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RACCONTO

Adamo Bencivenga
IL
FASCINO DELL’AMANTE
Un uomo, travolto
dal desiderio e dalla leggerezza di un amore
clandestino, si lascia sedurre dall’euforia di
un’attrazione irresistibile, scoprendo però che il
vero magnetismo non risiede nel fascino della donna,
ma nel suo ruolo di amante…

Mi chiamo Saverio, ho 38
anni, vivo a Roma in un bell’attico all’Eur con Linda,
mia moglie da nove anni. Quando ci siamo sposati ci
sentivamo padroni del mondo credendo che quell’ardore e
quella passione sarebbero durati per sempre. Eravamo
giovani e pieni di sogni e soprattutto convinti che il
nostro legame sarebbe stato immune al tempo, alla
monotonia e alle insidie della vita.
Col passare
degli anni però tutto è diventato abitudine sbiadendo
ogni nostro entusiasmo, i figli non erano venuti e le
nostre serate silenziose davanti alla TV, i sabati al
centro commerciale e i pranzi domenicali dai nostri
genitori sono diventati un peso insopportabile come le
cene trite e ritrite con i nostri amici di sempre.
Mi sentivo come un attore intrappolato in una recita
infinita, e il copione era sempre lo stesso. Dentro di
me, cresceva una fame di qualcosa di nuovo, di
un’emozione che rompesse quella patina di grigiore. Non
era solo la mancanza di passione, era la sensazione di
aver smarrito me stesso.
L’unica mia via di fuga
era il mio lavoro che mi portava spesso in viaggio, un
modo per respirare, per scappare da una quotidianità che
mi stava soffocando. Ogni partenza era un respiro di
sollievo, e in quelle fughe ho smesso di coltivare il
nostro rapporto, di scegliere Linda, cercando altrove
ciò che mi mancava: emozioni, brividi e passione.
******
L’occasione è arrivata quasi per
caso. Lei si chiamava Penelope, una collega che ho
conosciuto durante una trasferta a Bologna. Era una
donna brillante, luminosa e leggera con un fascino
malizioso che mi ha catturato dal primo istante. I suoi
occhi, il modo in cui si muoveva, la sicurezza con cui
parlava, il suo abbigliamento scelto con cura: tutto in
lei mi attirava.
Sin da quel primo incontro ho
iniziato a guardarla con insistenza, e lei sembrava
ricambiare il mio interesse. Alla fine mi sono
avvicinato, ma è stata lei a fare il primo passo.
“Questo lavoro è particolarmente noioso, ti va di fare
una passeggiata insieme prima di cena?” Mi ha chiesto,
con un sorriso che non lasciava spazio a dubbi. Ero
spiazzato, ma lusingato. Ho accettato senza pensarci
troppo.
Quella sera, il cielo sopra Bologna era
limpido, con una leggera brezza che rendeva l’aria
frizzante. Penelope camminava accanto a me, il suo
profumo speziato mi avvolgeva mentre ci inoltravamo per
le stradine acciottolate del centro. I portici,
illuminati dalla luce calda dei lampioni, sembravano
quasi custodire quella timida complicità. Non parlavamo
molto, ma ogni tanto i nostri sguardi si incrociavano, e
c’era un’intesa che non aveva bisogno di parole.
“Non sei di Bologna, vero?” Mi ha chiesto rompendo il
silenzio mentre passavamo per Piazza Maggiore. “No, sono
di Roma.” Lei ha sorriso. “Lo avevo capito dall’accento,
anche io sono di Roma, ma Bologna mi piace. Sotto questi
portici, sembra sempre che possa succedere qualcosa di
inaspettato.” Disse con un sorriso malizioso.
Quando siamo arrivati in Piazza Santo Stefano, indicando
un locale con i tavolini all’aperto, mi ha chiesto: “Ti
va un aperitivo? Fanno un ottimo Spritz qui.” “Non
dico mai di no a un buon Spritz.” Ho risposto cercando
di nascondere l’eccitazione che mi stava montando
dentro.
Ci siamo seduti, e mentre ordinavamo, ho
notato il modo in cui si sistemava i capelli, un gesto
sensuale che sembrava studiato per attirare la mia
attenzione. Il cameriere ha portato i nostri drink, e il
tintinnio dei bicchieri mi ha fatto sentire
improvvisamente fuori dal tempo, come se Linda, Roma e
tutto il resto fossero lontani anni luce.
“Cosa
ti porta ad accettare queste noiose trasferte di lavoro?
