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INTERVISTA IMPOSSIBILE
 

LEA MASSARI
Il fascino discreto di un’anima libera
In un salotto romano, tra il profumo di tè e l’eco di una chitarra brasiliana, Lea Massari si racconta. Schiva e riservata, ci apre uno spiraglio sulla sua vita, tra il cinema, gli amori e una passione indomabile per la libertà. Un’intervista impossibile a un’icona senza tempo.
Pseudonimo di Anna Maria Massatani
(Roma, 30 giugno 1933 – Roma, 23 giugno 2025)

  


 


 
 
Siamo nel suo elegante salotto romano, ci accoglie con la sua solita. Nonostante la sua riservatezza, accetta di raccontarsi sorseggiando un tè caldo e con una chitarra appoggiata accanto, omaggio alla sua passione per la musica brasiliana.

Madame, grazie per aver accettato questa intervista. La sua carriera è stata straordinaria, da “L’avventura” di Antonioni a “Cristo si è fermato a Eboli” di Rosi. Come ricorda gli inizi, quel debutto in “Proibito” di Mario Monicelli?
Oh, Proibito... ero così giovane, appena ventunenne, e ancora incerta. È stato Piero Gherardi, un caro amico di famiglia, a spingermi verso il cinema. Monicelli mi ha vista sul set e ha deciso che dovevo interpretare quella ragazza sarda, appassionata e romantica. Non ero pronta, sa? Venivo dall’università, dagli studi di architettura. Ma Mario aveva un’energia contagiosa, e mi ha fatto credere che potevo farcela. È stato un battesimo del fuoco, ma anche un regalo.

Il suo nome d’arte, Lea, è un omaggio al suo fidanzato Leo, tragicamente scomparso. Quanto ha influenzato questa perdita la sua vita e la sua carriera?
Leo... è stato un dolore che non si può descrivere. Scegliere il suo nome come pseudonimo è stato il mio modo di portarlo con me, di non lasciarlo andare del tutto. Non so se abbia influenzato i miei ruoli, ma di certo mi ha reso più sensibile a certe emozioni, a quel senso di perdita e fragilità che ho spesso interpretato. Forse è per questo che i personaggi di donne complesse, come in “L’avventura” o “Soffio al cuore”, mi venivano così naturali.

A proposito di “L’avventura”, il film di Antonioni è considerato un capolavoro. Com’è stato lavorare con lui e interpretare Anna, un personaggio così enigmatico?
Michelangelo era un genio, ma anche un uomo esigente. Non ti dava molte indicazioni, ti lasciava esplorare il personaggio, quasi come se volesse che lo trovassi da sola. Anna era un ruolo difficile: una donna che sembra avere tutto, ma è tormentata, sfuggente, fino a sparire. Mi sono sentita molto vicina a lei, al suo bisogno di libertà, al suo mistero. E poi c’era un cast straordinario: Gabriele Ferzetti, Monica Vitti... c’era un’energia unica sul set.

Lei ha lavorato con i più grandi registi e attori, da Fellini a Sordi, da Mastroianni a Delon. C’è un collega o un’esperienza che ricorda con particolare affetto?
È difficile scegliere! Ma se devo, direi Gian Maria Volonté in “Cristo si è fermato a Eboli”. Era un attore di una profondità rara, capace di trasformarsi completamente. Sul set era generoso, sempre pronto a sostenere i colleghi. Con Francesco Rosi, poi, c’era un’atmosfera di grande rispetto per la storia che stavamo raccontando. Quel film è stato un punto altissimo della mia carriera, e il Nastro d’argento che ho ricevuto lo porto ancora nel cuore.

Lei è stata molto amata in Francia, con film come “Soffio al cuore” di Louis Malle, che però le costò una denuncia in Italia. Come ha vissuto quell’episodio?
Quel film è stato un rischio, ma ne valeva la pena. Louis Malle voleva esplorare temi complessi, come l’incesto, con una sensibilità e una delicatezza rare. La denuncia in Italia fu un colpo duro, ma anche assurdo: era chiaro che si trattava di arte, non di apologia. L’assoluzione è arrivata, per fortuna, ma mi ha fatto riflettere sulla mentalità di allora. In Francia, invece, il film è stato accolto con grande apertura, e l’Étoile de Cristal che ho ricevuto è stata una bella rivincita.

Negli anni ’80 ha scelto di diradare la sua carriera per dedicarsi all’attivismo, in particolare per la difesa degli animali. Cosa l’ha spinta verso questa causa?
La mia passione per gli animali è nata presto, forse anche per il rapporto con mio padre, che mi portava a caccia da giovane. Ma col tempo ho capito che non potevo più accettare certe cose. La caccia, la vivisezione... mi spezzavano il cuore. Ho sentito il bisogno di fare qualcosa di concreto, di usare la mia voce per chi non ne ha. È stata una scelta naturale, anche se ha significato allontanarmi dal cinema.

