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RACCONTO
 
 
Adamo Bencivenga
DESIDERI NASCOSTI
In una fredda mattina di fine anno, Roberto, intrappolato in un matrimonio senza passione, accoglie la suocera Barbara, una donna vitale e seducente in netto contrasto con la freddezza della moglie Giulia. La sua presenza risveglia desideri inconfessabili, intrecciando complicità e tensione in una danza pericolosa che minaccia di sconvolgere l’equilibrio di una famiglia apparentemente tranquilla..
 


 

 
Quella mattina fredda della nostra vacanza di fine anno, un po’ infastidito per l’alzataccia e un po’ per la noia che non riuscivo a scrollarmi di dosso, mi avviai di buonora verso la stazione degli autobus. Mia suocera, Barbara, stava per arrivare con il treno delle sette e venti. Avrebbe trascorso una settimana con noi, poi saremmo ripartiti dopo Capodanno, tutti insieme.

Barbara era una donna di sessantasette anni con i segni evidenti dell’età, ma il suo spirito vibrava di un’energia che avrebbe fatto invidia a molte donne più giovani. Con me era sempre stata gentile, mi aveva accolto appena ventenne come un figlio. Sempre disponibile a darmi consigli e farmi complimenti con un calore che contrastava con la freddezza di mia moglie, Giulia.

Beh sì, nonostante i differenti caratteri con mia moglie, negli anni era andato tutto bene finché, dopo la nascita di nostro figlio Luca, il suo desiderio e le sue fantasie verso di me si erano sciolte come neve al sole, lasciandomi in un inferno di desiderio che cercavo di colmare altrove, ma con timidi successi. Ultimamente poi, dormivamo in letti separati, una decisione presa dopo la nascita del bambino, ma che ormai durava da anni e si era incrostata nella nostra routine.

Alla stazione l’entusiasmo e l’aria svenevole di mia suocera mi travolse e durante il tragitto in macchina mi raccontò delle sue serate e del Natale appena trascorso, passato in compagnia delle sue amiche. “Beh sai mio marito ormai vive in un perenne letargo ed io non mi lascio mancare niente! La vita è troppo breve per rimanere in casa.” Mi disse con aria maliziosa sistemandosi la gonna e voltandosi verso di me. Forse cercava una mia approvazione, ma non potevo mentire a me stesso, del resto il mio tipo di donna non aveva certo la sua età. Comunque notai le sue calze velatissime nere in netto contrasto con quelle di Giulia da 80 den che all’apparenza sembravano di lana.

Appena arrivati a casa, Barbara abbracciò sua figlia per poi essere rapita dal piccolo Luca: “Nonna, nonna, vieni a giocare con me!” Lei rise e si fece trasportare nella sua stanza piena di giocattoli. Poi completata la pratica di nonna durante la mattinata prese possesso di una delle stanze libere. Io continuavo a occupare la mia camera, con un letto singolo che rappresentava di fatto la distanza tra me e mia moglie. Mia suocera quando vide quella tristezza mi guardò negli occhi, il suo sguardo era tra la compassione e l’indulgenza di chi sa come vanno certe cose. Allargò le braccia e sospirando non disse nulla.

La sua presenza portò una ventata di entusiasmo e trascorremmo i primi due giorni con pranzi in famiglia, passeggiate in montagna e cene sotto il portico. Barbara spesso preferiva restare in casa, a riposare o a sbrigare piccole faccende con la figlia, mentre io, la sera, cercavo rifugio in salotto con un libro o uscivo per un bicchiere, tentando di colmare il vuoto che sentivo dentro. Beh sì in quel piccolo paesino non era assolutamente facile dedicarmi a certe avventure e speravo vivamente di far trascorrere quei pochi giorni rimasti per tornare in città e dedicarmi a qualche improbabile amica senza alcun senso di colpa nei riguardi di mia moglie.

