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I RACCONTI DI AMARSI CHE CASINO


LA FURIA DELLA FORNARETTA
L'amante campagnola di lord
Byron a Venezia
Venezia, estate del 1817. Lord Byron, ha fatto di Palazzo Mocenigo
il suo regno di piacere. Ma fra le tante donne una fa breccia nel
suo cuore. Si tratta di Margherita Cogni, detta la Fornaretta. Byron
la incontra per caso, in una calle vicino a Rialto...

Venezia, estate del
1817. Lord Byron, il poeta inglese dal volto angelico e
dall’anima tormentata, ha fatto di Palazzo Mocenigo,
affacciato sul Canal Grande, il suo regno di piacere. È
arrivato in città da meno di un anno, lasciandosi alle
spalle un matrimonio fallito, una figlia, Augusta Ada, e
un groviglio di scandali tra cui le voci di un legame
incestuoso con la sorellastra Augusta Leigh, accuse di
omosessualità, pettegolezzi che lo inseguono come ombre.
A Venezia, però, trova rifugio. La città, con i
suoi canali e i suoi vizi, lo accoglie come un figlio
prodigo, offrendogli un palcoscenico pieno di luci per
le sue passioni. Palazzo Mocenigo diventa bene presto un
crocevia di donne, un via vai di decolleté audaci e
generosi e sete fruscianti orlate di pizzi preziosi. Un
connubio di fascino, dissoluzione e un vero alveare di
eleganza fugace. Il trucco studiato, le labbra tinte di
un rosso, i capelli, raccolti in elaborate acconciature
impreziosite da fermagli d'argento e fiori freschi. La
loro bellezza è un misto di sensualità sfrontata e di
languida eleganza, un richiamo irresistibile per il
poeta.
Le due entrate di cui è dotato il palazzo
permettono alle ospiti di non incrociarsi. Le dame
avvolte in mantelli di velluto accedono al calar della
sera attraverso una porta che dà su un rio tranquillo,
mentre alle prime luci dell'alba o nel cuore della notte
escono con un’andatura più frettolosa lasciando dietro
di loro scie di profumo inebriante. I loro vestiti
stropicciati raccontano storie di incontri passionali e
promesse di futuri incontri.
Ed è lì che si
incontrano le intellettuali come Isabella Albrizzi e
Marina Benzoni, che discettano di poesia nei salotti,
oppure popolane, prostitute, mogli di ciabattini, tutte
attratte dal fascino magnetico del poeta. Byron, nel suo
Don Juan, le descriverà con cinismo: «finte sante, ma
tutte puttane». Il suo elenco di conquiste è una litania
di nomi, tra i quali Arpalice Tarruscelli, «la più
graziosa baccante del mondo», la nobildonna Da Mosta,
che gli regalò una gonorrea gratuita, e poi Lotti,
Spineda, Rizzato, Eleonora, Carlotta, Giulietta, fino
all’amante del re di Napoli. Ma tra tutte, una donna si
staglia come una tempesta: Margherita Cogni, detta la
Fornaretta.
Byron la incontra per caso, in una
calle vicino a Rialto. È una ragazza di campagna, poco
più che ventenne, con la pelle abbronzata dal sole e
occhi neri che bruciano di una vitalità selvaggia. Con i
suoi capelli, lunghi e disordinati e il corpo scolpito
dalla fatica e dalla fame è distante dalle donne amate
finora dal poeta. Non ha la grazia studiata delle
cortigiane, né l’eleganza delle nobildonne, ma la sua
bellezza è primordiale. Byron, che ha visto donne di
ogni rango, resta folgorato. «È una tigre!» Scrive a un
amico. «Una creatura che non appartiene a questa città
di specchi, ma alle colline selvagge da cui viene.» La
chiama la Fornaretta, per il suo passato di aiutante in
un forno, ma in lei vede una musa, una forza della
natura.
La loro relazione è un incendio.
Margherita non è come le altre: non si accontenta di una
notte o di un regalo. È possessiva, passionale, senza
filtri. Quando Byron la invita a Palazzo Mocenigo, lei
non si limita a visitarlo: si trasferisce. Porta con sé
