|
HOME
CERCA
CONTATTI
COOKIE POLICY 

Adamo Bencivenga
Un amore tra palco e
realtà
Dresda, Germania,
2025
La perla dell’Elba si accende
quando il sole tramonta. È una notte di ottobre,
l’aria è fresca tra le stradine di Neustadt. Mi
siedo ad un tavolo del Café 100, sto cercando di
concentrarmi sul mio reportage quando una figura
bionda si avvicina al mio tavolo. È una donna, sulla
sessantina, ma con un incedere regale che sembra
uscita dalla Repubblica di Weimar...

Dresda, la perla dell’Elba,
si accende quando il sole tramonta. La mia redazione mi
ha mandato qui per raccontare la vita notturna di questa
magnifica città piena di luci, suoni e anime che si
intrecciano tra le strade e portano ancora i segni della
sua storia.
È una notte di ottobre, l’aria è
fresca tra le stradine del quartiere alternativo di
Neustadt. Mi siedo ad un tavolo in disparte del Café
100, un locale tappezzato di poster vintage e luci
soffuse che tingono tutto di un arancione caldo.
L’interno ha il sapore di un’eleganza decadente e
bohème. I tavoli sono di legno scuro, le sedie spaiate,
un jukebox nell’angolo suona un vecchio pezzo di David
Bowie. L’odore di birra artigianale e sigarette si
mescola al brusio delle conversazioni.
Sto
cercando di concentrarmi sul mio reportage quando una
figura bionda si avvicina al mio tavolo. È una donna,
sulla sessantina, ma con un incedere regale uscita dalla
Repubblica di Weimar. Mi colpisce e in meno di un
secondo la squadro da capo a piedi: porta i capelli
raccolti in un’acconciatura che ricorda le dive del
cinema muto. Il suo viso, segnato dagli anni è ancora
bello, ha un fascino retrò, decadente come questa sala.
Il rossetto rosso fuoco è leggermente sbordato come se
volesse urlare al mondo la sua presenza. Tiene una
sigaretta tra le dita. Indossa un vestito nero
attillato, un po’ logoro ma elegante, con un cappello a
tesa larga che le ombreggia gli occhi. Mi guarda,
sorride, e senza chiedere si siede.
Beh sì
certo, non capita tutti i giorni che una donna si segga
al mio tavolo, almeno in Italia non succede spesso,
allora per non dare peso alla cosa e un po’ imbarazzato
chiedo: “Posso offrirle qualcosa?” Lei sorride: “Un
bicchiere di Riesling, tesoro. E lei, cosa fa qui tutto
solo con quel portatile?” La sua voce è profonda, come
se ogni parola portasse il peso di mille storie.
“Sono un giornalista. Sto scrivendo un reportage
sulla vita notturna di Dresda.” Sorrido per non apparire
troppo serioso. “Oh, allora è nel posto giusto. Dresda è
una signora bella e affascinante, ma il vero spettacolo
non è qui. Venga stasera, al mio teatro. Faccio L’Angelo
Azzurro, il locale è un buco, appena trenta posti in
tutto, ma è mio, sai? Quel teatro è la ragione della mia
vita.” La guardo meglio, in effetti ricorda un po’
l’attrice tedesca e dico: “L’Angelo Azzurro? Come
Marlene Dietrich?”
Sorride, un sorriso che è metà
nostalgia e metà sfida. “Qualcosa del genere… L’aspetto,
signore. Vedrà, sarà una serata piacevole.” Si alza,
lasciando dietro di sé una scia di profumo floreale e
tabacco. Prima di scomparire mi dice che il teatro, il
Kleine Bühne, è a due strade da qui, in una viuzza
nascosta di Neustadt. Poi, avvolta dal fumo di un’altra
sigaretta, aggiunge: “Oh che sbadata, non le ho chiesto
il nome…” Mi alzo: “Mi scusi lei se non mi sono
presentato: Aldo Farina, lavoro per diverse riviste
italiane.” Lei mi scruta come se dovesse convincersi:
“Piacere Klara Weber… Lei mi è simpatico, italiano, le
prenoto un posto in prima fila.” Poi svanisce tra la
folla ed io mi domando se sia il caso di andare avendo
già un biglietto prenotato per il Semperoper. Non sono
molto sicuro che uno spettacolo di nicchia possa servire
al mio reportage, ma la curiosità ha la meglio. Alla
fine decido di andare.