Fu durante una di quelle sere, dopo che Giulia e Luca si erano ritirati presto, che tutto prese una svolta diversa. La casa era immersa in un silenzio rotto solo dal fruscio delle foglie della siepe di lauro mosse dal vento. Barbara, con un bicchiere di vino in mano, si sedette accanto a me nel soggiorno in penombra davanti alla vetrata. La luce della luna accendeva i suoi riflessi dorati dei suoi capelli tinti.
“Ma con Giulia, dimmi, Roberto… come va davvero?” Chiese con una voce tenera, ma diretta, come se volesse scavare sotto la superficie delle mie giornate e fare uscire fuori il mio disagio.
Beh sì, forse lei ne era al corrente, sapevo che con Giulia c’era un rapporto stretto e molto confidenziale come era giusto del resto tra madre e figlia.

Sospirai. “Sinceramente, Barbara, non va. Siamo diventati come fratello e sorella. Non mi cerca più, e se non sono io a insistere, non c’è nulla. Sono mesi che non ci sfioriamo nemmeno.”
Lei scosse la testa. “Non capisco... Giulia è stata sempre una persona solare e credo che sia fortunata ad averti. Ma evidentemente la responsabilità di essere madre la porta ad essere indifferente in quel lato.”
“Ne avete parlato?” Chiesi.
“Beh sì…” Rispose. “Certo, qualcosa so, ma la stanza dove dormi, con quel letto singolo mi fa una pena…” Poi aggiunse: “Anche lei sa che sei un uomo speciale, comprensivo e affascinante, forse ha solo bisogno di tempo… lasciala cuocere nel suo brodo lentamente…”
La guardai fissandola: “Barbara, ma io sono un uomo…”
“Avrai le tue distrazioni no? Mica te lo devo dire io che …” S’interruppe, un sorriso timido le increspò le labbra. “Beh, lo sai.”

Risi, cercando di alleggerire la tensione. “Grazie, Barbara. Tu mi fai in un giorno più complimenti di quanti tua figlia me ne fa a malapena in un anno. Ma Giulia da chi ha preso, eh?”
Lei sorrise di nuovo, ma nei suoi occhi c’era un’ombra di malinconia. “Non lo so. Io e Franco… finché abbiamo potuto, non ci siamo mai negati nulla. Il desiderio si spegne solo se non lo nutri per cui abbiamo sempre cercato di non affievolire la fiamma.” La sua voce si fece più bassa: “Beh certo, ora è diverso, non è come allora, le occasioni si sono ridotte e non di poco, ma sai ci si affida al destino, alla pazienza, alle lunghe attese e si va avanti.”

La guardai, sorpreso dalla sua schiettezza. “Nella mia condizione ti capisco, sai. Non dev’essere facile…” Dissi, immaginando la frustrazione di una passione che il tempo e le circostanze avevano costretto a tacere.
“Ci si abitua Roberto, ma alla vostra età è diverso…” Rispose, ma nei suoi occhi c’era una luce che tradiva il contrario. “Mi spiace.” Aggiunse bagnandosi le labbra appena nel calice di vino rosso.

In quell’istante la mia attenzione cercò di andare oltre il ricamo di merletto appena accennato del suo decolleté. Beh sì, non rispondeva certo ai miei canoni di bellezza e il seno prosperoso cedeva inesorabilmente ai segni del tempo, ma c’era qualcosa in me che non riuscivo a definire, come se quella sensualità tipicamente materna rispondeva ad altri canoni che finora non avevo considerato, più mentali che fisici, insomma non era tanto il suo aspetto, ma l’idea che davanti a me non ci fosse solo una signora anziana, ma una donna che esprimeva un calore familiare.

Cercai di distogliere quel pensiero e dissi: “Mi manca la complicità con Giulia, il sentirmi protagonista delle sue fantasie, ma ti confesso soprattutto vorrei sentirmi utile ai suoi bisogni di donna. Mi sento ancora come se avessi tanto da dare e che forse lei non è la femmina adatta a me…” Dissi d’impeto con un accenno a un desiderio che avrei voluto esprimere più direttamente e che forse non riguardava direttamente Giulia. Quindi aggiunsi: “Per me il sesso è vita, gioia e colore. Ma con Giulia tutto diventa un grigiore insopportabile…”

Barbara guardò fuori e non disse nulla ed io scherzando ripresi: “Però è anche un po’ colpa tua. Lei mi ha detto che tu le hai sempre insegnato a trattenersi, a non lasciarsi andare.”
Fu in quel momento che i lembi del suo vestito scivolarono lungo le gambe fasciate da calze nere che, coprendo gli inestetismi dell’età, lasciavano al mio sguardo una visione di una donna curata e affascinante facendomi pensare che davanti a me non ci fosse certo una signora di sessantasette anni e per giunta mia suocera.

