CERCA NEL SITO   CONTATTI   COOKIEPOLICY 
 
 
INTERVISTA IMPOSSIBILE
 
 
LE VENEZIANE
ELENA LUCREZIA CORNARO PISCOPIA
La prima donna laureata al mondo
La sua figura spicca nella storia come un faro di intelletto e determinazione: nata a Venezia nel 1646 da nobile casato, si distinse per la sua straordinaria precocità intellettuale, padroneggiando diverse lingue e dedicandosi con passione agli studi filosofici e scientifici. Fu proprio questa sua sete di sapere a condurla, non senza ostacoli, al conseguimento della laurea in filosofia presso l'Università di Padova nel 1678, evento che la consacrò come una delle prime donne laureate al mondo.
(Venezia, 5 giugno 1646 – Padova, 26 luglio 1684)





Buongiorno, Madame. È un privilegio poter parlare con lei, figura pionieristica ricordata come una delle prime donne laureate al mondo. Vorremmo iniziare dal suo straordinario percorso accademico. Come è nato il suo amore per il sapere?
Vi ringrazio per le gentili parole, ma devo chiarire che altre donne, come Bettisia Gozzadini o Costanza Calenda, potrebbero aver conseguito una laurea prima di me. Il mio amore per il sapere è nato in casa, grazie a mio padre, Giovan Battista, che ha riconosciuto le mie inclinazioni e mi ha offerto un’istruzione eccezionale. Studiavo filosofia, teologia, greco, latino, ebraico e spagnolo con maestri illustri, come Giovanni Valier e Alvise Gradenigo. Era un mondo di idee che mi chiamava, e non potevo resistere.

La sua famiglia ha avuto un ruolo centrale nella sua vita. Può raccontarci del suo rapporto con i suoi genitori, considerando anche le umili origini di sua madre, Zanetta Boni?
Mio padre era un nobile veneziano, ambizioso e orgoglioso del nome dei Cornaro. La sua relazione con mia madre, una donna di origini semplici, fu complessa: si sposarono solo nel 1654, anni dopo la mia nascita. Questo causò difficoltà, come l’esclusione iniziale dei miei fratelli dal Libro d’oro della nobiltà. Nonostante ciò, mio padre mi ha sempre sostenuta, vedendo in me un modo per elevare il prestigio familiare. Con mia madre, invece, il rapporto era più intimo, ma discreto; il suo passato umile la rendeva riservata, ma credo mi abbia trasmesso una certa tenacia.

Parliamo della sua vita privata. La sua scelta di diventare oblata benedettina a 19 anni sembra suggerire una forte vocazione religiosa. Ha mai avuto momenti in cui ha considerato un cammino diverso, magari una vita familiare o un amore romantico?
La mia scelta di diventare oblata fu un compromesso tra il desiderio di una vita spirituale e la necessità di libertà per studiare. Non nego che, in gioventù, il mio cuore abbia conosciuto momenti di turbamento. C’erano giovani studiosi nelle accademie che ammiravo, e forse, in un altro tempo, avrei potuto immaginare una vita diversa. Ma il mio impegno verso la conoscenza e la fede era più forte. Non ho rimpianti, anche se a volte mi chiedo come sarebbe stato un altro destino.

Ci sono state delusioni amorose o esperienze personali che l’hanno segnata profondamente?
Non parlerei di delusioni amorose in senso romantico, poiché ho scelto di non seguire quel sentiero. Tuttavia, ho conosciuto la delusione di sentirmi limitata dal mio genere. Ricordo un episodio, durante una disputa accademica a Venezia, in cui un erudito mi lodò, ma poi sussurrò a un collega che una donna non avrebbe mai potuto eguagliare un uomo nel sapere. Quelle parole mi ferirono, non tanto per me, ma per il muro che rappresentavano per tutte le donne.

