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I RACCONTI DI ARTE PASSIONE


L'attrazione artistica
La storia tra Maria Teresa Cayetana e Francisco Goya
Maria era una delle donne più chiacchierate e in vista del suo tempo. Frequentava l’ambiente dei toreri e dei “majos” ovvero i gigolò del ‘700 madrileno. Era il 1795, in una serata afosa di primavera, quando incontrò Francisco Goya...




 

 
Maria era una delle donne più chiacchierate e in vista del suo tempo. Frequentava l’ambiente dei toreri e dei “majos” ovvero i gigolò del ‘700 madrileno. Seguendo i suoi istinti e i suoi capricci esagerati era solita travestirsi ed andare in incognito di notte nei quartieri malfamati di Madrid e di Siviglia..

A Madrid, sotto il cielo infuocato del tardo Settecento, Maria Teresa Cayetana de Silva, duchessa d’Alba, viveva come un fuoco che nessuno poteva domare. Era una donna che incarnava il desiderio e la ribellione, una figura che attraversava i salotti nobiliari con la stessa disinvoltura con cui si perdeva nei vicoli oscuri della città. La sua bellezza, con quei capelli neri come la notte e gli occhi che sembravano custodire segreti inconfessabili, era leggendaria. Ma non era solo il suo aspetto a renderla la donna più chiacchierata di Spagna: Maria viveva seguendo i suoi capricci, incurante delle convenzioni e delle occhiate scandalizzate della nobiltà.

Di giorno, la duchessa presiedeva le sontuose dimore sue e del marito, José María Álvarez de Toledo, circondata da poeti, musicisti e artisti. Di notte, però, si trasformava. Travestita da popolana, con un mantello scuro e il viso nascosto da un velo, si avventurava nei quartieri malfamati di Madrid e Siviglia. Frequentava i "majos", i seduttori sfacciati che popolavano le taverne, e si mescolava ai toreri, uomini rudi che incarnavano una virilità lontana dai rigidi codici aristocratici. Si diceva che ballasse il fandango fino all’alba, che ridesse forte e che pagasse generosamente per il vino e il piacere. La sua vita dissoluta era un atto di sfida contro un mondo che pretendeva da lei compostezza e obbedienza.

Era il 1795, in una serata afosa di primavera, quando Maria incontrò Francisco Goya. Lui, un pittore già celebre ma dal carattere irrequieto, era stato invitato in una delle residenze dei duchi per un ricevimento. La sala era illuminata da candelabri d’argento, l’aria densa di profumi e risate. Maria, avvolta in un abito di seta nera che esaltava la sua figura, si muoveva tra gli ospiti come una regina.

Goya, con i suoi 49 anni e un’espressione che tradiva una curiosità vorace, la osservò da lontano. Quando i loro sguardi si incrociarono, fu come se il tempo si fermasse. Lei gli sorrise, un sorriso malizioso che prometteva guai, e si avvicinò.
"Signor Goya…" Disse, la voce bassa e vellutata. "Dicono che i vostri pennelli sappiano catturare l’anima. Pensate di riuscire a catturare la mia?"
Lui, senza distogliere lo sguardo, rispose: "Duchessa, la vostra anima è un fuoco. Non so se un quadro possa contenerlo, ma ci proverei volentieri."

Quella notte parlarono a lungo, lontano dagli altri in una saletta appartata. Lei gli raccontò delle sue scorribande notturne, dei vicoli di Madrid dove si sentiva viva, delle passioni che la consumavano. Goya, affascinato, non vedeva in lei solo una nobildonna, ma una musa, una donna che sfidava il mondo con la sua libertà e il suo modo di vivere oltre le convenzioni. Da quel momento, un legame pericoloso cominciò a nascere tra i due.

Dopo la morte del marito nel 1796, Maria si ritirò per un periodo sulle coste andaluse, a Sanlúcar de Barrameda. Si sentiva sola ed affranta e una bella mattina di primavera scrisse una lettera a Goya pregandolo di raggiungerla.

Sanlúcar de Barrameda, primavera 1796
Caro Francisco,
il mare qui è un lamento che si intreccia al mio cuore. Da quando José mi ha lasciata, il silenzio di questa casa è diventato insopportabile, rotto solo dal suono delle onde e dai miei pensieri, che si fanno sempre più pesanti. Sanlúcar è bella, ma senza compagnia è solo un guscio vuoto, un riflesso della solitudine che mi porto dentro.
Ti scrivo perché sento che tu, più di chiunque altro, potresti capire. I tuoi occhi, quella sera a Madrid, hanno visto oltre la mia maschera, oltre la duchessa che tutti ammirano o temono. Ho bisogno di quella tua luce, del tuo modo di guardare il mondo, che sa trovare bellezza anche nelle ombre.
Ti prego, vieni da me. Porta i tuoi pennelli, il tuo spirito ribelle, e quella scintilla che accende le nostre conversazioni. Voglio mostrarti il mare al tramonto, camminare con te sulla sabbia, ridere come facevamo prima che il lutto mi rubasse il respiro. Forse, insieme, potremmo ritrovare un po’ di vita in questo luogo che ora mi sembra così lontano dal mondo.
Non tardare, Francisco. La primavera è troppo breve, e io non so quanto ancora potrò sopportare questa malinconia.
Con l’affetto che solo tu sai ispirarmi,
Maria Teresa Cayetana de Silva”