Barbara sospirò, appoggiando il bicchiere sul tavolo. “Forse ho esagerato. Le mie figlie erano belle, volevo proteggerle. Ma ora, Giulia, con un uomo come te, dovrebbe sentirsi libera. Eppure…”
“Eppure non lo è.” Conclusi con amarezza. “E io mi sento un estraneo in casa mia.”
Ci fu un silenzio, pesante, carico di parole non dette. I nostri sguardi si incontrarono di nuovo. Avvertivo nei suoi occhi una comprensione profonda, come se si sentisse in colpa per il comportamento della figlia o forse, pensai, un qualcosa di più: un’eco di ciò che un tempo era stata.
Lei disse: “Non capisco Giulia, la voglia di essere desiderata è sempre stata l’essenza della femminilità.”

La guardai negli occhi: “Anche per te era così?” Non so perché mi uscì quel verbo all’imperfetto, ma quando cercai di rimediare lei sovrappose la sua voce: “Quel desiderio non muore mai.”
Sentii la tensione salire e a quel punto decisi di alzarmi. Le augurai la buonanotte, ma mentre mi dirigevo verso la mia stanza, percepii chiaramente il suo sguardo seguirmi.

******

La sera successiva a tavola, con Giulia e nostro figlio, cercavo di mantenere la conversazione leggera, ma ogni tanto i miei occhi incontravano quelli di Barbara. Non so se fosse solo nella mia testa, ma sentivo una complicità segreta e avvolgente, un gioco pericoloso che si insinuava in ogni discorso, come se la chiacchierata della sera prima avesse in qualche modo aperto degli spiragli segreti tra noi. Giulia, ignara, parlava della vacanza, del Natale passato con i miei genitori, del lavoro, del bambino, mentre io e Barbara ci scambiavamo sguardi che dicevano più di quanto le parole potessero esprimere.

Mia suocera indossava un vestito nero leggero, che lasciava intravedere le sue curve morbide. Ogni tanto, mentre passava il piatto o si muoveva verso Luca, i suoi movimenti sembravano studiati, come se volesse attirare la mia attenzione. E ci riusciva, eccome ci riusciva! Respiravo con difficoltà e il desiderio mi stringeva la gola. Era sbagliato, lo sapevo. Era la madre di mia moglie, la nonna di mio figlio. Eppure, in quel momento la vedevo solo come una donna, e io un uomo affamato di qualcosa che mi era stato negato troppo a lungo.

“Versami un po’ di vino, Roberto.” Disse Barbara porgendomi il calice. Le sue dita sfiorarono le mie e quel contatto, così breve, fu come una scintilla. Giulia non notò nulla, troppo impegnata a tagliare la carne per il bambino che giocherellava con una forchetta mentre lei cercava di farlo mangiare, ma io sentii una corrente elettrica che risalendo lungo il braccio finì per avvamparmi il viso.
Guardai Barbara per un istante, e nei suoi occhi trovai un lampo di intesa. Sapeva cosa aveva fatto, e il suo sorriso appena accennato, così discreto eppure così pericoloso, me lo confermò. Mi ritrassi lentamente, cercando di nascondere il turbamento, e mi concentrai sul gesto di versare il vino, osservando quel liquido rubino che scivolava nel calice con un flusso quasi magnetico.

Luca intanto protestava con un capriccio infantile, rifiutandosi di mangiare. “Dai, tesoro, solo un boccone.” Diceva Giulia con quella pazienza che solo una madre può avere. La sua voce era calma, ignara, e per un momento mi sentii in colpa. Lei, con i suoi capelli raccolti e il vestito semplice, in fin dei conti rappresentava la stabilità, la famiglia. Eppure, in quel momento, la presenza di Barbara mi faceva vacillare.
Per distogliere quel pensiero mi ripetevo che non era assolutamente il mio tipo, ma la scossa elettrica che avevo sentito sulle dita si era ormai propagata lungo la schiena, un fuoco che non riuscivo a spegnere. Ogni tanto, i nostri sguardi si incrociavano sopra il tavolo. Barbara giocherellava con un lembo del tovagliolo, le sue unghie lunghe smaltate di rosso, le sue mani delicate che si muovevano con una grazia calcolata, e io non potevo fare a meno di guardarla. Sapevo che era sbagliato, che stavo giocando con qualcosa di indefinito che sapeva di peccato, ma c’era in lei un nonsoché che mi attirava inesorabilmente, come una falena verso la luce.

