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REPORTAGE

VADUZ LIECHTENSTEIN
La signora
dell’affittacamere
Sono partito da Milano, ho prenotato su eBooking il bed & breakfast
“Haus Alpenblick”. Dopo qualche giro a vuoto lo scovo in una viuzza
laterale. Busso e mi apre una donna sulla cinquantina, ha un non so
che di materno e mi sorride come se fossi un figlio di ritorno da un
lungo viaggio...

Sono partito da Milano
con la mia vecchia Mercedes Classe B che ha deciso di
trasformarmi il viaggio in un’odissea. Un guasto al
radiatore vicino a Como, poi un ingorgo infinito al
confine svizzero, e per finire una deviazione per lavori
stradali che mi ha fatto girare in tondo per un’ora. Il
Liechtenstein, questo minuscolo fazzoletto di terra
incastrato tra Svizzera e Austria, sembrava
irraggiungibile. Alla fine, quando il navigatore ha
annunciato “Vaduz, 2 km”, ero già in ritardo di tre ore,
con i nervi a pezzi e la camicia appiccicata alla
schiena.
Sono già le sette di sera e non ho tempo
di ammirare questo paradiso, ma Vaduz al tramonto mi
colpisce ugualmente come una cartolina vivente. È
piccola, ordinata, quasi irreale: case basse con tetti
spioventi, balconi fioriti e il castello del principe
che troneggia sulla collina come un guardiano
silenzioso. Le strade sono pulite, quasi lucide, e le
montagne attorno sembrano dipinte. Però c’è un silenzio
strano, come se il paese trattenesse il fiato. Non c’è
il caos di Milano, nessun clacson, solo il rumore dei
miei passi e il profumo di resina che arriva dai boschi.
Sono stanco, ma quel panorama mi rimette in pace col
mondo.
Devo trovare il bed & breakfast prenotato
su eBooking da Milano. Si chiama “Haus Alpenblick”, e
dopo qualche giro a vuoto lo scovo in una viuzza
laterale. È una casetta di legno e pietra, con gerani
rossi alle finestre e un’insegna discreta. Busso e mi
apre una donna sulla cinquantina, bionda e formosa, ha
un non so che di materno e mi sorride come se fossi un
figlio di ritorno da un lungo viaggio. Indossa una gonna
tradizionale tirolese, una camicetta bianca che mette in
risalto il suo fisico accogliente e calze di lana spesse
che le danno un’aria di casa quasi rustica. “Herr
Francesco? Benvenuto, sono Heidi.” Mi saluta facendomi
entrare in un’atmosfera di legno profumato e calore
domestico.
Mi accompagna in una stanza al secondo
piano, la più bella, dice lei: letto di legno di abete,
tende di pizzo e una vista sulle montagne che mi toglie
il fiato. “Si riposi, deve essere stanco.” Mentre disfo
la valigia si informa sul motivo del mio viaggio. Le
racconto del reportage sul Liechtenstein per la rivista
e dell’incarico di accompagnare tre modelle a Milano per
una convention dove sono rappresentati tutti i paesi
europei. Heidi ascolta attenta, i suoi occhi azzurri
brillano di curiosità. Poi, con un sospiro, dice: “A
quest’ora trova poco di aperto qui, Vaduz si addormenta
presto.” Mi guarda con quel sorriso materno e aggiunge:
“Se vuole, ho già pronto qualcosa di caldo che ho
preparato per l’unica altra ospite, una turista tedesca,
che però si è già ritirata.” Il suo invito così genuino
e la mia stanchezza dopo il viaggio disastroso mi dicono
di accettare.
Ci sediamo a tavola e gustiamo
insieme una zuppa di orzo, pane nero e formaggio locale.
Durante la cena, noto che ha voglia di parlare e subito
dopo inizia a raccontarmi che da quando è divorziata
gestisce da sola il B&B e che i suoi due figli hanno
preferito il lusso della vicina Svizzera. Mentre parla
la osservo e noto che non è bella ma quelle imperfezioni
sono coperte da una dolcezza straripante, quasi
malinconica che mi attira. Non è solo il suo aspetto
genuino, ma il modo con cui cerca di stabilire una
connessione familiare, con quella calma che sa di casa e
calore. Poi tutto ad un tratto, versandomi del vino
rosso, mi dice: “Domani pomeriggio, se vuole, le faccio
da guida per il suo reportage.” E subito dopo aggiunge,
lei sarà stanco ed io non voglio trattenerla con le mie
chiacchiere. In effetti lo sono, ci alziamo da tavola e
ci salutiamo. Appena entro in stanza crollo sul letto
completamente vestito.