******
Esco,
faccio quattro passi, l’aria è piacevole. L’entrata del
Kleine Bühne è un buco nel muro, una porta di metallo
arrugginita con un’insegna al neon sbiadita. Dentro,
l’atmosfera è claustrofobica, ma magnetica: un piccolo
palco, tende di velluto rosso logore, sedie traballanti
di legno disposte a semicerchio. Tra i foglietti volanti
poggiati sulle sedie cerco il mio nome. Mi siedo in
prima fila. Cerco di aprire il mio portatile, ma non c’è
campo. Dopo circa 15 minuti mi volto e noto che ci sono
appena una decina di spettatori: un paio di hipster con
occhiali spessi, una donna anziana con un cappotto di
lana, una coppia giovane e qualche curioso.
Quando il sipario si apre lei è lì che domina il palco
da sola. È seduta su uno sgabello con le gambe
accavallate che ogni tanto muove mostrando i suoi tacchi
alti. Come una diva d’altri tempi porta un cappello a
cilindro, calze nere a rete, reggicalze, un bustino di
pizzo stretto che lascia poco all’immaginazione. Fuma da
un lungo bocchino, il rossetto ancora più evidente sotto
le luci del palco, sbordato come un grido di ribellione.
Lo spettacolo inizia e lei canta canzoni
popolari tedesche, brani triviali che parlano di amore e
tradimento, con una voce che graffia l’anima. A un certo
punto, la spallina della guepière scivola, rivelando per
un attimo il suo seno. Non c’è nulla di volgare, però mi
chiedo se faccia parte della scena o è un gesto
involontario, comunque è un dettaglio che la rende
umana, quasi fragile. Non è Marlene, no, ma ha un
fascino unico, come una rosa appassita che conserva
ancora il suo profumo.
Alla fine del primo atto,
Klara si avvicina al mio posto, il bocchino ancora tra
le dita. Sedendosi sul bordo del palco mi dice: “Grazie
di essere venuto al mio spettacolo. Spero le piaccia.”
Annuisco poi cercando di tenere il tono leggero e
osservando la platea semivuota, rispondo: “Dura la vita
dell’artista, vero?” E lei: “Oh, caro, con l’arte non si
mangia. Ma si vive. Questo palco è tutto ciò che ho.”
Le luci si spengono e lei di fretta riprende il
suo posto. Il secondo atto, sempre sulla falsariga
dell’Angelo Azzurro, scorre velocemente tra brani
popolari tedeschi e dei monologhi che faccio fatica a
comprendere. Finito lo spettacolo, Klara dopo un inchino
e un ringraziamento ai presenti si avvicina di nuovo:
“Non chiedo di farmi una recensione, sarebbe troppo, ma
vorrei tanto conoscere le sue impressioni… Che ne dice
di un bistrot di fronte al teatro?” Accetto.
******
Il Lila Eule è un locale minuscolo con
tavoli di ferro battuto e luci soffuse. Ordiniamo per
aperitivo due bicchieri di vino, e lei non vede l’ora di
raccontare: “La mia vita è un romanzo tragico. Sono nata
a Dresda Est, ho vissuto la Guerra Fredda, la caduta del
Muro, le promesse di un mondo nuovo che non sono mai
arrivate. Per me il mondo è rimasto sempre lo stesso ed
io continuo a fare quello che ho sempre fatto.” Si
ferma, forse aspetta una mia domanda per continuare. Le
chiedo perché mai è così delusa. E lei non aspetta
altro: “Ho amato, oh, quanto ho amato. Uomini che mi
promettevano il cielo, ma giuro le albe le ho viste
sempre da sola e mai in compagnia!” Si ferma, si accende
una sigaretta e poi dopo una boccata riprende: “Mi sono
innamorata follemente di ognuno di loro. Ho obbedito, ho
dato loro tutto. Il mio corpo, il mio cuore, i miei
soldi. Li ho fatti ricchi, sai? Ma per la maggior parte
ero solo una notte, una conquista, un’attrice nel loro
letto.” I suoi occhi si velano, ma la voce resta
ferma. “È per questo che faccio L’Angelo Azzurro. Sul
palco, sono io che comando. Gli uomini? Li trasformo in
macchiette, li ridicolizzo come il professore Immanuel
Rath. È la mia rivincita. Quel teatro è l’unico posto
dove posso essere me stessa, dove nessuno mi usa.” La
guardo, e capisco che il mio reportage non parlerà solo
di luci al neon e birrerie affollate. Klara è Dresda:
ferita, orgogliosa, ancora capace di brillare.
Quando viene il cameriere ordiniamo due piatti di maiale
arrosto, gnocchi di pane in brodo e due calici di birra.