“Il vino è davvero ottimo, vero?” Disse, rompendo il silenzio, ma il suo tono aveva una sfumatura che sembrava diretta solo a me. Portò il calice verso la bocca, e il modo in cui lo fece, lento, quasi sensuale, con le labbra morbide che avvolsero il vetro, mi fece deglutire a fatica. “Sì, davvero buono.” Risposi, mentre cercavo di distogliere lo sguardo.
Giulia alzò gli occhi, sorridendo. “Roberto, puoi aiutare Luca con il pane? Sta facendo un disastro.” Disse, ignara della tensione che si stava creando tra me e Barbara. Annuii e grato per la distrazione mi chinai verso il bambino, cercando di concentrarmi su di lui. Ma anche mentre spezzavo il pane e lo porgevo a mio figlio, sentivo gli occhi di Barbara su di me.
Era una danza pericolosa, la nostra. Ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo erano carichi di un’intensità che rischiava di esplodere da un momento all’altro. E Giulia, mia moglie, sua figlia, era lì, a pochi centimetri da me, senza sapere che il suo mondo, il nostro mondo, stava tremando sotto il peso di un segreto che non potevo confessare.

Dopo cena, mentre Giulia metteva a letto nostro figlio, io e Barbara restammo a sparecchiare. La cucina era silenziosa, il ticchettio dell’orologio sembrava amplificare ogni nostro movimento.
“L’hai mai tradita?” Disse lei improvvisamente, rompendo il silenzio.
Mi colse di sorpresa. In dubbio risposi con una domanda: “Perché mi fai questa domanda?” Lei rise. “Dai è pur logico… il tuo sguardo a tavola diceva tante cose… O vuoi mentire a te stesso?”
Eravamo arrivati nel punto del non ritorno, almeno a parole e dissi: “Gli sguardi alle volte sono così enigmatici che possono assumere diversi significati…”
E lei: “Non ti sbilanci… eh…”
Poi preso dai un bisogno di sincerità, almeno nei suoi confronti, dissi: “Sì che l’ho tradita, ma in verità non l’ho mai considerato un tradimento.” E lei, sorridendo, rispose: “Ah bene, allora niente sensi di colpa…”

Giulia dopo circa venti minuti ci raggiunse già in pigiama e ci augurò la buonanotte. Rimanemmo di nuovo soli. Beh sì, c’era un discorso tra noi lasciato a metà e Barbara non perse l’occasione. “Ti ho visto sai come guardavi inorridito il pigiama di Giulia.” Rise e poi aggiunse: “Be immagino quale donna ora potrebbe entrare facilmente nei tuoi desideri…” La guardai, lei era perfetta: “Lo sai… una come te!” Lei sorrise ancora: “Oh certo sì, ma almeno con vent’anni di meno…”

Andammo nel soggiorno e ci sedemmo sul divano, lei forse stuzzicata dal mio velato corteggiamento riprese: “Sono sicura che stasera mentre mi versavi il vino hai pensato a qualcosa di peccaminoso…” Spiazzato risposi: “Di peccaminoso c’è soltanto la nostra relazione di parentela.” Lei puntò lo sguardo verso la vetrata: “Hai pensato che potrebbe succedere? Hai calcolato i rischi?”
La fissai reclamando il suo sguardo. “Vedo solo una catastrofe, Barbara. Giulia è tua figlia e io sono suo marito.”
“Lo so.” Rispose, avvicinandosi. Il suo profumo mi avvolse. “Ma a volte, Roberto, sono le situazioni che muovono le persone e non il contrario.”
“Quindi tu pensi che stasera questa situazione potrebbe portarci…”
Non finii la frase, lei mi guardò: “A volte il desiderio è più forte di tutto. Anche della paura.”