In fin dei conti sono facoltative.” Mi ha detto
appoggiando il mento su una mano mentre sorseggiava il
suo Spritz. Ho riso, un po’ nervoso. “Beh, il lavoro è
un’ottima scusa non credi? In realtà… credo sia la
voglia di staccare, di sentirmi un po’ vivo. Roma a
volte mi soffoca.” “Parli da uomo sposato…” “Lo
sono.” Ho risposto. “Si vede tanto?” Lei ha sorriso:
“Ti capisco. A volte serve un po’ di leggerezza, no?
Qualcosa che ti faccia dimenticare tutto il resto.” Il
modo in cui ha detto “tutto il resto” mi ha fatto
intuire che sapeva più di quanto lasciasse intendere. Ma
non ho approfondito.
L’aperitivo è scivolato via
parlando di moda, viaggi e di serate in qualche locale
di Roma che conoscevamo entrambi. Ogni parola sembrava
scelta con cura, e io mi sentivo sempre più attratto da
lei, come se stessi cadendo in una rete invisibile.
Quando abbiamo finito i nostri drink, mi ha guardato con
un’espressione che non lasciava spazio a
interpretazioni. “Che dici, andiamo a cena? O hai altri
impegni per la serata?” Poi senza attendere la mia
risposta ha aggiunto: “Conosco un posto qui vicino,
fanno una carbonara da urlo.” “Una carbonara a
Bologna? Sei sicura?” Ho scherzato, alzandomi dal
tavolo. “Fidati di me… Non te ne pentirai.”
Il
ristorante era un piccolo locale nascosto in una via
laterale, con pareti di mattoni a vista, stampe d’autore
alle pareti e candele sui tavoli. L’atmosfera era calda,
intima, perfetta per lasciarsi andare. Ci siamo seduti
in un angolo, e mentre sfogliavamo il menu, le nostre
mani si sono sfiorate per un attimo. È stato un contatto
breve, ma sufficiente a farmi sentire un brivido lungo
la schiena.
“Quindi, Saverio.” Mi ha chiesto dopo
che il cameriere ha preso le nostre ordinazioni. “Sei
uno di quelli che si lasciano travolgere dalla routine o
sei il tipo che cerca sempre qualcosa di più?” Ho
esitato stringendo con la mano il bicchiere. “Un po’ e
un po’.” Ho ammesso. “A volte mi lascio trascinare, ma
poi… poi sento il bisogno di qualcosa che mi scuota. E
tu?”
Lei ha sorriso, inclinando leggermente la
testa. “Io? Io vivo da sola, in un piccolo appartamento
a Trastevere, e quando non lavoro cerco solo momenti che
mi fanno battere il cuore. Se non mi emoziono mi sembra
di sprecare il tempo e non sopporto la monotonia. Forse
è per questo che mi piace viaggiare, conoscere persone
nuove… come te.”
Ha fatto una pausa, guardandomi
dritto negli occhi. “Dimmi la verità, Saverio. Come va
con tua moglie?” Il mio cuore ha saltato un battito. Non
mi aspettavo una domanda così diretta. Ho abbassato lo
sguardo per un istante, poi ho risposto. “Beh, se tutto
andasse a gonfie vele… Non sarei qui con te.” Penelope
non è sembrata sorpresa. Ha preso un sorso di vino, poi
ha detto, con un tono quasi giocoso: “Tranquillo, non
sono il tipo che giudica. Anzi, forse è proprio questo
che ti rende interessante. Hai quell’aria di chi sta
cercando qualcosa… e magari l’ha trovata stasera.” Non
ho risposto subito. Le sue parole mi avevano colpito.
Era come se mi stesse offrendo una porta, un invito a
lasciarmi andare. E io, in quel momento, volevo solo
attraversarla.
La cena è proseguita tra risate,
sguardi complici e un’intesa che cresceva a ogni parola.
Finita la cena mi ha guardato con un’intensità che mi ha
fatto quasi tremare. “Saverio, non so tu, ma io non ho
voglia di tornare in albergo così presto. Che ne dici di
continuare la serata?” Ho sentito il sangue pulsarmi
nelle tempie. Sapevo cosa significava quella proposta.
Allungare quella serata insieme ci avrebbe permesso di
avvicinarci e poi chissà cosa. Ma in quel momento, con
lei davanti a me, con il suo sorriso che prometteva un
mondo di emozioni, non ho pensato a Linda, al nostro
matrimonio, alle promesse fatte. Ho pensato solo a quel
brivido, a quella voglia di sentirmi vivo. “Va bene.”