Lei ora è più sollevata. Mi guardo intorno, il Lila Eule
è avvolto ora da un’atmosfera intima, quasi sospesa nel
tempo. Il profumo del maiale arrosto e degli gnocchi di
pane in brodo riempie l’aria, mescolandosi al lieve
sentore di fumo della sigaretta di Klara. Lei sorseggia
la sua birra, gli occhi che brillano sotto le luci
soffuse, e mi osserva con un misto di curiosità e sfida.
“Allora, Aldo, raccontami di te. Come finisce un
italiano a fare il reporter in una città come Dresda?”
Sorrido, un po’ spiazzato. Prendo tempo: “Sai mi è
facile raccontare, ma difficile raccontarmi…” Lei è
dubbiosa: “Non dirmi che sei timido.” Poi con un gesto
semplice, quasi materno, mi stringe la mano, noto lo
smalto rosso delle sue unghie lunghe che riflette alla
luce. Allora dico: “Beh, è una lunga storia. Sono sempre
stato un curioso, uno che vuole vedere cosa c’è dietro
l’angolo, dietro le persone, le anime. Non mi sono mai
sposato per mancanza di tempo. Dopo l’università, ho
iniziato a scrivere per qualche rivista, viaggiando per
l’Europa. Mi piace catturare le storie delle persone,
come la tua. Dresda mi ha chiamato per questo: una città
che sembra tranquilla di giorno, ma che di notte si
trasforma.”
Klara ride. “Oh, caro, hai ragione.
Dresda di notte è un’altra cosa. Dai, finiamo di
mangiare e ti porto a fare un giro. Ti mostro la mia
città.” Dopo aver gustato delle deliziose Schneeball,
dolci a forma di palla di neve fritti e ricoperti di
zucchero, paghiamo il conto e usciamo. L’aria di ottobre
è pungente, ma piacevole. Le strade di Neustadt sono
vive con la musica che sfuma dai bar. Klara cammina con
passo deciso, il cappotto che le svolazza intorno come
un mantello. “Seguimi, italiano. Ti faccio vedere
qualcosa di speciale.”
Ci incamminiamo verso il
centro storico, attraversando il ponte Augustusbrücke
sull’Elba. Le luci della città si riflettono sul fiume,
creando un gioco di bagliori che sembra quasi magico. In
lontananza, la silhouette della Frauenkirche si staglia
contro il cielo stellato, la sua cupola ricostruita che
domina la città come un simbolo di rinascita. “Guarda
quella chiesa.” Dice lei, indicando la Frauenkirche.
“Distrutta durante la guerra, ridotta in macerie. Eppure
eccola lì, più bella di prima. Come me, no?” Sorride, ma
nei suoi occhi c’è un’ombra di malinconia.
Proseguiamo verso la Semperoper, il teatro dell’opera
illuminato come un gioiello. “Qui dentro si esibiscono i
grandi.” Dice fermandosi a guardare l’edificio. “Io no,
il mio palco è più piccolo, ma è mio. Non ho bisogno di
tutto questo per sentirmi viva.” Mentre camminiamo le
rivelo che aveva un biglietto per il teatro, ma ho
preferito vedere il suo spettacolo. Lei si commuove.
“Davvero, dici?” Mi prende la mano e me la stringe. Ci
fermiamo vicino ad un muretto e lei mi racconta di sé.
«Vivo sola, sai? Da anni. Ho due figli grandi, sposati,
tre nipoti che vedo solo a Natale. Non è una mia scelta,
è solo… che è andata così. Il mio ex marito è morto ed
io non sono neanche andata al suo funerale. Sono anni
che non dormo con un uomo. Non che mi manchi,
intendiamoci. Anch’io avrei bisogno di un po’ di calore,
ma ho imparato a bastarmi.»
Le chiedo come
faccia a vivere da sola, lei si accende un’altra
sigaretta e mi guarda dritto negli occhi. “Sai, con gli
spettacoli non si vive. Il Kleine Bühne è la mia anima,
ma per fortuna non pago l’affitto, il proprietario è un
mio vecchio amico. Lo hai visto tu stesso stasera. Quel
teatro mi rende ricca solo nell’anima, ma per il resto…
Ogni tanto… faccio altri servizi. Con qualche amico
fidato, niente di più. Non ti scandalizzare, caro. Se
vuoi vivere libera, devi accettare qualche compromesso.”
La sua schiettezza mi colpisce, ma non mi
scandalizza. C’è una dignità feroce in lei, una forza
che non si piega. “E poi.” Aggiunge con un sorriso
malizioso, soffiando il fumo verso l’alto. “Sono ancora
attraente, no? Ti piacevo vestita in quel modo sul
palco?” Arrossisco leggermente, ma non posso negarlo.
