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Adamo Bencivenga
IL SEGRETO DI UNA DONNA
PERBENE
Ore 6:30 P.M. di un giorno
feriale. La città è New York, il quartiere l'Upper
East Side. Siamo al quinto piano nel salotto di una
casa borghese. Luci soffuse, il tic tac di un
orologio in sottofondo. Il divano è sfatto, un
bicchiere di whisky mezzo vuoto sul tavolino.
Accanto un flacone di Xanax aperto, tre compresse
bianche sparse come piccoli confetti dimenticati.
C’è una donna nella casa, bionda e avvenente, si
chiama Sophia, è accasciata sui cuscini del divano,
i capelli arruffati, il trucco colato lungo le
guance in rivoli neri. Fissa un punto indefinito nel
vuoto...

La porta d'ingresso si apre.
Entra un uomo, impeccabile nel suo completo grigio
scuro, la ventiquattrore in una mano. Si ferma di colpo,
notando sua moglie. Posa la valigetta a terra e si
avvicina alla donna. Si ferma a un metro dal divano e la
osserva. Sophia non alza lo sguardo. Ha le gambe
raccolte sotto di sé, il vestito di seta nera sgualcito.
LIAM: “Tesoro, che succede?” Lei non si
volta, cerca di fermare le lacrime e si asciuga gli
occhi col dorso della mano. SOPHIA: “Nulla, nulla...
Non ti aspettavo così presto. Come mai sei qui?”
Lui si siede sul bracciolo del divano. Si allenta la
cravatta con un gesto automatico. LIAM: “Oggi ho
finito prima dal lavoro. Ma dimmi, che hai? Ti senti
male? Sembri... distrutta.” SOPHIA: “No, non
preoccuparti. Nulla di fisico tesoro. È solo... dentro.”
Lui le tocca leggermente la spalla. Sente il
corpo di lei tremare, un tremito sottile, ma continuo.
LIAM: “Perché allora stai così. Cos’è che non va?
Guardami ti prego.”
Lei prende il bicchiere e
fissa il pavimento. Poi si volta. SOPHIA: “Tesoro,
sono solo pensieri molesti... Mi martellano la testa,
non mi lasciano in pace.” LIAM: “E cosa dicono,
questi pensieri? Dimmi come posso aiutarti.”
Lei
a voce bassa e rauca come se parlasse a se stessa.
SOPHIA: “Non parlano, sono muti... Ma a volte è come se
urlassero, pretendendo tutta la mia attenzione… Mi
consumano.” LIAM: “Quali pensieri Sophia? Specifica,
amore. Non posso starti vicino se non so cosa ti
tormenta.”
Lei finalmente lo guarda, il viso
stravolto dal dolore, gli occhi rossi. SOPHIA: “Sono
sempre gli stessi, quelli che avevo da piccola...
Osceni, disgustosi, sporchi. Piango perché non riesco a
liberarmene… Sono come un veleno che mi porto dentro da
sempre.”
Lui annuisce, le stringe i polsi
cercando di rassicurarla, ma è visibilmente confuso.
LIAM: “Sì, tesoro, ho capito... Ma io non posso aiutarti
davvero se non mi dici esattamente cosa pensi.”
SOPHIA: “Liam, non sono io che penso! È un'altra
donna... Mi capisci ora? È lei che vive nella mia testa,
che mi sussurra quelle cose orribili. Non sono io!”
Lui la guarda attonito, la stringe a sé e lei si
accascia contro di lui, singhiozzando. Poi, con un gesto
lento, quasi infantile, appoggia la testa sulla sua
spalla. LIAM: “Ok tesoro, ho capito, non sei tu! Ma
vorrei sapere cosa ti dice quella donna.” SOPHIA: “È
lei che mi rende fragile! Come se mi togliesse tutte le
forze…” LIAM: “Tesoro, ma tu sei sempre stata una
donna forte, hai sempre controllato ogni cosa... Quella
donna è solo un fantasma…” SOPHIA: “No, ti sbagli
Liam, non è un fantasma, è reale… tremendamente vera!”