Ho detto, con la voce leggermente roca. “Continuiamo la
serata.” E così, senza rendermene conto, ho fatto il
primo passo verso un baratro che avrebbe cambiato tutto.
Quando siamo usciti dal ristorante, l’aria fresca
della notte bolognese non è riuscita a raffreddare
l’elettricità che scorreva tra noi. Abbiamo camminato
per un po’, i nostri passi che echeggiavano sotto i
portici, finché lei si è fermata voltandosi verso di me.
I suoi occhi brillavano sotto la luce dei lampioni, e il
suo sorriso aveva un’intensità che mi ha fatto quasi
perdere l’equilibrio. “Saverio non mi piace perdere
tempo con giri di parole. Voglio passare la notte con
te. Niente promesse, niente complicazioni. Solo noi,
questa notte.” Ha fatto un passo verso di me,
accorciando la distanza tra noi, e ho sentito il suo
profumo speziato avvolgermi di nuovo, più inebriante che
mai. Non so cosa mi aspettassi, ma quelle parole, così
dirette, mi hanno travolto come un’onda.
Non
c’era spazio per riflettere, per pensare alle
conseguenze. In quella serata, esisteva solo Penelope,
con la sua leggerezza, il suo fascino malizioso, il modo
in cui sembrava offrirmi un mondo che avevo dimenticato.
“Toppo sfacciata?” Ha aggiunto e in quel momento ho
fermato un taxi al volo.
Nel tragitto, seduti uno
accanto all’altra sul sedile posteriore, le nostre mani
si sono sfiorate di nuovo, e questa volta non si sono
separate. Le sue dita, calde e sicure, si sono
intrecciate alle mie, e quel contatto mi ha fatto
sentire come se stessi precipitando in un vortice. Non
abbiamo parlato, non ce n’era bisogno. Il silenzio era
carico di desiderio, di quel brivido che cercavo da
troppo tempo.
*******
Quando siamo
entrati nella mia stanza, la porta si è chiusa alle
nostre spalle con un clic che mi è sembrato definitivo,
come se stesse sigillando il mondo fuori. Penelope non
ha perso tempo e mentre preparavo due drink lei si è
tolta il vestito con un movimento lento, quasi teatrale,
lasciandolo cadere sul pavimento.
Indossava una
lingerie nera da sogno che metteva in risalto ogni curva
del suo corpo, ogni centimetro sensuale della sua pelle.
Si è girata verso di me, con un sorriso che era allo
stesso tempo un invito e una sfida. “Allora, Saverio.”
Ha detto, avvicinandosi lentamente. “Sei sicuro di voler
continuare?” Non era una domanda, e lo sapevamo
entrambi. Era un modo per accendere ancora di più la
tensione, per rendere tutto più reale e intrigante.
“Sì.” Ho sussurrato non riuscendo a distogliere lo
sguardo da lei, dai suoi occhi che sembravano leggermi
dentro, dal modo in cui si muoveva, sicura e seducente,
come se fosse al tempo stesso preda e carnefice.
Non ricordo esattamente cosa successe un momento dopo,
ma quando le nostre labbra si sono fuse ho sentito come
se quel bacio lo avessi aspettato da troppo tempo. Ogni
suo tocco era come una scarica elettrica e non c’era
spazio per pensieri razionali, per sensi di colpa, per
nulla che non fosse il desiderio che mi consumava. Mi
sono lasciato andare completamente, travolto
dall’eccitazione, dalla sensazione di essere vivo,
libero con una donna che sapeva perfettamente cosa
desiderassi.
Quella notte è stata un’esplosione
di sensi. Penelope era tutto ciò che avevo immaginato e
anche di più: appassionata, audace, attenta a ogni
dettaglio. Ogni suo movimento sembrava calcolato per
portarmi al confine tra piacere e follia. Non c’era
nulla di meccanico o prevedibile; era come se ogni
gesto, ogni respiro, fosse un dialogo silenzioso tra
noi. Mi sentivo come se stessi riscoprendo una parte di
me che avevo sepolto di routine, di responsabilità, di
noia e in un solo attimo tutto è svanito, dissolto in
un’euforia che non provavo da anni.
*******
La mattina dopo, quando Penelope è tornata nella sua
stanza mi sono ritrovato solo con la luce del sole che
filtrava dalle tende e un silenzio assordante. È stato
allora che il peso di quello che avevo fatto ha iniziato
a farsi sentire. Non era più solo un gioco, un momento
di evasione. Per la prima volta avevo tradito Linda,
avevo infranto le promesse che ci eravamo fatti. Ma,
allo stesso tempo, non riuscivo a pentirmi del tutto.
