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RACCONTO
 
 
Adamo Bencivenga
CARMEN, LA ROSA DEL BORDELLO
Nel cuore di una città di provincia, il bordello “La Rosa d’Oro” si imponeva avvolto in un lusso decadente. Carmen, sedeva nella sala d’accoglienza, regina indiscussa su un divanetto di seta. Con la sua sensualità catturava ogni sguardo, sapendo di essere la Rosa del bordello, desiderata da tutti. La sua storia, però, nascondeva un passato che le pesava come un’ombra. Ogni mercoledì, un uomo dagli occhi verdi metteva alla prova il suo cuore, spingendola a scegliere tra i suoi sogni e la sua corona invisibile.

 

 


 
Nel cuore di una città di provincia, il bordello “La Rosa d’Oro” si imponeva come un palazzo di sogni infranti, avvolto in un alone di sfarzo pomposo e decadente. Un trionfo settecentesco di stucchi dorati e volte barocche, con alte finestre ad arco velate da tende di velluto rosso. La pietra scolorita dal tempo e il portone intarsiato le davano un prestigio come un gioiello ormai opaco.

Dentro la casa, i pavimenti di marmo nero lucido brillavano alla luce dei lampadari di cristallo che pendevano dal soffitto e riflettevano le belle gambe fasciate di nero delle signorine pronte per l’apertura pomeridiana. Le tende di velluto pesante alle finestre nascondevano al mondo ciò che il mondo non voleva vedere. Lì dentro in ogni stanza l’aria era densa di profumi di tuberosa, gelsomino e tabacco e il frusciare delle stoffe faceva da sottofondo al brusio delle fanciulle.

Al pianterreno, un pianoforte suonava melodie languide e i divani di broccato verde smeraldo, alle cinque in punto, accoglievano i clienti che varcavano alla spicciolata la soglia di una porta secondaria. Erano uomini in tight, cappelli a cilindro e tasche piene, sposati a donne dell’alta borghesia, che cedevano al vizio di una pelle giovane da consumarsi nel segreto di una sera piena di aspettative.

Al primo piano nella sala d’accoglienza, Carmen, la bella modenese, sedeva su un divanetto di seta rossa, le gambe accavallate con studiata grazia e il vestito di raso nero che obbediva alle sue curve come una seconda pelle. Coi suoi capelli castani sciolti sulle spalle e un neo accanto alle labbra, dipinto come un invito, sorrideva ad ogni pretendente, celando ogni volta dentro di sé la soddisfazione di essere scelta. Era lei la Rosa del bordello, l’ambita principessa che ogni cliente, giovane o anziano, desiderava non solo per un’ora, ma per la notte intera.
Ogni sguardo che catturava, ogni sussurro che le dedicavano, alimentava il suo orgoglio narcisistico. Non era solo la bellezza a renderla la Rosa del bordello, ma la sua abilità di tessere incantesimi con un semplice battito di ciglia o un sorriso appena accennato. Sapeva leggere gli uomini come libri aperti: i loro desideri, le loro insicurezze, le loro fantasie. E lei, con la grazia di una danzatrice e la scaltrezza di una stratega, li guidava esattamente dove voleva.
Essere scelta non era solo una vittoria, ma una conferma. Ogni cliente che varcava la soglia della sala d’accoglienza, con gli occhi che inevitabilmente si posavano su di lei, era una prova del suo potere. Tutti cadevano sotto il suo fascino, e lei si compiaceva rendendo ogni suo gesto un’opera d’arte.
Era lei a scegliere, non loro sentendosi più forte, più viva, come se ogni conquista le cucisse un nuovo gioiello sulla corona invisibile che portava con fierezza.

Accanto a lei, le colleghe chiacchieravano a bassa voce. Tutte osservavano l’ingresso e quando la porta si apriva, un fremito attraversava ognuna di loro.
Teresa, con i suoi riccioli biondi e un sorriso sfrontato che nascondeva voglia di primeggiare sulle altre; Marina col suo seno ben evidente per appagare i clienti più giovani desiderosi di latte caldo materno; Livia, dai lineamenti duri e occhi che scrutavano ogni cliente come un falco.