La mattina dopo, faccio
colazione nella piccola sala vicino alla reception
adibita a hall. Heidi mi saluta parlando a stento in
italiano: “Buongiorno, Francesco, ha dormito bene?”
Ancora assonnato annuisco e lei aggiunge: “Si ricordi
dell’appuntamento di oggi pomeriggio…”
L’agenzia
dove devo incontrare le modelle è un edificio di vetro e
acciaio, un contrasto assurdo con le casette
tradizionali di Vaduz. Le tre modelle mi aspettano
sedute sul grande divano moderno. Sono alte, magre,
perfette come statue e a prima vista non trovo alcun
difetto come ragazze immagine per la convention. Un
addetto ci presenta. La prima, Anna, è mora e
professionale fasciata in un tailleur aderente verde
mela e i capelli raccolti che le mettono in evidenza il
suo collo lungo. La seconda, Lena, ha i capelli rossi,
con qualche graziosa lentiggine sparsa sul viso e
un’aria tenera che nasconde una certa timidezza. La
terza, Klara, alta, ad occhi e croce oltre il metro e
ottanta, è una bionda mozzafiato che mi lancia
un’occhiata ammiccante mentre mi stringe la mano. È
decisamente la più bella e la più attraente delle tre,
con gli occhi verdi truccatissimi e uno sguardo che
sembra leggerti dentro. Mi sorride e per un attimo
vacillo.
Prendiamo un caffè lungo offerto
dall’agenzia e mentre parliamo della convention a
Milano, colgo il loro entusiasmo. Anna e Lena sono alla
loro prima esperienza importante, parlano con una
miscela di eccitazione e nervosismo, ma Klara è diversa:
più sicura, navigata, risponde con una calma che
tradisce anni di lavoro nel settore. Firmiamo i
documenti per il viaggio, e mentre Anna e Lena si
allontanano per rispondere a una chiamata di lavoro,
Klara si alza e si siede nella poltrona accanto alla
mia. “Sai, ho girato parecchio per lavoro…” Dice
accavallando le gambe e un movimento che non lascia
spazio a malintesi. Noto le sue calze velate nere che
immagino finiscano molto prima dei fianchi. “Parigi,
Monaco, Zurigo… ma Milano ha sempre un fascino
speciale.” Poi, senza che le abbia chiesto nulla,
aggiunge: “Sono single, sai? Libera, senza legami. Posso
spostarmi facilmente… per lavoro e non solo.” Il suo
sguardo si fissa nel mio, e per un attimo mi perdo nei
suoi occhi verdi. So che non posso cedere. È il mio
primo incarico importante, e la direzione si aspetta
professionalità assoluta e un lavoro impeccabile. Non
posso permettermi passi falsi, ma il modo in cui Klara
inclina la testa, lasciando scivolare i suoi capelli
biondi sulla spalla, rende tutto dannatamente difficile.
Mi limito a un sorriso neutro, cambio argomento e mi
concentro sui dettagli del viaggio, ma dentro di me c’è
una battaglia tra dovere e tentazione.
Lei però
insiste, sa che rappresento per lei un’opportunità e
forse non vuole farsi sfuggire l’occasione. Mi dice:
“Qui a Vaduz c’è poco da vedere, e la sera ci si annoia
facilmente…” Si interrompe con un leggero sospiro e
carico di sottintesi. È un invito, chiaro come il sole,
e il mio stomaco fa una capriola. Poi con aria furtiva e
di nascosto dalle altre mi lascia il suo biglietto da
visita personale con tanto di numero telefonico e, il
suo “Ci vediamo presto, Francesco”, suona come un
appuntamento per la serata stessa. Sorrido e la
ringrazio cercando di mantenere le distanze, ma quando
mi allontano mi convinco che quel biglietto mi potrebbe
davvero riempire molto piacevolmente la serata e poi,
stringendolo nella tasca sinistra, penso che sarà
difficile ignorarlo, quasi impossibile.
