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I RACCONTI DI AMARSI CHE CASINO
 
Margherita della Rovere
Un amore proibito a Monferrato
Nelle colline di Casale, Margherita della Rovere attendeva Carlo II, il duca che sfidava il destino per lei. Le sue lettere, ardenti di passione, accendevano il suo cuore in segreto. Sotto un cielo d’autunno, il loro amore proibito trovò rifugio in una notte rubata al mondo....



 
Nel cuore della corte mantovana, tra i velluti cremisi e gli affreschi dorati del Palazzo Ducale,
Margherita della Rovere si muoveva leggiadra come un’ombra di seta. I suoi occhi, di un castano caldo come il legno di ciliegio, facevano sussultare i cuori dei cortigiani. Era una nobildonna di Casale Monferrato, cresciuta tra le colline del Monferrato, ma la sua bellezza e il suo spirito l’avevano portata alla corte dei Gonzaga, come damigella al servizio di Maria Gonzaga, madre del giovane Carlo II.

Correva l’anno 1637, e Carlo, un fanciullo di appena otto anni, era l’erede designato del ducato di Mantova. Orfano di padre, sotto la reggenza severa, ma saggia della madre, cresceva in un mondo di precettori e doveri, ma anche di sfarzo e promesse. Margherita, ormai donna, era stata scelta da Maria per intrattenere il piccolo duca, per distrarlo con la sua grazia mentre la madre amministrava il ducato. Le mani di Margherita, abili nel ricamo, si muovevano leggere sul telaio, e il suo canto sommesso accompagnava le lunghe giornate di Carlo, che la guardava con occhi pieni di meraviglia infantile. “Margherita, raccontami ancora di quelle colline di Casale.” Le diceva il piccolo duca, seduto ai suoi piedi, mentre lei intrecciava fili di seta. “Le colline, mio signore?” Rispondeva lei con un sorriso. “Sono verdi come smeraldi in primavera, e il vento porta il profumo del vino nuovo. Ma qui, a Mantova, il tuo palazzo brilla più di ogni collina.” Carlo rideva, incantato, e già allora, in quel cuore di bambino, si accendeva un’ammirazione che, col tempo, sarebbe divenuta fuoco.

Gli anni passarono, e il fanciullo divenne uomo. Nel 1647, Carlo II, ormai diciottenne, prese le redini del ducato sostituendo sua madre. Ma il suo cuore, ormai, apparteneva a Margherita. Lei, molto più matura, era diventata il suo sogno proibito. Le loro conversazioni si erano fatte più intime, i loro sguardi più lunghi. Nei giardini di Palazzo Te, lontano dagli occhi dei cortigiani, Carlo le aveva confessato il suo amore. “Margherita.” Le aveva detto una sera, sotto un cielo trapunto di stelle, prendendole la mano, “Tu sei la mia luce in questa corte di ombre. Ogni giorno senza di te è un giorno senza sole.” Lei aveva abbassato lo sguardo: “Mio signore, io sono solo una damigella. La tua vita è destinata a una sposa di rango, a un futuro che non può includermi.”
“Al diavolo il rango!” Aveva esclamato Carlo, con la foga della giovinezza. “Il mio cuore non conosce corone, conosce solo te.” Ma la madre di Carlo, guardinga e inflessibile, aveva intuito il pericolo. Margherita, con la sua bellezza e la sua età, rappresentava una minaccia alla stabilità della dinastia.

E così con un ordine secco, Maria Gonzaga, la fece allontanare dalla corte. Fu rimandata a Casale, come una rosa recisa dal giardino di Mantova. Carlo, furioso, ma impotente al volere della madre, non poté opporsi. La separazione fu un colpo al cuore per entrambi. A Casale, Margherita viveva in una dimora modesta, circondata dai vigneti e dai ricordi. Ogni sera, seduta accanto alla finestra, rileggeva le lettere di Carlo, che arrivavano di nascosto, portate da messaggeri fidati. Le sue parole erano fuoco sulla carta:
“Margherita, mia dolce musa, ogni giorno senza di te è un’agonia. Aspettami, verrò da te, lo giuro. Nessuna corona può spegnere ciò che sento.” La madre intanto, per garantire la continuità della stirpe, allacciava rapporti per procurare al figlio una moglie degna per la stirpe, individuandola in Isabella Clara, figlia di Leopoldo V d'Austria.