Carmen era nata in un paesino soffocato dalla polvere e dalla morale, dove il cielo sembrava sempre troppo basso. Figlia di un contadino col vizio del vino e di una madre distratta dalla fatica, aveva conosciuto il vizio degli uomini e la corruzione della miseria fin da bambina. A tredici anni, mentre si lavava nuda al ruscello, sognava di ballare. Guardava le sue gambe riflesse nell’acqua e immaginava di volteggiare su un palco, con un tutù bianco e tanti applausi che le scaldavano il cuore. “Voglio essere una ballerina…” Sussurrava al vento, ma il vento bizzarro, per tutta risposta, aveva trascinato in quel posto un uomo adulto, bello e trentenne, che poi era suo zio, il fratello di sua madre.

Lui si avvicinò e le disse che era bella, che era già donna, ed era fatta su misura per l’amore, per via di quel seno grande come un nocciolo di pesca, per via delle sue gambe accoglienti, come tana delle talpe. Poi le disse che era l’ora senza dire quale fosse, che era brava senza che lei lo avesse mai fatto e accarezzando quel corpo nudo con le sue dita dappertutto la strinse per i fianchi. Lei per sentirsi grande, lo lasciò fare e si tirò su la gonna e tra le sterpaglie secche si abbandonò senza sapere, proprio come faceva la rosa, sonnacchiosa al primo sole.

Quella non fu la sola volta, ce ne furono altre, sempre sulla riva di quel ruscello, e quando tornava a casa non diceva nulla, neanche quando, avida di quei baci, gli disse che lo amava, neanche quando iniziò a sentire verso sua zia i primi morsi della gelosia. A quel punto capì che lì era di troppo, allora scappò portando con sé solo un fagotto e un sogno: vivere in una grande città, sentirsi bella, fare la ballerina e indossare abiti eleganti, e poi innamorarsi di un ufficiale in alta uniforme o di un signore ricco che la guardasse come se fosse l’unica al mondo, ma che non fosse suo zio.

Ma la città non era certo il palcoscenico che aveva immaginato. La fame mordeva più forte dei suoi sogni, le strade erano fredde, e lei ripensò più volte al calore di suo zio, pensò di riprendere il treno e tornare al suo paese, ma resistette. Fu così che, a diciotto anni, Carmen entrò a “La Rosa d’Oro”. L’accolse Livia che le insegnò a truccarsi, l’accolse Teresa che le prestò i suoi primi orecchini d’oro, l’accolse Marina che le insegnò a soddisfare i clienti con il seno e con la bocca, ma ben presto si accorse che più che sorelle erano delle rivali perché lei non era cinica come Livia, non era ninfomane come Marina e tantomeno frivola come Teresa.

Ogni sera, mentre si preparava davanti allo specchio, si chiedeva dove fosse finita la ragazza che sognava di danzare. I clienti la sceglievano, sì, alcune sere facevano la fila di ore per stare con lei un quart’ora, ma dentro sé sentiva un vuoto che solo in parte era colmato da quelle attenzioni.
Però c’era lui, l’uomo che veniva ogni settimana, sempre di mercoledì. Alto, con un cappotto scuro e occhi verdi profondi che assomigliava a suo zio. Carmen lo aveva notato sin dalla prima volta. Il modo in cui si muoveva, sicuro ma non arrogante, il sorriso che concedeva come un dono. Ma quel bel signore non la sceglieva, preferiva Teresa, a volte Livia. Carmen lo guardava salire le scale e ogni volta era come una spina che si conficcava più a fondo. Si diceva che se l’avesse scelta avrebbe dato il meglio di sé ed ogni mercoledì si preparava con più accortezza, ma la delusione l’avvolgeva come un velo quando lui spariva dietro una porta che non era la sua.

