo. Ti rivolta sicuro cercandoti ancora, fino ad
esplorare gli ultimi abissi, quelli più ostici che
s’annidano in basso, oltre le pareti di qualsiasi donna,
oltre la mente di qualsiasi femmina.
E lui
spinge, spinge e riempie, spinge e ti svuota, come fosse
un dottore che ha indovinato il malanno, come fosse un
architetto che ha individuato la crepa, e spinge, spinge
sempre più forte, schiacciando i ricordi stipati nel
ventre, le domeniche passate a pranzo sul lago, e quelle
dai suoceri con Davide in braccio. E spinge, spinge
senza che tu faccia ormai resistenza, anzi lo inviti e
ti fai più capiente, anzi lo senti dove nessuno è
arrivato davvero, e per assurdo ti senti regina, ti
senti più donna, per quel maschio che entra, poi esce e
duro si sente il padrone, e ti chiama amore, tesoro e
puttana e ti dice ancora di allargare le cosce, e
spinge, spinge senza nessuna creanza, per sentire le
urla, la tua gola più secca, e quant’anima ancora, di
pelle e di carne, hai in mezzo alle gambe.
Ti
sentirai svuotata questa volta davvero, quando l’urlo
del maschio ti bagna e t’indora, quando da molto lontano
senti cadere, una stupida pioggia che pian piano vicina,
diventa tempesta uragano e burrasca. Ti sentirai nuova
davvero, perché ci sono dei giorni che non hanno un
inizio, e non hanno bisogno di ieri o domani, come se
l’alba non dovesse arrivare, e questa notte che l’ha
preceduta, fosse rimasta dall’altra parte del mondo.
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Questo racconto è opera di pura
fantasia. Nomi, personaggi e luoghi sono frutto
dell’immaginazione dell’autore e qualsiasi
somiglianza con fatti, scenari e persone è del
tutto casuale.
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