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INTERVISTA IMPOSSIBILE

Marguerite-Joséphine
Weimer
L’AMANTE DI NAPOLEONE
Detta Mademoiselle George, è stata
un’attrice teatrale francese e amante di Napoleone Bonaparte
(Bayeux, 23 febbraio 1787 – Passy, 12 gennaio 1867)

Siamo in un elegante salone parigino del tardo
Impero, intorno al 1830, nella residenza di Mademoiselle
George a Passy, poco prima del suo ritiro dalle scene.
L'ambiente è un tipico salon français in stile Empire,
addolcito dal gusto personale di un'attrice che ha
vissuto gli eccessi della gloria e ora predilige un
lusso più intimo e nostalgico. Le pareti sono rivestite
di damasco rosso scuro o verde imperiale, con grandi
specchiere dorate che riflettono la luce morbida di un
lampadario di cristallo.
Sui tavolini bassi ci
sono ricordi di una vita straordinaria: una miniatura di
Napoleone in uniforme, un ventaglio russo regalato dallo
zar Alessandro, programmi di teatro ingialliti della
Comédie-Française, e un ritratto in miniatura della
stessa George in costume da Fedra. L'aria è impregnata
di un delicato profumo di lavanda e di legna bruciata;
le pesanti tende di velluto trattengono il grigiore
esterno, mentre un pianoforte a coda in un angolo
suggerisce serate musicali ormai rare.
Mademoiselle George, ormai oltre i quarant'anni ma
ancora maestosa, con i capelli raccolti in una crocchia
elegante e un abito di seta nera sobriamente ornato di
pizzo, è seduta su una poltrona vicino al camino. Il suo
portamento è regale, la voce calda e modulata conserva
tutta la potenza tragica che incantava i palcoscenici.
Quando vengo annunciato dal domestico, lei alza lo
sguardo da un libro di memorie che stava sfogliando,
posa con grazia il volume sul tavolino e si alza
lentamente per accogliermi. Con un sorriso malinconico
ma cordiale, mi tende entrambe le mani:
«Mon
cher monsieur, venite, accomodatevi vicino al fuoco.
Parigi è così umida in questo periodo… Gradite un tè o
forse un bicchierino di Madeira?” Mi indica una
poltrona davanti al suo divano il suo atteggiamento è
caldo e confidenziale e sembra quasi divertita all'idea
di rivivere la propria leggenda…
Madame è un onore poter conversare con lei, una
delle più grandi tragedienne del teatro francese, musa
di un'epoca travolgente. Iniziamo dalle sue origini. Ci
racconti della sua infanzia e della sua famiglia. Ah,
mon cher, le origini sono sempre il prologo di una
grande tragedia… Sono nata il 23 febbraio 1787 al numero
6 di rue Saint-Patrice a Bayeux in Normandia, da Georges
Weimer e Marie Verteuil. Mio padre era un direttore
teatrale e mia madre un’attrice e soubrette di raro
talento. Ero circondata dal palcoscenico fin dalla culla
e sin da piccola respiravo arte e cultura e per me fu
naturale intraprendere la carriera di attrice prendendo
come nome d'arte quello di battesimo di mio padre a cui
era affezionatissima.
Ha debuttato molto presto
vero? Quando ha iniziato a calcare le scene? A soli
cinque anni, monsieur! Il mio debutto fu ad Amiens, dove
mio padre dirigeva il teatro. Interpretavo ruoli
infantili in opere come Les Deux Chasseurs et la
Laitière, Paul et Virginie o Le Jugement de Paris. Sin
da bambina, il teatro era il mio mondo: commedia,
dramma, tutto sotto la guida paterna. Ma fu con le
grandi tragedie che il mio destino prese forma.
Parliamo dell'incontro con Mademoiselle Raucourt, che fu
decisivo per la sua carriera. Un momento fatidico!
Nel 1801, avevo quattordici anni ma l'aspetto di una
diciottenne – la natura è stata generosa con me.
Mademoiselle Raucourt, la regina della tragedia alla
Comédie-Française, passava da Amiens per reclutare
talenti. Mi vide recitare in Didone e Fedra di Racine.
Rimase entusiasta della mia interpretazione di Elisa e
Aride. Convinse mio padre – con l'offerta di una
pensione governativa – e mi portò a Parigi.
Suo
padre come prese quell’offerta? Beh lui aveva dei
dubbi per via della reputazione della Raucourt, si
diceva in giro che fosse lesbica. Ma viste le mie
insistenze accettò facendomi accompagnare da mia madre
che vigilava su di me ogni giorno.
Come andò?
Seguii con entusiasmo le sue lezioni. Lei aveva una
dizione pura e nobile, io aggiunsi sensibilità e una
voce calda, potente, modulata. Debuttai il 29 novembre
1802 come Clitennestra in Iphigénie en Aulide di Racine.
Fu un trionfo: la mia bellezza, la voce morbida e ricca
conquistarono il pubblico.
Era bella vero?
Bellissima, mon cher! Alta, con una figura imponente e
voluttuosa dimostravo più dei miei anni. Avevo
lineamenti classici, occhi espressivi, capelli scuri
spesso raccolti in acconciature eleganti, e una pelle
luminosa che risaltava sul palcosenici. Non era una
bellezza fragile o eterea, ma potente, tragica, perfetta
per i ruoli che interpretavo.
La sua ascesa fu
rapidissima…Ma la sua vita privata fu altrettanto
intensa. Si dice che ebbe diversi amanti celebri? Il
teatro e l'amore spesso si intrecciano… Fui amante di
Luciano Bonaparte, fratello dell'Imperatore, e poi del
principe Sappia, che mi donò un appartamento lussuoso.
