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Adamo Bencivenga
LA FIERA DELLE VERGINI
Sotto un cielo d’argento, intessuto di nubi come ragnatele, il viandante avanzava a passi incerti che scricchiolavano sulla terra screpolata...



 
Sotto un cielo d’argento, intessuto di nubi come ragnatele, il viandante avanzava a passi incerti che scricchiolavano sulla terra screpolata. Il cappello, calato sugli occhi, nascondeva il suo sguardo impaziente. Nel petto, un’inquietudine senza nome, una smania che lo trascinava avanti. Ad ogni passo, nella borsa di pelle consunta tintinnavano monete senza patria, pesanti come segreti, buone per il suo desiderio che ardeva come un fuoco che gli mordeva le viscere guidandolo verso l’alba.

All’ombra di un crocicchio si fermò, si tolse il cappello e si fermò. Interrogò un uomo curvo col volto scavato dal tempo. “Buon’uomo dov’è la strada per la fiera delle vergini?” E l’uomo lo guardò con gli occhi opachi lo guardò. “Lontano.” Disse indicando con il mento un sentiero che si snodava tra rose selvatiche e roveti, spine pronte a bere sangue. “Lontano…” Aggiunse. “Dove i musicanti si sentono appena, e la luna ti guarda con occhi di lupo.”

Il viandante si rimise il cappello e poggiò la sua mano sul coltello infilato nella cintura, un riflesso d’acciaio contro le insidie della sera, contro i tranelli di una luna araba, ostile, magrebina, che versava luce come un veleno.

S’incammino tenendo a mente la direzione. Ogni passo era un peso, il sentiero gli mordeva i piedi e le ombre si allungavano come dita di spettri. Interrogava le ombre e i mercanti che via via incontrava sul suo destino: “Dov’è la pista, la fiera, un the alla menta che scaldi le ossa?” Ma le risposte erano vaghe, borbottii che si perdevano nel vento, e i loro occhi lo trapassavano, come se vedessero il vuoto dentro di lui.

E quando vide una locanda, un rudere di pietra e legno marcio che sembrava vomitato dalla terra, entrò. L’aria dentro era densa, pregna di sudore, vino rancido e fumo di tabacco. Al bancone, un uomo con la faccia butterata e un ghigno storto lo squadrò. “Quanto costa una cena? Chiese il viandante posando la borsa con un tonfo sordo. “Un letto? Un culo caldo?” Poi scorgendo nell’ombra una donna grassa con un rossetto che sapeva di mestiere disse: “E quanto vale un seno grande, offerto al banco come pere?” L’oste rise con un ghigno che sembrava un colpo di tosse. E mostrando i denti gialli come zolfo, rispose guardando sua moglie: “Tutto ha un prezzo, pellegrino, e tutto si può comprare. Ma l’astinenza, quella no, quella brucia gratis. Ti divora la carne, ti scava dentro, e non lascia niente se non cenere.”

Il viandante si guardò intorno e strinse il coltello. La locanda era un covo di ombre, di sguardi che pesavano come catene. La moglie dell’uomo si avvicinò con il seno pesante che ondeggiava sotto una stoffa sudicia. Lo squadrò con le sue curve molli offerte come avanzi. Fu in quell’attimo che il viandante si ricordò dove fosse diretto. E allora si sedette a un tavolo e ordinò un piatto di stufato che sapeva di terra. Mentre mangiava, ascoltava i bisbigli degli avventori: storie di viandanti come cercatori d’oro, storie di vergini da comprare a poco prezzo.

Ma la notte fuori premeva contro le finestre e ogni boccone era un peso, ogni sorso di vino un veleno, un’attesa fino all’alba. Quando si alzò, lasciò una moneta straniera sul tavolo, l’oste lo fermò con uno sguardo. “Attento, pellegrino.” Disse. “La fiera che cerchi non è un luogo. È una febbre. E quando la trovi, non sei tu a comprarla. È lei che ti prende.” Il viandante sputò a terra e non rispose. Uscì nella notte, il mantello che sbatteva contro le gambe, il coltello che gli pesava alla cintura. Il sentiero lo inghiottì, e lui, passo dopo passo, s’incamminò verso un orizzonte che prometteva solo vergini.

All’alba, il velo della notte si squarciò, e la fiera delle vergini si compose come una ferita aperta, una ragnatela di tende scarlatte e dorate, un’ebbrezza di voci, profumi di spezie rancide e un sentore più antico, più carnale come il nettare di femmine lasciato ad asciugare al sole, dolce come miele, pericoloso come un sortilegio.