Quella sensazione, quella droga, era già diventata una
dipendenza. Ho chiuso gli occhi, cercando di scacciare i
pensieri, ma una domanda continuava a tormentarmi: cosa
stavo cercando, davvero? E, soprattutto, cosa avrei
fatto ora? L’unica risposta però venne spontanea:
nessuno lo avrebbe mai saputo!
Da quella notte a
Bologna, Penelope è diventata una presenza costante
nella mia vita, un fuoco che non riuscivo a spegnere.
Ogni viaggio di lavoro, ogni occasione in città si
trasformava in un desiderio travolgente di rivederla.
Non era solo desiderio fisico, anche se quello era
innegabile. Era il modo in cui Penelope mi guardava,
come se fossi l’unico uomo al mondo, il modo in cui le
sue parole e i suoi gesti mi tiravano fuori dalla
monotonia della mia vita con Linda. Con lei, non ero più
il marito intrappolato nella routine, non ero più
Saverio, quello dei pranzi domenicali, delle sere alla
TV. Ero l’amante, un uomo che viveva per momenti di pura
adrenalina, per attimi rubati che avevano il sapore
della libertà.
Ci incontravamo in città diverse,
in hotel discreti, in ristoranti nascosti, in bar dove
la luce soffusa sembrava complice dei nostri segreti, ma
anche a Roma nella sua piccola casa di Trastevere.
Penelope non mi chiedeva di scegliere, di lasciare
Linda, di cambiare la mia vita. Era una delle cose che
mi affascinavano di lei: la sua leggerezza, la sua
indipendenza, il modo in cui sembrava vivere ogni
momento senza aspettative. Una sera, mentre eravamo
sdraiati nel suo letto le ho chiesto: “Non ti pesa mai
tutto questo? Vivere di momenti rubati, senza sapere
cosa succederà domani?” Lei si è appoggiata su un
gomito, i capelli che le cadevano sul viso, e mi ha
guardato con quel suo sorriso che era un misto di
dolcezza e provocazione. “Saverio, io mi accontento di
momenti rubati. Hanno più sapore rispetto a
un’abitudine. La monotonia spegne tutto, lo sai. E poi,
sono uno spirito libero. Non costringerò mai nessuno a
fare quello che non desidera, men che meno te.” Ha fatto
una pausa, sfiorandomi il viso con la punta delle dita.
“Per ora, amami così. Il resto si vedrà.”
Le sue
parole erano come una chiave che apriva una porta dentro
di me. Rendeva tutto maledettamente semplice e non c’era
pressione, non c’era giudizio. Con Penelope, potevo
essere me stesso, o almeno la versione di me stesso che
volevo essere in quei momenti: spensierato, desiderato,
vivo. Non mi chiedeva promesse, non mi chiedeva un
futuro. E questo, in qualche modo, rendeva tutto ancora
più irresistibile.
Ma più il tempo passava, più
sentivo che qualcosa dentro di me stava cambiando. Ogni
volta a casa, trovavo Linda ad aspettarmi, con il suo
sorriso stanco e i suoi tentativi di mantenere viva una
quotidianità che per me era diventata insopportabile. Mi
accorgevo di essere sempre più distante, non solo
fisicamente, ma anche emotivamente. Le conversazioni con
lei erano ridotte a monosillabi, a frasi di circostanza.
“Com’è andata oggi?” Mi chiedeva, e io rispondevo con un
“Bene” che nascondeva tutto. Non ero più il marito di
Linda. Ero l’amante di Penelope, e quella trasformazione
mi faceva sentire allo stesso tempo euforico e
colpevole.
A volte, mentre ero con Penelope, mi
chiedevo cosa sarebbe successo se Linda lo avesse
scoperto. Ma poi scacciavo quel pensiero, perché la
verità era che non volevo pensarci. Non volevo
affrontare le conseguenze. Penelope aveva ragione: i
momenti rubati avevano più sapore, e io ero diventato
dipendente da quel gioco. Ogni bacio, ogni notte, ogni
risata con lei era una fuga dalla realtà, un modo per
non guardarmi allo specchio e chiedermi chi fossi
diventato.
