|
CERCA NEL SITO
CONTATTI
COOKIEPOLICY

RACCONTO

Adamo Bencivenga
DESIDERI NASCOSTI
In una fredda mattina di fine anno,
Roberto, intrappolato in un matrimonio senza passione, accoglie la
suocera Barbara, una donna vitale e seducente in netto contrasto con
la freddezza della moglie Giulia. La sua presenza risveglia desideri
inconfessabili, intrecciando complicità e tensione in una danza
pericolosa che minaccia di sconvolgere l’equilibrio di una famiglia
apparentemente tranquilla..

Quella mattina fredda della
nostra vacanza di fine anno, un po’ infastidito per
l’alzataccia e un po’ per la noia che non riuscivo a
scrollarmi di dosso, mi avviai di buonora verso la
stazione degli autobus. Mia suocera, Barbara, stava per
arrivare con il treno delle sette e venti. Avrebbe
trascorso una settimana con noi, poi saremmo ripartiti
dopo Capodanno, tutti insieme.
Barbara era una
donna di sessantasette anni con i segni evidenti
dell’età, ma il suo spirito vibrava di un’energia che
avrebbe fatto invidia a molte donne più giovani. Con me
era sempre stata gentile, mi aveva accolto appena
ventenne come un figlio. Sempre disponibile a darmi
consigli e farmi complimenti con un calore che
contrastava con la freddezza di mia moglie, Giulia.
Beh sì, nonostante i differenti caratteri con mia
moglie, negli anni era andato tutto bene finché, dopo la
nascita di nostro figlio Luca, il suo desiderio e le sue
fantasie verso di me si erano sciolte come neve al sole,
lasciandomi in un inferno di desiderio che cercavo di
colmare altrove, ma con timidi successi. Ultimamente
poi, dormivamo in letti separati, una decisione presa
dopo la nascita del bambino, ma che ormai durava da anni
e si era incrostata nella nostra routine.
Alla
stazione l’entusiasmo e l’aria svenevole di mia suocera
mi travolse e durante il tragitto in macchina mi
raccontò delle sue serate e del Natale appena trascorso,
passato in compagnia delle sue amiche. “Beh sai mio
marito ormai vive in un perenne letargo ed io non mi
lascio mancare niente! La vita è troppo breve per
rimanere in casa.” Mi disse con aria maliziosa
sistemandosi la gonna e voltandosi verso di me. Forse
cercava una mia approvazione, ma non potevo mentire a me
stesso, del resto il mio tipo di donna non aveva certo
la sua età. Comunque notai le sue calze velatissime nere
in netto contrasto con quelle di Giulia da 80 den che
all’apparenza sembravano di lana.
Appena
arrivati a casa, Barbara abbracciò sua figlia per poi
essere rapita dal piccolo Luca: “Nonna, nonna, vieni a
giocare con me!” Lei rise e si fece trasportare nella
sua stanza piena di giocattoli. Poi completata la
pratica di nonna durante la mattinata prese possesso di
una delle stanze libere. Io continuavo a occupare la mia
camera, con un letto singolo che rappresentava di fatto
la distanza tra me e mia moglie. Mia suocera quando vide
quella tristezza mi guardò negli occhi, il suo sguardo
era tra la compassione e l’indulgenza di chi sa come
vanno certe cose. Allargò le braccia e sospirando non
disse nulla.
La sua presenza portò una ventata di
entusiasmo e trascorremmo i primi due giorni con pranzi
in famiglia, passeggiate in montagna e cene sotto il
portico. Barbara spesso preferiva restare in casa, a
riposare o a sbrigare piccole faccende con la figlia,
mentre io, la sera, cercavo rifugio in salotto con un
libro o uscivo per un bicchiere, tentando di colmare il
vuoto che sentivo dentro. Beh sì in quel piccolo paesino
non era assolutamente facile dedicarmi a certe avventure
e speravo vivamente di far trascorrere quei pochi giorni
rimasti per tornare in città e dedicarmi a qualche
improbabile amica senza alcun senso di colpa nei
riguardi di mia moglie.
