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I RACCONTI DI ARTE PASSIONE


LA VENERE RIBELLE
L'incontro tra Canova e Paolina Borghese
Roma 1804, Antonio Canova incontra Paolina Bonaparte, musa scandalosa e indomabile, nella sua villa romana. Tra audaci pose e dialoghi pungenti, nasce un capolavoro: "la Venere Vincitrice". Un’opera che immortala non solo la bellezza, ma l’anima di una donna che sfida ogni convenzione...




 

 
Roma 1804.
Antonio Canova, il celebre scultore veneto, varca la soglia di Villa Borghese. Ha 47 anni, il volto segnato dalla dedizione al suo lavoro, gli occhi acuti che scrutano il mondo come se ogni dettaglio potesse trasformarsi in marmo. È stato convocato da Paolina Bonaparte, la sorella di Napoleone, per un ritratto scultoreo. Non è la prima volta che Canova lavora per i Bonaparte, ma l’incontro con Paolina è un evento che si annuncia unico e carico di aspettative.

Canova avanza, guidato da un servitore, sa della fama di Paolina, della sua bellezza leggendaria e del suo spirito indomabile. Quando finalmente la vede nello splendore dei suoi 24 anni appena compiuti lei è appoggiata con noncuranza a un divano, il corpo avvolto in un abito di seta che lascia intravedere le sue forme perfette. I capelli castani incorniciano il suo viso dai lineamenti delicati ma dagli occhi vivaci, quasi provocatori. Non è solo bella: emana un’energia che riempie la stanza.

“Maestro Canova era ora che ci incontrassimo.” La sua voce è musicale, ma c’è una nota di comando, un’eco del potere che deriva dall’essere una Bonaparte. Canova, abituato ai nobili e ai potenti, si inchina leggermente, ma non può fare a meno di notare il modo in cui Paolina lo studia, come se fosse lei a scolpire lui con lo sguardo. Si scambiano convenevoli, ma è chiaro che Paolina non ama le formalità: ride facilmente, si muove con una libertà che ignora le rigide convenzioni dell’epoca, e parla con una franchezza che spiazza il maestro.

Paolina Borghese Bonaparte è sposata, sì, ma il suo matrimonio è più un accordo politico che un vincolo d’amore. Nel 1803, dopo la morte del suo primo marito, il generale Charles Leclerc, stroncato dalla febbre gialla a Santo Domingo, Napoleone l’ha data in sposa a Camillo Borghese, un principe romano tanto ricco quanto noioso. Camillo è il proprietario di quella villa, ma Paolina lo tratta con un distacco che rasenta l’indifferenza.
A Roma, si è subito imposta come una figura scandalosa e affascinante, una donna che non si piega alle aspettative della società. Il suo matrimonio è solo di facciata e le voci su di lei a Roma corrono veloci: si dice che riceva amanti, che organizzi feste sfrenate, che si muova tra i salotti e i boudoir con la stessa disinvoltura. Non nasconde la sua sensualità, e la sua libertà è un affronto per chi vorrebbe vederla domata.

Mentre Canova la osserva, lei si lascia andare e gli racconta aneddoti della sua vita a Parigi, ride di un pettegolezzo su un nobile romano, e poi, con un guizzo negli occhi, gli chiede: “Maestro, riuscirete a catturare la mia anima in quel marmo, o solo la mia bellezza?” È una sfida, e Canova, che conosce il peso di ogni scalpello, sa che scolpire Paolina sarà diverso da qualsiasi altra opera. Non è solo un corpo da modellare: è uno spirito che non si lascia imprigionare.

Perché Paolina è una donna che vive in libertà, una libertà che scandalizza e seduce. Non si cura delle convenzioni che vorrebbero una donna sposata discreta e sottomessa. Frequenta artisti, intellettuali, ufficiali. La sua villa è un teatro di piaceri: musica, danze, conversazioni che si protraggono fino all’alba. Eppure, c’è una malinconia in lei, un’ombra che Canova intravede quando Paolina si distrae per un istante, lo sguardo perso oltre la finestra. È una donna che vive intensamente, ma che porta il peso di essere una Bonaparte, di essere sempre osservata, giudicata, desiderata.
"Allora, signor Canova quando inizierà a trasformarmi in dea?" Canova, pur turbato dalla familiarità, risponde con deferenza: "Quando Vostra Eccellenza vorrà. Sarà un onore immortalarne la bellezza."

Quel primo incontro segna l’inizio di un rapporto artistico che culminerà nella celebre Venere Vincitrice, la scultura in cui Paolina, seminuda, reclinata come una dea, diventerà immortale. Ma in quel momento, nel 1804, mentre Canova prende appunti mentali e Paolina lo provoca con il suo fascino, è chiaro che non è solo un’artista di fronte a una musa. È un uomo che cerca di decifrare una donna che non si lascia definire, una forza della natura che, nella Roma papalina, vive come se il mondo le appartenesse.

Alcuni giorni dopo Canova inizia a scolpire e la "Venere vincitrice" prende lentamente forma nel suo studio romano situato in vicolo di San Giacomo in Augusta, una strada non lontana da Piazza del Popolo. Canova, uomo di profonda sensibilità artistica, è immediatamente colpito dalla bellezza di Paolina. Non una bellezza algida e distante, ma una sinuosità di linee che desiderano essere liberate dal blocco di marmo. E in quell’atelier le emozioni dell'artista, danzano tra la meraviglia per la perfezione del corpo che ha di fronte e la sfida di immortalare su marmo un'anima così vibrante e anticonvenzionale. Insomma quella Venere dormiente che il maestro ha sempre sognato, finalmente viva e palpitante.