LIAM: “Ma tu sei più forte, sei una donna brillante, una
manager in carriera che ha decine di collaboratori ai
suoi piedi.” SOPHIA: “Ecco vorrei esattamente tornare
ad essere così. Una persona solare che non si nasconde e
non ha segreti, ma non lo sono…”
L’uomo si stacca
da lei, si alza e si siede sulla poltrona di fronte.
LIAM: “Perché tu hai segreti? Tieni dentro cose che non
mi dici?” SOPHIA: “Non io Liam, ma l’altra donna.”
Lui sbuffa e inizia a spazientirsi. LIAM:
“Perdonami, ma che differenza fa? Sei sempre tu nella
tua testa, no?” SOPHIA: “Vedi che non capisci? Vedi
perché non te ne ho mai parlato?” LIAM: “Ok scusa, la
mia razionalità a volte mi rende scettico. Dai dimmi
bene cosa dice l’altra donna.”
Lei abbassa ancora
la voce, ora è quasi un sussurro, una cantilena che
sembra un lamento. SOPHIA: “Lei non parla Liam, mi
scava dentro, mi esorta a non trascurare quel vuoto che
sento dentro.” LIAM: “Ma tu lo senti quel vuoto?”
SOPHIA: “Pensavo fosse la mia essenza di femmina e non
credevo fosse un difetto da riempire, invece lei
insiste… Ti ricordi quando lo scorso anno sono stata in
terapia? Ecco col professor Jordan parlavamo proprio di
questo, lui mi diceva che questo disagio era legato alla
mia infanzia, all’assenza di mio padre, di una figura
maschile decisa, autoritaria, insomma una specie di
punto fermo…” LIAM: “E poi cosa ti diceva il
professor Jordan?” SOPHIA: “Che avevo uno smisurato
bisogno di attenzione e protezione, come se desiderassi
essere guidata, giudicata, ma anche elogiata o punita.”
LIAM: “Beh dai, tutto questo fa parte della tua
infanzia, ma poi le cose sono cambiate, sei cresciuta,
sei diventata una donna in carriera, temuta e rispettata
da tutti.”
Sophia, si rannicchia ancor di più sul
divano, come se volesse scomparire nei cuscini. Liam, la
osserva con un misto di compassione e frustrazione.
L'aria è densa, carica di un silenzio rotto solo dal suo
respiro affannoso. SOPHIA: “Va bene, Liam... se vuoi
davvero capire, ti dirò tutto. Il mio trauma... non è
solo l'assenza di mio padre. È molto di più. È un buco
nero che mi ha inghiottita da bambina e non mi ha mai
lasciata andare.”
Si interrompe, deglutisce a
fatica. SOPHIA: “Avevo sedici anni quando mio padre
se n'è andato. Non un addio drammatico, no. Solo...
sparito. Una mattina era lì, a colazione, con il suo
caffè nero e il giornale spiegazzato. La sera dopo il
suo armadio era vuoto e mia madre piangeva in cucina.
Non ha lasciato una lettera, niente. Solo un vuoto. Ed
io ho sempre pensato che se ne fosse andato per colpa
mia!” LIAM: “Perché?”
Le lacrime di Sophia
ricominciano a scorrere, silenziose. SOPHIA: “Perché
è successo. Una volta, mia madre era ad un convegno e
noi eravamo soli in casa. Dopo cena ha iniziato a farmi
delle avances, mi diceva che ero bella e irresistibile.
Io mi sono rifiutata, gli ho urlato contro e lui a quel
punto mi ha detto: “Questo è quello che sei: distruggi
tutto ciò che tocchi.” Le sue parole mi hanno marchiata
più delle sue avances. Mi sono sentita sporca,
disgustosa, come se meritassi di essere punita per
esistere. E il peggio è che, in quel dolore, c'era una
strana... gratificazione. Mi chiedevo come avrei dovuto
comportarmi se ci avesse riprovato. Come se la sua
attenzione, anche se crudele, mi facesse sentire viva e
donna.”