Torno al
B&B nel pomeriggio, un po’ frustrato per ii miei
tentennamenti con Klara. Heidi mi aspetta nella hall,
pronta a farmi da guida come promesso. Indossa una
giacca di lana e scarponcini, i capelli raccolti in una
treccia. “Andiamo?” Dice, con un entusiasmo che mi
strappa un sorriso. Iniziamo il tour, e il Liechtenstein
si rivela un gioiello. Primo, il Castello di Vaduz, che
domina la città: non si può visitare, ma dalla collina
la vista sulla valle del Reno è spettacolare. Poi, la
Cattedrale di San Florino, un edificio neogotico con
vetrate colorate che sembrano incendiate dal sole.
Terzo, il Museo d’Arte del Liechtenstein, un cubo
moderno che ospita opere di artisti internazionali, un
contrasto sorprendente con la tradizione del paese.
Infine, passeggiamo lungo il sentiero delle sculture di
Malbun, un percorso tra i boschi con installazioni
artistiche che si fondono con la natura. Heidi conosce
ogni dettaglio, ogni storia, e il suo amore per questo
posto è contagioso. Io annoto e fotografo ogni cosa,
sperando che questo reportage vada oltre le bellezze
esteriori. Poi ci fermiamo in un bar per un tè caldo,
l’atmosfera si fa più confidenziale e ci diamo del tu.
Quando torniamo al B&B, siamo decisamente stanchi,
ma soddisfatti. Heidi mi propone di cenare insieme:
“Stasera non sono avanzi, ho fatto preparare
appositamente per te una nostra cena tradizionale.”
Ovviamente non posso rifiutare, ma nel contempo penso a
Klara, sono ancora le sette e dopo cena mi ripropongo di
chiamarla, almeno per un saluto o chissà…
Dopo
una doccia veloce la raggiungo in sala da pranzo. Siamo
soli, Heidi mi dice che la turista tedesca è partita e
lei, in mio onore, ha pregato la cameriera di rimanere
per servirci. Come prima portata serve un piatto fumante
di Käsespätzle, ossia gnocchetti di farina fatti in
casa, ricoperti di formaggio fuso e cipolle croccanti,
accanto a una ciotola di Krautsalat, cioè un’insalata di
cavolo con aceto e cumino. Per accompagnare il tutto, un
bicchiere di Zweigelt, un vino rosso locale, leggero ma
caldo e vellutato. “È semplice, ma è casa.” Dice Heidi,
con quel sorriso materno che mi scalda più del cibo.
Ogni boccone è un abbraccio, e mentre mangiamo,
chiacchierando della sua vita e del mio viaggio, sento
il Liechtenstein entrarmi sotto la pelle, grazie a lei e
a questi sapori che sanno di tradizione e cura. Poi
il discorso si sposta sulle modelle. Lei si informa
sull’aspetto. “Erano belle vero?” Io penso a Klara che
forse mi starà aspettando. Decido in quel momento che la
chiamerò senz’altro. Intanto annuisco con un tono neutro
dicendo che tutte e tre erano splendide.
Lei con
una vena di malinconia mi risponde: “Chissà, se fossi
ancora giovane…” Mi spiazza. So che a quel punto devo
dire qualcosa. “Ma tu sei giovane…” Rispondo d’istinto,
e lei arrossisce. “Grazie, sei caro e gentile, ma non
sai quanto da ragazza mi sarebbe piaciuto fare un
mestiere in cui la femminilità e la bellezza…” Si
interrompe, scuotendo la testa, come se si fosse pentita
di essersi aperta tanto. La guardo, certo sì, la sua
bellezza è sfiorita, ma vedo oltre il suo aspetto
materno, oltre la gonna tradizionale e le calze di lana,
una donna che ha vissuto, che ha sognato, di certo
segnata da qualche rifiuto e abbandono, ma che porta
ancora dentro di sé una scintilla di un desiderio vivo,
non sopito, nonostante gli anni.