Il suo traguardo della laurea in filosofia nel 1678 è stato storico, ma non privo di ostacoli, come l’opposizione del cardinale Barbarigo. Come ha vissuto quel rifiuto iniziale di laurearsi in teologia?
Fu un duro colpo. La teologia era il mio vero desiderio, un campo in cui sentivo di poter contribuire. Il cardinale Barbarigo, con il suo rifiuto, mi fece sentire come se il mio valore fosse negato non per mancanza di competenza, ma per il mio essere donna. Tuttavia, la laurea in filosofia fu un compromesso che accettai con gratitudine, anche se il divieto di insegnare mi pesò molto. Mi sentivo pronta a condividere il mio sapere, ma il mondo non lo era.

Tornando alla sua vita personale, sappiamo che ha vissuto a Venezia e poi a Padova. Come erano le sue giornate? Aveva amicizie strette o momenti di svago che le davano gioia?
Le mie giornate erano scandite dallo studio e dalla preghiera. A Venezia, vivevo nella casa di famiglia in Calle Carbon, e lì trovavo pace nei libri e nelle discussioni con i miei maestri. A Padova, nel Palazzo Cornaro, continuavo a studiare, ma la mia salute era fragile. Non avevo molte amicizie intime, perché la mia vita era insolita per una donna del mio tempo. Tuttavia, trovavo gioia nelle lettere che ricevevo da studiosi lontani, come Louise de Frotté, e nei rari momenti di contemplazione nella natura, che mi avvicinavano a Dio.

C’è mai stato qualcuno che ha fatto breccia nel suo cuore, magari in modo platonico, durante i suoi incontri nelle accademie?
(sorride) Siete curiosi, vero? Posso dirvi che un giovane studioso di geometria, conosciuto durante una disputa a Padova, mi colpì per la sua mente brillante e il rispetto che mostrava per le mie idee. Non era amore come lo intendete voi, ma una profonda stima reciproca. Quei momenti di connessione intellettuale erano rari e preziosi, ma li custodivo come ispirazione, non come rimpianto.

La sua salute è stata un altro ostacolo, portandola a una morte precoce a 38 anni. Come ha vissuto quegli ultimi anni, sapendo che il tempo era limitato?
Gli ultimi anni furono difficili. La gangrena e le malattie frequenti mi indebolivano, ma non volevo smettere di studiare. Sentivo che ogni momento passato con un libro o in preghiera era un dono. Ho accettato la mia fragilità come parte del mio cammino, ma confesso che a volte provavo frustrazione: avrei voluto fare di più, lasciare un’eredità più grande per le donne dopo di me.
Intervistatore: Ha deciso di distruggere molti dei suoi manoscritti.

È stata una delusione verso il suo lavoro o una scelta spirituale?
Non era delusione, ma umiltà. Non ritenevo le mie opere degne di essere ricordate. I miei discorsi e poesie erano riflessioni personali, spesso legate alla mia fede. Ho preferito che il mio lascito fosse il mio esempio, non le mie parole. Forse è stato un errore, ma era ciò che sentivo giusto allora.

Un’ultima domanda: se potesse parlare alle donne di oggi, in particolare su come affrontare le delusioni personali e amorose, cosa direbbe?
Direi loro di non lasciare che le delusioni, amorose o di altro genere, spengano la loro luce. Ogni ferita è un’occasione per crescere, per scoprire la forza che risiede in voi. Coltivate la vostra mente e il vostro cuore, e non permettete a nessuno di dirvi che non siete abbastanza. Il mondo può essere crudele, ma voi potete essere più forti.

Grazie, Dottoressa Cornaro Piscopia, per aver condiviso con noi la sua storia e i suoi pensieri più intimi. La sua vita continua a essere un faro per molti.
Grazie a voi. Spero che il mio cammino possa ispirare chi, come me, cerca la verità, nonostante tutto.





L'articolo è a cura di Adamo Bencivenga










 
Tutte le immagini pubblicate sono di proprietà dei rispettivi autori. Qualora l'autore ritenesse improprio l'uso, lo comunichi e l'immagine in questione verrà ritirata immediatamente. (All images and materials are copyright protected and are the property of their respective authors.and are the property of their respective authors.If the author deems improper use, they will be deleted from our site upon notification.) Scrivi a liberaeva@libero.it

 COOKIE POLICY



TORNA SU (TOP)

LiberaEva Magazine Tutti i diritti Riservati
  Contatti