Paolina, dal canto suo, si fa ritrarre con una naturalezza disarmante, quasi fosse un evento quotidiano posare nuda per uno dei più grandi scultori del tempo. La sua sfrontatezza non è volgarità, ma piuttosto la consapevolezza del proprio fascino, un'audacia che scandalizza e al tempo stesso ammalia la rigida società dell'epoca.

Canova, uomo del suo tempo, non può ignorare le voci su Paolina, ma di fronte alla sua modella, la sua attenzione è rapita dalla purezza delle forme, dalla sfida di immortalare quella bellezza effimera e sublimare la carne in eterna bellezza.

E così, durante le pose, che si protraggono per mesi, tra loro si crea un singolare rapporto con Canova che cerca di oltrepassare quella sensualità così reale per raggiungere l'ideale classico e Paolina che con la sua loquacità lo riporta costantemente alla concretezza del corpo, alla malizia del suo sguardo, alla morbidezza delle sue curve. Lei si lascia andare a battute audaci che imbarazzano il compassato scultore, lui premuroso le chiede se non senta freddo a stare così a lungo immobile. Paolina, con un sorriso malizioso, risponde: "Oh no, signor Canova. Mi riscalda il pensiero di essere immortalata dalle sue mani." È sfrontata, offre il suo corpo come un prezioso strumento per l'arte, senza rinunciare alla sua natura appassionata.

Canova sente il cuore accelerare. Non è la prima volta che un committente esprime richieste audaci, ma la naturalezza con cui Paolina propone una nudità integrale, lo spiazza. Da un lato, l'artista è attratto dalla sfida di rappresentare la bellezza senza filtri, nella sua essenza più pura. Dall'altro, il timore di offendere il decoro, di scandalizzare la società, lo frena.
"Principessa, la posa è perfetta. La luce accarezza le vostre linee in modo divino."
Paolina sorride, un lampo negli occhi scuri. "Vi piace, signor Canova? Forse dovrei mostrarvi di più, liberarmi di questi veli. Credete che la dea Venere si preoccupasse di coprirsi?"
Un leggero turbamento increspa la fronte dell'artista. "Principessa, la tradizione... i canoni classici..."
"I canoni…" Replica lei con un tono leggero, ma deciso. "Sono fatti per essere superati, non credete? E chi meglio di voi, signor Canova, può osare nuove forme di bellezza?"
"Principessa." Tenta di nuovo, cercando le parole giuste, "La vostra bellezza è tale che anche un velo leggero la esalta. Non è necessario..."
"Voglio che mi vediate come sono, senza artifici. Voglio che la vostra scultura sia la verità della mia bellezza."
"Comprendo il vostro desiderio, Principessa…" Dice infine, sollevando lo sguardo e incontrando i suoi occhi penetranti. "E come artista, sento il fascino di questa sfida. Ma siete consapevole delle possibili critiche, dello scandalo che potrebbe derivarne?"
Paolina ride. "Le critiche? Lo scandalo? Sono il sale della vita, signor Canova. E poi non sarete voi a plasmare la mia immagine per l'eternità? Chi oserà criticare l'opera di Canova?"
L'artista sente crescere in sé un'audacia nuova, unita a un senso di riverenza per la donna che si offre senza riserve.
"Sia come desiderate, Principessa…" Dice con un tono che tradisce una nuova eccitazione creativa. "Sarà un'opera che parlerà della vostra audacia e della mia devozione all'arte."

A quel punto Paolina si libera degli ultimi veli con una naturalezza disarmante, offrendo il suo corpo allo sguardo intenso di Canova. L'artista si immerge nel suo lavoro con una concentrazione febbrile. Ogni curva, ogni dettaglio del corpo di Paolina diventa una linea da catturare, un volume da plasmare nel marmo. Non c'è più imbarazzo, solo la sacralità del gesto artistico, la ricerca della forma perfetta che racchiude l'essenza di una donna straordinaria.

Durante le lunghe sedute, i dialoghi continuano, spaziando dall'arte alla vita, dagli aneddoti di corte alle riflessioni più intime.
"Signor Canova" Chiede un giorno Paolina mentre l'artista abbozza un dettaglio del suo seno, "Cosa provate nel ritrarmi così? Vedete solo un corpo o percepite anche l'anima?"
Canova solleva lo sguardo, colpito dalla profondità della domanda. "Principessa." Risponde con sincerità, "Nel plasmare le vostre forme, cerco di catturare l'essenza sperando che nel marmo si possa intravedere non solo la perfezione del vostro corpo sublime, ma anche la vivacità dello spirito."
Paolina sorride, soddisfatta. "Credo che ci riuscirete, signor Canova. Voi siete un vero artista."

E così, tra pose audaci e conversazioni stimolanti, prende forma la "Venere vincitrice". Un'opera, che ancora oggi incanta per la sua sensualità e la sua nobiltà, testimone di un incontro irripetibile tra un genio dell'arte e una donna fuori dagli schemi. Un capolavoro, che non solo celebra la bellezza di Paolina Borghese, ma che incarna l'audacia di un artista che ha saputo superare i limiti del convenzionale per raggiungere nuove vette di espressività guidato dalla sfrontata e affascinante musa che gli ha offerto la sua immagine senza riserve.

 



ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
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