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I RACCONTI DI AMARSI CHE CASINO





MARIANNA SEGATI
La prima amante di lord Byron a Venezia
L’Ombra di una Gazzella
Venezia, novembre 1816. Lord Byron è appena arrivato in laguna, cerca casa e la trova a Calle della Piscina 1673, di proprietà di Pietro Segati, mercante di stoffe, e della sua giovane moglie Marianna. Lei ha appena 22 anni e la sua bellezza è un sussurro che corre tra le calli......



 

 
Venezia, novembre 1816. La città galleggia in una bruma leggera, i canali rifrangono le luci delle lanterne, e il profumo di seta e spezie si mescola all’umidità salmastra. Lord Byron, il poeta inglese dai riccioli ribelli e dallo sguardo inquieto, è appena arrivato in laguna, in fuga dai debiti e dagli scandali di Londra.

Cerca un rifugio, un angolo tranquillo per lenire il suo cuore tormentato. Chiede in giro per ponti e calli, vicino Rialto e nella zona della Salute, finché lo trova a Calle della Piscina 1673, vicino Piazza San Marco, in una casa spaziosa a due passi dalla Frezzeria. La casa è di proprietà di Pietro Segati, mercante di stoffe, e della sua giovane moglie, Marianna.

Marianna ha appena ventidue anni, e la sua bellezza è un sussurro che corre tra le calli. Pietro Segati invece è un uomo pratico e sensibile agli affari, e senza pensarci due volte affitta a Byron una stanza per venti franchi al giorno, a patto che vi resti almeno due mesi. La casa è dignitosa, con un approdo sul canale che rende gli spostamenti comodi. Ma ciò che cattura Byron non è l’arredamento, né la vista sul rio: è Marianna.

Byron, sensibile al fascino femminile, non può non notarla e sin dal primo incontro ne rimane così affascinato che in una lettera al suo amico Moore, la descrive come una gazzella: occhi grandi e neri, di un’eleganza orientale, lineamenti regolari, una bocca piccola e una pelle morbida, bianca, appena velata di rosa. I suoi capelli, neri e inanellati, brillano come seta sotto le reti d’argento; la sua voce, dolcissima, danza nel dialetto veneziano, che in bocca a una donna, scrive Byron, è puro incanto. È una dilettante di canto, e quando intona arie d’opera, le gondole sembrano fermarsi per ascoltarla.

Marianna, donna sposata, ma libera nello spirito, non si tira indietro. Lui trova ogni occasione per corteggiarla dicendole che la sua bellezza sarebbe stata adatta per l'harem di Casanova… Beh sì, Marianna sa che lui è un intenditore di donne per cui lo prende come un complimento.

Suo marito, assorbito dai commerci, sembra non farci caso, o forse preferisce non notare gli sguardi più che profondi e pieni di malizia che i due si scambiano. Così una sera, dopo una cena a base di risotto e vino di Murano, Byron e Marianna si ritrovano soli in salotto. L’aria è densa di profumi tra cera bruciata, l’odore salmastro del canale vicino, e un accenno di lavanda dal vestito di lei. Marianna, con i capelli raccolti in una treccia e un abito di seta rosso è appoggiata a un tavolo intarsiato, ha un bicchiere di vino in mano. Byron, si muove con quella zoppia appena accennata. La tensione tra loro è palpabile, come una corda di violino tesa al punto di rottura.

Tra la luce soffusa delle candele, il poeta, con quella sua aria da lupo ferito, le prende la mano: «Siete un sogno, Marianna. Un sogno che non oso meritare.» Marianna, posando il bicchiere risponde: «Milord, mi parlate di sogni e cuori, ma qui a Venezia siamo pratici. Un uomo come voi, con tutte le storie sul vostro conto… cosa cercate davvero da una come me?»
«Storie, dite? Sono solo ombre, Marianna. Voi invece… voi siete carne, sangue, passione e fuoco. Non cerco nulla che non siate già disposta a offrire.»