Liam annuisce lentamente, il suo volto si
ammorbidisce per un istante. Allunga una mano verso di
lei, ma esita, ritraendola. Sa che toccarla ora potrebbe
spezzare quel flusso dei ricordi. LIAM: “Comunque non
è successo nulla…” SOPHIA: “No. Alcune settimane dopo
lui se ne è andato di casa ed io mi sono presa tutte le
colpe e il vuoto si è ampliato. Mia madre è crollata:
depressione, pillole, alcol, giorni interi a letto. Io
la vedevo come una rivale. Mi dicevo che ero più bella
di lei e che lui sarebbe tornato per me, per portarmi
via da quella casa. Ed è stato in quel periodo che
dentro di me l’altra donna ha iniziato a formarsi. Era
la parte di me che bramava quella figura maschile forte,
punitiva, che mi guidava con mano ferma. E lui veniva
ogni sera nei miei sogni e ci facevo l’amore, mi
umiliava, mi rimproverava per non aver ceduto. Mi
svegliavo sudata, in colpa, convinta di essere
sbagliata. Ho represso tutto per anni: la carriera, il
successo, sono stati il mio scudo contro quel buio. Ma
il trauma non guarisce da solo. È come un veleno lento:
ti fa desiderare il dolore perché è l'unica cosa
familiare e ti insegna che l'amore vero deve far male,
deve degradarti per poi ricostruirti. Non è sesso, Liam.
È catarsi. È riempire il buco che lui ha lasciato.”
LIAM: “Perché non me ne hai mai parlato?” SOPHIA:
“Perché semplicemente mi vergogno Liam. Come è possibile
desiderare il proprio carnefice?” LIAM: “Ma poi hai
conosciuto me…” SOPHIA: “Forse è proprio questo il
punto… Tu sei diverso dai miei fantasmi… Tu sei una
persona gentile, rispettosa, delicata… Tu non mi
giudichi…” LIAM: “Che vuoi dire?” SOPHIA: “Voglio
dire che ci sono dei momenti in cui, specialmente
durante l’amore, vorrei essere presa con forza,
sbattuta, costretta, anche maltrattata se lo merito…”
LIAM: “Non conoscevo questo tuo lato, non me ne hai mai
parlato…” SOPHIA: “Tesoro le cose non si dicono si
intuiscono…”
L’uomo si alza, prende la bottiglia
di Macallan 18, il suo preferito, si riempie il
bicchiere, ora tradisce una leggera agitazione. LIAM:
“È una critica verso di me, vero?” SOPHIA: “Scusami,
forse ti sto portando fuori strada… Certo sì, è vero,
riguarda anche noi, ma ora non è questo il punto.”
LIAM: “Vuoi dirmi che non ti soddisfo sessualmente?”
SOPHIA: “Non è solo questione di sesso. Certo sì l’amore
è importante… soprattutto la penetrazione nel senso che
riempie un vuoto…” LIAM: “Tesoro lo facciamo due
volte a settimana!” SOPHIA: “Ma non è solo una
questione fisica… Alle volte desidero che tu facessi
l’amore con la mia mente.” LIAM: “Quindi è vero! Non
ti senti appagata quando scopiamo?” SOPHIA: “Io
vorrei essere la donna che piace a te, mi sforzo, ma è
come se mi sdoppiassi… non ti sto dicendo che non sono
appagata o che non ho orgasmi, anzi, ma è l’altra donna
che vorrebbe qualcosa che non esiste tra noi.”
L’uomo ora si spazientisce. LIAM: “Sophia parla
chiaro, non mi piacciono questi giri di parole…”
SOPHIA: “Non c’è nulla da dire tesoro, tu concepisci
l’amore come lo facciamo da una vita, fatto di coccole,
baci, carezze, tenerezze e poi mi penetri, ma la mia
mente rimane slegata. Insomma non ti sento il mio
padrone, ma l’amico, il confidente. Sei pari a me!”
LIAM: “Certo che sono pari a te! Ci mancherebbe altro!”
SOPHIA: “E invece io in quei momenti vorrei essere la
cagnetta a quattro zampe che ti obbedisce, magari
legata, bendata e presa a forza.” LIAM: “Insomma mi
stai dicendo che vorresti un sesso più deciso, più
sporco come in un gioco di ruolo tra padrone e schiava…”
SOPHIA: “Liam, io non lo vedo come un gioco.”
