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INTERVISTA IMPOSSIBILE

DIANE
KEATON
Un tè eccentrico prima
dell'addio
In un bistrot
bohémien di Greenwich Village, New York, Diane
Keaton ripercorre la sua vita attraverso aneddoti,
relazioni, indipendenza, guardaroba come armatura e
adozioni. L'attrice con il suo look eccentrico
ispirato a Katharine Hepburn, ripercorre la
carriera: dal debutto nel film "Il Padrino" al
sodalizio con Woody Allen, dall'Oscar per "Io e
Annie", fino alle nomination per "Reds" e
"Something's Gotta Give".
Los Angeles, 5 gennaio
1946 – Los Angeles, 11 ottobre 2025

È una fresca
mattina d'autunno a New York, nel cuore di Greenwich
Village. Il bistrot "Le Chat Noir", un piccolo angolo
bohémien con tavolini di marmo e aroma di caffè
francese, è semi-vuoto. Seduto a un tavolo d'angolo, con
il mio tablet aperto e una tazza di espresso fumante,
guardo lei: Diane Keaton.
Diane indossa un
completo maschile oversize: pantaloni larghi di tweed,
camicia bianca abbottonata fino al collo, una cravatta
allentata e un cappello calcato sulla testa. I suoi
capelli sono raccolti in modo casuale, e al collo pende
una sciarpa di seta colorata, presa dal suo guardaroba
personale – quello stesso che ha fornito abiti per tanti
suoi film. Occhiali rotondi le incorniciano gli occhi
azzurri, vivaci e ironici, mentre sorseggia un tè verde
con un sorriso timido. Sembra uscita da una scena di "Io
e Annie", ma con un'aura di saggezza accumulata in
decenni di vita sullo schermo e fuori.
Signora Keaton, è un onore immenso averla qui. Partiamo
dall'inizio: nata Diane Hall a Los Angeles nel 1946, da
una madre casalinga e fotografa dilettante, Dorothy, e
un padre ingegnere, Jack. Come ha scoperto la passione
per la recitazione? Ho letto che fu colpita dalla
vittoria di sua madre a un concorso per casalinghe,
"Mrs. Los Angeles". Sì, è vero. Mia madre era
metodista, una donna semplice. Vincere quel concorso fu
come uno spettacolo teatrale: luci, applausi, emozioni
finte e vere. Mi colpì la teatralità di tutto.
Poi cosa è successo? Ho iniziato a scuola, cantando e
recitando Blanche DuBois in "Un tram che si chiama
Desiderio". Immagina una teenager nevrotica come me in
quel ruolo!
Dopo il diploma alla Santa Ana High
School, ha lasciato il college per Manhattan. Perché il
cambio di nome in Keaton? Beh, c'era già una Diane
Hall nell'Actors' Equity. E il mio agente disse: "Fingi
di essere parente di Buster Keaton, ti aiuterà". Ho
preso il cognome da nubile di mamma. Buster era un genio
del silenzio, io del chiacchiericcio – ironico, no? Ho
cantato in night club, studiato al Neighborhood
Playhouse con la tecnica Meisner.
Il debutto a
Broadway in "Hair" nel 1968, poi "Provaci ancora, Sam"
con Woody Allen. Quello fu l'inizio di tutto, no? Sette
film insieme, e una relazione che lui chiamò "il più
grande amore della sua vita". Woody... troppo alta
per lui, dissero all'audizione, ma mi presero. "Provaci
ancora, Sam" mi diede un Tony nomination. Poi i film:
"Il dormiglione", "Amore e guerra", "Io e Annie" – che
vinse l'Oscar nel '78. Il titolo era il mio nomignolo,
Annie Hall, dal mio vero cognome. Golden Globe, BAFTA...
ma non era solo Woody. Ho portato i miei vestiti, quel
look androgino ispirato a Hepburn. Dopo di lui, ho
voluto dimostrare di più: "In cerca di Mr. Goodbar" nel
'77, drammatica e oscura. Non volevo essere solo la sua
musa.
Parliamo del film "Il Padrino". Francis
Ford Coppola la notò in un film minore nel 1970. Kay
Adams-Corleone: dai 35.000 dollari del primo ai 1.5
milioni per il terzo nel 1990. E Al Pacino... una
relazione intensa. Coppola mi vide e disse: "Sei
perfetta per Kay". Ripresa nel '74 e '90. Al... beh,
finì con il terzo film. Emozioni complesse, come nei
copioni. Warren Beatty in "Reds" nel 1981: altra
nomination Oscar, David di Donatello. Memorizzavo tutto
come a teatro, disse lui.
Altre nomination: "La
stanza di Marvin" nel '96, "Tutto può succedere" con
Jack Nicholson nel 2003. E commedie come "Il club delle
prime mogli". Poi la regia, la produzione.
Woody
Allen, Warren Beatty, Al Pacino – amori che hanno
intrecciato vita e cinema. Eppure, non si è mai sposata.