Carlo che non ne voleva sapere mantenne la promessa a Margherita e in una notte d’autunno del 1648, sotto un cielo di velluto nero, raggiunse Margherita in una piccola dimora tra le colline di Casale. La stanza era illuminata solo da un camino e il profumo di legna bruciata si mescolava a quello dei gelsomini che Margherita aveva raccolto quel mattino. “Margherita.” Sussurrò Carlo, avvicinandosi a lei, i suoi occhi che brillavano di desiderio e tormento. “Non posso vivere senza di te. Ogni palazzo, ogni titolo, è nulla se non sei al mio fianco.”
Lei lo guardò, combattuta tra il desiderio e la paura. “Carlo, il tuo mondo non è il mio. Tua madre… la tua sposa… I tuoi doveri…”
“Non parlare di lei.” La interruppe lui. “Isabella è un dovere, ma tu sei il mio cuore. Dimmi che mi ami, Margherita, dimmelo e io sfiderò il mondo per te.”
“Ti amo.” Confessò lei, con un filo di voce, mentre una lacrima le rigava il volto. “Ti ho sempre amato, fin da quando eri un bambino che sognava colline lontane.”
Margherita, con il suo abito di seta azzurra che aderiva appena alle sue forme si scostò leggermente. Nei suoi occhi brillava ancora un’ombra di dubbio, ma Carlo non si arrese: “Margherita.” Sussurrò con la voce carica di un desiderio che aveva covato per anni. “Non c’è nulla in questo mondo che io voglia più di te. Ogni giorno, ogni ora, il mio pensiero è tuo.” Si avvicinò e Margherita sentì chiaro e forte il battito del suo cuore. Lei abbassò lo sguardo, le dita che tremavano leggermente. “Carlo, io… io ti amo.” Disse di nuovo. “Ma questo amore è un fuoco che potrebbe consumarci. Tua madre, la tua sposa, il tuo ducato… cosa sono io, se non una damigella che il destino ha voluto lontano da te? Se mi concedo a te, cosa resterà di me?”

Carlo si inginocchiò davanti a lei, un gesto che azzerava ogni distanza tra il duca e la damigella. Le sue mani salirono lente lungo le sue braccia, sfiorando la seta dell’abito, fino a posarsi sul suo seno. “Tu sei tutto, Margherita. Lascia che io sia tuo, anche solo per questa notte.” Le sue parole erano come un vino dolce, che scioglieva le resistenze di Margherita, ma non i suoi timori. Lei chiuse gli occhi, combattuta. Sentiva il calore di quelle mani, il suo profumo di cuoio e spezie, la promessa di un piacere che aveva sognato nelle notti solitarie a Casale, ma allo stesso tempo avvertiva il rischio, il giudizio della corte, la perdita di sé, la consapevolezza che il loro amore sarebbe stato sempre un segreto rubato o peggio una vergogna indelebile. “E se questo ci distruggesse?” Mormorò, quasi a se stessa. Carlo non rispose. Si alzò, il suo viso ora a un soffio dal suo, e con un gesto lento, quasi reverente, scostò una ciocca di capelli di lei, sfiorandole la guancia.