La
donna trema visibilmente, il suo corpo si contrae. Il
silenzio cala pesante. Lei cerca di guardare altrove, le
lacrime ricominciano a cadere. SOPHIA: “Ho paura che
tu non mi capisca… Ma in quei momenti non vorrei essere
tua moglie, ma la tua troia… LIAM: “Beh dalla
prossima volta cercherò di adeguarmi…” SOPHIA: “Ma io
non voglio una cosa meccanica! Anzi, vedi, dal momento
che se ne parla lo stiamo già sminuendo,
razionalizzarlo, ed io non voglio questo… e poi io non
parlo di sesso, oh sì anche di quello, ma è più che
altro un rapporto che va oltre i ruoli, oltre
l’apparenza e non rimane che l’anima nuda. E quella non
mente…” LIAM: “E queste sensazioni le hai già provate
vero?
La donna non risponde. L’uomo intuisce
che è ad un passo da una confessione, l’inizio di una
tragedia in cui i due protagonisti saranno costretti a
tirare fuori le loro verità. Il suo volto impallidisce,
pensa che non sia ancora il momento e allora vorrebbe
alzarsi, uscire da quella stanza, ma ormai è in gioco.
Si siede di nuovo, le mani strette sui braccioli della
poltrona, il respiro corto. L'atmosfera è densa di
tensione, come l'aria prima di un temporale, carica di
segreti pronti a esplodere. LIAM: “Se me ne parli,
significa che è successo qualcosa che io non so… Hai
l’aria di chi si sente in colpa o sbaglio?” SOPHIA:
“No tesoro no, non è questo il punto. Non mi sento in
colpa, sento solo tanta pena.” LIAM: “Lo è, invece.
Tu questo rapporto lo hai già vissuto, lo sento...”
SOPHIA: “Che cambia? Il problema è nella mia testa, sono
le mie fantasie… il mio passato… il mio bisogno di
essere altro… quella donna che mi rende fragile.”
LIAM: “E queste fantasie sono uscite fuori?” SOPHIA:
“Sì.” LIAM: “Con chi? Lo conosco?” SOPHIA: “No non
lo conosci, ma che importanza ha? È successo solo una
volta…” LIAM: “Sophia, non mi dire bugie, qui non si
tratta di una singola scopata, per quel tipo di rapporto
ci vuole fiducia, tempo, dedizione, conoscenza. Non si
scava la mente in un incontro di mezzora.”
L’uomo
continua a fissarla, gli occhi stretti in due fessure.
Il suo volto è ora una maschera di rabbia pura. Le mani
strette a pugno, le vene in rilievo sul dorso come corde
tese. Non batte ciglio, forse sa, ma vuole che lei si
apra a lui, completamente. La donna, sentendo quel
peso invisibile scivola sul parquet, nasconde il viso
tra le ginocchia e in quella posizione fetale,
accovacciata sul pavimento del loro salotto borghese, si
sente piccola, vulnerabile, lontana anni luce dalla
manager inflessibile che comanda riunioni e firma
contratti milionari. È come se, in quel gesto di
chiusura totale, stesse tornando bambina, rannicchiata
contro il dolore del rifiuto paterno, contro il vuoto
che l’ha sempre inseguita. Tra loro adesso, solo i
suoi singhiozzi: un quadro di un matrimonio sospeso
sull’orlo del baratro, dove l’odio e l’amore si
confondono in un groviglio inestricabile. Lui non
demorde, fa parte del gioco e sa che deve calarsi nel
ruolo di uomo tradito. LIAM: “Allora, rispondimi,
dove lo hai conosciuto?” SOPHIA: “L’ho conosciuto una
sera mentre portavo a spasso Katty, lei abbaiava e lui
si è avvicinato col suo cane.” LIAM: “Quando?”
SOPHIA: “Quattro, cinque mesi fa... Forse di più.”
LIAM: “E dove siete stati?” SOPHIA: “Quella volta da
nessuna parte, abbiamo solo parlato e scambiato i numeri
di telefono. Poi il giorno dopo è venuto a trovarmi in
ufficio. Siamo andati a pranzo e poi a casa sua.”