Fu durante una di quelle
sere, dopo che Giulia e Luca si erano ritirati presto,
che tutto prese una svolta diversa. La casa era immersa
in un silenzio rotto solo dal fruscio delle foglie della
siepe di lauro mosse dal vento. Barbara, con un
bicchiere di vino in mano, si sedette accanto a me nel
soggiorno in penombra davanti alla vetrata. La luce
della luna accendeva i suoi riflessi dorati dei suoi
capelli tinti. “Ma con Giulia, dimmi, Roberto… come
va davvero?” Chiese con una voce tenera, ma diretta,
come se volesse scavare sotto la superficie delle mie
giornate e fare uscire fuori il mio disagio. Beh sì,
forse lei ne era al corrente, sapevo che con Giulia
c’era un rapporto stretto e molto confidenziale come era
giusto del resto tra madre e figlia.
Sospirai.
“Sinceramente, Barbara, non va. Siamo diventati come
fratello e sorella. Non mi cerca più, e se non sono io a
insistere, non c’è nulla. Sono mesi che non ci sfioriamo
nemmeno.” Lei scosse la testa. “Non capisco... Giulia
è stata sempre una persona solare e credo che sia
fortunata ad averti. Ma evidentemente la responsabilità
di essere madre la porta ad essere indifferente in quel
lato.” “Ne avete parlato?” Chiesi. “Beh sì…”
Rispose. “Certo, qualcosa so, ma la stanza dove dormi,
con quel letto singolo mi fa una pena…” Poi aggiunse:
“Anche lei sa che sei un uomo speciale, comprensivo e
affascinante, forse ha solo bisogno di tempo… lasciala
cuocere nel suo brodo lentamente…” La guardai
fissandola: “Barbara, ma io sono un uomo…” “Avrai le
tue distrazioni no? Mica te lo devo dire io che …”
S’interruppe, un sorriso timido le increspò le labbra.
“Beh, lo sai.”
Risi, cercando di alleggerire la
tensione. “Grazie, Barbara. Tu mi fai in un giorno più
complimenti di quanti tua figlia me ne fa a malapena in
un anno. Ma Giulia da chi ha preso, eh?” Lei sorrise
di nuovo, ma nei suoi occhi c’era un’ombra di
malinconia. “Non lo so. Io e Franco… finché abbiamo
potuto, non ci siamo mai negati nulla. Il desiderio si
spegne solo se non lo nutri per cui abbiamo sempre
cercato di non affievolire la fiamma.” La sua voce si
fece più bassa: “Beh certo, ora è diverso, non è come
allora, le occasioni si sono ridotte e non di poco, ma
sai ci si affida al destino, alla pazienza, alle lunghe
attese e si va avanti.”
La guardai, sorpreso
dalla sua schiettezza. “Nella mia condizione ti capisco,
sai. Non dev’essere facile…” Dissi, immaginando la
frustrazione di una passione che il tempo e le
circostanze avevano costretto a tacere. “Ci si abitua
Roberto, ma alla vostra età è diverso…” Rispose, ma nei
suoi occhi c’era una luce che tradiva il contrario. “Mi
spiace.” Aggiunse bagnandosi le labbra appena nel calice
di vino rosso.
In quell’istante la mia
attenzione cercò di andare oltre il ricamo di merletto
appena accennato del suo decolleté. Beh sì, non
rispondeva certo ai miei canoni di bellezza e il seno
prosperoso cedeva inesorabilmente ai segni del tempo, ma
c’era qualcosa in me che non riuscivo a definire, come
se quella sensualità tipicamente materna rispondeva ad
altri canoni che finora non avevo considerato, più
mentali che fisici, insomma non era tanto il suo
aspetto, ma l’idea che davanti a me non ci fosse solo
una signora anziana, ma una donna che esprimeva un
calore familiare.
