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REPORTAGE

TRE GIORNI A SUVA FIJI
Un Viaggio tra Paradiso e
un Amore Impossibile
Suva mi accoglie tra spiriti e colori. Il mio compito è catturare
l’anima delle Fiji e ogni passo con la mia guida Lani tra mercati e
leggende, è un tuffo in una cultura viva e in un’attrazione che non
posso ignorare...

Sono atterrato da cinque
minuti all’aeroporto di Suva, la capitale delle isole
Fiji. Ci ho impiegato la bellezza di 32 ore, da Milano
Malpensa con scalo a Dubai. Ho dormito per tutto il
tempo e non mi sento stanco, attendo i bagagli, sbrigo
le formalità ed esco dal terminal. L’aria fuori è carica
di umidità e l’odore dell’oceano mi stordisce. Sono qui,
inviato dalla mia redazione, per catturare non solo le
meraviglie naturali di questo angolo di Pacifico, ma il
battito vivo della cultura fijiana, i legami che tengono
unite queste persone così lontane da tutto.
Ad
accogliermi c’è Lani, la mia guida. Ci siamo conosciuti
tramite internet quando cercavo disperatamente un
appoggio prima di partire. “Bula! Benvenuto a Suva.” Mi
dice da lontano sorridendo in un perfetto inglese.
Ventisette anni, ha i capelli neri e gli occhi color
cacao. La sua bellezza naturale mi colpisce
immediatamente. Indossa un pareo color corallo: “Pronto
a scoprire le Fiji?” Mi prende sottobraccio ed io
annuisco, già rapito.
PRIMO GIORNO Dopo una
sosta in albergo il nostro tour inizia al Colo-i-Suva
Forest Park. Lani cammina davanti a me, leggera e
saltellante. La giungla ci inghiotte, un groviglio di
verde interrotto dal rumore dell’acqua delle cascate.
“Qui ogni albero ha una storia. “Sai, per noi fijiani la
natura è viva. Ha uno spirito.” Mi guarda, e i suoi
occhi sembrano contenere l’intera foresta. “Tu credi
negli spiriti, Marco?” Sorrido, un po’ sorpreso. “Non
ci ho mai pensato…” Lei ride, sa di avermi provocato.
“Allora lascia che ti racconti una leggenda.” Ci sediamo
sotto un albero di mogano e mi parla di Dakuwaqa, il
dio-squalo che protegge i mari, e io annoto, ma più che
le parole, è il suo entusiasmo a catturarmi.
Al
mercato di Suva, ci immergiamo in un caos di colori e
profumi pungenti, Lani si muove come una regina. Compra
un ananas, lo taglia con un coltellino e me ne porge un
pezzo. “Assaggia!” Più che una richiesta è un ordine.
Ovviamente obbedisco. È dolcissimo. “Buono, vero? Devi
sapere che qui il cibo è amore.” Un venditore la chiama,
lei risponde in fijiano, poi si volta verso di me. “Mi
ha chiesto se sei un turista. Gli ho risposto che sei un
giornalista curioso.” Ridiamo, e sento una connessione
incredibile come se la conoscessi da sempre.
“Cos’è che vi rende così uniti?” Chiedo, dopo che un
altro venditore le ha offerto un mango. Lei si ferma,
pensierosa. “È la comunità. Non importa chi sei, qui sei
famiglia a prescindere. È ciò che mi tiene qui, sai?”
C’è una nota di malinconia nella sua voce, ma non
indago.
Al Fiji Museum, Lani mi guida tra reperti
di un passato antico. “Guarda questa canoa.” Dice,
indicando un’imbarcazione polinesiana. “I nostri
antenati hanno attraversato l’oceano con queste.
Coraggio, no?” La sua voce è carica di orgoglio. “Tu hai
mai fatto qualcosa di così folle per inseguire un sogno,
Marco?” La domanda mi coglie impreparato. “Forse venire
qui…” Rispondo, e lei sorride… Attraversiamo le sale e
lei si ferma davanti al timone del famoso Bounty. Poi
osservando altri reperti archeologici mi dice fiera:
“Questo ha più di 3700 anni. Ti rendi conto?”
Usciti dal museo il sole sta tramontando. Chiedo dove
posso mangiare un panino e bere una birra. Lani fa una
faccia stupita. “Un panino? Ma sei matto? Non puoi fare
un viaggio a Suva senza provare la vera cucina fijiana…”
Dice con gli occhi che brillano. “Ceni con me stasera?”
Non è una domanda, è un invito che non posso rifiutare.