pochi stracci, un coltello da cucina – «per difendermi o
per cucinare», dice ridendo – e una presenza che riempie
ogni stanza. La convivenza è un turbine di risate,
litigi e amplessi.
Margherita cucina per lui,
canta canzoni popolari con una voce roca, ma potente, e
lo sfida con la sua lingua tagliente. «Milord, voi
scrivete poesie, ma io vivo poesie!» Gli dice una sera,
mentre bevono vino rosso su una terrazza che guarda il
canale. Byron, per la prima volta, si sente quasi
sopraffatto. Lei non è solo una conquista: è una
compagna, una rivale, una tempesta.
A Palazzo
Mocenigo, Margherita regna come una regina contadina.
Scaccia le altre donne con insulti e, a volte, con
schiaffi. Quando una cortigiana si presenta
all’ingresso, la Fornaretta la affronta con un mestolo
in mano, gridando: «Questa casa è mia, e milord pure!»
Byron, divertito, la lascia fare. Scrive di lei con un
misto di ammirazione e ironia: «È una furia, ma una
furia magnifica. Non ho mai conosciuto una donna così
viva.» La loro vita insieme è un caos glorioso: di
giorno, lui scrive e riceve ospiti; di notte, si perdono
l’uno nell’altra, mentre il Canal Grande riflette le
loro ombre.
Ma Byron non è uomo da legami. La sua
fame di novità, di corpi diversi, è insaziabile. Con il
passare dei mesi, si stanca della possessività di
Margherita. Le sue scenate, un tempo divertenti,
diventano un peso. Inizia a invitare altre donne a
Palazzo Mocenigo: una prostituta dal Ponte delle Tette,
pagata pochi ducati; una cantante lirica che gli
sussurra arie d’opera; una nobildonna che gli offre
pettegolezzi e champagne. Margherita lo scopre, come
scopre tutto. Una sera, trova un fazzoletto di seta
dimenticato sul letto di Byron, profumato di lavanda.
«Chi è stata qui?» Urla, brandendo il coltello da
cucina. Byron, con il suo sorriso beffardo, risponde:
«Una donna, Margherita. Ce ne saranno altre. Non sei la
mia padrona.»
Quelle parole la spezzano.
Margherita, che ha dato tutto – il suo corpo, il suo
orgoglio, la sua vita – si sente tradita. Litigano per
giorni, le urla echeggiano nel palazzo. Lei lo implora,
lo insulta, lo minaccia. «Senza di me, milord, sarete
solo un’ombra!» Gli grida, gli occhi pieni di lacrime.
Ma Byron è già altrove, perso nei suoi versi e nelle sue
nuove amanti. Una notte, dopo l’ennesimo litigio, le
dice di andarsene. «Torna al tuo forno, Fornaretta…» Le
sussurra, crudele. «Qui non c’è più posto per te.»
Margherita non supplica. Raccoglie i suoi stracci,
il coltello, e lascia Palazzo Mocenigo senza voltarsi.
Ma il dolore la divora. Per giorni vaga per Venezia,
dormendo in locande malfamate, bevendo vino scadente per
dimenticare. La città, che un tempo le sembrava un
sogno, ora è un labirinto di tradimenti. Una sera,
ubriaca e disperata, si ferma sul Ponte di Rialto. Il
Canal Grande luccica sotto di lei, nero e invitante. «Se
non mi vuole lui, non mi vuole nessuno.» Con un gesto
improvviso, si getta nelle acque gelide.
Il suo
corpo viene ripescato all’alba da un gondoliere. La
notizia corre veloce: la Fornaretta, la tigre di Byron,
si è uccisa per amore. A Palazzo Mocenigo, il poeta
riceve la notizia con un bicchiere di brandy in mano.
Scrive una riga nel suo diario: «Margherita, povera
creatura. Era troppo viva per questo mondo.» Ma non
versa lacrime. Quella sera, una nuova donna varca la
soglia del palazzo, e il Canal Grande continua a
scorrere, indifferente. Venezia, città di specchi e
ombre, dimentica presto la Fornaretta, ma il suo grido
resta, come un’eco tra i canali. |

ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
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