Cercai di distogliere quel
pensiero e dissi: “Mi manca la complicità con Giulia, il
sentirmi protagonista delle sue fantasie, ma ti confesso
soprattutto vorrei sentirmi utile ai suoi bisogni di
donna. Mi sento ancora come se avessi tanto da dare e
che forse lei non è la femmina adatta a me…” Dissi
d’impeto con un accenno a un desiderio che avrei voluto
esprimere più direttamente e che forse non riguardava
direttamente Giulia. Quindi aggiunsi: “Per me il sesso è
vita, gioia e colore. Ma con Giulia tutto diventa un
grigiore insopportabile…”
Barbara guardò fuori e
non disse nulla ed io scherzando ripresi: “Però è anche
un po’ colpa tua. Lei mi ha detto che tu le hai sempre
insegnato a trattenersi, a non lasciarsi andare.” Fu
in quel momento che i lembi del suo vestito scivolarono
lungo le gambe fasciate da calze nere che, coprendo gli
inestetismi dell’età, lasciavano al mio sguardo una
visione di una donna curata e affascinante facendomi
pensare che davanti a me non ci fosse certo una signora
di sessantasette anni e per giunta mia suocera.
Barbara sospirò, appoggiando il bicchiere sul tavolo.
“Forse ho esagerato. Le mie figlie erano belle, volevo
proteggerle. Ma ora, Giulia, con un uomo come te,
dovrebbe sentirsi libera. Eppure…” “Eppure non lo è.”
Conclusi con amarezza. “E io mi sento un estraneo in
casa mia.” Ci fu un silenzio, pesante, carico di
parole non dette. I nostri sguardi si incontrarono di
nuovo. Avvertivo nei suoi occhi una comprensione
profonda, come se si sentisse in colpa per il
comportamento della figlia o forse, pensai, un qualcosa
di più: un’eco di ciò che un tempo era stata. Lei
disse: “Non capisco Giulia, la voglia di essere
desiderata è sempre stata l’essenza della femminilità.”
La guardai negli occhi: “Anche per te era così?”
Non so perché mi uscì quel verbo all’imperfetto, ma
quando cercai di rimediare lei sovrappose la sua voce:
“Quel desiderio non muore mai.” Sentii la tensione
salire e a quel punto decisi di alzarmi. Le augurai la
buonanotte, ma mentre mi dirigevo verso la mia stanza,
percepii chiaramente il suo sguardo seguirmi.
******
La sera successiva a tavola, con Giulia e
nostro figlio, cercavo di mantenere la conversazione
leggera, ma ogni tanto i miei occhi incontravano quelli
di Barbara. Non so se fosse solo nella mia testa, ma
sentivo una complicità segreta e avvolgente, un gioco
pericoloso che si insinuava in ogni discorso, come se la
chiacchierata della sera prima avesse in qualche modo
aperto degli spiragli segreti tra noi. Giulia, ignara,
parlava della vacanza, del Natale passato con i miei
genitori, del lavoro, del bambino, mentre io e Barbara
ci scambiavamo sguardi che dicevano più di quanto le
parole potessero esprimere.
Mia suocera indossava
un vestito nero leggero, che lasciava intravedere le sue
curve morbide. Ogni tanto, mentre passava il piatto o si
muoveva verso Luca, i suoi movimenti sembravano
studiati, come se volesse attirare la mia attenzione. E
ci riusciva, eccome ci riusciva! Respiravo con
difficoltà e il desiderio mi stringeva la gola. Era
sbagliato, lo sapevo. Era la madre di mia moglie, la
nonna di mio figlio. Eppure, in quel momento la vedevo
solo come una donna, e io un uomo affamato di qualcosa
che mi era stato negato troppo a lungo.