Come mai? Era una scelta consapevole, o semplicemente la
vita ha preso altre strade? Ah, la grande domanda. Il
matrimonio... non era nel mio copione. Sono cresciuta
ammirando donne indipendenti come Katharine Hepburn, che
non si è mai inchinata alle convenzioni. Ho avuto amori
profondi, sì – Woody è stato il più grande, Warren mi ha
insegnato la passione politica in "Reds", Al Pacino
l’intensità dei sentimenti. Ma ogni volta, finiva con le
riprese, come se il set fosse la mia vera casa.
Non voleva catene vero? La bulimia mi ha insegnato a
controllare il caos dentro, e il matrimonio sembrava un
altro caos da gestire. Poi, a 50 anni, ho adottato
Dexter, e a 55 Duke. Loro sono stati il mio "per sempre"
– senza anelli o promesse legali. Essere madre single mi
si addice: eccentrica, libera, con il mio guardaroba
come armatura. Il matrimonio è bello per tanti, ma io ho
preferito la mia nevrosi solitaria. E guarda non
rimpiango nulla. Meglio un Oscar che un divorzio, no?
Diane, nelle sue risposte emerge spesso il suo
guardaroba eccentrico: cravatte, pantaloni maschili,
abiti personali sui set. Lo chiama "armatura", simbolo
di indipendenza. Perché proprio i vestiti rappresentano
questo per lei? Tutto inizia con Katharine Hepburn.
La vedevo nei film: pantaloni larghi, camicie oversize,
un look "maschile" che urlava indipendenza in un'era di
gonne strette e ruoli sottomessi. Donne forti, non
decorate per gli uomini. Io ho preso quello stile e l'ho
fatto mio. In "Io e Annie" nel '77, ho insistito per
usare i miei vestiti: pantaloni, cravatte, cappelli –
dal mio armadio personale. Woody disse: "Va bene, sii te
stessa". Non era costume, era Diane! Eccentrico, sì:
misture di epoche, texture strane, colori audaci. Per
me, è armatura perché mi protegge dalle convenzioni. Non
mi vesto per piacere, ma per essere libera. Nei film
successivi, ho portato abiti miei: simboleggiano che non
mi conformo, non mi sposo con le regole hollywoodiane.
In un mondo di tacchi alti ho scelto l’indipendenza
pura. E ancora oggi mi sento ancora ribelle. Il
guardaroba è la mia firma: "Eccentrica, ma mia".
Ultima domanda, Diane: cosa lascia Diane Keaton al
cinema? Qual è l'eredità che sente di aver costruito in
oltre cinquanta anni di carriera? Lascio donne reali
– non perfette, non ideali hollywoodiani, ma nevrotiche,
complesse, piene di tic e contraddizioni. Pensa ad Annie
Hall in "Io e Annie": una donna vera, non una bambola,
che sfida gli uomini con intelligenza e indipendenza.
Kay Corleone ne "Il Padrino", una donna che ama un
mafioso ma sceglie la sua morale, pagando il prezzo. O
in "Reds", con Warren Beatty, dove interpreto Louise
Bryant, una giornalista ribelle che lotta per l'amore e
la rivoluzione in un mondo maschile. Le mie donne sono
forti perché vulnerabili: in "In cerca di Mr. Goodbar"
esploro l'oscurità, la sessualità repressa, la bulimia,
un caos interiore che ho riversato nei ruoli. Non ero
solo la musa di Woody; dopo di lui, ho scelto drammi
come "La stanza di Marvin", dove sono una madre malata
che affronta il passato con ironia amara, o "Tutto può
succedere" con Jack Nicholson, una commediografa over 50
che si innamora di nuovo, ridendo delle rughe e delle
insicurezze. Ho mostrato che le donne mature possono
essere sexy, divertenti, vitali – non invisibili.
E il messaggio? Sii te stessa, sempre. Ama
intensamente, ma senza catene: le mie relazioni finite
mi hanno resa più forte. Al cinema lascio versatilità:
dal teatro di Broadway in "Hair" alla regia, alla
produzione. Ho usato la tecnica Meisner – dipendere
dagli altri per brillare – per creare ensemble, non
divismi. Per le attrici future: siate uniche, nevrotiche
come me. Il mio è stato un viaggio impossibile, ma
reale.
Diane si alza, sistema il cappello e
esce nel viavai di Greenwich Village, svanendo come un
personaggio in dissolvenza. Diane Keaton è morta
l'11 ottobre, all'età di 79 anni. .
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L'articolo è a cura di Adamo Bencivenga IMMAGINE
GENERATA DA IA
grazie a:
https://it.wikipedia.org/wiki/Diane_Keaton


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