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I RACCONTI DI ARTE PASSIONE
 
Un amore impossibile
Mathilde Wesendonck e Richard Wagner
Mathilde sentiva il cuore tremare ogni volta che Richard Wagner sfiorava il pianoforte, come se quelle note fossero dirette alla sua anima. Nei suoi versi riversava l’eco di
quel sentimento proibito che, sotto il peso del suo matrimonio, si trasformava in un amore che non osava nominare...




 
Düsseldorf, 1848. Mathilde Luckemeyer, ventenne dagli occhi chiari e dai modi gentili, camminava nei corridoi della sua vita vibrando di versi non ancora scritti. Figlia di un consigliere reale, cresciuta tra le aule della Höhere-Töchter-Schule, si era appena sposata con Otto Wesendonck, un mercante di seta dal fascino maturo, tredici anni più vecchio di lei.
Otto, vedovo da poco, le aveva chiesto di cambiare il suo nome in Agnes, in memoria della moglie perduta. Mathilde, con la dolcezza di chi vuole compiacere, accettò, anche se nel profondo sentiva che quel nome non le apparteneva.
La loro vita scorreva serena a Zurigo, dove si erano trasferiti. Otto, uomo di mondo e di successi, era un appassionato di musica, e nel 1852, durante un concerto, conobbe Richard Wagner e rimase incantato dal genio del compositore. Presto divenne il suo mecenate, offrendogli supporto economico e, anni dopo, un cottage sulla loro tenuta, affacciato sul lago di Zurigo.

Era una sera d’autunno del 1852, a Zurigo. La sala da concerto era gremita, le luci soffuse riflettevano l’attesa del pubblico. Mathilde, seduta accanto a Otto, osservava il palco con curiosità. Wagner, con il suo carisma magnetico, dirigeva l’orchestra con una passione che sembrava scuotere l’aria stessa. Quando Otto la condusse a salutarlo dopo il concerto, Mathilde si trovò di fronte a un uomo affascinante. “Signora Wesendonck.” Disse Wagner, inchinandosi leggermente: “Suo marito mi ha parlato della vostra sensibilità per la poesia. È vero che scrivete versi?” Mathilde arrossì, colta alla sprovvista. “Oh, sono solo pensieri messi su carta, Herr Wagner. Non credo meritino attenzione.”
Wagner sorrise: “Ogni verso ha un’anima, signora. E io credo che i vostri abbiano molto da dire.” Otto, raggiante, intervenne: “Mathilde è troppo modesta. Forse un giorno potreste leggere qualcosa di suo, Richard.” Mathilde abbassò lo sguardo, ma dentro di lei qualcosa si accese. Quella sera, tornando a casa, non riusciva a smettere di pensare alle parole di Wagner.

Nel 1857, Wagner si stabilì nel cottage vicino alla tenuta dei Wesendonck. Mathilde, ormai ventinovenne, madre e moglie devota, passava le giornate tra il giardino e i suoi versi. Dal cottage, Wagner la osservava: la vedeva chinarsi sui fiori, il vento che le scompigliava i capelli, il suo passo leggero. Ogni gesto di Mathilde sembrava trasformarsi in musica nella sua mente. E così, una mattina, mentre Mathilde era in giardino, Wagner si avvicinò con un quaderno in mano. “Signora Wesendonck.” Disse. “Ho letto i vostri Fünf Gedichte. Sono… straordinari. Vorrei metterli in musica, se me lo permettete.” Mathilde si fermò, una rosa tra le mani. “Herr Wagner, sono lusingata, ma… sono solo versi semplici.”
Wagner si avvicinò di un passo, il suo sguardo intenso. “Semplici? I vostri versi parlano di un cuore che conosce il desiderio, il dolore, la bellezza. Sono la voce di un’anima che non si accontenta di vivere in silenzio.” Mathilde sentì il cuore battere più forte. Nessuno, nemmeno Otto, aveva mai parlato dei suoi versi con tanta passione. “Se credete che valgano la vostra musica.” Disse piano, “Ne sarei onorata.”