“Versami
un po’ di vino, Roberto.” Disse Barbara porgendomi il
calice. Le sue dita sfiorarono le mie e quel contatto,
così breve, fu come una scintilla. Giulia non notò
nulla, troppo impegnata a tagliare la carne per il
bambino che giocherellava con una forchetta mentre lei
cercava di farlo mangiare, ma io sentii una corrente
elettrica che risalendo lungo il braccio finì per
avvamparmi il viso. Guardai Barbara per un istante,
e nei suoi occhi trovai un lampo di intesa. Sapeva cosa
aveva fatto, e il suo sorriso appena accennato, così
discreto eppure così pericoloso, me lo confermò. Mi
ritrassi lentamente, cercando di nascondere il
turbamento, e mi concentrai sul gesto di versare il
vino, osservando quel liquido rubino che scivolava nel
calice con un flusso quasi magnetico.
Luca
intanto protestava con un capriccio infantile,
rifiutandosi di mangiare. “Dai, tesoro, solo un
boccone.” Diceva Giulia con quella pazienza che solo una
madre può avere. La sua voce era calma, ignara, e per un
momento mi sentii in colpa. Lei, con i suoi capelli
raccolti e il vestito semplice, in fin dei conti
rappresentava la stabilità, la famiglia. Eppure, in quel
momento, la presenza di Barbara mi faceva vacillare.
Per distogliere quel pensiero mi ripetevo che non era
assolutamente il mio tipo, ma la scossa elettrica che
avevo sentito sulle dita si era ormai propagata lungo la
schiena, un fuoco che non riuscivo a spegnere. Ogni
tanto, i nostri sguardi si incrociavano sopra il tavolo.
Barbara giocherellava con un lembo del tovagliolo, le
sue unghie lunghe smaltate di rosso, le sue mani
delicate che si muovevano con una grazia calcolata, e io
non potevo fare a meno di guardarla. Sapevo che era
sbagliato, che stavo giocando con qualcosa di indefinito
che sapeva di peccato, ma c’era in lei un nonsoché che
mi attirava inesorabilmente, come una falena verso la
luce.
“Il vino è davvero ottimo, vero?” Disse,
rompendo il silenzio, ma il suo tono aveva una sfumatura
che sembrava diretta solo a me. Portò il calice verso la
bocca, e il modo in cui lo fece, lento, quasi sensuale,
con le labbra morbide che avvolsero il vetro, mi fece
deglutire a fatica. “Sì, davvero buono.” Risposi, mentre
cercavo di distogliere lo sguardo. Giulia alzò gli
occhi, sorridendo. “Roberto, puoi aiutare Luca con il
pane? Sta facendo un disastro.” Disse, ignara della
tensione che si stava creando tra me e Barbara. Annuii e
grato per la distrazione mi chinai verso il bambino,
cercando di concentrarmi su di lui. Ma anche mentre
spezzavo il pane e lo porgevo a mio figlio, sentivo gli
occhi di Barbara su di me. Era una danza pericolosa,
la nostra. Ogni gesto, ogni parola, ogni sguardo erano
carichi di un’intensità che rischiava di esplodere da un
momento all’altro. E Giulia, mia moglie, sua figlia, era
lì, a pochi centimetri da me, senza sapere che il suo
mondo, il nostro mondo, stava tremando sotto il peso di
un segreto che non potevo confessare.
Dopo cena,
mentre Giulia metteva a letto nostro figlio, io e
Barbara restammo a sparecchiare. La cucina era
silenziosa, il ticchettio dell’orologio sembrava
amplificare ogni nostro movimento. “L’hai mai
tradita?” Disse lei improvvisamente, rompendo il
silenzio. Mi colse di sorpresa. In dubbio risposi con
una domanda: “Perché mi fai questa domanda?” Lei rise.
“Dai è pur logico… il tuo sguardo a tavola diceva tante
cose… O vuoi mentire a te stesso?” Eravamo arrivati
nel punto del non ritorno, almeno a parole e dissi: “Gli
sguardi alle volte sono così enigmatici che possono
assumere diversi significati…” E lei: “Non ti
sbilanci… eh…” Poi preso dai un bisogno di sincerità,
almeno nei suoi confronti, dissi: “Sì che l’ho tradita,
ma in verità non l’ho mai considerato un tradimento.” E
lei, sorridendo, rispose: “Ah bene, allora niente sensi
di colpa…”
Giulia dopo circa venti minuti ci
raggiunse già in pigiama e ci augurò la buonanotte.
