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CHE CASINO

Jacqueline de Bueil
Un’ascesa tra ambizione
e passione
La Contessa di Moret è conosciuta per essere
stata un'amante del re Enrico IV di Francia.
Ripudiata dal primo marito usò tutto il suo fascino
per arrivare a conquistare il re. Tuttavia, la sua
natura inquieta la portò a continuare a intrecciare
relazioni, mantenendo viva la sua fama di amante
insaziabile. (1588 – Moret-sur-Loing, 1651)

Nella Francia del tardo
Cinquecento, Jacqueline de Bueil, nata nel 1588 da una
famiglia aristocratica impoverita, si muoveva tra le
ombre di un destino che sembrava già scritto. Figlia di
Claude de Bueil e Catherine de Monteclerc, la giovane
Jacqueline crebbe in un mondo di ambizione sfrenata e la
sua bellezza, del resto, rappresentava il suo biglietto
d’ingresso in un’arena di intrighi e desideri come la
corte francese.
Nel 1604, a soli sedici anni,
Jacqueline sposò Filippo de Harley de Champvallon, conte
di Cesy. Il matrimonio, combinato per rafforzare legami
tra famiglie, si rivelò un’unione sterile, non solo per
l’assenza di figli, ma anche per la mancanza di calore e
complicità. Filippo, freddo e distante, sembrava più
interessato alle ambizioni diplomatiche che alla giovane
sposa. Dopo tre anni, nel 1607, il matrimonio fu
annullato, un’umiliazione pubblica che segnò Jacqueline
come una donna “scartata”.
Quel ripudio la ferì
profondamente. Si sentiva come un gioiello messo da
parte per un difetto che non riusciva a comprendere. La
società aristocratica, con i suoi sussurri velenosi, la
faceva sentire inadeguata, ma al contempo accendeva in
lei un forte senso di rivalsa. Jacqueline non era una
donna da accettare la sconfitta. Il suo cuore ferito si
riempì di un desiderio bruciante: non solo essere
accettata, ma diventare indispensabile e soprattutto una
figura che nessuno avrebbe mai più osato scartare.
Decisa a riscrivere il suo destino, Jacqueline si
immerse nella vita mondana, frequentando i salotti più
esclusivi e le corti dove il potere e il piacere si
intrecciavano. La sua bellezza, il suo spirito vivace e
la sua capacità di conversare con arguzia la resero
presto un’ospite ambita. Cominciò a intrecciare
relazioni con uomini di alto rango, tra cui Claudio di
Lorena, principe di Joinville, e il duca di Chevreuse.
Questi legami non erano solo capricci, ma mosse
calcolate: ogni amante era un gradino verso l’alto, un
modo per costruire una rete di influenza e protezione.
Così che la sua fama di donna affascinante e
disinibita iniziò a diffondersi, trasformandola in una
figura enigmatica, una femme fatale che attirava sguardi
e pettegolezzi. Ogni relazione alimentava il suo
desiderio di essere vista, non solo come un oggetto di
desiderio, ma come una donna capace di plasmare il
proprio destino. Tuttavia, il suo cuore anelava a
qualcosa di più grande: un riconoscimento che solo il
vertice della società poteva offrirle. E quel vertice
aveva un nome: Enrico IV, il re di Francia.
Correva l’anno 1607, e Jacqueline, ormai libera dal
vincolo matrimoniale, si ritrovò a una fastosa festa
alla corte di Fontainebleau. La sala, illuminata da
candelabri dorati, brulicava di nobili in abiti di seta
e velluto, mentre il suono di liuti e risate riempiva
l’aria. Jacqueline, avvolta in un abito di seta color
zaffiro che esaltava i suoi lineamenti delicati, si
muoveva con grazia tra la folla, consapevole degli
sguardi che la seguivano. Fu allora che i suoi occhi
incontrarono quelli di Enrico IV.
Il re, un uomo
di quasi cinquant’anni, con un fascino ruvido e
un’energia che lo rendeva irresistibile, era noto per il
suo appetito per le donne e per la sua abilità nel
corteggiamento. Quando posò lo sguardo su Jacqueline,
qualcosa in lui si accese. Non era solo la sua bellezza
a colpirlo, ma il modo in cui lei si muoveva, con una
sicurezza che nascondeva una fragilità appena
percettibile. Si avvicinò a lei con un sorriso
malizioso, offrendole una coppa di vino e un complimento
che oscillava tra il galante e l’audace: “Madame, i
vostri occhi brillano più delle luci di questa sala.
Ditemi, chi ha osato lasciarvi libera di incantare un
re?” Jacqueline, esperta nel gioco della seduzione,
rispose con un sorriso altrettanto audace: “Sire, forse