Fu lì, tra il suono delle onde e il calore dell’estate, che lei gli confessò il suo desiderio: voleva essere immortalata, non come una duchessa, ma come una donna vera, viva, scandalosa. "Voglio che mi dipingi come sono," gli disse una sera, mentre il sole tramontava. "Non come una santa o una dea, ma come una Maja, una donna che non ha paura di mostrarsi."

Goya, sedotto dalla sua audacia, accettò. Ma il progetto era rischioso: in Spagna, le immagini di nudo erano proibite, considerate un affronto alla morale e alla Chiesa. Eppure, Maria non aveva paura. "Se l’Inquisizione vuole bruciarmi, che lo faccia!" Disse ridendo, mentre si sdraiava su un divano, i capelli sciolti e lo sguardo provocante. "Ma prima, che il mondo mi veda."

Il rapporto tra Maria e Goya si trasformò presto in qualcosa di più di una collaborazione artistica. Durante le lunghe sessioni di posa, in quella penombra, si creò una complicità che andava oltre le parole. Lei lo provocava, si muoveva con una sensualità studiata, lasciava cadere il velo che la copriva con un gesto lento, sapendo di turbarlo. Goya, con il pennello in mano, cercava di mantenere il controllo, ma i suoi occhi tradivano il desiderio. "Siete un diavolo, Cayetana." Mormorò una volta, mentre dipingeva la curva del suo fianco.

Non ci sono prove certe che la loro relazione sia diventata fisica, ma le voci dell’epoca e la passione che traspare dai dipinti suggeriscono un’intimità profonda. Quando dipinse La Maja desnuda, Goya non stava solo creando un’opera d’arte: stava catturando l’essenza di Maria, la sua sfrontatezza, la sua gioia nel mostrarsi senza pudore. La tela, con i peli pubici dipinti per la prima volta nella storia dell’arte occidentale, era un atto di ribellione condiviso, un segreto tra loro due. Nella Maja vestida, invece, Maria appare quasi beffarda, come se sfidasse l’osservatore a immaginare ciò che si nascondeva sotto il tessuto.

Le loro giornate insieme erano fatte di risate, confidenze e momenti rubati. Lei gli raccontava delle sue avventure, lui le parlava dei suoi incubi e delle ombre che lo perseguitavano. Nonostante la differenza d’età, si capivano come pochi altri. Maria vedeva in Goya un uomo che non la giudicava, che celebrava la sua libertà. Goya vedeva in lei una musa che lo spingeva a superare i limiti dell’arte.

Ma chi era davvero la Maja? Sappiamo che in quel periodo Manuel Godoy, il potente primo ministro aveva commissionato a Goya il ritratto della sua bellissima amante Pepita Tudó. Goya a quel punto per non deludere le due donne fuse i tratti di entrambe, creando una donna che era al tempo stesso Cayetana e un’ideale di femminilità ribelle. La disarmonia tra il viso e il corpo della modella alimentò le speculazioni: due donne, un solo quadro, un enigma che nessuno riuscì a risolvere.

L’estate del 1802 portò con sé la tragedia. Maria, a soli 40 anni, si ammalò gravemente. La sua agonia fu lunga e dolorosa, e morì senza riprendere conoscenza il 23 luglio. Le voci si moltiplicarono: tubercolosi, avvelenamento, persino un complotto ordito dalla regina. La verità rimase nascosta, come tanti altri aspetti della sua vita. Lasciò una figlia adottiva, Maria de la Luz, e un vuoto che Madrid non avrebbe mai colmato.

Goya, devastato, continuò a dipingere, ma qualcosa in lui si spezzò. Per ventisei anni portò con sé il ricordo di Cayetana, la musa che aveva incendiato la sua arte e il suo cuore. La Maja desnuda e La Maja vestida rimasero come testamento del loro legame, dipinti che ancora oggi turbano e affascinano, custodi di un mistero che appartiene solo a loro due.

E così, Maria Teresa Cayetana de Silva, la duchessa che visse senza catene, continua a vivere nei suoi ritratti, con quello sguardo malizioso che sembra dire: "Guardatemi, e non dimenticatemi mai."

 



ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
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