Una sera, mentre eravamo a Venezia,
seduti in un bar lungo il Canal Grande, Penelope mi ha
preso la mano e ha detto: “Sai, Saverio, io sto bene con
te e non desidero altro. Ma tu… tu sembri un uomo che
sta scappando da qualcosa e nella la vita vera non si
può scappare per sempre.” Ho sentito un nodo allo
stomaco. Era la prima volta che Penelope toccava un
tasto così profondo: “Sai ci penso spesso e mi chiedo
cosa succederebbe se questi momenti rubati non fossero
più rubati. Perderebbero il loro fascino?” Ho risposto
abbassando lo sguardo e temendo la sua risposta. “Mi
stai dicendo che come coppia non saremmo in grado di
sostenere una vita insieme?” “Sto dicendo che è più
facile essere amanti che sposati!” Lei spalancò i
suoi occhi e rispose: “Per questo mi accontento. Amami
Saverio, amami così, ma sempre…”
******
Poi, un giorno, tutto è crollato. Era mattina, ero a
casa. Linda mi ha guardato dritto negli occhi e ha
detto, calma ma tagliente: “So che mi tradisci,
Saverio.” Mi sono sentito come un bambino colto con le
mani nella marmellata. Non ho avuto la forza di negare.
Forse, in fondo, volevo liberarmi di quel peso. “Sì, è
vero. Mi dispiace, Linda.” Ho risposto, con la voce che
tremava. Lei non ha urlato, non ha pianto, ma ha voluto
sapere tutto: chi era, perché mi attraeva, come faceva
l’amore, come vestiva, di cosa parlava, persino come
portava i capelli e come sorrideva. Le ho dato qualche
dettaglio, pochi frammenti: il taglio di capelli, i
tacchi alti, le calze nere velate.
Da quel
giorno, Linda è cambiata. Ha iniziato a trasformarsi. Ha
tagliato i capelli nello stesso modo, ha comprato scarpe
col tacco alto, le calze nere velate sono diventate la
sua seconda pelle. Una sera, mentre facevamo l’amore per
la prima volta dopo tanto tempo, mi ha spiazzato. Al
culmine del piacere, mi ha sussurrato: “Chiamami
Penelope.” Ho detto di no, ma lei ha insistito: “Fallo!”
Ero confuso e alla fine ho obbedito. A quel punto lei è
esplosa accompagnando l’orgasmo con un urlo che non le
avevo mai sentito. Non so perché lo avesse fatto, forse
per liberarsi da quell’incubo oppure per dimostrarmi che
cercare altrove il piacere non aveva alcun senso. Ma
sentivo quanto quell’urlo fosse forzato, sbagliato e
pieno di rabbia. Così che, quando le ho chiesto perché
lo avesse fatto, mi ha guardato con occhi pieni di amore
e dolore: “Ti amo, Saverio, e non voglio perderti.”
Quelle parole mi hanno trafitto. Ma non sono bastate
a fermarmi. Ho continuato a vedere Penelope, a inseguire
quel brivido. Linda, però, non si è arresa. Una sera, mi
ha detto: “È evidente che lei ha qualcosa che io non ho.
Qualcosa di più profondo dell’aspetto fisico.” Poi, con
una decisione che mi ha spiazzato, ha aggiunto: “Voglio
vederla.” Non potevo crederci. Linda voleva conoscere
Penelope. Non riuscivo a capire, cosa la spingesse a
fare una richiesta così audace, così fuori dal suo
carattere.
Vedevo nei suoi occhi una
determinazione che non riconoscevo, un bisogno di
capire. Linda non era il tipo da scenate o da ultimatum.
Era una donna razionale, ma anche profondamente emotiva,
e il suo desiderio di vedere Penelope non nasceva da una
gelosia morbosa o da un capriccio. Semplicemente voleva
comprendere cosa mi avesse spinto a tradirla. Non si
trattava solo di me o di Penelope; si trattava di noi,
di ciò che era mancato nel nostro matrimonio, di ciò che
mi aveva portato a cercare altrove.
Quando mi
aveva detto: “È evidente che lei ha qualcosa che io non
ho.” Non lo aveva detto con amarezza, ma con una sorta
di curiosità dolorosa. Era come se volesse guardare in
faccia la donna che, ai suoi occhi, rappresentava tutto
ciò che lei non era riuscita a darmi. Forse sperava che,
vedendola, avrebbe capito cosa mi aveva allontanato,
quali parti di me stesso avevo cercato in Penelope.
Forse pensava che, conoscendola, avrebbe potuto capire
come riconquistarmi, come riaccendere in me quel
desiderio che sembrava essersi spento. Era un modo per
dare un volto al suo senso di inadeguatezza, per
trasformare un’ombra in qualcosa di concreto.
