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MUSICA PASSIONE

LUCIO BATTISTI
Il Diluvio
Traccia finale di Don Giovanni (1986), primo album con Pasquale Panella dopo la rottura con Mogol. Il testo surreale e neologistico si basa su un diluvio apocalittico e l’indifferenza generazionale accompagnato da una musica minimalista. Il disco, pur sperimentale, vendette 350.000 copie e dominò la classifica italiana per 10 settimane...
 


 

 
"Il Diluvio" fa parte dell'album Don Giovanni (Numero Uno, 1986), il primo lavoro di Battisti dopo la rottura con Mogol (avvenuta nel 1980) e l'inizio della collaborazione con Pasquale Panella.
Don Giovanni esce in un'Italia degli anni '80 in piena effervescenza pop, ma Battisti sceglie di isolarsi ulteriormente, producendo dischi ermetici e lontani dalle radio. Dopo l'abbandono di Mogol, Panella porta testi astratti, quasi letterari, influenzati da Joyce o dal modernismo: flussi di parole, neologismi e immagini surreali. "Il Diluvio" è un esempio perfetto di questa "seconda fase" battistiana: non un singolo (nessuno lo fu in quell'album), ma un esperimento sonoro registrato negli studi milanesi di Battisti, con arrangiamenti minimali e un suono elettronico proto-ambient.

Il titolo gioca sull'espressione francese Après nous, le déluge ("Dopo di noi, il diluvio"), attribuita a Madame de Pompadour o a Luigi XV, che simboleggia l'indifferenza egoista verso il futuro: godiamo il presente, chi se ne frega di ciò che verrà dopo. Non una pioggia gentile, ma un'alluvione biblica, un "ingordo gorgo umido" che inghiotte tutto. Il tema centrale è l'egoismo generazionale e l'apocalisse imminente: "Noi la fortuna degli ombrellai / Chili di liquidi dopo di noi". Immaginate un mondo post-umano dove gli ombrellai prosperano grazie al caos climatico – un'ironia tagliente sul consumismo e sull'indifferenza ambientale (profetico, se pensiamo al climate change oggi). Le "vittime" sono chi crede di essere "finali", gli ultimi della specie, annegati in un "frullio" di "estri tristi". Frasi come "Tuona di già, stai buona" ripetute creano un effetto ipnotico, quasi una ninna nanna per la fine del mondo, con "tempestio" che tuona già. Il linguaggio è poetico e surreale: allitterazioni ("straziante d'estri tristi"), metafore liquide ("arsura nel frullio", "gorgo umido è l'addio"), e un ritmo che imita il diluvio – gocce che diventano torrente. Non è un testo narrativo, ma un flusso di coscienza, influenzato dal dadaismo o dal nonsense di certi poeti italiani come Palazzeschi.

Battisti, qui polistrumentista totale (chitarre, tastiere, percussioni), opta per un arrangiamento scarno: batteria elettronica che simula gocce di pioggia, synth pulsanti come un basso in tempesta, e chitarre acustiche filtrate per un effetto "umido". Inizia sussurrato, quasi spoken-word, per esplodere in un crescendo vocale. Prodotto da lui stesso, è un proto-trip-hop ante litteram, lontano dal pop-rock degli anni '70. Durata compatta, ma densa: un mini-suono che prefigura l'elettronica degli anni '90.
"Il Diluvio" è citata in retrospettive come esempio della "trilogia Panella" (con L'apparenza e La sposa occidentale). Negli '80, riflette l'angoscia reaganiana/thatcheriana: crisi economica, AIDS, fine del sogno sessantottino. Oggi, con il climate change, suona profetica – il "diluvio" come alluvione globale.

Don Giovanni fu un grande successo di vendite, pur in un contesto completamente diverso da quello degli anni '70. 3º album più venduto in Italia nel 1986. 1º posto nella classifica settimanale per 10 settimane consecutive. Tra i primi 10 per 25 settimane. 250.000 copie vendute nel primo mese. Totale: 350.000 copie – un risultato inferiore ai milioni di Anima latina o Una donna per amico, ma straordinario per un album sperimentale, senza singoli in radio, senza promozione tradizionale e con testi incomprensibili per il grande pubblico. Questo paradosso è la chiave: Battisti vendeva ancora per nome, per mito, per fedeltà del pubblico, anche quando cantava “spioverà” invece di “ti amo”.

 



ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
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