Rimanemmo di nuovo soli. Beh sì, c’era un discorso tra
noi lasciato a metà e Barbara non perse l’occasione. “Ti
ho visto sai come guardavi inorridito il pigiama di
Giulia.” Rise e poi aggiunse: “Be immagino quale donna
ora potrebbe entrare facilmente nei tuoi desideri…” La
guardai, lei era perfetta: “Lo sai… una come te!” Lei
sorrise ancora: “Oh certo sì, ma almeno con vent’anni di
meno…”
Andammo nel soggiorno e ci sedemmo sul
divano, lei forse stuzzicata dal mio velato
corteggiamento riprese: “Sono sicura che stasera mentre
mi versavi il vino hai pensato a qualcosa di
peccaminoso…” Spiazzato risposi: “Di peccaminoso c’è
soltanto la nostra relazione di parentela.” Lei puntò lo
sguardo verso la vetrata: “Hai pensato che potrebbe
succedere? Hai calcolato i rischi?” La fissai
reclamando il suo sguardo. “Vedo solo una catastrofe,
Barbara. Giulia è tua figlia e io sono suo marito.”
“Lo so.” Rispose, avvicinandosi. Il suo profumo mi
avvolse. “Ma a volte, Roberto, sono le situazioni che
muovono le persone e non il contrario.” “Quindi tu
pensi che stasera questa situazione potrebbe portarci…”
Non finii la frase, lei mi guardò: “A volte il desiderio
è più forte di tutto. Anche della paura.”
Non
risposi. Non potevo. Il desiderio che provavo per lei
ora era più tangibile. Eppure, la presenza di Giulia,
addormentata a pochi metri da noi accanto a mio figlio,
era un monito costante. Ogni passo verso Barbara era un
passo verso l’abisso, ancor più perverso di un semplice
tradimento. E dissi: “Se tu non fossi mia suocera, il
mio non sarebbe solo un pensiero, ma qualcosa che già
avrei messo in atto.”
Lei non si perse d’animo.
Notai che quel concetto di relazione familiare non era
proprio nelle sue corde. Con un filo di egoismo stava
solo pensando a se stessa e disse: “Quindi in caso le
tue remore non riguardano il fatto che ho venti anni più
di te! Non mi consideri vecchia vero?” “Assolutamente
no Barbara, sei incantevole.” La vidi risollevata,
come se quell’apprezzamento fosse stato sufficiente per
giustificare un’intera serata. Sì alzò e finendo il vino
poggiò il calice sul tavolo. La osservai di spalle, ora
era ancora più sensuale. Lei disse: “Vado a letto.
Buonanotte, Roberto.” “Buonanotte.” Risposi. Lei si
voltò e nei suoi occhi c’era una promessa, un invito che
non potevo ignorare.
La vidi andare in bagno ed
io a quel punto guadagnai la mia stanza. Mentre mi
spogliavo lasciai la porta socchiusa, non so perché lo
feci, forse un gesto inconscio di sfida oppure per
capire realmente le sue intenzioni. Sapevo che Barbara
sarebbe passata nel corridoio davanti alla mia camera, e
quando lo fece sentii il rumore provocante dei suoi
tacchi alti e poi i suoi passi rallentare. Mi voltai in
direzione della porta in modo che lei mi vedesse. Ero
nudo! Nel buio vidi spuntare due occhi e senza timore
mi lasciai accarezzare dal suo guardo. Non disse nulla,
non dissi nulla, ma il mio corpo parlava per me. Per un
istante, dentro quel silenzio pesante, mi parve di
sentire il suo respiro, il suo desiderio che si
intrecciava al mio, ma lei non entrò e si diresse nella
sua stanza.