Linda si era accorta del mio cambiamento molto prima che
lo ammettessi. Le mie assenze, i miei silenzi, il modo
in cui evitavo il suo sguardo, ma invece di chiudersi
nel dolore o nell’orgoglio ferito, aveva scelto di
affrontare la situazione a modo suo. Chiedere di
incontrare Penelope era, in un certo senso, un atto di
coraggio. Non era una resa, ma una sfida, dimostrando
che non aveva paura di confrontarsi con la realtà, per
quanto dolorosa fosse. Vedere Penelope significava
smettere di immaginarla come un’ideale irraggiungibile,
come una nemica invincibile. Era un modo per smontare il
mito che io, inconsciamente, avevo creato intorno a lei.
E piano piano ho capito che per lei conoscere
Penelope era guardare in faccia la verità sul nostro
matrimonio sperando, in cuor suo, che quell’incontro
potesse essere un punto di svolta, capendo se ci fosse
ancora speranza per noi, se potevamo ricostruire ciò che
avevo distrutto con le mie scelte. O forse, al
contrario, voleva essere sicura che non ci fosse più
nulla da salvare.
Ovviamente ho provato a
dissuaderla. “Linda, non ha senso.” Le ho detto,
cercando di nascondere il mio disagio. “Non cambierà
nulla.” “Non lo faccio per te, Saverio.” Ha risposto,
con una calma che mi ha fatto rabbrividire. “Lo faccio
per me. Voglio sapere chi è questa donna che ti ha fatto
perdere la testa. Voglio guardarla negli occhi.” Il suo
tono non ammetteva repliche. E così, nonostante la mia
riluttanza, ho accettato. Non potevo negarle quella
richiesta, non dopo tutto il dolore che le avevo
causato. Ma dentro di me, sapevo che quell’incontro
avrebbe cambiato tutto, in un modo o nell’altro. Non era
solo una questione di vedere Penelope: era una questione
di vedere noi stessi, di affrontare ciò che ero
diventato e ciò che Linda era disposta a fare per
salvarci. E, per la prima volta, ho avuto paura di ciò
che avrebbe potuto scoprire, non su Penelope, ma su di
me.
******
Organizzare quella cena
sulla nostra terrazza all’Eur è stato come camminare su
un filo sospeso sopra un precipizio. Non volevo farlo,
ma Linda era stata irremovibile. Così, ho deciso di
mascherare l’incontro come un evento informale,
invitando alcuni colleghi di lavoro per rendere tutto
meno sospetto. Ho detto a Penelope che era solo una cena
tra amici e collaboratori. Lei, ignara di tutto, con il
suo solito entusiasmo ha accettato senza sospettare di
nulla: “Quindi per una sera sarò solo una collega,
vero?” Mi ha detto sorridendo.
Quella sera sulla
terrazza del nostro attico c’era un’atmosfera
accogliente, quasi magica, con il panorama di Roma che
scintillava in lontananza. Linda aveva preparato tutto
con una precisione che mi aveva sorpreso: piatti di
antipasti, bruschette con pomodoro fresco, un’insalata
di farro e verdure, e un vassoio di lasagne che sapevano
di casa. Era come se volesse dimostrare qualcosa, non
solo a me, ma a tutti i presenti e soprattutto a
Penelope.
Quando Penelope è arrivata, il mio
cuore ha fatto un balzo. Indossava un abito verde scuro
che le scivolava addosso come una seconda pelle, con un
paio di tacchi argentati che accentuavano la sua
eleganza naturale. I suoi capelli, sciolti e mossi, le
incorniciavano il viso, e il suo sorriso era quello di
sempre: aperto, sicuro, leggermente malizioso. “Saverio,
che posto magnifico!” Ha detto, guardandosi intorno e
ignara di essere un’osservata speciale.
Linda,
impeccabile come sempre nel suo tailleur nero, l’ha
accolta con un sorriso cordiale da perfetta padrona di
casa. “Benvenuta, Penelope.” Ha detto, porgendole un
flut di prosecco. “Saverio mi ha parlato tanto di te.”
Il suo tono era gentile, ma c’era una nota sottostante
che mi ha fatto rabbrividire, come se da un momento
all’altro potesse succedere qualcosa. Penelope,
all'oscuro, ha ricambiato il sorriso. “Oh, spero solo in
bene! Grazie per l’invito, è davvero un piacere essere
qui. Avete una bellissima casa… e poi questo panorama è
davvero mozzafiato…”
L’atmosfera era
apparentemente rilassata. I colleghi chiacchieravano tra
loro, il vino scorreva, e le risate riempivano l’aria.
Ma io non riuscivo a concentrarmi su nulla che non fosse
Linda. I suoi occhi erano fissi su Penelope. Non era uno
sguardo ostile, ma analitico, quasi scientifico.
