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MUSICA PASSIONE

LUCIO BATTISTI
Tu non ti pungi più
Il brano è la prima traccia dell’album: “La sposa occidentale”. Il 18º di Lucio Battisti, pubblicato il 10 ottobre 1990 dall'etichetta discografica CBS
 


 

 
E' il terzo nato dalla collaborazione tra Lucio Battisti e Pasquale Panella. In questo album si avverte l'aumentare delle atmosfere techno-dance e l'assenza totale degli archi. A differenza dei due precedenti questa volta i surreali testi di Panella disegnano una sorta di concept album, incentrato su una figura femminile, la "sposa occidentale".
Con 400 000 copie vendute, ebbe un buon successo. Raggiunse il terzo posto della classifica italiana e fu il 34º album più venduto in Italia nel 1990. La copertina dell'album è completamente bianca con il disegno stilizzato di un quadro.

"Tu non ti pungi più" è un’eco che resta dentro come una piuma incastrata nella trachea. Entra piano, quasi con la timidezza di un cuscino che si appoggia alla guancia, e poi, senza preavviso, ti graffia. Battisti la canta come se parlasse da dietro un vetro smerigliato. Il basso sintetico pulsa con la regolarità di un cuore meccanico, e sopra ci sono questi schiocchi di piume, di pollini, di schiuma montata coi talloni. È un suono che sa di cucina e di letto allo stesso tempo, di intimità domestica e di guerra silenziosa.

Il testo di Panella è un gioco di prestigio: ti mostra una donna che amoreggia con un guanciale, che monta l’uva con la stessa indolenza con cui si monta un orgasmo. Quella "morbida ovvietà" è il modo in cui tutti fanno l’amore come se fosse un compito da sbrigare prima di dormire, il modo in cui si rimboccano le lenzuola con la stessa cura con cui si rimboccano i sentimenti.
Il refrain, quel "tu non ti pungi più", ripetuto come un mantra, come un’accusa, come una carezza, non è un rimprovero, è una constatazione. La sposa occidentale non si punge più perché ha smesso di credere che valga la pena sanguinare. Ha imparato a scivolare sulle cose, a non lasciare impronte, a raggiungere se stessa senza mai toccarsi davvero.

C’è una montagna che si impenna, solida e solidale, e dentro ci sono delle falle, delle porte aperte per appuntamenti che non significano niente. È l’immagine più crudele e più vera dell’amore degli anni Novanta: un’architettura di vuoti, di stanze comunicanti dove ci si incontra per caso e ci si saluta con la stessa indifferenza con cui si chiude un cassetto. E la vista che dorme come un binocolo nella custodia.

È la resa definitiva: non guardiamo più, non vogliamo più vedere. Aspettiamo che un santino ci visiti, ci indori, ci dia un motivo per alzarci dal letto, ma poi rimandiamo a poi, perché tanto dilegua. Alla fine resta solo la luna, quel barbaglio che le si dona con una belva accanto. È l’ultimo gesto di una donna che ha smesso di fare la raccolta degli incanti, che ha lasciato che le lune piene diventassero mutevoli, brune, toccanti solo in superficie.

"Tu non ti pungi più" non ci chiede di capire. Ci chiede di riconoscere. È la colonna sonora di un’epoca che ha imparato a dormire con gli occhi aperti, a fare l’amore senza svegliarsi, a vivere senza farsi male. E forse è per questo che, trentacinque anni dopo, fa ancora così male ascoltarla.


 



ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
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