La tentazione
di chiamare Klara svanisce, sostituita da un’attrazione
diversa, più profonda, per questa donna che, con la sua
semplicità e il suo calore, sta lasciando un segno che
non mi aspettavo. “Heidi…” Dico, posando una mano vicino
alla sua,, ma senza sfiorarla. “Sei più affascinante di
quanto pensi.” E il suo sguardo, che incontra il mio, mi
dice che questa serata potrebbe prendere una piega che
non avevo previsto.
Lei curiosa si informa e mi
chiede: “Ok si erano splendide, ma chi era la più bella,
cosa indossava, com’era truccata?” Il suo tono è
giocoso, ma non capisco perché voglia immaginarsela.
Penso subito a Klara, la sua immagine è ancora nella mia
mente, e decido di descriverla, cercando di mantenere un
tono distaccato anche se il ricordo mi fa accelerare il
battito. “Beh, Klara era… difficile non notarla…
Alta, con capelli biondi, lisci e lunghi. Indossava una
gonna nera aderente che le fasciava il corpo, una
camicetta con una scollatura provocante, sufficiente a
catturare l’attenzione. Calze nere velate e ai piedi
aveva un décolleté con un tacco che la rendeva ancora
più imponente. Il trucco pesante e studiato, e un
rossetto rosso acceso.” Poi senza pensarci le rivelo il
suo invito pressante per quella sera.
Heidi
ascolta attenta, il mento appoggiato su una mano, un
sorriso che oscilla tra l’ammirazione per quella donna e
quella malinconia di non essere all’altezza che aveva
già lasciato intravedere. “Insomma una donna che non
passa inosservata.” Commenta. “E tu? Ne sei rimasto
colpito immagino…” La sua domanda è diretta, e il suo
sguardo mi scruta, come se cercasse di capire cosa mi
passa per la testa. Arrossisco leggermente, colto alla
sprovvista. “Diciamo che era… impressionante.” Poi le
chiedo: “Mi dici perché ti interessa la modella?” Lei si
alza, nasconde un certo imbarazzo e alla fine risponde:
“Ora conosco il tuo ideale di donna…” Dopo cena, mi
invita nel salottino. Mi chiede dieci minuti e scompare
salendo le scale. Che poi diventano venti ed io riempio
gustandomi una grappa dal sapore intenso e peccaminoso
come i miei pensieri che ancora vacillano tra Klara, che
ormai sarà stanca di aspettarmi, e Heidi che nella mia
mente curiosa ha smesso di essere la padrona
dell’affittacamere.
Dopo quei venti minuti vedo
un’ombra sulle scale, scende con aria regale, il rumore
dei suoi tacchi alti è un invito, ma anche un
lasciapassare. Indossa una gonna corta che mette in
mostra le gambe, le calze velate e una camicetta che
lascia poco all’immaginazione. Il suo trucco è perfetto,
come il suo rossetto decisamente acceso. Ora capisco il
motivo della sua curiosità su Klara.
Mentre
prepara due bicchieri di Kirschwasser, mi guarda fisso
con i suoi occhi truccatissimi. “Ti va qualcosa di
forte?” Chiede, con un sorriso che ha un pizzico di
malizia. “Attento, questo non perdona.” Dice,
porgendomene uno. Alzo il bicchiere, i nostri occhi si
incontrano, e brindiamo con un “Prost!”. Il Kirschwasser
brucia in gola. Heidi ride vedendo la mia espressione, e
mentre il calore dell’alcol si diffonde, l’atmosfera si
fa più densa, i nostri sguardi più lunghi, e capisco che
questo cocktail forte non è l’unica cosa che sta per
scuotermi stasera.
Heidi ora ha smesso di
parlare, sussurra, la sua voce è un soffio che si adagia
sul mio desiderio che cresce. Si accomoda sul bracciolo
della poltrona, da vera femme fatale lascia che lo
spacco della gonna si apra lasciando al mio sguardo
perso un bordo di pizzo intrigante. Mi guarda di
traverso: “Ti ho sorpreso?” Rispondo che è un regalo
inaspettato: “Non credevo di attrarti…” Mi accarezza
leggermente il viso: “Non sei come gli altri ospiti. Tu
mi piaci ed io ho imparato a non lasciare nulla di
intentato.” Poi stringendomi la mano chiede: “Ti
piaccio? Potrei essere la tua modella per una notte?”