LIAM: “Avete scopato?” SOPHIA: “Dai ti prego Liam…”
LIAM: “Avete scopato?” SOPHIA: Non è questo il
punto, come te lo devo ripetere?” LIAM: “Insomma mia
moglie si fa scopare da un altro e a me non deve
interessare? È questo che pensi?” SOPHIA: “Non ho
detto questo, ma dico che esistono intimità più
coinvolgenti che dare la figa… Non so come spiegarti, il
sesso certo fa parte del gioco, ma non è la cosa
primaria.” LIAM: “E invece lo è!” SOPHIA: “Sei
troppo materiale! Io ci vedo altro! Diciamo che
attraverso il sesso è più facile comandare e obbedire, è
più facile sentirsi un tombino dove scola acqua
piovana.” LIAM: “E tu con lui, ti sei sentita così?”
SOPHIA: “Cazzo Liam, sì, no, forse, ma da te mi aspetto
altre domande…” LIAM: “E invece io sono banalmente
triviale… Gliel’hai data?” SOPHIA: “Se l’è presa…”
LIAM: “Che significa? Non credo ti abbia violentata…”
SOPHIA: “No, o forse sì, mi ha violentata col mio
consenso, capisci? Ero io che desideravo essere
maltrattata, usata, annichilita, degradata come donna…”
LIAM: “E ti piaceva?” SOPHIA: “L’appartenenza e
la dipendenza ti spengono la mente e ti fanno capire
tante cose.” LIAM: “E ora sei innamorata?” SOPHIA:
“Liam no! Qui non si tratta di affetto, di sentimenti
puliti, ma come cavolo te lo devo dire? È qualcosa di
sporco e pericoloso, qualcosa che ti mette estremamente
in gioco. Ti fa perdere ogni ruolo, ti mette a nudo e
mette in discussione ciò che sei e che rappresenti.”
LIAM: “Quindi se ho capito bene non si tratta di
sentimenti e nemmeno di sesso, ma allora di che cazzo
stiamo parlando? Spiegati per favore!” SOPHIA: “È
qualcosa di più profondo e non ha nulla a che fare con
noi, ma con me stessa, con la mia anima.” LIAM: “Sì
ok, ma hai goduto ugualmente… Da che mondo è mondo si
scopa per piacere e tu gli hai allargato le cosce. Non
dirmi stronzate per favore! Sei solo una banale troia
che ha tradito suo marito, non ti illudere… non sei
diversa dalle altre…” SOPHIA: “Liam, non è questione
di figa… la vuoi vedere? È come prima! Se vuoi ora puoi
anche scopartela, ma non cambierebbe nulla!” LIAM:
“Grazie, ma non entro dove ci sono passati altri… Non mi
interessano gli avanzi…”
La donna si alza
lentamente dal divano, come se ogni movimento le
costasse uno sforzo immenso. Le gambe le tremano, un
fremito che parte dalle ginocchia e si propaga fino al
suo décolleté nero. Fa un passo avanti, poi un altro,
verso il mobile bar nell’angolo del salotto. Il parquet
scricchiola piano sotto i tacchi. Le mani, pallide e
fredde, afferrano la bottiglia di Macallan 18.
SOPHIA: “Ecco e ora che lo sai?” LIAM: “Di essere un
cornuto, dici? Quello lo immaginavo da tempo.”
SOPHIA: “E che effetto ti fa?” LIAM: “Anche in quello
c’è soddisfazione, ma io voglio sapere cosa pensi di me
ora. Chi sono io ora?” SOPHIA: “Io ti ho messo il mio
cuore in mano, ma tu ti preoccupi solo di te stesso. Ti
rendi conto?”