Ma una sera, tutto cambiò. Rosa era malata, Livia aveva preso due giorni di permesso per la morte di sua madre, Marina non era certo il suo tipo. Quando lui entrò, il suo sguardo si posò inevitabilmente su di lei e disse: “Tu.” Carmen sentì il cuore battere così forte da farle male. Lo seguì obbediente come un cane su per le scale, i suoi tacchi risuonavano come un tamburo e lei si chiese quanto lui ritenesse quel rumore volgare o solo l’anticamera dell’amore.
Nella sua stanza, illuminata da una piccola lampada, Carmen si sentì viva per la prima volta dopo anni. Non era solo il desiderio di piacergli o di essere ricordata come la più brava del bordello, ma sentiva qualcosa dentro, quel bisogno di calore che le ricordava suo zio.

Si concesse a quell’uomo con una passione che non sapeva di avere. Ogni bacio era un passo di danza mai danzato, ogni carezza un sogno che prendeva forma. Lui la stringeva come se fosse fragile, ma lei non voleva essere fragile, desiderava essere fuoco e bruciare per quell’amore. I loro corpi si intrecciarono e per un’ora quel bordello si trasformò in una stanza d’albergo nella sua prima notte di miele. C’era lei, Carmen, e lui, l’uomo senza nome che per una notte la fece sentire di nuovo quella ragazza che sognava sotto un cielo troppo basso e si concedeva lungo quel ruscello al suo primo amore.

Quando tutto finì, lui si alzò, si sistemò il cappotto e le lasciò una moneta in più sul comodino. “Sei diversa.” Disse, prima di chiudere la porta.
Carmen si guardò allo specchio con le labbra ancora gonfie di quei baci, e per un momento si vide bella, come una rosa che, pur stropicciata da quell’amore, profumava ancora. Poi si lasciò andare ad un sorriso amaro dandosi della pazza perché sapeva bene che quando sarebbero tornate le sue colleghe quell’uomo affascinante non l’avrebbe scelta.

Ma Carmen non smise di sognare e nei giorni successivi non smise di chiedersi se davvero fosse stata brava, se i suoi baci fossero stati caldi e se si fosse concessa come lui avrebbe desiderato. Da quella volta non ci fu modo di dimenticarlo, Carmen si svegliava con il suo viso negli occhi, lo cercava nei riflessi delle vetrine mentre camminava per la città, lo immaginava mentre sistema il colletto della camicia prima di entrare nel bordello. Il suo cuore era un groviglio di speranza e paura: speranza che lui la volesse ancora, paura che fosse stato solo un avanzo di una sera. Era euforica e tormentata, come una ragazza alla vigilia del primo ballo. Ogni giorno passato diventava un’ossessione, un conto alla rovescia che scandiva le sue giornate. Si sorprendeva a sorridere senza motivo, poi a stringere i pugni quando il dubbio la mordeva: “E se scegliesse un’altra? E se non tornasse?” La sua anima oscillava tra la dolcezza di un sogno e l’ansia di perderlo.

Ripassava ogni attimo di quella sera per non dimenticare la minima emozione. Ricordava le sue parole misurate che lasciavano un lutto, un peso nel cuore, o forse una moglie perduta, forse un amore mai vissuto. Ogni ricordo di un suo gesto, di un suo sguardo, lo incideva nella sua memoria ed allora cercava di indovinare: “Sarà un avvocato, forse, o un funzionario di alto rango, con le mani curate e un orologio da taschino. Avrà poco più di trent’anni? Ma non porta la fede al dito. Sarà vedovo, scapolo o sposato con una donna che lo aspetta la sera o forse solo ignara delle sue fughe notturne…”

Tutti quei pensieri svanivano nel giro di un secondo perché per Carmen l’unica cosa importante era che la volta successiva, in mezzo alle altre, lui avesse visto solo lei. Certo sì, s’illudeva Carmen, volendo essere a tutti i costi la rosa più rossa, quella che un uomo così bello non poteva più ignorare. Passava ore a fantasticare sul momento in cui i loro occhi si sarebbero incontrati di nuovo, immaginando il suo sorriso, il modo in cui lui l’avrebbe chiamata e poi fasciandola per i fianchi l’avrebbe guidata per le scale.