I musicanti pizzicavano corde stanche e la folla si accalcava, corpi che si strofinavano, mani che cercavano, occhi che divoravano, un’orgia di desideri mai sazi. Il viandante avanzò con un passo da equilibrista su un filo teso sopra l’abisso. Scavalcò un roveto, le spine gli graffiarono la pelle, ma lui rise, ebbro, non di vino, ma di vergini, di possibilità crude, di quel desiderio che gli bruciava dentro come un ferro rovente premuto sulla carne.

La fiera era un labirinto di tentazioni. Donne, dalle vesti lacere con i seni accennati che sporgevano timidi come frutti esotici, si accompagnavano a uomini con i coltelli in vista. Il viandante passò tra loro, il cappello calcato e ogni passo era una sfida, ogni sguardo un duello. L’odore di carne arrostita si mescolava a quello di piscio e sangue secco, e il sole, alto ormai, bruciava tutto, senza pietà.

Tra le bancarelle le prostitute si muovevano come ombre, ciascuna un intreccio di carne e mistero, offerte ai viandanti con gesti che erano insieme invito e sfida. Non erano semplici donne, ma visioni che danzavano al confine tra il sacro e il profano, creature che sembravano nate dalla polvere della fiera e dal bagliore ostile della luna magrebina.

Il viandante dubbioso si fermò davanti a un mercante di seta, un uomo magro come un chiodo, la pelle tirata sulle ossa come le sue tele preziose. Le tende intorno ondeggiavano, scarlatte e sporche, e l’aria puzzava di sudore e zafferano. “Dimmi.” Chiese il viandante. “Come si riconosce una vergine in questo mercato di carne?” Il mercante lo squadrò, gli occhi stanchi, due fessure opache che sembravano aver visto troppe albe e troppe bugie. Si passò una mano sulla barba rada, poi sputò a terra, un grumo di saliva che si mescolò alla polvere.

“Queste donne.” Disse lentamente come se ogni parola gli costasse fatica. “Sono tutte vergini nel cuore. Non si sono mai innamorate, pellegrino. L’amore non le ha mai consumate. Ma il loro corpo…” Fece una pausa, un sorriso storto che mostrava i denti marci. “Se hai voglia di deflorare una donna, se è quello che ti scalda il sangue, sappi che le vergini qui portano un marchio. Un segno a fuoco, sul gluteo sinistro, come i cavalli purosangue. Un cerchio di cenere e carne bruciata, inciso profondo, che non mente mai.”

Il viandante lo fissò, ancora più diffidente, lo fissò. Un marchio a fuoco? L’immagine gli si piantò nella mente: pelle nuda, arrossata, un segno nero e sfrigolante che urlava proprietà, come un sigillo su una bestia da soma. Sentì il desiderio torcergli le viscere, non per la carne, ma per il segreto, per il potere di quel marchio, per ciò che prometteva e nascondeva. “E chi le marchia?” Chiese. Il mercante rise. “Chi le marchia?” Ripeté, come se la domanda fosse un gioco. “Padri che vendono le figlie al primo succo di ciliegia tra le gambe! Qui le femmine non servono a nulla, sono solo una disgrazia quando nascono. Ma attento: quel marchio non è solo sulla loro pelle. È un giuramento e una truffa. Lo tocchi e sei legato. Lo compri e sei fregato.”

Il viandante non rispose. Si voltò e si inoltrò nella fiera, tra le tende che sembravano bocche spalancate, pronte a inghiottirlo. Dentro vi erano uomini diffidenti come lui che provavano la merce prima di acquistarla. Fuori la folla si accalcava, lo spingeva, corpi caldi e sudati che si strusciavano contro di lui, mani che cercavano la sua borsa, occhi che lo spogliavano.

Una donna anziana con i capelli neri come ali di corvo, gli si avvicinò, il corpo avvolto in una veste che lasciava poco all’immaginazione. “Vuoi me, pellegrino?” Sussurrò, le labbra screpolate, il fiato che sapeva di vino acido. Lui la guardò, non era di certo vergine e non era lei che cercava. “Quanto?” Chiese, più per abitudine che per interesse. Lei rise, un suono che graffiava. “Più di quanto hai, e meno di quanto credi.”