Lei si è ritirata definitivamente nel 1990, rifiutando anche proposte come quella di Özpetek per “Cuore sacro”. Non ha mai avuto rimpianti?
No, nessun rimpianto. Il cinema mi ha dato tanto, ma a un certo punto ho sentito che la mia vita era altrove. Ho amato i miei anni in Sardegna, la tranquillità, la musica, la natura. Özpetek è stato gentilissimo, e il suo invito mi ha lusingata, ma non ero più quella persona. Ho preferito restare fedele a me stessa.
Lei è sempre stata una persona molto riservata, ma ci piacerebbe conoscere un po’ di più della sua vita personale. La perdita del suo fidanzato Leo è stata un evento tragico che ha segnato i suoi primi anni. Come ha trovato la forza di andare avanti dopo un dolore così grande?
È stata dura, davvero. Leo era tutto per me, il mio primo amore, il mio futuro. Quando l’ho perso, pochi giorni prima delle nozze, il mondo mi è crollato addosso. Avevo solo vent’anni, sa? La forza... non so se fosse forza o semplicemente il bisogno di sopravvivere. Il cinema mi ha aiutata, in un certo senso. Mi ha dato un modo per canalizzare le emozioni, per trasformarle in qualcosa di vivo. E poi c’era la mia famiglia, mia madre soprattutto, che mi ha sostenuta con tanto amore. Ma il vuoto di Leo è sempre rimasto, come una nota che manca in una melodia.

Nel 1963 ha sposato Carlo Bianchini, ex comandante pilota di Alitalia, con cui ha vissuto a lungo, anche in Sardegna. Come ha influenzato questa relazione la sua vita e le sue scelte?
Carlo è stato un punto fermo. Era un uomo affascinante, con una vita piena di avventure, e il suo lavoro ci ha portati a vivere spesso all’estero, tra Francia e altri paesi. Questo mi ha permesso di lavorare tanto nel cinema francese, ma non era solo una questione professionale. Con lui ho trovato una stabilità, un equilibrio che mi mancava dopo tante tempeste emotive. Vivere in Sardegna con lui, specialmente dopo il ritiro dal cinema, è stato un ritorno alla semplicità. Amavamo passeggiare, parlare, ascoltare musica insieme. Certo, non è stato sempre perfetto, e il nostro divorzio nel 2004 è stato doloroso, ma ci siamo rispettati fino alla fine.

La sua vita privata sembra essere stata segnata da un forte desiderio di indipendenza. Come ha conciliato questo aspetto con le relazioni e la vita familiare?
Indipendenza, sì, è una parola che mi descrive bene. Non ho mai voluto essere definita solo come la “moglie di” o la “fidanzata di”. Anche con Carlo, che pure amavo profondamente, ho sempre cercato di mantenere uno spazio mio. La mia passione per la musica, per esempio, era qualcosa di molto personale, quasi intimo. Suonare la chitarra, perdermi nelle melodie brasiliane, era il mio rifugio. Non ho avuto figli, una scelta che non rimpiango, ma che forse riflette questo mio bisogno di libertà. Le relazioni, per me, dovevano essere un incontro di anime libere, non una gabbia.

Lei ha vissuto in diversi paesi – Spagna, Francia, Svizzera – e poi ha scelto la Sardegna per ritirarsi. Quanto ha influito questo suo essere “cittadina del mondo” sulle sue relazioni personali?
Viaggiare tanto da giovane mi ha reso curiosa, aperta, ma anche un po’ nomade nell’anima. Credo che questo abbia reso le mie relazioni più complesse, perché non ero mai completamente “di un posto”. Con gli amici, con Carlo, ho sempre cercato di costruire legami profondi, ma a volte il mio bisogno di muovermi, di esplorare, creava distanze. La Sardegna, però, è stata diversa. Lì ho trovato una pace che non avevo mai conosciuto. Vivere vicino al mare, con i suoi ritmi lenti, mi ha permesso di riconnettermi con me stessa e con le persone care in modo più autentico.

C’è stato un momento, nella sua vita privata, in cui si è sentita particolarmente felice o in pace con se stessa?
Sì, ci sono stati momenti così. Ricordo le serate in Sardegna, quando suonavo la chitarra al tramonto, con Carlo che mi ascoltava e magari qualche amico vicino. Oppure le giornate passate nei canili, a prendermi cura degli animali. Non erano momenti grandiosi, sa? Ma erano pieni di verità. E poi, ogni tanto, riguardare un mio vecchio film e pensare: “Non era male, Lea. Hai fatto qualcosa di buono”. Quella era una felicità quieta, ma profonda.

Un’ultima curiosità: la sua passione per la musica brasiliana è ben nota. C’è una canzone che ha un posto speciale nel suo cuore, magari legata a un momento intimo o a una relazione?
Oh, questa è una domanda che mi piace! Direi Águas de Março di Elis Regina e Tom Jobim. Quella canzone è come un dialogo, un flusso di vita, di amore, di tutto ciò che scorre. La suonavo spesso, e ogni volta mi sembrava di parlare con qualcuno che non c’era più, o magari con me stessa. È una melodia che ti abbraccia, e io ne avevo bisogno.
Qual è l’eredità che spera di lasciare, come attrice e come persona?
Come attrice, spero che i miei ruoli abbiano lasciato un po’ di emozione, che abbiano fatto riflettere. Come persona, vorrei essere ricordata per la mia coerenza, per aver vissuto secondo i miei valori. E magari per aver fatto sorridere qualcuno con la mia chitarra e una bossa nova!

Con un sorriso caldo e un ultimo sorso di tè, Lea Massari si congeda, lasciando nell’aria il suo fascino discreto e intramontabile. La sua voce roca e il suo spirito libero continuano a risuonare, come un’eco dei suoi film più belli.




L'INTERVISTA A CURA DI ADAMO BENCIVENGA






 
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