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IL DISCRETO DESIDERIO DI ESSERE
TRADITI
La lettera è datata 12 Marzo 2025, poche righe, ma sufficienti
per farne un racconto. Chi scrive è Stefano M., un architetto
quarantacinque romano con uno studio avviato a Roma Nord...

“La nostra Roma,
elegante e un po’ sonnolenta, faceva da cornice alla
nostra vita. Io, Stefano, architetto di quarantacinque
anni, gestisco uno studio avviato a Roma nord. Giulia,
mia moglie, cinque anni più giovane di me, dirige con
passione una galleria d’arte che le regala mille
soddisfazioni e l’attenzione di centinaia di artisti.
Dopo quasi vent’anni di matrimonio, ci consideravamo
una coppia solida, affiatata. Non avevamo figli a
riempire le nostre giornate, ma il nostro amore era a
prova di tempesta, insomma niente screzi, niente
incomprensioni, ci capivamo al volo con un semplice
sguardo e ci comportavamo di conseguenza. Eppure, da
qualche tempo, un sussurro inquieto aveva iniziato a
insinuarsi tra le mura del nostro attico all’Eur. Era
una specie di campanello d’allarme che di solito, ma non
sempre, suonava nei momenti più intimi.
Guardavo
quel corpo perfetto di Giulia e pensavo quanto fossi
fortunato chiedendomi nello stesso tempo se davvero lo
meritassi. Un brivido di paura persistente mi faceva
dubitare su di lei: “E se tra le tante conoscenze
maschili, tra i tanti artisti, qualcuno, a mia insaputa,
avesse conquistato le sue attenzioni o godesse già delle
sue grazie?”
Non era proprio gelosia, no. Al
contrario, l’ammirazione che altri provavano per Giulia
accendeva in me una scintilla di eccitazione, un
afrodisiaco sottile e sempre più inebriante. Vederla al
centro dell’attenzione, con il suo fascino magnetico che
attirava sguardi e sussurri, non mi feriva, ma
alimentava un desiderio complesso. Era come se la sua
bellezza, celebrata da altri, amplificasse il mio
orgoglio di averla accanto, ma allo stesso tempo
risvegliasse un’urgenza primordiale di reclamarla come
mia anche in quelle situazioni. Ogni sorriso che lei
rivolgeva a un altro, ogni gesto che catturava
l’interesse di un artista o di un conoscente, mi
spingeva a voler esplorare ancora di più la sua essenza,
a conquistare non solo il suo corpo, ma ogni sfumatura
della sua anima.
Questo gioco di ammirazione
esterna e desiderio interno mi creava una tensione
erotica, un misto di venerazione e possessività che
rendeva il mio legame con lei ancora più intenso, quasi
ossessivo. Immaginarla godere con un altro, sentire i
suoi gemiti caldi, o il semplice gesto di aprire le
gambe, mi faceva rabbrividire, incuriosito da quel
mistero che si celava nella sua pura intimità, nelle
pieghe della sua carne, nei suoi segreti a disposizione
di altri.
E in quel bisogno di immergermi
completamente nel mistero della sua femminilità
straripante mi dicevo che se fosse accaduto, non mi
avrebbe tolto nulla perché, nonostante tutto, era me che
avrebbe scelto ogni giorno. Insomma non era paura di
perderla, ma ciò che mi turbava era il non sapere.
Ricordo ancora la sera in cui le iniziai a svelare
le mie fantasie. Eravamo a cena, nel nostro ristorante
preferito a Testaccio, con la carbonara che si
scioglieva in bocca e il vino rosso che scaldava
l'anima. Al tavolo di fianco a noi stava cenando un
ragazzo moro con due occhi di noce che sembravano usciti
da qualche pubblicità di profumo francese. Era il
classico tizio che lei nel suo lavoro avrebbe potuto
facilmente incontrare. Per cui dissi con una nonchalance
studiata: "Sai, Giulia. A volte mi capita di pensare
a... beh, a te con un altro."
Il suo sguardo,
inizialmente sorpreso, si era trasformato in curiosità.