Passò oltre e vide una ragazza, poco più che un’ombra, i capelli sciolti come un fiume d’inchiostro, danzare su un palco di legno traballante. Il seno scolpito come marmo, gli occhi scuri come pozzanghere di notte. Profumava di mirra e di terra umida, e quando si mosse, il fruscio del suo abito evocava il suono di foglie mosse dal vento. “Vieni, straniero.” Sussurrò. “Con me, la notte non ha prezzo, solo pelle.”
Lei si mosse ancora e la sua veste scivolò sul fianco, e per un istante, sotto la luce malata del sole, lui intravide un bagliore di pelle nuda, il gluteo sinistro, ma non vide il marchio. Solo carne liscia che lo sfidava. Lei lo guardò, un sorriso che era un coltello, e lui sentì il fuoco dentro di sé ruggire, un desiderio che non era solo lussuria, ma una fame più antica, più sporca.

Si avvicinò a lei e chiese. “Hai il marchio?” Lei rise con un suono che graffiava l’aria. Poi si voltò, sollevando appena la veste. “Non ne ho bisogno.” Sussurrò, le labbra carnose, il fiato che sapeva di miele. “Vuoi una vergine? E allora prendimi lo stesso, perché se lo fossi non sarei io a essere marchiata, ma tu.” Poi aggiunse: “Quanto vale il tuo desiderio, straniero?” Il viandante sentì un brivido, come ragnatele di luna sulla schiena, ma scosse il capo, incapace di rispondere e strinse il coltello. Lui cercava il marchio e la fiera pulsava intorno a lui, un cuore malato che batteva al ritmo di flauti rotti e tamburi sfondati.

Scosse la testa ed andò oltre, ogni passo lo portava più vicino al suo desiderio dove i marchi a fuoco bruciavano sotto la pelle delle giovani vergini, dove il desiderio si pagava con sangue e cenere. Ma quella prostituta aveva ragione: non era lei a essere marchiata. Era lui, segnato da una smania che non si spegneva, un fuoco che lo consumava gratis.

Cercò ancora finché arrivò al confine della fiera, dove le tende si diradavano e il profumo di sapone delle lavandaie si mescolava a quello di resina e sperma. Ed è lì che la vide! Non era come le altre: il suo volto era velato, ma gli occhi visibili attraverso la seta trasparente, erano ametiste che brillavano di una luce selvaggia, indomita. Il suo corpo era sinuoso e puro come un ruscello che scorre sotto la roccia.

Danzava con una grazia che sembrava rubata alle ombre della notte, e quando parlò, la sua voce era un alito di vento del deserto. Lei era l’ultima della fila e conosceva il desiderio e la delusione di ogni viandante. Disse: “Non stai cercando me straniero, ma ciò che non puoi avere. E tu vuoi ora me perché non sono in vendita.” Mostrò le sue fattezze di vergine vera, ma non offrì il suo corpo, né promesse di piacere, solo uno sguardo che trafisse il viandante, accendendogli un fuoco dentro che bruciava più dell’astinenza.

E il viandante la guardò, con gli occhi inzuppati di desiderio, la guardò. La sua pelle diafana era un invito al peccato, i suoi seni, rigogliosi frutti proibiti nel giardino dei Getsemani, offerti allo sguardo, ma non alle mani. E allora il viandante capì, con le monete pesanti nella borsa, capì, che nessuna moneta avrebbe mai potuto comprarla, perché era proprio quello che desiderava: un altare vivo che accendeva desideri senza mai spegnerli. Ma si avvicinò lo stesso e chiese: “Quanto costa un desiderio?”

Lei rise, un suono che era coltello e carezza: “Non si compra un desiderio, pellegrino.” Sussurrò, lasciando che il suo seno sfiorasse il suo petto, un tocco che bruciava più del sole. “Il desiderio è ciò che non puoi comprare.”
E in quel momento alzò la sua veste fino a scoprire il gluteo sinistro con il marchio ben stampato sulla sua carne. “Vedi, straniero? Sono solo un’illusione, perché se cedessi alle tue monete il marchio non scomparirebbe! Vai, goditi la fiera, ma non farti fregare!”

Il viandante tacque. Le monete straniere nella sua borsa, fredde, inutili e senza odore, non bastavano per lei. Non bastavano per il calore della sua pelle, per il sapore di una notte. Si allontanò. La fiera pulsava intorno a lui, un cuore di voci e profumi, ma lui era già altrove, sulla strada del ritorno, perso in un sogno di rose, roveti e lune ostili e magrebine, inseguendo quel desiderio che sarebbe rimasto tale.








Questo racconto è opera di pura fantasia.
Nomi, personaggi e luoghi sono frutto
dell’immaginazione dell’autore e
qualsiasi somiglianza con
fatti, scenari e persone è del tutto casuale.

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