Alla fine arrivò quel mercoledì, e Carmen quella mattina si svegliò all’alba. Ogni gesto fu un rituale. Si guardò allo specchio, scrutando ogni linea del viso come se cercasse una risposta. Lavò i capelli con l’acqua di rose, lasciandoli sciolti e lucidi. Si truccò con cura con un velo di cipria per rendere la pelle di porcellana, un tocco di belletto sulle guance per simulare un rossore, un ombretto scuro per risaltare i suoi occhi nocciola, profondi come pozzi di segreti. Le labbra, dipinte di un rosso scarlatto, erano un invito e una sfida.

Scelse un abito di seta nera con uno spacco profondo per far risaltare tutta la sua sensualità. Le calze di seta, velate come un sussurro, le avvolgevano le gambe, tenute su da una giarrettiera di pizzo nero e da un reggicalze che aggiungeva un tocco di mistero. Si sistemò il corsetto, stringendolo quel tanto per esaltare le sue curve senza soffocare il respiro. Si guardò un’ultima volta allo specchio, e per un istante si sentì davvero irresistibile.

Ma sotto quella cura maniacale avvertiva un’insicurezza di fondo. Le mani le sudavano e il suo stomaco era un nodo di attesa. “Deve scegliermi!” Si ripeteva come una preghiera. Quando salì al primo piano e si sedette sul divano, tra Teresa e Livia si accese una sigaretta, ma era a tutti gli effetti un fascio di tensione nascosta sotto un sorriso perfetto. Ogni scricchiolio della porta la faceva sobbalzare. Scrutava l’ingresso, pronta a catturare il suo sguardo, a essere la donna che lui per nessuna ragione al mondo avrebbe potuto ignorare. Era pronta, pronta a sentirsi, anche solo per un’altra notte, la sua rosa, unica di quel bordello.

Quando lui entrò, il cuore di Carmen saltò qualche battito. Finalmente era lì, bello da morire con il suo cappotto scuro e il cappello nero in mano. Lei si sistemò una ciocca di capelli, sorrise appena, pronta a catturarlo. Ma il suo sorriso si spense quando lui, senza esitazione, tese la mano a Livia. Carmen sentì il mondo crollarle addosso. Lo guardò salire le scale con Livia al suo fianco. L’invidia le morse il petto come un serpente. Si sentì brutta e insignificante rispetto a Livia, con i suoi capelli corti e neri, il suo modo di muoversi come se il bordello fosse il suo regno, la sua sicurezza ostentata. Carmen si odiò per non essere come lei: meno fragile, meno sognatrice, più donna che sa prendersi ciò che vuole. Ogni passo di Livia su quelle scale la sentiva come una pugnalata al suo orgoglio.

Le lacrime le pizzicarono gli occhi, e non riuscì a restare lì, sotto gli sguardi delle altre. Mormorò una scusa, si alzò e corse verso il bagno al pianterreno, chiudendosi dentro. Lì, sola, si lasciò andare. Pianse in silenzio, il trucco che colava in rivoli neri sulle guance. Si guardò e la donna irresistibile di poche ore prima era sparita, sostituita da una ragazza che si sentiva sbagliata. “Perché non io?” Sussurrava stringendo i pugni. Poi si asciugò il viso, ma il dolore restava, un peso che le schiacciava il petto.