il destino ha voluto che fossi libera per servire un
uomo degno della mia devozione.” Quelle parole cariche
di sottintesi, fecero ridere Enrico, che riconobbe in
lei una donna diversa dalle altre cortigiane: non solo
bella, ma intelligente e pronta a sfidarlo.
Da
quelle volta il corteggiamento di Enrico fu un turbine
di attenzioni. Le inviava lettere scritte con una
calligrafia elegante, piene di versi poetici e promesse
di protezione. La invitava a cene private nei suoi
appartamenti, dove conversavano di politica, arte e
desideri, trovando un’intesa che andava oltre il
semplice desiderio fisico. Jacqueline, consapevole del
potere che esercitava su di lui, giocava le sue carte
con maestria: lo teneva a distanza quanto bastava per
alimentare la sua brama, ma gli concedeva sorrisi e
sguardi che lo tenevano avvinto.
Enrico, uomo di
passioni intense, era affascinato dalla sua capacità di
essere al contempo sofisticata e selvaggia. Le regalò
gioielli, un cavallo bianco e persino una piccola
dimora, ma Jacqueline non si lasciava comprare
facilmente: voleva essere amata, non solo posseduta.
Questo gioco di potere e seduzione durò settimane,
finché una sera, durante una passeggiata nei giardini di
Fontainebleau, sotto un cielo stellato, Enrico le prese
la mano e le sussurrò: “Jacqueline, smettetela di
tormentarmi. Concedetemi il vostro cuore, e vi prometto
che il mio regno sarà ai vostri piedi.” Jacqueline, con
un sorriso che mescolava malizia e dolcezza, inclinò
leggermente il capo, lasciando che il chiaro di luna
accendesse i suoi occhi. Stringendo appena la mano di
Enrico, rispose: “Sire, il mio cuore è un premio che si
conquista e non si compra con un regno. Vi prego
dimostratemi che il vostro ardore è degno del mio
affetto.” Le sue parole, cariche di seduzione e
autorità, fecero accendere un sorriso complice sul volto
di Enrico, che riconobbe in lei una donna capace di
tenergli testa.
La prima notte insieme fu
un’esplosione di passione e complicità. Enrico, carico
di un desiderio che aveva alimentato per settimane, la
condusse nei suoi appartamenti privati. Jacqueline,
esperta nell’arte dell’amore e sicura di sé, non era
intimidita dalla regalità del suo amante. Con un gesto
lento e carico di sensualità, lasciò cadere il mantello,
svelando le sue curve generose fasciate da un
leggerissimo abito di seta. Enrico, travolto dalla sua
audacia, la strinse a sé, il suo respiro caldo contro il
collo di lei. “Siete un fuoco che brucia, Jacqueline.”
Mormorò, mentre le sue mani esploravano il suo corpo con
una passione che tradiva anni di esperienza. Lei, con un
sorriso complice, rispose guidandolo con gesti esperti,
trasformando quella notte in un balletto di desiderio e
abbandono. Ogni tocco, ogni bacio, ogni respiro era un
dialogo silenzioso. Jacqueline, con la sua sensualità
calcolata, rispondeva alla foga di Enrico con una grazia
che lo lasciava senza fiato, rendendo quella notte
indimenticabile per entrambi.
Dalla loro
relazione nacque Antoine de Bourbon-Bueil, nel 1608, un
figlio che Enrico legittimò immediatamente,
accogliendolo tra i suoi figli, legittimi e non, e
assicurandogli un’educazione degna di un principe.
Jacqueline, ormai contessa di Moret, aveva raggiunto
l’apice della sua ascesa: non era più la ragazza
ripudiata, ma una donna che aveva conquistato il cuore
del re. Tuttavia, la sua natura inquieta la portò a
continuare a intrecciare relazioni, come quella con
Claudio di Lorena, mantenendo viva la sua fama di amante
insaziabile.
Sette anni dopo l’assassinio di
Enrico IV nel 1610, Jacqueline trovò una nuova stabilità
sposando il cugino Giacomo du Bec René, marchese di
Vardes, con cui ebbe altri figli. La sua vita, segnata
da ambizione, passione e scandali, rimase un esempio di
come una donna, in un’epoca di rigide convenzioni,
potesse usare il proprio fascino e la propria
intelligenza per scolpire il proprio destino. Jacqueline
de Bueil morì nel 1651 a Moret-sur-Loing, lasciando
dietro di sé una leggenda che ancora oggi sussurra nei
corridoi della storia francese.
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L'articolo è a cura di Adamo Bencivenga IMMAGINE
GENERATA DA IA


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