Marianna ride, si lascia cadere con grazia su una poltrona imbottita, invitandolo con un cenno a sedersi accanto a lei: «Carne e sangue, dite. E il fuoco? Quello brucia, milord. Siete sicuro di voler giocare con le fiamme della passione?»
Byron esita, poi si accomoda, abbastanza vicino da sfiorarle il braccio: «Ho passato la vita a inseguire incendi, mia cara. Alcuni mi hanno ridotto in cenere, altri mi hanno fatto rinascere. E voi… voi mi sembrate un rogo che non posso ignorare.»

Lei lo guarda, soppesando le sue parole. C’è qualcosa in lui che la intriga. «Siete pericoloso, lo sapete? Non per quello che fate, ma per come lo dite. Potreste convincere una donna a credere che il mondo giri solo per lei.»
Byron non si lascia sfuggire l’occasione: «E se fosse vero? Se, per una notte, il mondo fosse solo vostro? Cosa fareste, Marianna?»
Lei non risponde subito. Si volta, i loro volti ora sono a pochi centimetri. Il respiro di Byron è caldo, irregolare; quello di lei è più controllato, ma i suoi occhi tradiscono un fremito. Senza dire nulla, lei gli sfiora il petto con la punta delle dita, seguendo il contorno della camicia.

«Non sono una delle vostre dame inglesi, milord. Non mi accontento di promesse e poesie. Se volete me, dovete essere qui, ora, con tutto quello che siete.»
Byron le prende la mano, la porta alle labbra, ma non la bacia. La tiene lì, come se stesse decidendo se attraversare un confine. Poi, con un movimento rapido, la attira a sé: «Tutto quello che sono, Marianna, è un uomo che non sa resistervi. Ditemi di fermarmi, e lo farò. Ma se non lo fate…»
Marianna sorride: «Non lo dirò. Ma ricordate: a Venezia, ogni piacere ha un prezzo. Siete pronto a pagarlo?»
Non c’è bisogno di altre parole. Byron la bacia, Marianna risponde con la stessa urgenza, poi si muovono verso il divanetto vicino al camino.

È la loro prima volta di due persone che si studiano anche nel momento dell’abbandono. Marianna è diretta, non nasconde il suo desiderio, ma c’è una dolcezza inaspettata nel modo in cui gli accarezza il viso, come se volesse rassicurarlo. Byron, per una volta, sembra spogliarsi non solo dei vestiti, ma anche di quella maschera di cinismo che lo protegge dal mondo. Ogni tocco, ogni sussurro, è una conversazione senza parole.

Quando si fermano, ansimanti, avvolti l’uno nell’altra, il fuoco nel camino è quasi spento. Marianna gli poggia la testa sul petto, ascoltando il battito del suo cuore: «Allora, milord, com’è stato il vostro primo sogno veneziano?» Lui ancora stordito da tanta bellezza sussurra: «Un sogno che vale ogni ducato, ogni battito, ogni dannata poesia che scriverò per voi.»

Ovvio non è amore. È un fuoco, un’ebbrezza che brucia rapida. Marianna, però ci crede e si lascia travolgere. Byron, sa che per arrivare al suo cuore occorre ben altro che poesie e versi sdolcinati, allora la copre di regali costosi: collane di perle, sete orientali, un diadema d’oro tempestato di rubini.
Lei non si nasconde, anzi è sfrontata e sicura della sua bellezza ostenta quei gioielli, come farebbe qualsiasi donna sposata gratificata dall’amante e dal desiderio di rivendicare quanto sia apprezzata in un letto diverso da quello coniugale.

Pietro, vedendo la moglie adornata, sorride e tace. Forse sa, forse finge di non sapere, ma dopotutto a Venezia le convenzioni sono elastiche, e un marito che chiude un occhio non è una novità.