Ci pensai per tutta la notte. La
situazione non era di certo delle più tranquille, la
paura di rivelarsi totalmente superava ogni voglia e
forse lei avrebbe voluto che fossi io a fare il primo
passo come del resto avrei voluto che lei mi avesse
facilitato entrando nella mia stanza. Quella notte
comunque non dormii, ma la sognai ad occhi aperti. Cosa
mi stava succedendo?
******
L’ultimo
giorno di vacanza mi alzai presto. Andai a comprare
cornetti e cappuccini nel bar di sotto per tutta la
famiglia. In un certo senso mi sentivo sollevato per
quello che non era successo la notte precedente. Ma
nonostante il mio umore evitai Barbara per tutto il
giorno, beh sì il timore che avremmo potuto parlare
anche del solo fatto di quanto fossimo andati vicino a
quella catastrofe, non mi faceva stare tranquillo.
In cuor mio sapevo che avevo perso qualcosa e che
sicuramente avevo guadagnato un rimpianto, ma mai e poi
mai avrei fatto il primo passo. Certo mi chiesi come
avrei reagito se quel passo fosse venuto da lei, ma al
momento mi sentivo soddisfatto e per evitare altre
tentazioni passai tutto il pomeriggio fuori casa. La
sera però dopo che Giulia ci salutò col suo solito
pigiama, noi rimanemmo seduti comodamente sul divano con
i nostri calici in mano. La vidi più nervosa del solito,
si agitava finché mi chiese tempo per andare nella sua
stanza: “Aspettami, non andare a dormire…” Annuii
bevendo un sorso di vino, ma poi quando tornò...
Il silenzio della casa sembrava essersi fatto più denso,
quasi palpabile, come se ogni angolo trattenesse il
fiato in attesa di ciò che sarebbe accaduto. Sentii il
suo passo prima ancora di vederla con un incedere
leggero e lento che risuonava sul pavimento di legno e
con una cadenza irreale. Ogni passo sembrava calcolato,
un’eco di tacchi che scandiva il ritmo del mio battito
cardiaco, sempre più rapido, sempre più vicino, mentre
il sangue mi pulsava nelle tempie. Mi voltai verso il
corridoio, e quando la vidi, non potevo credere ai miei
occhi.
Barbara era lì, avvolta in un velo di
mistero e seduzione che non avevo mai immaginato potesse
appartenerle. Indossava un vestito nero, lungo e
aderente, ma soprattutto trasparente, che le scivolava
sul corpo come un soffio liquido, accentuando ogni curva
con una grazia pericolosa. Uno spacco profondo si apriva
sul lato della gamba sinistra, lasciando intravedere la
pelle chiara e le calze velate nere, con quella riga
sottile che correva dritta lungo il polpaccio, un
dettaglio che gridava provocazione pura. Il reggicalze,
appena visibile attraverso lo spacco, era un sussurro di
sensualità, un segreto che si svelava a ogni passo, ma
anche una sfida alle mie esitazioni.
Ma non
finiva lì, portava un paio di guanti a rete e un
cappello a falde larghe, leggermente inclinato, che le
ombreggiava il viso, dandole un’aria da femme fatale,
come se fosse uscita da un film noir degli anni
Quaranta. Le labbra, dipinte di un rosso scarlatto
intenso, erano un contrasto vibrante con la sua pelle
chiara. Tra le dita, una sigaretta accesa bruciava
lentamente, il fumo che si sollevava in cerchi
impalpabili, aggiungendo un velo di mistero al suo
profilo. Mi alzai come rapito, mi avvicinai, incapace
di distogliere lo sguardo. Ero sopraffatto, non tanto
dalla sua bellezza, quanto dall’energia che emanava, una
sensualità matura e consapevole che mi faceva quasi
paura.