Quando uscì fingendo un malore, la maîtresse, Madame Clara la rimproverò: “Carmen, che ti succede? Non è serata per scenate! Torna di sopra e sorridi.” Carmen annuì, chiedendo scusa e ingoiando l’umiliazione. Salì di nuovo le scale ma ogni passo era una fatica, ogni sorriso una maschera.
Fu allora, mentre si accomodò di nuovo sul divanetto e accavallò le gambe mostrando le sue stringhe per la gioia degli altri clienti, che accadde l’inaspettato. Lui scese dalle scale, era solo con il cappotto già sistemato. Livia era rimasta di sopra, probabilmente a contare le monete o a rifarsi il trucco dopo un’ora di passione. Luì però invece di prendere la scala verso l’uscita secondaria tornò in sala. Carmen abbassò lo sguardo, temendo di incrociare i suoi occhi, ma lui si avvicinò e fermandosi davanti a lei disse: “Posso parlarvi un momento?”

Carmen alzò gli occhi, sorpresa. “Sì… certo.” balbettò, alzandosi.
Lui le scostò i capelli sorridendo: “Fatevi guardare, siete molto bella.” Poi più serio aggiunse: “Non vi ho scelta stasera… e non vi sceglierò mai, almeno non qui. Non perché non siate desiderabile, anzi, ma perché non vi considero una di loro. Voi… voi avete qualcosa che non merita di essere comprato, ed io odio l’amore a pagamento.”
Carmen lo fissò non capendo. Scandì a mente le sue parole, ma non riusciva a capire il senso. “Ma allora… perché venite qui?” Chiese.
Lui sorrise di nuovo accarezzandole il viso. “Perché sono un uomo, e gli uomini sbagliano. Ma non voglio sbagliare con voi. Non voglio che voi confondiate il mio amore col sesso.”
Ancora più sorpresa Carmen sospirò: “Amore?” A quel punto lui tirò fuori un biglietto dalla tasca e glielo porse. “Questo è il mio indirizzo. Se mai vorrete parlarmi, fuori da questo posto, saprete dove trovarmi.”
Carmen prese il biglietto, un leggero tremore delle mani tradì il suo stato d’animo. Non sapeva cosa dire, ma non sapeva nemmeno se credergli. Lui si inchinò appena e si allontanò, lasciandola lì, con il cuore in tumulto e un indirizzo che non riusciva a capire dove l’avesse condotta e per quanto tempo.

Il lunedì, il giorno di riposo settimanale de “La Rosa d’Oro”, Carmen si svegliò con il biglietto ancora stretto tra le dita. Lo aveva tenuto sul comodino tutta la settimana, rileggendo più volte l’indirizzo scritto in una calligrafia elegante: Via delle Ginestre, 12. Non era lontano, appena oltre il centro della città, in un quartiere di palazzine signorili con balconi fioriti e portoni di legno intarsiato. Ogni volta che guardava quel pezzo di carta, il suo cuore oscillava tra speranza e timore. E se fosse stato uno scherzo? O peggio, un’illusione come tante altre? E poi se quello fosse stato l’indirizzo della sua casa, ci sarebbe stata la moglie semmai fosse stato sposato? Eppure, qualcosa nella voce di quell’uomo, nel suo sguardo la spingeva a credergli.

Si preparò con cura, ma questa volta non era la Carmen del bordello. Niente trucco pesante, niente abiti che gridavano sensualità. Scelse un vestito semplice, di cotone azzurro, con una gonna che le sfiorava le ginocchia e un foulard legato morbidamente al collo. Si guardò allo specchio, e per un istante vide la ragazza di campagna che sognava di ballare, che si era persa per un amore impossibile, non la donna che si vendeva per sopravvivere. Prese un respiro profondo, infilò il biglietto nella borsa e uscì.

La città, sotto il sole di mezzogiorno, sembrava diversa. Le strade brulicavano di vita: donne con ceste di frutta, bambini che rincorrevano un cane, uomini in giacca che camminavano svelti verso i loro uffici. Carmen si sentiva fuori posto, come se il suo passato la inseguisse, marchiandola anche sotto quel vestito modesto. Quando arrivò in Via delle Ginestre, il cuore le batteva forte. La palazzina al numero 12 era elegante, con un portone di mogano e un piccolo giardino curato, dove rose rosse e bianche crescevano in file ordinate. Suonò il campanello, e dopo un’attesa che le parve eterna, la porta si aprì.