Non risposi. Non potevo. Il desiderio che provavo per lei ora era più tangibile. Eppure, la presenza di Giulia, addormentata a pochi metri da noi accanto a mio figlio, era un monito costante. Ogni passo verso Barbara era un passo verso l’abisso, ancor più perverso di un semplice tradimento. E dissi: “Se tu non fossi mia suocera, il mio non sarebbe solo un pensiero, ma qualcosa che già avrei messo in atto.”

Lei non si perse d’animo. Notai che quel concetto di relazione familiare non era proprio nelle sue corde. Con un filo di egoismo stava solo pensando a se stessa e disse: “Quindi in caso le tue remore non riguardano il fatto che ho venti anni più di te! Non mi consideri vecchia vero?”
“Assolutamente no Barbara, sei incantevole.”
La vidi risollevata, come se quell’apprezzamento fosse stato sufficiente per giustificare un’intera serata. Sì alzò e finendo il vino poggiò il calice sul tavolo. La osservai di spalle, ora era ancora più sensuale.
Lei disse: “Vado a letto. Buonanotte, Roberto.”
“Buonanotte.” Risposi. Lei si voltò e nei suoi occhi c’era una promessa, un invito che non potevo ignorare.

La vidi andare in bagno ed io a quel punto guadagnai la mia stanza. Mentre mi spogliavo lasciai la porta socchiusa, non so perché lo feci, forse un gesto inconscio di sfida oppure per capire realmente le sue intenzioni. Sapevo che Barbara sarebbe passata nel corridoio davanti alla mia camera, e quando lo fece sentii il rumore provocante dei suoi tacchi alti e poi i suoi passi rallentare. Mi voltai in direzione della porta in modo che lei mi vedesse. Ero nudo!
Nel buio vidi spuntare due occhi e senza timore mi lasciai accarezzare dal suo guardo. Non disse nulla, non dissi nulla, ma il mio corpo parlava per me. Per un istante, dentro quel silenzio pesante, mi parve di sentire il suo respiro, il suo desiderio che si intrecciava al mio, ma lei non entrò e si diresse nella sua stanza.

Ci pensai per tutta la notte. La situazione non era di certo delle più tranquille, la paura di rivelarsi totalmente superava ogni voglia e forse lei avrebbe voluto che fossi io a fare il primo passo come del resto avrei voluto che lei mi avesse facilitato entrando nella mia stanza. Quella notte comunque non dormii, ma la sognai ad occhi aperti. Cosa mi stava succedendo?

******

L’ultimo giorno di vacanza mi alzai presto. Andai a comprare cornetti e cappuccini nel bar di sotto per tutta la famiglia. In un certo senso mi sentivo sollevato per quello che non era successo la notte precedente. Ma nonostante il mio umore evitai Barbara per tutto il giorno, beh sì il timore che avremmo potuto parlare anche del solo fatto di quanto fossimo andati vicino a quella catastrofe, non mi faceva stare tranquillo.

In cuor mio sapevo che avevo perso qualcosa e che sicuramente avevo guadagnato un rimpianto, ma mai e poi mai avrei fatto il primo passo. Certo mi chiesi come avrei reagito se quel passo fosse venuto da lei, ma al momento mi sentivo soddisfatto e per evitare altre tentazioni passai tutto il pomeriggio fuori casa. La sera però dopo che Giulia ci salutò col suo solito pigiama, noi rimanemmo seduti comodamente sul divano con i nostri calici in mano. La vidi più nervosa del solito, si agitava finché mi chiese tempo per andare nella sua stanza: “Aspettami, non andare a dormire…” Annuii bevendo un sorso di vino, ma poi quando tornò...

Il silenzio della casa sembrava essersi fatto più denso, quasi palpabile, come se ogni angolo trattenesse il fiato in attesa di ciò che sarebbe accaduto. Sentii il suo passo prima ancora di vederla con un incedere leggero e lento che risuonava sul pavimento di legno e con una cadenza irreale. Ogni passo sembrava calcolato, un’eco di tacchi che scandiva il ritmo del mio battito cardiaco, sempre più rapido, sempre più vicino, mentre il sangue mi pulsava nelle tempie. Mi voltai verso il corridoio, e quando la vidi, non potevo credere ai miei occhi.