Non c'era orrore, non c'era disgusto, solo una leggera
inclinazione della testa che mi invitava a continuare:
“Spiegati meglio, Stefano…” E così feci, parlandole di
quel desiderio strano, di quella morbosità che non
nasceva da una mancanza di amore per lei, anzi, ma
fondamentalmente da una mia insicurezza interiore. Era
piuttosto un'ombra, un'eco di un tabù, un confine che
trovavo allo stesso tempo piacevolissimo e che la mia
mente, a volte, desiderava oltrepassare senza però
volerlo fare realmente.
Con mia sorpresa, Giulia
non si era ritratta. Anzi, con una sincerità disarmante,
mi aveva confessato di aver avuto fantasie simili.
“Stefano.” Aveva detto, fissando il bicchiere di vino
rosso come se cercasse risposte nel riflesso. “Non è che
io abbia pensato di tradirti. Ma… a volte mi chiedo come
sarebbe. Sentirmi desiderata da qualcuno che non sei tu.
Un incontro, un momento… proibito.” Poi aveva aggiunto:
“Non parlo di piacere fisico, ma di qualcosa che
riguarda la mia sfera emozionale e come potrei sentirmi
e quanto mi completerebbe…” La sua voce tremava
appena. “Non di te con un’altra.” Aveva aggiunto,
alzando gli occhi su di me. “Ma di me. È come un brivido
che mi attraversa, ma senza di te, la nostra complicità,
non saprei cosa farmene.”
Mi sentii sollevato e
meno a disagio per quella confessione. Era come se quel
sussurro sotterraneo che tormentava me vibrasse anche
dentro di lei. Certo i presupposti erano diversi, ma il
fine condiviso era per entrambi una piacevole
trasgressione e un po’ di pepe dopo venti anni di
matrimonio. “E tu?” Mi aveva chiesto sorridendo per
smontare la tensione. “Come ti sentiresti, se succedesse
davvero?” La sua domanda stava aprendo una porta che
non sapevo se attraversare o chiudere per sempre. “Non
lo so, Giulia.” Avevo risposto. “Forse sì. Ma ciò che mi
spaventa non è immaginarlo, anzi... È non sapere se tu
l’hai già fatto o se in un futuro prossimo possa
accadere.” Poi avevo aggiunto: “Non è gelosia credimi,
ma la delusione di essermi perso qualcosa di importante
di te.” Ne parlammo a lungo, quella sera e nelle
settimane successive. Lei ogni volta mi rassicurava:
“Tesoro, ma io sono solo tua e lo sarei anche se
succedesse…” Non c'era morbosità malsana, solo una
curiosità reciproca, il desiderio di esplorare i meandri
più nascosti del nostro desiderio. Eravamo una coppia
felice, la nostra intesa sessuale era sempre stata
appagante, ma a quel punto mi convinsi che entrambi
sentivamo il bisogno di una scossa, di un'emozione forte
che rompesse la routine senza intaccare il nostro
legame.
Poi, una sera, mentre la osservavo
prepararsi per una delle sue serate di vernissage,
qualcosa scattò nella mia mente. Era lì, davanti allo
specchio del nostro bagno, con la luce calda che le
accarezzava i capelli. La vidi truccarsi con cura,
scegliere un abito nero che le fasciava la silhouette,
infilare con gesti lenti e sensuali le sue meravigliose
calze velate. Sotto aveva indossato una guepière di
pizzo che intravedevo sotto la gonna, poi un paio di
decolleté nere lucide vertiginose. Ogni suo gesto era un
inno al potere femminile, che non dipendeva dal mio
sguardo, ma era una vitalità interiore che esisteva per
sé, una pennellata su una tela che mi eccitava
all'inverosimile, ma non era tanto quella figura così
erotica, ma il fatto che qualcuno avesse potuto godere
di quel paradiso vivente in armonia con il proprio
essere.
"Sai." Le dissi avvicinandomi e
baciandole la nuca. "Mi eccita da morire guardarti
mentre ti prepari per uscire... sapendo che altri occhi
ti guarderanno, ti desidereranno." Lei si voltò e con
un sorriso sulle labbra rosse disse: "E a te non
dispiacerebbe, vero?" "No." Risposi sincero, "Anzi.
L'idea che tu possa essere desiderata mi eccita da
morire.” “Solo desiderata?” I suoi occhi erano pieni
di malizia. “Non lo so, ma il pensiero che qualcuno
possa svelare la tua femminilità è qualcosa che mi fa
tremare i sensi. Credo che sarebbe comunque
un'esperienza diversa, sapendo che poi tornerai da me."