Vado in albergo, travolto dall’esuberanza di
Lani, crollo e mi addormento. Alle otto ci ritroviamo al
Tiko’s Floating Restaurant, una piattaforma galleggiante
ormeggiata al largo della costa, che ondeggia dolcemente
cullata dal mare praticamente un gioiello sospeso
sull’acqua. La struttura è un mix di eleganza rustica e
fascino tropicale. Pali di bambù intarsiati sostengono
un tetto di palme intrecciate, lasciando intravedere
spicchi di cielo stellato. Intorno, il mare è uno
specchio nero illuminato dalla luna piena. Tavoli
rotondi coperti da tovaglie bianche sono sparsi sulla
piattaforma, ognuno illuminato da candele che creano
un’atmosfera intima, quasi magica. Il profumo di
salsedine si mescola a quello delle spezie e dei piatti
di pesce fresco che arrivano dalla cucina. Un piccolo
palco all’angolo ospita un trio di musicisti locali che
suonano melodie morbide, un intreccio di ukulele e
percussioni. Le ringhiere di corda decorate con
conchiglie e fiori di ibisco circondano il locale. È un
luogo che sembra sospeso tra sogno e realtà, dove il
confine tra terra e mare si dissolve, e ogni dettaglio
invita a perdersi nella notte.
Lani è bellissima:
indossa un vestito rosso che aderisce perfettamente al
suo corpo perfetto. Non riesco a smettere di guardarla,
la sua sensualità è devastante. Ci servono kokoda,
pesce marinato nel latte di cocco, e un lovo, un trionfo
di sapori cotti sottoterra. “Prova questo!” Dice,
passandomi una fetta di taro. Le sue dita sfiorano le
mie, e il cuore mi salta in gola. “Ti piace?” Chiede,
inclinando la testa. “È… incredibile…” Balbetto, ma non
sto parlando del cibo. Lei se ne accorge e sorride.
Beviamo kava, una bevanda inebriante ricavata dalle
radici di un arbusto, l’atmosfera si scioglie.
“Raccontami di te, Lani.” Dico, spinto da un bisogno di
conoscerla meglio e non solo per il mio reportage. Lei
sospira, lo sguardo perso nell’oceano. “Sono nata in un
villaggio qui vicino. Ho studiato turismo
all’università, volevo mostrare le Fiji al mondo. È
stato un sogno che ho realizzato.” Fa una pausa, poi
aggiunge: “Ma qui non è facile. Le opportunità sono
poche, e a volte mi sento… bloccata.” “Eppure sembri
così viva… hai energia ed entusiasmo da vendere…” Dico,
sincero. Lei mi guarda con i suoi occhioni color cacao.
“Perché amo questa terra, Marco. Ogni onda, ogni albero,
è parte di me. Ma a volte mi chiedo se basterà.” La sua
tenerezza mi colpisce. “Tu invece?” Chiede, cambiando
tono. “Perché sei qui?” Rispondo banalmente: “Per un
articolo…” Ma poi aggiungo: “E forse per trovare
qualcosa che non so spiegare.” I nostri sguardi si
incatenano… “Sei bella sai?” Dico senza pensarci. E
Lei: “Ma qui siamo tutte belle!” Ride. La sera in
albergo inizio a scrivere il mio reportage, ma non sono
concentrato, penso a lei, alla sua bellezza così
spontanea.
SECONDO GIORNO La mattina dopo alle
sette in punto Lani mi fa chiamare dalla reception.
Oddio per me è l’alba! Ma mi alzo contento chiedendomi
cosa mi riserverà quella giornata. Scendo nella hall
e la vedo fasciata da un pareo bianco che spicca sulla
sua pelle. Il suo sorriso mi disarma, la sua vitalità mi
coinvolge. Non faccio in tempo a dire che non ho
fatto ancora colazione che lei mi prende la mano e mi
trascina fuori. Destinazione le dune di Sigatoka, dove
corriamo tra le onde, ridendo come bambini. “Sei lento!”
Mi provoca, schizzandomi l’acqua. La inseguo, corro.
Quando la raggiungo, cadiamo sulla sabbia, senza fiato,
i nostri volti a un soffio. “Sei pericolosa, lo sai?”
Sussurro. “Tu non sei da meno.” Risponde, e mi bacia, un
bacio salato che sa di libertà. Ma è un attimo, poi si
rialza di scatto e ricomincia a correre.