“Sì, eri… magnetica. Hai un modo di catturare
l’attenzione che è raro.” Lei ride, una risata che
sembra un invito. “Bene, italiano. Mi piace la tua
onestà.” Si avvicina di un passo, il suo profumo di
fiori e tabacco mi avvolge. “Sai, il mio appartamento è
a due isolati da qui. Niente di lussuoso, ma è caldo,
accogliente. Ti va di bere un ultimo bicchiere?”
Il cuore mi batte un po’ più forte. Non è solo la
proposta, è il modo in cui lo dice: diretto, senza
vergogna, ma con una fragilità che trapela tra le
parole. “Klara, io… non so se è una buona idea…”
Balbetto, cercando di mantenere un tono leggero. “Sono
qui per lavoro, sai, il reportage…” Lei mi interrompe
con un gesto della mano. “Oh, rilassati, Aldo. Non ti
sto proponendo niente di scandaloso. Solo un bicchiere,
una chiacchierata. O vuoi davvero passare la notte a
scrivere su quel tuo portatile?” La sua risata è
contagiosa, e cedo. “Va bene, un bicchiere. Però poi se
non rispondo di me non ti lamentare… Non vorrei essere
il solito uomo senza alba…” Lei sorride: “Sei proprio un
giornalista, memorizzi tutto… E comunque se perdi il
controllo significa che ti piaccio no? Dimmi che non
sono ancora da buttare…” Dice, strizzandomi l’occhio.
******
Ci incamminiamo verso il suo
appartamento, un piccolo edificio in una stradina
tranquilla di Neustadt. Saliamo una scala stretta, e
Klara apre la porta del monolocale che è esattamente
come me l’aspettavo: caotico, pieno di vita, con vecchie
locandine di suoi spettacoli appese alle pareti, qualche
foto in bianco e nero in pose sensuali, un divano
logoro, un piccolo tavolo con una bottiglia di Riesling
già aperta. Ci sediamo, e lei versa due bicchieri. “A
Dresda.” Brinda, alzando il calice. “… E alle storie che
non finiscono mai.”
Bevo un sorso, e la
conversazione scivola via, tra i suoi racconti di
gioventù, di amori e spettacoli sbagliati, ma anche di
serate sul palco che le hanno dato la forza di andare
avanti. Ogni tanto mi guarda in un modo che mi fa
sentire come se fossi l’unico uomo al mondo, e devo
ricordarmi che è un’attrice, una che sa come tenere il
pubblico in pugno. “Sai, Aldo…” Dice posando il
bicchiere e avvicinandosi a me. “La vita è come uno
spettacolo. Devi sapere quando entrare in scena e quando
uscire. Ma a volte… a volte vuoi solo restare sotto i
riflettori un po’ di più.”
La tensione nell’aria
è palpabile, ma non è solo desiderio. È come se Klara mi
stesse offrendo un pezzo di sé, senza uscire dalla
parte. Infatti subito dopo mi dice: “Vuoi fare l’amore
con la donna o con l’attrice? Scegli tu puoi chiamarmi
Klara o Marlene ed io mi adeguo…” Sono sbalordito dalla
sua vitaltà creativa. Ora capisco che è un gioco e non
ci sono altre aspettative. Mi abbandono. La chiamo
Marlene e lei mi dice di aspettare un attimo, mi siedo,
aspetto, e quando lei torna indossa dei vestiti di
scena. “Non sono esattamente gli stessi, ma spero che
gradirai…” Ride maliziosa
Non riesco a resistere
alla sua bellezza retrò. Le vado vicino e la bacio, lei
con aria austera mi respinge: “Devi faticare sai, non è
un singolo bacio che mi scioglie.” Finiamo sul letto, la
sua guepière di pelle mi dà brividi, il suo rossetto
sbordato è una calamita, la sua calza a rete, i tacchi
alti hanno un’aria così decadente che non riesco a non
entrare in quel sogno. Lei intuisce: “Ti piacerebbe
vedermi ora sotto un lampione di ferro battuto vero?
Immagina l’asfalto bagnato, le carrozze, i tacchi che
suonano come richiamo…” La vedo, è nella parte, si
accende un’altra sigaretta e come una vera padrona si
mette a cavalcioni su di me pretendo il mio piacere. Mi
dice: “Vedi la differenza tra Marlene e Klara? Sono io a
prenderti, gli uomini devono solo ubbidire e darmi il
piacere estremo. Lo farai vero?” Mi muovo in perfetto
sincronismo, lei mi incita ad andare più veloce, a
resistere, ad essere maschio. La mia virilità è al
culmine, lei si lascia andare finché insieme urliamo
tutto il nostro piacere.