Barbara era lì, avvolta in un velo di mistero e seduzione che non avevo mai immaginato potesse appartenerle. Indossava un vestito nero, lungo e aderente, ma soprattutto trasparente, che le scivolava sul corpo come un soffio liquido, accentuando ogni curva con una grazia pericolosa. Uno spacco profondo si apriva sul lato della gamba sinistra, lasciando intravedere la pelle chiara e le calze velate nere, con quella riga sottile che correva dritta lungo il polpaccio, un dettaglio che gridava provocazione pura. Il reggicalze, appena visibile attraverso lo spacco, era un sussurro di sensualità, un segreto che si svelava a ogni passo, ma anche una sfida alle mie esitazioni.

Ma non finiva lì, portava un paio di guanti a rete e un cappello a falde larghe, leggermente inclinato, che le ombreggiava il viso, dandole un’aria da femme fatale, come se fosse uscita da un film noir degli anni Quaranta. Le labbra, dipinte di un rosso scarlatto intenso, erano un contrasto vibrante con la sua pelle chiara. Tra le dita, una sigaretta accesa bruciava lentamente, il fumo che si sollevava in cerchi impalpabili, aggiungendo un velo di mistero al suo profilo.
Mi alzai come rapito, mi avvicinai, incapace di distogliere lo sguardo. Ero sopraffatto, non tanto dalla sua bellezza, quanto dall’energia che emanava, una sensualità matura e consapevole che mi faceva quasi paura.

Si appoggiò al tavolo, reclinando leggermente la testa e tirando in avanti il suo ventre come se si stesse offrendo. Ogni suo movimento era un invito, ogni dettaglio del suo aspetto un’arma affilata che colpiva dritto al mio desiderio represso. Lei con un cenno senza parlare mi disse di rimanere distante, di guardarla e poi sedermi ed io obbedii. Cercavo di mantenere un contegno, ma le mani mi tremavano mentre stringevo il bordo del cuscino. Avanzò lentamente e si fermò a pochi passi da me, il cappello che proiettava un’ombra sul suo viso, lasciando intravedere solo gli occhi, due pozze scure che brillavano di erotismo. Non disse nulla per un lungo momento, il suo silenzio era più eloquente di qualsiasi parola. Aspirò una boccata dalla sigaretta, il gesto lento e deliberato, poi lasciò che il fumo le sfuggisse dalle labbra in una spirale che sembrava danzare nell’aria.

Quando finalmente parlò, la sua voce era bassa, vellutata, carica di un’intensità che mi fece rabbrividire. “La mia vita, Roberto… ormai è solo questa.” Disse, facendo un passo verso di me, il vestito che frusciava appena contro le sue gambe. “Esisto nel riflesso degli occhi degli altri uomini, nei loro desideri… come in quello che ho visto ieri nei tuoi, a tavola, mentre mi versavi il vino.” La sua voce era quasi un sussurro, mentre si avvicinava. “Lo so cosa hai provato. L’ho sentito. E tu… tu lo sai cosa ho provato io.”

Non risposi subito, incapace di trovare le parole. Il suo profumo mi avvolse, un misto di tabacco, lavanda e qualcosa di più caldo, inebriante. La guardavo, ipnotizzato, mentre si sedeva accanto a me, il vestito che si apriva sullo spacco fino al fianco, rivelando ancora di più la curva della sua gamba fasciata dalla calza. Ogni suo movimento era un gioco di ombre e luci, un balletto di seduzione che mi teneva prigioniero. La sigaretta bruciava ancora tra le sue dita, e il modo in cui la teneva, con quella noncuranza elegante, mi faceva quasi dimenticare chi fosse: mia suocera, la madre di mia moglie, una donna che avrebbe dovuto essere intoccabile.

Eppure, in quel momento, non lo era. Era Barbara, una donna incontrata per caso in un locale notturno, una donna che avevo sicuramente sognato nelle mie astinenze pregresse e che aveva vissuto, amato, desiderato, e che ora mi guardava con una fame che rispecchiava la mia. I suoi silenzi parlavano più delle sue parole, e nei suoi occhi c’era una promessa, un invito a lasciarmi andare, a cedere a quel fuoco che ci consumava entrambi.