Heidi non è Klara, non è una modella, ma c’è qualcosa in
lei di più profondo che mi fa perdere la testa.
Il cuore mi batte forte, un tamburo che scandisce il
ritmo di un desiderio che non riesco più a contenere.
Heidi è lì, a un soffio da me, il suo profumo mi
avvolge. I suoi occhi mi tengono prigioniero. “Una
modella per una notte.” Sussurra, e quelle parole
risuonano nella mia mente come un invito a perdermi in
lei. Le sue dita mi sfiorano. È un tocco che accende
ogni nervo. “Non devi rispondere ora…” Sussurra con un
filo di fiato. “Ma sappi che stanotte non voglio essere
solo Heidi. Voglio essere il tuo desiderio, il tuo
segreto, la tua Klara.” Si avvicina, il suo respiro
caldo contro il mio orecchio. “Dimmi, cosa vedi quando
mi guardi? Dimmi che non ti sei pentito e ora stai
pensando di aver fatto la scelta giusta!”
Non
riesco a parlare, non subito. La mia mente è un caos di
immagini: il pizzo che s’intravede dallo spacco della
gonna, il modo in cui i suoi capelli le cadono sul viso,
quel sorriso che è insieme sfida e resa. “Vedo… te.”
Riesco finalmente a dire. “Vedo una donna che non riesco
a ignorare, che mi fa dimenticare tutto il resto, anche
Klara.” Poi aggiungo enfasi alla mia voce: “No, non mi
sono pentito!”
Lei ride piano, soddisfatta di
avermi conquistato. Vorrei toccarle la coscia, quel
pizzo ha un effetto magnetico sui miei sensi. Lei se ne
accorge. “Tocca, tocca ti prego, fammi sentire giovane,
come quando a vent’anni avevo tutta la voglia intatta di
esprimere la mia femminilità.” Più che un invito sembra
una richiesta di urgenza, un soccorso e allora non mi
nego. Lei schiude leggermente le gambe. Non sarà una
modella, ma è esperta d’amore. Poi mi ferma la mano.
“Bene…” Dice. “Non qui.” Si alza dal bracciolo con una
grazia che sembra studiata. Mi tende la mano. “Vieni con
me. Ho una stanza al piano di sopra… un segreto dove
possiamo essere solo noi.” Mi alzo, lasciando che mi
guidi attraverso la sala. Saliamo le scale in silenzio.
La porta della stanza si chiude alle nostre spalle.
Siamo solo noi, ora. Heidi si volta verso di me, e il
suo sguardo è un bisogno. “Non sono Klara.” Ripete. “Non
sono un sogno irraggiungibile. Sono solo una donna che
vuole essere desiderata… da te.” Si avvicina, il
calore delle sue mani mi fa quasi tremare. “Dimmi che lo
vuoi anche tu.” Sussurra, le labbra a un soffio dalle
mie. E in quel momento, non c’è più spazio per le
parole. La stringo a me, e la notte ci avvolge, come le
lenzuola che sanno di lavanda, come i suoi baci caldi
che sanno di ciliegia e rossetto. Facciamo l’amore e per
una notte il Liechtenstein diventa solo lei.
Il
giorno dopo, parto per Milano con le modelle. Klara, si
siede sul sedile anteriore accanto a me, il suo tubino
nero con lo spacco strategico si apre mostrando le sue
gambe perfette e il pizzo nero delle sue calze. Mi
lancia un altro sorriso, ma non provo rimpianti. In
macchina, mentre Vaduz scompare nello specchietto, penso
a Heidi, al bacio che ci siamo dati questa mattina prima
di salutarci, penso al suo calore, alla sua voce, alle
sue gambe che non sono certo quelle di Klara, ma
tremendamente genuine. Il reportage sarà un
successo, lo sento, le modelle faranno bella figura alla
convention, ma una parte di me è ancora all’Haus
Alpenblick, in quel salottino, con il bicchiere di
Kirschwasser al gusto di ciliegia, nella stanza da letto
con quelle labbra allo stesso gusto, con Heidi
imperfetta ma decisamente femmina, una donna che, in una
sola sera, ha lasciato un segno che non cancellerò.
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ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
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