Studiava ogni suo gesto: il modo in cui Penelope si
portava il bicchiere alle labbra, il modo in cui rideva
alle battute di un collega, il modo in cui si sistemava
una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Era come se
Linda stesse cercando di smontarla pezzo per pezzo, di
decifrare non solo la donna che aveva davanti, ma
l’essenza di ciò che mi aveva attratto verso di lei.
Notava il modo in cui parlava con gli altri, in cui
si muoveva, fluida e naturale. e soprattutto il modo in
cui Penelope mi guardava. Tra loro si sono scambiate
solo qualche battuta, ma diverse occhiate piene di
significato. Quando la cena è finita e gli ospiti hanno
iniziato a salutare, Penelope si è avvicinata a me per
un ultimo scambio di battute. “Grazie per la serata,
Saverio.” Ha detto, con un sorriso che mi ha riportato a
tutte le nostre notti insieme. “Tua moglie è davvero
speciale. Siete fortunati.” Poi si è allontanata,
lasciando nell’aria il suo profumo e un senso di
inquietudine che non riuscivo a scrollarmi di dosso.
Linda, che stava sparecchiando, ci ha guardati da
lontano. Non ha detto nulla, ma nei suoi occhi c’era una
determinazione nuova, come se quella serata le avesse
dato una risposta, o forse una nuova domanda. Non sapevo
cosa avesse visto in Penelope, ma una cosa era certa:
quella cena non era stata solo un incontro. Era stata
una prova, un confronto silenzioso tra due donne che, in
modi diversi, avevano segnato la mia vita. E io,
intrappolato tra loro, cominciavo a chiedermi se sarei
mai stato capace di scegliere chi fossi davvero.
Quando gli ultimi ospiti hanno lasciato la terrazza, il
silenzio è calato come un sipario pesante. Le luci
soffuse continuavano a illuminare il tavolo ormai quasi
vuoto, con i resti della crostata e qualche bicchiere di
vino abbandonato. L’atmosfera tra me e Linda era carica
di una tensione che non potevo ignorare. Per assurdo
avevo sperato che la serata finisse senza drammi, che
Linda, soddisfatta di aver visto Penelope, lasciasse
cadere l’argomento. Ma quando mi ha preso da parte ho
capito che non sarebbe stato così semplice.
“Saverio.” Ha detto, con un tono che mescolava delusione
e una lucidità tagliente. “Mi sbagliavo.” Mi ha guardato
dritto negli occhi. “Lei non ha nulla più di me. Anzi,
forse ha meno. E credo che sia proprio da quel ‘meno’
che sei attratto. Guardandola, mi hai deluso. Ti credevo
più esigente.” Le sue parole mi hanno colpito come un
pugno nello stomaco. Non c’era rabbia nel suo tono, non
come mi sarei aspettato. C’era qualcosa di più profondo,
una sorta di amarezza mista a consapevolezza, come se
quella serata le avesse rivelato non solo chi fosse
Penelope, ma anche chi fossi diventato io. Mi sono
sentito improvvisamente nudo, come se ogni mia scelta,
ogni mia azione, fosse stata messa sotto una luce
spietata.
Quando Linda ha detto “mi sbagliavo,”
ho capito che si riferiva alla sua percezione di
Penelope. Per settimane, forse mesi, aveva vissuto con
l’idea che l’altra donna fosse una sorta di ideale
irraggiungibile, una figura che incarnava tutto ciò che
lei pensava di non essere. L’aveva immaginata perfetta,
sofisticata, inarrivabile, insomma qualcosa che
giustificasse il mio tradimento. Ma quella sera,
osservandola, aveva visto una verità diversa. Penelope
era affascinante, sì, con il suo charme disinvolto e il
suo modo di muoversi che catturava l’attenzione, ma non
era una dea, qualcosa per cui buttare una vita alle
ortiche. Era una donna, con pregi e difetti, non così
diversa da Linda stessa. E quella scoperta l’aveva
delusa, non perché Penelope fosse meno di quanto si
aspettasse, ma perché io avevo scelto lei – o meglio,
ciò che rappresentava – invece di lottare per il nostro
matrimonio.
Quella frase “credo che sia proprio
da quel ‘meno’ che sei attratto” era la più difficile da
digerire. Linda aveva colto qualcosa che io stesso non
avevo ancora pienamente compreso. Penelope, con la sua
leggerezza, la sua frivolezza, la sua mancanza di
vincoli, il suo vivere di momenti rubati, incarnava una
fuga dalla complessità della vita reale. Non mi chiedeva
impegno, non mi chiedeva di essere un marito, un
compagno, un punto di riferimento. Con lei, potevo
essere solo l’amante, un uomo che esisteva per il
piacere e l’adrenalina, senza passato né futuro.