Si appoggiò al tavolo, reclinando
leggermente la testa e tirando in avanti il suo ventre
come se si stesse offrendo. Ogni suo movimento era un
invito, ogni dettaglio del suo aspetto un’arma affilata
che colpiva dritto al mio desiderio represso. Lei con un
cenno senza parlare mi disse di rimanere distante, di
guardarla e poi sedermi ed io obbedii. Cercavo di
mantenere un contegno, ma le mani mi tremavano mentre
stringevo il bordo del cuscino. Avanzò lentamente e si
fermò a pochi passi da me, il cappello che proiettava
un’ombra sul suo viso, lasciando intravedere solo gli
occhi, due pozze scure che brillavano di erotismo. Non
disse nulla per un lungo momento, il suo silenzio era
più eloquente di qualsiasi parola. Aspirò una boccata
dalla sigaretta, il gesto lento e deliberato, poi lasciò
che il fumo le sfuggisse dalle labbra in una spirale che
sembrava danzare nell’aria.
Quando finalmente
parlò, la sua voce era bassa, vellutata, carica di
un’intensità che mi fece rabbrividire. “La mia vita,
Roberto… ormai è solo questa.” Disse, facendo un passo
verso di me, il vestito che frusciava appena contro le
sue gambe. “Esisto nel riflesso degli occhi degli altri
uomini, nei loro desideri… come in quello che ho visto
ieri nei tuoi, a tavola, mentre mi versavi il vino.” La
sua voce era quasi un sussurro, mentre si avvicinava.
“Lo so cosa hai provato. L’ho sentito. E tu… tu lo sai
cosa ho provato io.”
Non risposi subito, incapace
di trovare le parole. Il suo profumo mi avvolse, un
misto di tabacco, lavanda e qualcosa di più caldo,
inebriante. La guardavo, ipnotizzato, mentre si sedeva
accanto a me, il vestito che si apriva sullo spacco fino
al fianco, rivelando ancora di più la curva della sua
gamba fasciata dalla calza. Ogni suo movimento era un
gioco di ombre e luci, un balletto di seduzione che mi
teneva prigioniero. La sigaretta bruciava ancora tra le
sue dita, e il modo in cui la teneva, con quella
noncuranza elegante, mi faceva quasi dimenticare chi
fosse: mia suocera, la madre di mia moglie, una donna
che avrebbe dovuto essere intoccabile.
Eppure, in
quel momento, non lo era. Era Barbara, una donna
incontrata per caso in un locale notturno, una donna che
avevo sicuramente sognato nelle mie astinenze pregresse
e che aveva vissuto, amato, desiderato, e che ora mi
guardava con una fame che rispecchiava la mia. I suoi
silenzi parlavano più delle sue parole, e nei suoi occhi
c’era una promessa, un invito a lasciarmi andare, a
cedere a quel fuoco che ci consumava entrambi.
“Barbara…” Riuscii finalmente a dire con la voce rauca,
incrinata dall’emozione. “Questo… questo è un errore.”
Non rispose subito, ma si avvicinò ancora, così tanto
che potevo sentire il calore del suo corpo, il fruscio
del suo vestito, il battito del suo respiro, il profumo
del suo seno. Posò la sigaretta sul posacenere, il gesto
lento, quasi rituale, poi mi guardò di nuovo, i suoi
occhi che sembravano scavarmi dentro. “Forse.” Sussurrò.
“Ma a volte, gli errori sono l’unico modo per sentirsi
vivi.”
Le sue parole mi colpirono come un pugno,
e per un istante, tutto ciò che ero – un marito, un
padre, un uomo con delle responsabilità – sembrò
dissolversi. C’era solo lei, con il suo vestito nero, il
suo rossetto rosso, le sue calze velate e quel desiderio
che ci univa in un filo invisibile, ma indistruttibile.
Mi avvicinai, la mia mano ormai era a un
centimetro dalla sua gamba, ma per non cadere in
tentazione strinsi forte il bordo del cuscino. Ma lei mi
invitava, la sua voce ancora più pastosa: “Sei ad un
niente dal paradiso, non fermarti ora. Prendi quello che
desideri. Prendi quello che ti è negato!” Alzò un lembo
del vestito mostrando la sua lingerie e subito dopo
schiuse leggermente le gambe per indicarmi la direzione.