Su
quella spiaggia le nostre labbra si cercano ancora e la
giornata sfuma con un cielo che si tinge di arancio e
viola, e la spiaggia di Sigatoka si svuota, lasciando
solo il suono delle onde che si infrangono lente. Lani e
io restiamo lì, sdraiati sulla sabbia ancora calda, i
nostri corpi vicini, avvolti dall’aria salmastra. Il suo
sguardo è un invito, profondo, che brucia più del sole
che ci ha scaldato tutto il giorno. Nessuno dei due ha
intenzione di tornare. “È bello qui, vero?” Poi mi fissa
e mi chiede: “Cosa provi?” Oddio, guardo il mare e
guardo i suoi occhi, sinceramente non saprei quale delle
due bellezze preferire.
Intanto si fa sera, poi
notte e la luna piena illumina la spiaggia, trasformando
la sabbia in un mare d’argento. Lani si avvicina, il suo
respiro è caldo contro il mio collo, e le sue dita
sfiorano la mia pelle, lente, come se stessero
tracciando una mappa segreta. “Non smettere di
guardarmi.” Sussurra, carica di desiderio. “Voglio farti
un regalo. Questa notte o mai più!” E mentre mi fissa
con i suoi occhioni color cacao lascia cadere lentamente
il pareo sulla sabbia. Rimane nuda e si avvicina. Le sue
labbra trovano le mie, umide, salate, un bacio che sa di
mare e di noi. È lento all’inizio, poi si fa intenso,
come se volessimo divorarci l’anima. Ha un modo strano
di baciare, avvolgente e coinvolgente, la sua bocca si
apre come se volesse contenere tutta la mia passione.
Le sue mani scivolano sotto la mia camicia, fresche
contro la pelle accaldata, e ogni tocco accende un
brivido che mi fa tremare. Mi spinge giù, sulla sabbia,
ride, respira forte, e il suo corpo si muove sopra il
mio, sinuoso, come le onde che ci circondano. La sua
pelle è seta sotto le mie dita, e ogni curva sembra
fatta per essere esplorata. I suoi capelli mi
solleticano il petto mentre si china, lasciando una scia
di baci umidi.
Le nostre risate si spengono,
sostituite da respiri spezzati, gemiti soffocati. La
sabbia ci avvolge, ruvida e morbida insieme, mentre ci
perdiamo l’uno nell’altra. Ogni movimento è un’onda,
ogni bacio una tempesta. La sua voce, un sussurro rotto
contro il mio orecchio, mi guida, mi implora, mi
possiede. “Sei mio.” Dice, e io non posso che
arrendermi, travolto dal ritmo dei nostri corpi che si
fondono sotto la luna. E la notte ci avvolge, il mare
canta per noi, e in quel momento, tra sale, pelle e baci
umidi, siamo solo noi, nudi, vivi, liberi.
TERZO
GIORNO Il giorno dopo mi invita nel suo villaggio per
una cerimonia tradizionale. I suoi zii mi accolgono con
abbracci, e Lani mi presenta come un amico speciale.
Balliamo intorno al fuoco, e lei, con un fiore tra i
capelli, è una visione. “Non ti dimenticherò mai,
Marco.” Mi dice. “Non potrei, anche se volessi.”
Rispondo, stringendola. Tra noi nasce un amore che
brucia. Parliamo per ore. Lei mi confessa il suo sogno
di un’agenzia turistica sostenibile, ma anche la paura
di fallire. “Voglio lasciare un segno nella mia vita.”
Dice. “Ma questa terra mi chiama sempre indietro.” Io le
racconto della mia vita in Italia, delle città che non
dormono mai, ma che non hanno il calore delle Fiji. Ogni
parola, ogni tocco, ci lega di più.
Il giorno
della partenza è un coltello nel petto. All’aeroporto,
con le valigie pronte, non resisto. “Lani, vieni con me
in Italia.” La supplico, prendendole le mani. “Potremmo
costruire qualcosa insieme. Ti amo.” Le lacrime le
rigano il viso, ma i suoi occhi sono fermi. “Ti amo
anch’io, Marco.” Sussurra, la voce rotta. “Ma le Fiji
sono la mia casa, la mia anima. Non potrei mai
lasciarle. Qui sono nata, e qui voglio vivere per
sempre.” Mi bacia, un bacio disperato, come se
volesse imprimerlo nella mia anima. “Non dimenticarmi.”
Dice, mentre si allontana, il pareo che ondeggia come un
addio. “Mai.” Prometto, ma so che sto perdendo una parte
di me.
Torno in Italia con un reportage che parla
di cascate, mercati, e un popolo che vive con il cuore
aperto. Ma tra le righe c’è Lani, la sua risata, la sua
forza, il suo amore per una terra che non abbandonerà
mai. Scrivo con le lacrime agli occhi, sapendo che Suva
non è solo un luogo: è lei, e il vuoto che ha lasciato
dentro di me.
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ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
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