Era lui. Indossava una camicia bianca con le maniche arrotolate e un paio di pantaloni scuri, più informale rispetto al cappotto austero del bordello, ma altrettanto affascinante. I suoi occhi verdi si illuminarono vedendola, e un sorriso caldo gli attraversò il viso. “Carmen.” Disse, con una voce che sembrava accarezzarla. “Sono felice che tu sia venuta.”
La fece entrare in un salotto ampio e luminoso, con tende di lino chiaro che lasciavano filtrare la luce del sole. Il pavimento era di parquet lucido, e un divano di velluto blu che occupava il centro della stanza, accanto a un tavolino con una teiera e due tazze. Alle pareti, dipinti di paesaggi e un ritratto di una donna dai capelli biondi, il cui sorriso distante sembrava osservare ogni cosa. Carmen si fermò, colpita dall’eleganza sobria di quel luogo, così lontano dal lusso pomposo del bordello.

“Accomodati, ti prego.” Disse lui, indicando il divano. “Vuoi del tè?”
Carmen annuì, sedendosi con cautela, le mani intrecciate in grembo. “Grazie… non so nemmeno come chiamarvi…” Ammise, con un sorriso timido.
“Mi chiamo Edoardo.” Rispose lui, versando il tè. “E tu sei Carmen, ma questo lo so già.” Le porse la tazza e lui fece in modo di accarezzarle la mano.
Rimasero in silenzio per un momento, il vapore del tè saliva tra loro come un velo. Carmen si sentiva nuda, fuori dal suo ruolo, senza la maschera del bordello a proteggerla. Fu Edoardo a rompere il silenzio.
“Non so da dove cominciare…” Disse, appoggiandosi allo schienale del divano, gli occhi fissi su di lei. “Quella sera, con te… non è stato come le altre volte con le tue colleghe. Non fraintendermi, non sto parlando solo del tuo corpo, anche se sei bellissima.” Fece una pausa, come se cercasse le parole giuste. “C’era qualcosa in te, una passione sincera, che mi ha colpito. Quando ti ho stretta, ho sentito che non eri lì solo per… per il denaro, come se provassi un sentimento nei miei riguardi. Mi capisci? C’eri tu, tutta intera, con quell’amore offerto che non si può comprare. E questo mi ha fatto riflettere.”

Carmen abbassò lo sguardo. Ricordava ogni istante di quella notte, ogni bacio, ogni carezza. “Anche per me è stato diverso…” Sussurrò. “Non so perché, ma con voi… mi sono sentita viva.”
Edoardo sorrise, ma il suo sorriso aveva un’ombra di amarezza. “Carmen, devo essere sincero con te. Sono sposato. Mia moglie…” Indicò il ritratto sulla parete. “È una donna rispettabile, ma il nostro matrimonio è un contratto, non un amore. È solo una facciata, ma anche se viviamo due vite diverse e tra noi c’è un accordo sottinteso, venire in quel bordello mi crea dei problemi. Sai ho una posizione, un patrimonio. Sono un avvocato, lavoro per famiglie importanti, e questo mi dà agio, ma anche catene.” Si sporse verso di lei, la voce che si abbassava. “Dopo quella sera con te, ho capito che non potevo trattarti come le altre. Non voglio che tu sia un passatempo, Carmen. Voglio offrirti qualcosa di più.”

Carmen lo fissò, il cuore le batteva forte. “Cosa intendete? Mi avete detto che siete sposato…” Chiese.
“Nonostante il mio matrimonio, se tu vuoi, posso garantirti un futuro…” Disse Edoardo, con una determinazione che la fece quasi tremare. “Un appartamento tutto tuo, una vita agiata, vestiti, denaro, tutto ciò che desideri. Potresti lasciare quel posto e dedicarti completamente a me come io farei con te senza più bisogno di andare alla Rosa d’Oro. Tu non dovresti più venderti. Saresti… mia, solo mia. Ma per questo, devi fare una scelta. Andartene dal bordello. Non potrei sopportare di saperti ancora lì con altri uomini e soprattutto per il mio onore dovrai essere solo la mia donna.”