La donna scuote la testa, si volta
appena verso Liam, il bicchiere stretto tra le mani, le
labbra socchiuse in un respiro spezzato. Gli occhi,
gonfi, rossi, lucidi, lo cercano per un istante, poi
beve un sorso lungo, il whisky che le brucia la gola,
scende come fuoco liquido nello stomaco vuoto, ma non
placa nulla. SOPHIA: “Mi dispiace Liam, non hai
capito un cazzo di quello che ti ho detto, io avevo
deciso di aprirmi con te, ma forse ho fatto male. Tu non
capisci nulla di me.” LIAM: “Tesoro tu hai aperto
solo le cosce ed ora per senso di colpa mi vieni a
raccontare delle teorie di Jordan, della tua infanzia,
di tuo padre, del tuo bisogno di essere umiliata, di
un’altra donna che scopa al posto tuo…” SOPHIA: “È
vero!” LIAM: “Ma io non ci casco, anzi credo che sia
stata tu che hai abusato di lui. Volevi fare la troia e
l’hai fatta, tutto qui.” SOPHIA: “Io ho solo bisogno
di quel dolore… misto a piacere e abbandono insomma come
se mi sentissi gratificata nel cedere il mio totale
controllo ad un’altra persona. LIAM: “Non esiste il
masochismo femminile, non esiste il piacere sentendo
dolore, quello è solo una perversione, una fantasia
maschile. È Jordan che ti ha messo in testa queste
cazzate?” SOPHIA: “Ti sbagli Liam, sei gretto, è un
gioco di potere in cui si prova piacere a lasciarsi
degradare. Ovviamente non da tutti, ma da chi gode nel
torturarmi mentalmente e prova piacere nell'infliggermi
una forte sofferenza emotiva.” LIAM: “Quindi lo
faresti anche con altri?” SOPHIA: “Non so risponderti
ora.”
La donna stringe le labbra, poi, con un
gesto quasi rassegnato tende il braccio verso di lui.
Non è un’offerta di pace, né una richiesta di perdono. È
solo un gesto sospeso, un ponte fragile tra due persone
che, in quella sera di dicembre, si sono improvvisamente
ritrovate estranee nella loro stessa casa. Cerca le
parole e risponde. SOPHIA: “Lui ha risposto solo ad
un mio bisogno, ha saputo leggermi dentro. Strapparmi i
tailleur da manager e riportarmi a nudo. Abbiamo fatto
l’amore ovunque, nelle toilette dei bar, nel mio
ufficio, mi ha fatto provare il senso del rischio, del
pericolo e soprattutto mi ha fatto capire quanto valgo e
chi sono davvero.” LIAM: “Quanto vali?” SOPHIA:
“Nuda non valgo nulla, la mia figa è esattamente uguale
a tutte le altre, nulla di più o di meno… Mi ha scopata
come una qualunque commessa di un supermercato.”
LIAM: “E tu volevi questo?” SOPHIA: “Volevo scendere
dal mio tacco 12!” LIAM: “Quindi la differenza tra me
e lui sta nel fatto che lui ti ha capita ed io no…”
SOPHIA: “Dici che è poco? Non ho avuto bisogno di dire
nulla, come invece ora, a fatica, sto facendo con te.”
LIAM: “E cosa vuoi fare ora?” SOPHIA: “Niente, volevo
solo che tu sapessi e che il mio non è un banale
tradimento, ma qualcosa che nasce da molto lontano. Non
voglio vivere nella menzogna anche perché quando ritorno
a casa la sera sto bene con te, mettermi in ciabatte,
struccarmi e guardare un film insieme sul divano... Ecco
vorrei che tu continuassi a darmi l’affetto smisurato
che mi hai sempre dato.” LIAM: “Beh ora non chiedermi
l’impossibile, sapere o non sapere è una discriminante
che non si può ignorare.” SOPHIA: “Ti prego non mi
lasciare. Fai conto che sia una cura, una terapia. Del
resto se fossi malata saresti geloso se ogni settimana
andassi dal medico?” LIAM: “Certo che no. Ma al
medico non chiedi di scoparti o peggio di maltrattarti…
e poi lo hai detto tu stessa che non sei malata, ma è il
tuo essere...” SOPHIA: “Hai ragione non sono malata e
non ti posso promettere nulla perché non si può guarire
se non si è malati.” LIAM: “Quindi è questo? Mi stai
dicendo che continuerai? Che questa... questa terapia
andrà avanti, e io dovrei accettarlo come se fosse un
appuntamento dal dentista?”
Sophia alza lo
sguardo, le sue mani tremano mentre stringe il bicchiere
e il whisky ondeggia come un mare in tempesta.
L'orologio continua il suo tic tac implacabile,
amplificando quel silenzio pesante come un sipario di un
palcoscenico. SOPHIA: “Liam, non ti sto chiedendo il
permesso. Sto solo cercando di essere onesta. Per una
volta, voglio che tu veda oltre la mia facciata. Io ti
amo, ti ho sempre amato. Ma questa parte di me... è come
un'ombra che non posso ignorare. Se la reprimo, mi
consuma dall'interno. Ricordi le notti in cui mi
svegliavo urlando? Pensavi fossero incubi, ma era lei,
l'altra donna, che bussava alla porta della mia mente.”