Quel tocco fu come una scintilla. Margherita trattenne il respiro, il suo corpo che si tendeva verso di lui, tradendo i suoi stessi dubbi. “Non c’è distruzione in ciò che è vero.” Sussurrò lui, e poi la baciò. Fu un bacio che cancellò ogni pensiero. Le labbra di Carlo erano calde, esigenti, ma cariche di una dolcezza che parlava di anni di attesa, di lettere scritte nel cuore della notte, di sogni che avevano sfidato la distanza. Margherita si abbandonò, le sue mani che cercavano il suo petto, aggrappandosi alla stoffa della sua camicia come se fosse l’unica àncora in un mare di desiderio. I loro respiri si mescolarono, rapidi, affamati, e il mondo – le colline, i vigneti, le paure – svanì in un istante.

Le mani di Carlo scivolarono lungo la sua schiena, sciogliendo i lacci del corsetto con una lentezza che era insieme tormento e promessa. Ogni tocco era una dichiarazione, ogni carezza un giuramento. Margherita sentì il suo corpo rispondere, un calore che si accendeva nel profondo, un desiderio che non poteva più negare. “Carlo…” Sussurrò, ma il suo nome si perse in un altro bacio, più profondo, più passionale. Lui la guidò verso il letto, un semplice giaciglio coperto di lino, ma che in quella notte sembrò un altare per il loro amore. La seta dell’abito di Margherita scivolò via, lasciando la sua pelle nuda alla luce del camino, e Carlo si fermò, incantato, come se stesse ammirando una dea. “Sei bellissima.” Disse. “Non ho mai desiderato nulla come desidero te.”

Margherita, ormai priva di difese, lo attirò a sé. I suoi dubbi, le sue paure, si dissolsero nel calore del suo abbraccio. “Allora prendimi. Fammi tua, almeno per questa notte.” E in quella notte, tra quelle lenzuola candide Margherita si concesse a lui. Fu un’unione di corpi e anime, un intreccio di passione e tenerezza, di bramosia e venerazione. Carlo la amava con l’ardore di un uomo che aveva atteso troppo a lungo, ma anche con la cura di chi sa che ogni istante è prezioso. Margherita, liberata dai suoi timori, si abbandonò al piacere, al ritmo dei loro corpi che si cercavano, si perdevano, si ritrovavano.

Quando l’alba tinse le colline di rosa, Margherita giaceva tra le braccia di Carlo, il suo respiro calmo contro il suo petto. Il mondo fuori da quella stanza sarebbe tornato a reclamare i suoi doveri, ma in quel momento, nulla poteva toccarli. Margherita aveva ceduto al suo amore, e in quel dono aveva trovato non la rovina, ma una verità che avrebbe portato con sé per sempre: lei era stata, anche solo per una notte, il cuore del duca di Mantova.

Margherita, con la sua dolcezza e il suo ardore, divenne il rifugio segreto di Carlo, il sogno che nessuna reggenza poteva cancellare. Più volte all’anno, sfidando la madre e le convenzioni, Carlo si recava nel Monferrato, sotto il pretesto di ispezioni o cacce. Ma come promesso dalla madre nel 1649, Carlo fu costretto a sposare Isabella Clara d’Austria, una donna che non avrebbe mai amato. Margherita, relegata a Casale, divenne un ricordo che Carlo custodiva nel cuore, un amore che continuava a vivere nelle lettere e nei fugaci incontri clandestini.

Anche quando il duca divenne padre di Ferdinando Carlo, il suo pensiero tornava sempre a lei, alla damigella che aveva acceso il suo cuore in un tempo ormai lontano. Isabella Clara, da parte sua, ripagò il marito duca delle sue tresche amorose frequentando un esponente della corte, il conte Carlo Bulgarini. Margherita, dal canto suo, non si piegò mai all’amarezza. Visse la sua vita a Casale, tra i filari di vite e i ricordi di un amore che, pur proibito, era stato vero. E nelle notti più silenziose, quando il vento portava l’eco di Mantova, chiudeva gli occhi e immaginava Carlo, il suo duca, che la cercava ancora tra le stelle.





IMMAGINE GENERATA DA IA
ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
 






 
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