Ma il cuore e il destino mi portarono più in alto…
Proprio lui: Napoleone Bonaparte. Quando lo conobbe
e come nacque la vostra relazione? Era il periodo dei
miei trionfi parigini, intorno al 1802-1803, quando lui
era Primo Console. Ebbi modo di conoscerlo tramite
Luciano, suo fratello…
Parigi è piccola e si
venne subito a sapere dell’interesse di Napoleone nei
suoi confronti. Il che non facilitò le cose... La mia
rivale, Mademoiselle Duchesnois, protetta da Giuseppina
de Beauharnais, provocò scandali che divisero il
pubblico in fazioni.
Ci racconti del
corteggiamento… Lui mi notò dopo una
rappresentazione. Non fu un approccio romantico. Nulla
di poetico in quella storia. Napoleone era un uomo di
azione, non di fiori e sospiri, abituato a ottenere ciò
che desiderava, e rapidamente... Dopo una mia recita in
Andromaca, mandò un cameriere a chiamarmi: "Venite senza
cambiarvi, vi spoglierete qui". Obbedii.
Come fu
quella notte insieme? Ah, mon cher... quella notte.
Arrivai al Palais de Saint-Cloud verso mezzanotte e
mezza, ancora in costume di scena. Il cameriere mi
accompagnò nella sua stanza, lui era già lì, con un
camino acceso e l'aria impregnata del suo profumo, un
misto di tabacco e colonia forte. Mi accolse con un
sorriso... non tenero, ma soddisfatto, come un generale
che ha conquistato una posizione. Mi fece i complimenti
con quella voce secca e decisa: «Vous avez été sublime
ce soir, Georgina... Votre voix, votre présence... Vous
êtes la plus belle femme que j'aie vue sur une scène.»
Mi chiamava sempre Georgina, con quell'accento corso che
rendeva il nome più intimo. Mi guardava con quegli occhi
grigi, penetranti, che sembravano leggere dentro
l'anima. Non ci furono preliminari romantici: mi baciò
con passione, quasi con urgenza, come se il tempo fosse
sempre nemico. Era ardente, possessivo, ma anche...
gentile, in certi momenti. Mi spogliò lui stesso,
lentamente, commentando la mia bellezza con parole
dirette, senza fronzoli. Passammo ore intense, lui
instancabile, io travolta da quell'energia che
conquistava l'Europa. Parlammo poco. Alle sei del
mattino, mi congedò con un bacio sulla fronte e io
uscii, ancora tremante, nel chiarore dell'alba, sapendo
che la mia vita non sarebbe più stata la stessa. Nelle
mie memorie, ho raccontato che cedetti solo alla terza
visita... per preservare un po' di mistero, sapete? Ma
la verità è che quella prima notte fu un turbine:
passione, potere, e un fascino che non ho mai
dimenticato. Lui era l'Uomo, io la sua tragedia vivente.
Quanto durò la vostra relazione? Durò alcuni
anni, fino al 1808 circa, ma non ero la sua sola amante…
Poi lei sparì da Parigi… Cosa successe?
Proprio così, nel 1808 il ministro Talleyrand mi arruolò
per sedurre lo zar Alessandro I. Sparii dopo la quinta
replica, diretta in Russia via Vienna e Vilnius. A San
Pietroburgo fui accolta come una regina: debutti
trionfali a Peterhof, idolo dei russi, regali sontuosi,
vita da gran dama davanti allo zar e alla corte. Recitai
persino a Erfurt davanti a imperatori e re.
Si
sentiva una diva vero? Oh sì… ma durante la campagna
di Russia del 1812, chiesi di rientrare in Francia. Lo
zar più volte si rifiutò di darmi il permesso.
E
cosa successe? Continuai a lavorare finchP dopo
Stoccolma, onorata da Carlo XIV e Dresda, con 50
rappresentazioni rientrai in Francia.
A Parigi
nel 1813 fu reintegrata alla Comédie-Française grazie a
Napoleone, ma poi arrivarono anni difficili...
Dolorosi, sì. Riapparvi come Clitennestra, trionfando di
nuovo. Ma la caduta di Napoleone, l'esilio all'Elba...
fu un colpo al cuore. Chiesi di seguirlo a Sant'Elena
dopo Waterloo, ma mi fu negato. Espulsa dalla
Comédie-Française per il mio bonapartismo nel 1815,
recitai in provincia per anni, con successi strepitosi.
Nel 1821, Luigi XVIII mi permise di tornare, e ripresi i
miei ruoli all'Odéon. Anni di tournées, fino al 1828 con
Harel, il mio compatriota e compagno.
Grazie,
Madame, per questi ricordi vividi. La sua vita è stata
un grande dramma, degno delle tragedie che ha
interpretato. E il sipario cala sempre, ma il
pubblico ricorda. Adieu!
Ritiratasi dalle
scene nel maggio del 1849, ottenne il posto di
Ispettrice del Conservatorio, prima appartenuto a
Mademoiselle Mars. Comparve ancora sul palcoscenico
della Comédie-Française in una rappresentazione del
Rodogune, che lasciò stupefatti gli spettatori per la
forte potenza drammatica ancora dimostrata. Calcò le
scene per l'ultima volta all'Odeon il 3 luglio 1855.
Marguerite-Joséphine Weimer morì a casa l'11 gennaio
1867, per congestione polmonare. È sepolta nel cimitero
di Père-Lachaise.
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IMMAGINE GENERATA
DA IA
L'articolo è a cura di Adamo Bencivenga
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