Quel “meno” era la libertà dalla routine, dalle
aspettative, dalle responsabilità che il nostro
matrimonio portava con sé. Linda, con la sua forza, il
suo amore profondo, la sua dedizione, rappresentava
invece tutto ciò che richiedeva impegno, costruzione e
sacrificio. E io, in quel momento della mia vita, avevo
scelto la strada più facile. Linda lo aveva capito, e
quella consapevolezza la feriva, ma le dava anche una
nuova chiarezza.
Quando ha detto “ti credevo più
esigente,” ho sentito il peso di un giudizio che non
potevo ignorare. Scegliendo Penelope, avevo tradito non
solo lei, ma anche l’immagine che aveva di me. Era come
se, ai suoi occhi, mi fossi accontentato di qualcosa di
superficiale e frivolo, di un’illusione di libertà che
non richiedeva nulla di autentico. La sua delusione non
era solo per il tradimento, ma per il fatto che avevo
barattato il nostro rapporto per qualcosa di più
semplice, di meno impegnativo. Mi credeva migliore di
così, e scoprire che non lo ero l’aveva ferita più di
quanto il tradimento stesso avesse fatto.
Dopo
quelle parole, Linda non ha aggiunto altro. Si è voltata
per continuare a sparecchiare, lasciando che il silenzio
parlasse per lei. Io sono rimasto fermo, con le sue
parole che mi risuonavano nella testa. Non sapevo cosa
dire, non avevo risposte. Una parte di me voleva
difendersi, giustificarsi, dirle che non era così
semplice, che Penelope non era solo un capriccio, che
ciò che provavo con lei era reale. Ma un’altra parte di
me, più profonda, sapeva che Linda aveva ragione. Mi ero
lasciato sedurre da un’illusione, da un “meno” che mi
aveva fatto dimenticare chi fossi davvero.
Quella notte, mentre Linda dormiva o, forse fingeva di
dormire, sono rimasto sveglio, a fissare il soffitto. Le
sue parole continuavano a tormentarmi. “Ti credevo più
esigente.” Non era solo una critica, era una sfida.
Linda mi stava chiedendo, senza dirlo apertamente, di
guardarmi dentro, di capire cosa volessi davvero. E, per
la prima volta, mi sono chiesto se fossi ancora capace
di essere l’uomo che lei aveva amato, l’uomo che
meritava. Penelope mi offriva momenti rubati, ma Linda
mi stava offrendo una possibilità di riscatto, di
ricostruire ciò che avevo distrutto. La domanda era:
avevo il coraggio di sceglierla?
******
Quelle parole hanno lasciato il segno e nei giorni
seguenti ho iniziato a guardare Penelope con occhi
diversi. Mi chiedevo di cosa mi fossi innamorato. Era
davvero lei o era il ruolo che incarnava? L’amante che
si portava dietro il brivido della trasgressione,
l’ineluttabilità effimera della passione e la libertà di
essere qualcun altro, lontano dalle responsabilità e da
me stesso. Linda aveva ragione: la mia attrazione non
era Penelope, ma ciò che rappresentava. E quella
consapevolezza ha iniziato a pesarmi.
Da quel
momento, qualcosa in me è cambiato. Ho iniziato a vedere
il mio matrimonio con occhi nuovi. Linda non aveva mai
smesso di lottare per noi, anche quando l’avevo tradita,
anche quando l’avevo ferita, anche quando preparavo la
valigia e lei sapeva benissimo con chi avrei passato
quella notte. Mi sono chiesto se fossi ancora capace di
amarla come meritava, se fossi in grado di ricostruire
ciò che avevo distrutto.
******
Non
so se ci riuscirò a ricostruire tutto ciò che ho
distrutto. Ci sono cicatrici che forse non spariranno
mai, ma so che voglio provarci. Perché, in fondo, il
vero fascino non è nell’amante, ma nella Linda che
combatte, che cresce anche nei momenti più bui, è nella
sua determinazione, nel suo amore che resiste. Linda con
la sua forza me l’ha insegnato, e io, finalmente, sto
imparando a vedere.
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Questo racconto
è opera di pura fantasia. Nomi, personaggi e
luoghi sono frutto dell’immaginazione
dell’autore e non sono da considerarsi reali.
Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari e
persone è del tutto casuale. IMMAGINE GENERATA DA
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