“Sei stato magnifico
Aldo.” Mi dice togliendosi una calza e gettandola a
terra. Sono esausto ed estasiato, a stento riesco a
dirle che la vita è tutto uno spettacolo e che lei è la
protagonista assoluta. Lei ride: “Sei molto caro sai?”
Mi alzo per riprendere fiato, beviamo dallo stesso
bicchiere e dopo qualche minuto le nostre bocche si
fondono di nuovo e distesi sul letto siamo ancora lì a
pretenderci, a reclamarci. Mi dice: “Tesoro, fa che
questa notte non finisca mai.” Indossa solo una calza,
ma io mi concentro sull’altra adagiata sul pavimento. È
il simbolo di un amore travolgente consumato in un
istante, ma anche la parte di una coreografia perfetta,
un pezzo di Klara che si abbandona, che si concede senza
riserve, pur mantenendo il controllo del gioco. È Klara
che si abbandona, è Marlene che domina la scena con una
sicurezza quasi spietata, il punto in cui le due
identità si fondono. Quella calza non è più solo un
accessorio di scena, ma il simbolo di un amore che non
si lascia possedere del tutto, che resta sospeso tra
realtà e finzione, tra il desiderio di appartenersi e la
consapevolezza che nulla può durare per sempre.
Solo a quel punto capisco, perso nel suo gioco, che non
sto solo vivendo un momento di passione, ma sto vivendo
qualcosa di unico, di eterno, di immortale, ma che
inevitabilmente l’alba arriverà dissolvendo ogni cosa. E
allora mi abbandono ancora in lei, la sua femminilità è
qualcosa che sfida il tempo, non ci sono rughe, ma solo
la bellezza del personaggio che non invecchierà mai.
Facciamo l’amore tra il sogno e la realtà, mi addormento
e mi risveglio più volte con il sapore del suo rossetto
in bocca e deciso a non deluderla ci uniamo ancora in
attesa dell’alba.
Quando il sole è già alto mi
alzo, la bacio e la calza è ancora lì, testimone di una
notte che trascende l’amore fisico: “Klara è stato
bellissimo.” Le dico con il cuore ancora perso nel sogno
di quella notte. Lei è ancora addormentata, la sua
sensualità è straripante. A malincuore le dico: “Ora
devo andare. Il mio editor mi ucciderà se non consegno
qualcosa domani.” Lei sorride, senza insistere. “Va
bene, italiano. Ma torna a trovarmi, eh? Il Kleine Bühne
ha sempre un posto per te in prima fila.” Mi accompagna
alla porta, e prima di salutarci mi dà un bacio leggero
sulla guancia, lasciando una traccia di rossetto.
“Scrivi di me, Aldo. Ma scrivi la verità.”
Torno
in albergo sotto un cielo terzo, con la testa piena di
pensieri e il cuore un po’ più pesante. Klara non è solo
una storia da raccontare: è un pezzo di Dresda, una
città che non dorme mai, che porta le sue cicatrici con
orgoglio e continua a brillare. E mentre scrivo le prime
righe del mio reportage, so che non parlerà solo di luci
al neon e birrerie, ma di una donna che, su quel piccolo
palco, combatte ogni sera per essere se stessa.
|
Questo racconto è opera di pura
fantasia. Nomi, personaggi e luoghi sono frutto
dell’immaginazione dell’autore e qualsiasi
somiglianza con fatti, scenari e persone è del
tutto casuale.
IMMAGINE GENERATA DA
IA
© All rights
reserved
TUTTI I
RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
© Adamo Bencivenga - Tutti i diritti riservati
Il presente racconto è tutelato dai diritti d'autore.
L'utilizzo è limitato ad un ambito esclusivamente personale.
Ne è vietata la riproduzione, in qualsiasi forma, senza il consenso
dell'autore


Tutte
le immagini pubblicate sono di proprietà dei rispettivi
autori. Qualora l'autore ritenesse
improprio l'uso, lo comunichi e l'immagine in questione
verrà ritirata immediatamente. (All
images and materials are copyright protected and are the
property of their respective authors.and are the
property of their respective authors.If the
author deems improper use, they will be deleted from our
site upon notification.) Scrivi a
liberaeva@libero.it
COOKIE
POLICY
TORNA SU (TOP)
LiberaEva Magazine
Tutti i diritti Riservati
Contatti

|
|