Le parole di Edoardo le caddero addosso come una pioggia d’estate, calda e improvvisa, ma anche pesante. Carmen sentì un’ondata di emozioni contrastanti. Era felice, euforica quasi, perché lui la vedeva, la desiderava non come un oggetto, ma come una donna al suo fianco. Quelle parole erano un sogno che prendeva forma: una vita lontano dal bordello, con un uomo che la guardava come se fosse unica. Ma allo stesso tempo, una tristezza profonda le strinse il petto. Essere sua “mantenuta” significava scambiare una gabbia con un’altra. Non sarebbe stata libera, non davvero. Sarebbe stata la donna di un uomo sposato, nascosta, un segreto da custodire. E poi, c’era qualcosa di più: una parte di lei, per quanto ferita e stanca, amava essere Carmen, la rosa del bordello. Amava il potere di sedurre, di essere desiderata, di scegliere, anche se quella scelta era un’illusione.

“Edoardo…” Iniziò con la voce che le tremava. “Voi non sapete quanto vorrei crederci, quanto vorrei essere la donna che sognate. Ma io… io non so se posso essere solo vostra. Non in quel modo, almeno.” Si morse il labbro, cercando di trattenere le lacrime. “Nel bordello, sono Carmen. Sono la ragazza che fa girare la testa agli uomini, che li fa sognare, anche se è per una notte, un’ora, quindici minuti. È tutto quello che ho. Se lasciassi quel posto per essere la vostra mantenuta, non sarei più io. Sarei solo la vostra ombra segreta. E io non voglio essere un’ombra.”

Edoardo la guardò, sorpreso, ma nei suoi occhi c’era anche rispetto. “Non vuoi essere libera?” Chiese, con una punta di incredulità.
“Libera?” Carmen rise, un riso amaro. “Non sono mai stata libera. Non al mio paese, non al bordello, e non lo sarei nemmeno con voi. Quella parola non mi appartiene. Ma almeno là, a ‘La Rosa d’Oro’, sono io a decidere come cadere. Sono io a scegliere come brillare, anche se è solo per un’ora. Se accettassi la vostra offerta, smetterei di essere la rosa. Diventerei un fiore reciso, tenuto in un vaso, bello per le vostre visite e finché non appassisce.”

Silenzio. Edoardo si passò una mano tra i capelli, come se cercasse di afferrare il peso delle sue parole. “Non pensavo che la vedessi in questo modo… Credevo di offrirti una via d’uscita.”
“E lo apprezzo…” Rispose Carmen, con un sorriso triste. “Davvero. Ma non posso smettere di essere chi sono, anche se è una vita che fa male. Forse un giorno troverò la mia libertà, ma non sarà così, ma ora il gioco che mi offrite non vale la candela.”

Si alzò, lisciandosi il vestito. “Grazie per il tè. E per avermi vista, anche solo per un momento, come qualcosa di più.” Prese la borsa, ma lui la fermò, posandole una mano sul braccio.
“Carmen. Se mai cambierai idea, sai dove trovarmi.”
Lei annuì, ma sapeva che non sarebbe tornata. Uscì dalla palazzina, il sole che le scaldava il viso, e mentre camminava verso la casa, sentì un nodo sciogliersi nel petto. Era triste, sì, ma anche orgogliosa. Aveva scelto di rimanere Carmen, la rosa del bordello, con le sue spine e il suo profumo, piuttosto che diventare un’ombra in una vita che non le apparteneva. E in quel momento, per la prima volta dopo tanto tempo, si sentì un po’ più vicina alla ragazza che sognava di danzare sotto un cielo troppo basso.










Questo racconto è opera di pura fantasia.
Nomi, personaggi e luoghi sono frutto
dell’immaginazione dell’autore e non sono da
considerarsi reali. Qualsiasi somiglianza con
fatti, scenari e persone è del tutto casuale.


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