“Barbara…” Riuscii finalmente a dire con la voce rauca, incrinata dall’emozione. “Questo… questo è un errore.” Non rispose subito, ma si avvicinò ancora, così tanto che potevo sentire il calore del suo corpo, il fruscio del suo vestito, il battito del suo respiro, il profumo del suo seno. Posò la sigaretta sul posacenere, il gesto lento, quasi rituale, poi mi guardò di nuovo, i suoi occhi che sembravano scavarmi dentro. “Forse.” Sussurrò. “Ma a volte, gli errori sono l’unico modo per sentirsi vivi.”

Le sue parole mi colpirono come un pugno, e per un istante, tutto ciò che ero – un marito, un padre, un uomo con delle responsabilità – sembrò dissolversi. C’era solo lei, con il suo vestito nero, il suo rossetto rosso, le sue calze velate e quel desiderio che ci univa in un filo invisibile, ma indistruttibile.

Mi avvicinai, la mia mano ormai era a un centimetro dalla sua gamba, ma per non cadere in tentazione strinsi forte il bordo del cuscino. Ma lei mi invitava, la sua voce ancora più pastosa: “Sei ad un niente dal paradiso, non fermarti ora. Prendi quello che desideri. Prendi quello che ti è negato!” Alzò un lembo del vestito mostrando la sua lingerie e subito dopo schiuse leggermente le gambe per indicarmi la direzione. Non portava le mutandine e vidi chiaramente il suo pube voglioso coperto appena da una leggera peluria. “La desideri vero?” Mi disse accarezzandola con un solo dito, poi aggiunse: “Può essere tua… del resto non ha nulla da invidiare a quelle più giovani che sono nei tuoi pensieri…”

Mi concentrai, sentii il mio sudore freddo scendere lungo tutta la schiena, sentii il suo odore di femmina. Ero lì, ormai invasato dal desiderio e ormai consapevole di ciò che sarebbe successo. La mia mano tremava come se fosse attraversata da una corrente invisibile. Ogni muscolo del mio braccio era teso, contratto in una lotta feroce tra il desiderio che mi incendiava il petto e la resistenza che mi ancorava al bordo della ragione. Sentivo il calore della sua pelle così vicino, un richiamo irresistibile, come se il suo profumo stesso mi afferrasse per trascinarmi oltre il confine. Il mio sudore freddo si mescolava al fuoco interno, un’urgenza che mi urlava di cedere, di lasciarmi andare a quel paradiso promesso.

Eppure, quella mano stretta al cuscino era il mio ultimo baluardo, le unghie che premevano contro la stoffa erano il simbolo di una battaglia che avrei sicuramente perso. La sua voce, dolce e velenosa, continuava a insinuarsi, un sussurro che mi accarezzava l’anima e allo stesso tempo la graffiava. “Prendi ciò che vuoi.” Diceva, e ogni parola era un colpo che faceva vacillare la mia volontà. La sua gamba come una tentazione scolpita nella carne mi chiamava con una forza quasi sovrannaturale.
Sentivo il mio respiro corto, come se ogni inspirazione fosse un tentativo di soffocare l’istinto. Il desiderio era una marea che mi sommergeva. Ogni secondo che passava, con la mano sospesa a un soffio da lei, era una vittoria e una tortura. La volevo, la desideravo con ogni fibra del mio essere.

Ero ad un passo dal paradiso, staccai la mano dal cuscino e con un movimento lento, quasi doloroso, avvicinai ancora più la mano… Ecco aveva vinto lei ed anche il mio desiderio, ma con mia sorpresa la mia mano afferrando la sua gamba si strinse a pugno e le dita toccarono solo il mio palmo.

Proprio in quel momento sentii chiaramente la voce di mio figlio Luca: “Babbo, alzati, dobbiamo partire, mamma e nonna sono già pronte.”
Mi alzai di scatto, il respiro corto, il cuore che batteva all’impazzata. In un istante realizzai, era mattina, il giorno della partenza, ma io ero ancora in quel sogno. Il suo profumo, la sua voce, la sua immagine, quella mano che aveva stretto solo aria mi tormentavano come quel desiderio proibito che non avevo soddisfatto, ma che non avrei ignorato chissà per quanto tempo.










Questo racconto è opera di pura fantasia.
Nomi, personaggi e luoghi sono frutto
dell’immaginazione dell’autore e non sono da
considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con
fatti, scenari e persone è del tutto casuale.


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