A quel punto le dissi: “E se mettessi un abito più
corto? E se si intravedesse tutta la tua sensualità, non
so un pizzo, un merletto per gli occhi di chi non possa
resistere?” Lei ci pensò un attimo: “Stefano, ci sono
già occhi che non mi resistono…”
Ecco quella
sera, nel bagno di casa, così, lentamente, avevamo
trovato la nostra trasgressione, il nostro "gusto
proibito", ma anche un accordo che imponeva dei limiti
non netti, ma sfumati dall’imprevedibilità di una
serata. Ovviamente entrambi per il nostro modo elegante
e raffinato di vedere le cose non avevamo mai pensato ad
un rapporto a tre, assolutamente no. Entrambi lo avremmo
ritenuto volgarissimo, banale e piatto, troppo reale per
alimentare la nostra fantasia di coppia. Insomma non era
una questione materiale di corpi e di sudore, perché il
desiderio non era affatto di condividere Giulia
fisicamente con un altro in mia presenza, ma qualcosa di
inafferrabile che rimaneva ben stretto nelle nostre
fantasie e allo stesso tempo mi dava quella sicurezza
che fosse comunque e sempre mia.
L'eccitazione,
per me, risiedeva nell'attesa, nell'immaginazione, nel
vederla trasformarsi in una creatura seducente
consapevole del proprio fascino e nell’imponderabilità
su cosa o meno sarebbe potuto accadere. E per lei
invece, volare sulle ali di una nuova libertà,
esprimendo e sperimentando tutto il suo fascino nella
segretezza complice e velatamente condivisa. Insomma se
fosse successo veramente non avrebbe avuto sensi di
colpa e questo la portava ad esprimere la sua sensualità
in ogni dettaglio.
Tutte le volte che si
preparava per uscire il pensiero andava sempre lì. Ed io
dalla grande vetrata della sala da pranzo vedevo Roma
accendersi di luci, tingendo di mistero le facciate dei
palazzi. La osservavo dallo stipite della porta, un
calice di vino tra le mani, mentre si muoveva con una
grazia quasi leggiadra tremendamente femmina nella
penombra della nostra camera immaginandola preda di
cacciatori di bellezza. Indossava una sottoveste di seta
color champagne che le scivolava addosso come una
seconda pelle, rivelando ad ogni movimento le curve
sinuose del suo corpo.
Mi diceva senza alcun
trasporto mentre prendeva un paio di orecchini pendenti:
"Stasera c'è un artista emergente molto interessante. Le
sue sculture sono... molto tattili." Le sue parole,
apparentemente innocue, vibravano nell'aria. E allora
immaginavo quanto le sue serate non fossero fatte solo
di chiacchiere sull'arte e calici di prosecco. C'era un
sottinteso, un gioco di sguardi e di silenzi che
alimentava la mia immaginazione. Non avevo certezze,
nessuna prova concreta, ma il modo in cui si vestiva, la
luce maliziosa nei suoi occhi, il profumo inebriante che
lasciava dietro di sé, tutto contribuiva a creare nella
mia mente scenari proibiti.
La guardavo mentre si
spruzzava un velo di profumo sul collo, un gesto lento e
sensuale che mi accendeva. Poi si avvicinava allo
specchio per truccarsi, le labbra che si curvavano in un
sorriso appena accennato mentre passava delicatamente il
rossetto. Lo spalmava come fosse un richiamo, come se al
mondo non ci fosse altra bocca capace di accogliere e
dare piacere. Ogni suo movimento era una sfida
silenziosa, un'offerta velata a un desiderio
inconfessato.
"Starò fuori, farò tardi. Sai,
certi artisti hanno bisogno di... essere compresi a
fondo." Ed io mi saziavo a quelle parole, perché mi
avrebbero allungato l’attesa accendendomi pensieri più
sconci. A quel punto il suo sguardo incrociava il mio
riflesso nello specchio, e in quell'istante percepivo
una scintilla, una promessa ambigua che mi faceva
fremere.
Quando la sentivo chiudere la porta alle
sue spalle, un'ondata di solitudine mi invadeva,
mescolata a un'eccitazione sottile. Immaginavo i suoi
occhi che catturavano sguardi ammirati, le sue mani
sfiorate da altre mani, le sue labbra che forse
sussurravano parole che non erano per me. Era un
tormento dolce, una prigione dorata fatta di
supposizioni e fantasie. Oh sì immaginavo anche altro,
ma non era quello che mi faceva rabbrividire perché il
mio pensiero tornava sempre lì, nel momento sublime
della sua arte di seduzione, dei suoi richiami e inviti
velati da femmina esperta.