Ma Byron non è uomo fedele. Fin dai primi giorni, Marianna intuisce la sua natura volubile. Le voci corrono: il poeta è stato visto con altre donne, cortigiane di basso rango sul Ponte delle Tette, dame di alto bordo nei palazzi del Canal Grande. Lei è gelosa certo, ma non si illude e con un misto di orgoglio e rassegnazione, si accontenta di essere il suo primo amore veneziano.

Il dramma però esplode, ed è una sera di dicembre quando Marianna è ospite in casa di un’amica. Un gondoliere, fedele a lei più che al poeta, le svela che sua cognata, una ragazza di diciannove anni, bella e intraprendente, ha mandato un biglietto a Byron. Vuole incontrarlo, propone una gondola, l’Isola di San Lazzaro, o, più audacemente, la casa di Calle della Piscina. Byron, con la sua noncuranza, risponde che rimarrà ad attenderla in casa fino alle dieci.

Marianna, furiosa, torna di corsa e quando spalanca la porta della stanza di Byron trova lui nudo, disteso sul divano con la camicia slacciata e i pantaloni abbassati, la cognata invece è sopra di lui, a cavalcioni e con le gambe aperte. «Sciacquetta!» Urla Marianna, interrompendo quei gemiti. Poi si getta sulla ragazza, la prende per i capelli, la schiaffeggia, la colpisce finché la giovane, in lacrime, si divincola e scappa.

Byron divertito cerca di calmare la sua amante. «Marianna, mia gazzella, non vale la pena! Tua cognata è solo una ragazzina che cerca il piacere in un’avventura, non è pericolosa, tu invece sei la donna della mia vita!» Le dice afferrandola per i polsi. La sua voce è miele, i suoi baci fuoco. In un istante, la rabbia di Marianna si trasforma in desiderio. Lui la spoglia, la seta della sua veste scivola a terra, le accarezza il seno, lei cede e alla fine si amano su quel divano ancora caldo.

Ma non è finita qui! Perché Pietro, attirato dalle urla di sua moglie, accorre nella stanza ed apre la porta. Vede la moglie a seno nudo, distesa, tra le braccia di Byron. «Che succede qui?» Chiede. Byron, con la prontezza di un attore consumato, risponde: «Vostra moglie si è sentita male, è svenuta. Le ho slacciato il corpetto per farla respirare. Suvvia fate in fretta! Non è il momento per le spiegazioni. Portatela fuori, fatele prendere un po’ d’aria.» Pietro, confuso e spaventato, annuisce, ma non chiede altro, né quella sera né il giorno dopo.

La storia però, grazie alla cognata vendicativa, corre di bocca in bocca. A mezzogiorno, i colombi di San Marco sembrano cinguettare il pettegolezzo: la moglie del mercante è l’amante del poeta inglese. Anche se a Venezia la gelosia non è di moda, i duelli per amore sono sconosciuti, e le donne sposate con amanti sono la norma, per Pietro, il cornuto, è tuttavia un’umiliazione pubblica e i suoi affari vacillano.

Marianna, però, non si pente, continua a vedere Byron, a donare le sue grazie al poeta, a farci l’amore, ma il loro legame si incrina. Lui non le fa più i regali di un tempo e il tenore di vita di Marianna ormai è troppo alto per cui, a corto di denaro, commette un errore fatale, vende il diadema che Byron le aveva regalato.

Per uno scherzo del destino, il gioiello finisce di nuovo in mano al poeta, che lo ricompra. Quando lo restituisce a Marianna il suo sguardo è freddo e le dice: «Siete stata il mio primo sogno veneziano. Ma i sogni finiscono.»

A quel punto Byron lascia la casa, non senza un ultimo gesto di generosità: paga i debiti di Pietro, salvandolo dal fallimento. Marianna resta sola, con i suoi ricordi e il diadema, simbolo di un amore breve e libertino. Mentre guarda il canale dalla finestra, sa che Venezia dimenticherà presto. Ma lei, la gazzella di Byron, porterà per sempre il peso di quella passione, dolce come il suo canto e amara come l’acqua della laguna.


 



ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
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