Da quel momento, qualcosa cambiò. Le loro conversazioni si fecero più frequenti, i loro incontri più carichi di significato. Wagner le scriveva lettere, parole che bruciavano di passione platonica, di un amore che si nutriva di idee e di arte. Mathilde, che aveva sempre vissuto in un mondo di doveri e affetti tranquilli, si sentiva come se una tempesta si fosse scatenata dentro di lei. Una sera, mentre Otto era via per affari, Wagner la invitò nel cottage. La luce della luna filtrava dalle finestre, e il lago rifletteva un bagliore argentato. Seduti l’uno di fronte all’altra, parlarono di musica, di poesia, di sogni. “Mathilde.” Disse Wagner, rompendo un silenzio carico di tensione, “Quando vi guardo, vedo la musa di un’opera che non ho ancora scritto. Voi siete Tristano, voi siete Isotta.” Mathilde rise, nervosa. “Herr Wagner, non dite sciocchezze. Sono solo una donna, una moglie, una madre.”
“No.” Rispose lui, alzandosi e avvicinandosi. “Siete molto di più. Siete la poesia che dà vita alla mia musica.” Per un istante, i loro sguardi si incatenarono. Mathilde sentì il peso del suo matrimonio, la lealtà verso Otto, ma anche un desiderio che non aveva mai conosciuto. Non ci fu un bacio, non ci fu un tocco, ma in quel momento capì che quell’emozione apparteneva esclusivamente a quell’uomo.

Mathilde nei giorni seguenti evitò ogni contatto col maestro. Il suo tormento era evidente. Amava Otto, il suo affetto sincero, la sua generosità. Ma l’attrazione per Wagner era diversa, come un fuoco che bruciava senza consumarsi. Quando confessò a Otto i suoi sentimenti, lo fece con il cuore in gola, temendo di rovinare tutto. “Otto.” Disse una sera, seduti nel salone della loro villa: “Devo parlarti di Richard. Io… provo qualcosa per lui. Non è qualcosa di fisico, ma è come se la sua musica mi avesse aperto una porta che non sapevo esistesse.” Otto la guardò a lungo, il volto teso ma non privo di comprensione. “Mathilde, so chi è Wagner. La sua musica è un sortilegio. Ma tu sei mia moglie, e io ti amo. Se questo amore rimane… ideale, come dici, non ti impedirò di sentirlo. Ma sii prudente, per il bene di tutti noi.” Mathilde annuì, grata e colpevole al tempo stesso.

Ma la situazione si complicò quando Minna, la moglie di Wagner, iniziò a notare lo scambio di lettere e gli sguardi tra suo marito e Mathilde. La gelosia di Minna esplose in una scenata furiosa. Una mattina, intercettata una lettera di Wagner, si presentò alla villa dei Wesendonck. “Come osi!” Gridò con il volto rosso di rabbia. “Pensi di potermi rubare mio marito? Dopo ventidue anni di matrimonio, credi di poter distruggere tutto?” Mathilde, sconvolta, cercò di calmarla. “Minna, ti assicuro, non c’è nulla di ciò che pensi. Amo la sua musica, nient’altro.”
“Non mentirmi!” Urlò Minna, prima di andarsene, minacciando di raccontare tutto a Otto.

Wagner, saputo dell’incidente, si precipitò da Mathilde. “Perdonate Minna.” Disse, con un misto di frustrazione e dolore. “Non capisce che il nostro amore è al di sopra di queste bassezze. È un’unione di anime, non di corpi.” Mathilde scosse la testa, gli occhi lucidi. “Richard, non posso continuare così. Minna soffre, Otto soffre, e io… io non so più chi sono. Dobbiamo smettere di frequentarci.” Wagner la guardò, come se volesse protestare, ma alla fine annuì. “Se è ciò che desideri, Mathilde. Ma sappi che la mia musica porterà sempre il tuo nome.”

Poco dopo, Minna partì per Dresda, e Wagner lasciò Zurigo per Venezia. Mathilde ricevette una lettera da Minna, parole dure che le trafissero il cuore: “Devo dirti con il cuore sanguinante che sei riuscita a separare mio marito da me dopo quasi ventidue anni di matrimonio. Possa questo nobile atto contribuire alla tua tranquillità, alla tua felicità.”

Mathilde continuò la sua vita con Otto, trasferendosi prima a Dresda, poi a Berlino. La sua poesia e la sua bellezza rimasero impresse nella musica di Wagner, in particolare in Tristano e Isotta, un’opera che parlava di un amore tanto puro quanto impossibile. Quando morì, nel 1902, ad Altmünster, Mathilde fu sepolta a Bonn, accanto alla famiglia Wesendonck. Ma una parte di lei, forse, rimase per sempre in quel cottage sul lago, dove un genio l’aveva amata, e dove lei aveva imparato cosa significasse essere una musa.





IMMAGINE GENERATA DA IA
ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
 






 
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