L'attesa del suo
ritorno era un rituale intriso di sensualità e ansia. Mi
sedevo sul divano di velluto, la luce soffusa, il
silenzio rotto solo dal ticchettio dell'orologio. Il
bicchiere di vino rosso tra le mani sembrava un pegno,
un'offerta al suo ritorno. Ascoltavo il rumore dei
tacchi sul selciato, il rumore della chiave nella
serratura. Tutti suoni di una sera vissuta, di donna che
aveva trovato la sua dimensione per sentirsi regina e
appagata.
Quando finalmente rientrava, l'aria
intorno a lei vibrava di un'energia sottile, un'aura
misteriosa che la rendeva ancora più affascinante. I
capelli leggermente scompigliati, un velo di stanchezza
elegante sul viso, e un profumo più intenso, quasi
rubato, forse diverso che immaginavo maschile. Osservavo
ogni dettaglio cercando di scovare qualche indizio, non
so, la spallina leggermente calata, la gonna con qualche
piega di troppo, il suo rossetto stropicciato, la
smagliatura sulla calza, ma erano particolari che
fremevano e si ingrandivano solo nella mia mente.
"Com'è andata?" Le chiedevo con una voce che cercava
di mascherare la mia febbrile curiosità. Lei si lasciava
cadere sul divano accanto a me, un sorriso stanco, ma
soddisfatto sulle labbra. E lei raccontava. A volte
erano dettagli vaghi, accenni a conversazioni, a
sguardi. Altre volte, con una libertà che all'inizio mi
spiazzava, ma che poi imparai ad apprezzare, descriveva
le attenzioni ricevute, i complimenti, la palpabile
tensione erotica che aveva aleggiato nell'aria. Non
scendeva nei particolari intimi, e non era quello che
cercavo. Volevo sentire l'eco di un desiderio altrui
posarsi su di lei, la consapevolezza che, per qualche
ora, era stata desiderata da un altro, pur rimanendo
mia.
Frasi del tipo: "Interessante... molto
interessante. L'artista ha una visione... particolare
del corpo umano. Sai dopo la mostra dovevamo
approfondire alcuni dettagli e lui mi ha invitata a
cena." E mentre parlava, le sue dita sfioravano
distrattamente la mia mano, un contatto fugace, ma
carico di una promessa inespressa e soprattutto ricco di
quel gioco complice che entrambi amavamo.
Non
chiedevo dettagli espliciti. Certo insinuavo, la guidavo
nel racconto, ma non volevo rompere l'incantesimo di
quell'ambiguità che tanto mi eccitava e tanto meno lei
rivelare esattamente cosa fosse successo, anche se alle
volte l’ora tarda non giustificava il tempo di un
vernissage o di una cena di lavoro. Sorseggiavo
delicatamente il mio vino e mi bastava vederla femmina e
soddisfatta, e percepire quel velo di mistero,
quell'ombra di esperienze vissute lontano dai miei
occhi, per alimentare la mia fantasia. Era come se,
attraverso quelle sue uscite notturne, Giulia si
trasformasse in un'altra donna, più audace, più libera,
e il suo ritorno a casa, tra le mie braccia, avesse il
sapore proibito di una riconquista. Eravamo complici in
questo gioco sottile, in questa danza sensuale fatta di
sguardi, di silenzi, di parole non dette. Ed io mi
sentivo al sicuro, come un bambino in una culla, perché
nonostante ignorassi, sapevo che Giulia era solo mia.
Roma, con i suoi segreti sussurrati di città
misteriosa, era il palcoscenico ideale e perfetto per la
nostra singolare trasgressione, un modo per ravvivare la
nostra passione senza mai varcare completamente il
confine, mantenendo intatto il nucleo del nostro amore,
ma arricchendolo con il brivido inebriante di un
desiderio immaginato, di una femminilità offerta e poi
riconquistata. E in quel gioco ambiguo, in quella magia
sospesa tra la realtà e la fantasia, trovavamo un nuovo,
inatteso equilibrio.”
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