Liam si passa una mano tra i capelli, il suo volto
si contrae in una smorfia di rabbia repressa da troppo
tempo. Si alza di scatto, camminando avanti e indietro
per il salotto. Il suo respiro si fa affannoso. Sente il
cuore martellargli nel petto, un misto di gelosia
bruciante e una verità che ancora non ha detto. LIAM:
“Onesta? Questa è onestà? Buttarmi in faccia che un
estraneo ti ha presa con forza, ti ha umiliata, e che ti
ha fatto sentire viva più di quanto io abbia mai potuto?
Dio, Sophia, mi fai sentire un fallito! Un uomo gentile,
educato, rispettoso... è questo il mio crimine? Non
essere abbastanza crudele per te?”
Lei si
avvicina a lui, allunga una mano verso il suo braccio,
ma lui si ritrae. SOPHIA: “Non è un crimine, Liam. È
solo... diversità. Tu mi hai dato stabilità, amore puro.
Lui mi ha dato il caos, il dolore che mi fa sentire
reale. Ma non lo amo. È uno strumento, un mezzo per
sfogare quel vuoto. Ti prego, capiscimi. Non voglio
perderti. Possiamo superare questo, insieme. Magari...
potresti provare a entrare in quel mondo con me. A
essere quel padrone che desideri io veda in te.”
Liam si ferma di colpo, voltandosi verso di lei. Il suo
volto si illumina di un'emozione nuova, un misto di
sorpresa e qualcosa di più oscuro, come un velo che si
solleva. Ride, una risata amara. Si avvicina al
tavolino, prende il suo bicchiere e lo svuota in un
sorso solo, il bruciore dell'alcol gli infiamma la gola.
È il momento! LIAM: “Entrare in quel mondo? Sophia,
tesoro... credi davvero che io non lo conosca già?”
Lei aggrotta la fronte, confusa, il cuore che le
salta un battito. Si appoggia al bracciolo del divano,
le gambe che minacciano di cedere sotto il peso
dell'incertezza. SOPHIA: “Che... che vuoi dire? Liam,
non capisco.”
Lui si siede di nuovo sulla
poltrona, le mani intrecciate, gli occhi fissi nei suoi.
LIAM: “Pensi di essere l'unica che abbia segreti?
Con un'altra persona dentro? Quattro mesi fa, hai detto?
Il cane, il parco... e poi l'ufficio, il pranzo, casa
sua. Ti ha presa con forza, ti ha mortificata, offesa,
ti ha fatta sentire una troia. Ti ha legato le mani con
la tua stessa cravatta da manager, ti ha scopata
all’aperto, in terrazza, in un angolo buio di una strada
di notte, ti ha sussurrato all'orecchio che eri sua,
solo sua, e che meritavi ogni punizione per aver
represso così a lungo i tuoi desideri.”
Sophia
impallidisce, il sangue che le defluisce dal viso. Le
labbra le tremano, gli occhi si spalancano in un terrore
misto a incredulità. Indietreggia di un passo, urtando
il tavolino e facendo tintinnare i bicchieri. SOPHIA:
“Come... come fai a sapere questi dettagli? Io non te li
ho detti. Liam, dimmi che non è...”
Lui sorride,
un sorriso freddo, calcolatore, che non raggiunge gli
occhi. Si alza lentamente, avvicinandosi a lei come un
predatore che ha atteso il momento giusto. Le prende il
mento tra le dita, costringendola a guardarlo, il tocco
gentile, ma fermo, carico di una nuova autorità che lei
non gli aveva mai visto. LIAM: “Ti conosco meglio di
quanto tu conosca te stessa. Ti ho sempre conosciuta,
credi non me ne sia accorto di quanto avresti desiderato
un rapporto diverso che io non potevo darti? SOPHIA:
“E allora?” LIAM: “Soffrivo sai. Ho letto gli appunti
dal professor Jordan che lasciavi in giro per casa, le
ricerche sul computer che cancellavi male. Sapevo del
tuo vuoto da anni. Sapevo che il mio amore gentile non
bastava a colmarlo. Così ho cercato l’uomo giusto. Mark.