Non portava le mutandine e vidi chiaramente il suo pube
voglioso coperto appena da una leggera peluria. “La
desideri vero?” Mi disse accarezzandola con un solo
dito, poi aggiunse: “Può essere tua… del resto non ha
nulla da invidiare a quelle più giovani che sono nei
tuoi pensieri…”
Mi concentrai, sentii il mio
sudore freddo scendere lungo tutta la schiena, sentii il
suo odore di femmina. Ero lì, ormai invasato dal
desiderio e ormai consapevole di ciò che sarebbe
successo. La mia mano tremava come se fosse attraversata
da una corrente invisibile. Ogni muscolo del mio braccio
era teso, contratto in una lotta feroce tra il desiderio
che mi incendiava il petto e la resistenza che mi
ancorava al bordo della ragione. Sentivo il calore della
sua pelle così vicino, un richiamo irresistibile, come
se il suo profumo stesso mi afferrasse per trascinarmi
oltre il confine. Il mio sudore freddo si mescolava al
fuoco interno, un’urgenza che mi urlava di cedere, di
lasciarmi andare a quel paradiso promesso.
Eppure, quella mano stretta al cuscino era il mio ultimo
baluardo, le unghie che premevano contro la stoffa erano
il simbolo di una battaglia che avrei sicuramente perso.
La sua voce, dolce e velenosa, continuava a insinuarsi,
un sussurro che mi accarezzava l’anima e allo stesso
tempo la graffiava. “Prendi ciò che vuoi.” Diceva, e
ogni parola era un colpo che faceva vacillare la mia
volontà. La sua gamba come una tentazione scolpita nella
carne mi chiamava con una forza quasi sovrannaturale.
Sentivo il mio respiro corto, come se ogni inspirazione
fosse un tentativo di soffocare l’istinto. Il desiderio
era una marea che mi sommergeva. Ogni secondo che
passava, con la mano sospesa a un soffio da lei, era una
vittoria e una tortura. La volevo, la desideravo con
ogni fibra del mio essere.
Ero ad un passo dal
paradiso, staccai la mano dal cuscino e con un movimento
lento, quasi doloroso, avvicinai ancora più la mano…
Ecco aveva vinto lei ed anche il mio desiderio, ma con
mia sorpresa la mia mano afferrando la sua gamba si
strinse a pugno e le dita toccarono solo il mio palmo.
Proprio in quel momento sentii chiaramente la
voce di mio figlio Luca: “Babbo, alzati, dobbiamo
partire, mamma e nonna sono già pronte.” Mi alzai di
scatto, il respiro corto, il cuore che batteva
all’impazzata. In un istante realizzai, era mattina, il
giorno della partenza, ma io ero ancora in quel sogno.
Il suo profumo, la sua voce, la sua immagine, quella
mano che aveva stretto solo aria mi tormentavano come
quel desiderio proibito che non avevo soddisfatto, ma
che non avrei ignorato chissà per quanto tempo.
|
Questo racconto
è opera di pura fantasia. Nomi, personaggi e
luoghi sono frutto dell’immaginazione
dell’autore e non sono da considerarsi reali.
Qualsiasi somiglianza con fatti, scenari e
persone è del tutto casuale.
© All rights
reserved Adamo Bencivenga
LEGGI GLI ALTRI RACCONTI
© Tutti i diritti riservati
Il presente racconto è tutelato dai diritti d'autore.
L'utilizzo è limitato ad un ambito esclusivamente personale.
Ne è vietata la riproduzione, in qualsiasi forma, senza il consenso
dell'autore



Tutte
le immagini pubblicate sono di proprietà dei rispettivi
autori. Qualora l'autore ritenesse
improprio l'uso, lo comunichi e l'immagine in questione
verrà ritirata immediatamente. (All
images and materials are copyright protected and are the
property of their respective authors.and are the
property of their respective authors.If the
author deems improper use, they will be deleted from our
site upon notification.) Scrivi a
liberaeva@libero.it
COOKIE
POLICY
TORNA SU (TOP)
LiberaEva Magazine
Tutti i diritti Riservati
Contatti

|
|