Si chiama Mark vero? L’ho conosciuto su un forum, una
chat di uomini pronti e desiderosi di mogli
insoddisfatte. Gli ho spiegato la situazione e gli ho
dato istruzioni precise: come avvicinarti, cosa dirti,
come trattarti. Gli ho mandato le tue foto, i tuoi
orari, l’ho messo al corrente dei tuoi desideri più
nascosti che avevo letto sugli appunti di Jordan. Gli ho
pagato persino l’affitto del cane per rendere l’incontro
più casuale possibile. Ogni dettaglio, ogni punizione,
ogni parola sporca che ti ha sussurrato… gliel’ho
dettata io.”
Sophia si porta una mano alla bocca,
un singhiozzo le sfugge dalla gola. Barcolla, si
appoggia al muro per non cadere. SOPHIA: “Tu… tu
l’hai mandato da me? Mi hai… venduta? Come un oggetto?”
LIAM: “No ti ho venduta Sophia. Ti ho dato esattamente
ciò di cui avevi bisogno, perché io non potevo dartelo
senza distruggere l’immagine che hai di me. Il marito
perfetto, gentile, rispettoso. Ma ora lo sai: io sono il
tuo vero padrone. Mark è stato solo il mio strumento. Un
attore che recitava la parte che tu desideravi. E tu ti
sei consegnata a lui pensando di tradirmi… perché il tuo
gioco non era solo la sottomissione, ma la trasgressione
di tradire tuo marito, mentre in realtà obbedivi a me.”
La donna piange, le lacrime le rigano il viso, ma
nei suoi occhi c’è anche altro: paura, umiliazione, e un
barlume di inconfessabile eccitazione. SOPHIA:
“Perché… perché mi hai fatto questo?” LIAM: “Perché
ti amo troppo per lasciarti soffrire in silenzio. E
perché, in fondo, volevo vedere fino a che punto saresti
arrivata. Quanto ti saresti abbassata per colmare quel
vuoto. Ora lo so. E ora so che è un bisogno a cui non
potrai mai rinunciare.” SOPHIA: “Perché hai finto se
sapevi?” LIAM: “Perché anche questo è un gioco di
potere. Io ne avrei fatto a meno ma a te serve!”
Liam si china su di lei, le labbra vicinissime alle sue,
la voce un sussurro rauco. LIAM: “La terapia finisce
stasera. Mark l’ho pagato e non ti toccherà mai più. Da
domani, se vorrai essere usata, degradata, annichilita…
lo chiederai a me. In ginocchio. E io deciderò se te lo
meriti. Se vorrai ce ne saranno altri, certo, pronti a
riempire i tuoi vuoti, ma non sarà Mark ed io sono
pronto a coccolarti sul divano mentre vediamo una serie
TV.”
Sophia trema tra le sue braccia, il corpo
che cede. Si lascia scivolare lentamente verso il basso,
fino a inginocchiarsi. Rimane immobile, il mondo che le
crolla addosso in un turbine di emozioni: shock,
sollievo, rabbia, eccitazione. Si accascia contro di
lui, singhiozzando, mentre Liam la stringe, il suo
abbraccio possessivo, quasi dominante. Le accarezza i
capelli, un gesto possessivo e trionfante. Le luci
soffuse del salotto illuminano i loro volti: quello di
lui, soddisfatto e oscuro; quello di lei, arreso e
finalmente, terribilmente, libero. SOPHIA: “Tu... tu
hai fatto tutto questo? Per me?” LIAM: “Per noi
tesoro. E ora, dimmi... sei pronta a continuare il
gioco, sapendo chi tiene le redini?”
Il sipario
cala su un matrimonio che non sarà più lo stesso, non
più una facciata borghese, ma un gioco di potere
consapevole, crudele e consensuale mentre le luci si
affievoliscono, lasciando la stanza avvolta nel mistero
di un amore reinventato, distorto e indissolubile.
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Questo racconto è opera di pura
fantasia. Nomi, personaggi e luoghi sono frutto
dell’immaginazione dell’autore e qualsiasi
somiglianza con fatti, scenari e persone è del
tutto casuale.
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