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REPORTAGE

HANOI VIETNAM
Reportage sui Nha Nghi
L’umidità di Hanoi mi avvolge come un abbraccio soffocante, mentre
l’insegna al neon del Nha Nghi lampeggia rossa nel crepuscolo.
Entro, e Quyen, mi accoglie dietro il bancone. È l’inizio di una
serata che non dimenticherò...

Sono arrivato a Hanoi
con un taccuino pieno di domande e una curiosità che mi
pizzica la pelle. La città mi accoglie con il suo caos
ordinato. Motorini che sfrecciano come api impazzite e
venditori ambulanti che gridano tra il fumo dei
carretti. Il mio obiettivo? Raccontare i Nha Nghi,
(letteralmente “casa di riposo”), ossia motel a ore che,
nell’ultimo decennio, sono spuntati come funghi nelle
grandi città del Vietnam, diventando il rifugio di
amanti clandestini, coppie in cerca di privacy e, sì,
anche di prostituzione. Voglio capire cosa rende questi
luoghi così popolari e cosa dicono della società
vietnamita, che in Occidente immaginiamo rigida e
riservata.
È un mercoledì di metà ottobre, e il
caldo umido di Hanoi mi appiccica la camicia alla
schiena. Decido di iniziare dal distretto di Long Biên,
dove mi hanno detto che i Nha Nghi sono numerosi e
discreti. Mentre cammino incontro Lien, una prostituta
di 33 anni che accetta di parlarmi in cambio di un
caffè. Ci sediamo in un chiosco vicino al Ponte Long
Biên, dove l’aria sa di fiume e carburante. Mi dice
mescolando il caffè con un cucchiaino di plastica:
“Lavoro qui da dieci anni. Fino a otto clienti al
giorno, a volte nei Nha Nghi, a volte nei bagni
pubblici. Quattro euro a incontro. Non è una bella vita,
lo so, ma è meglio di niente.” Mi racconta di aver
contratto l’HIV da un ragazzo di passaggio che non era
un suo cliente abituale, e che i Nha Nghi sono più
sicuri perché i gestori tengono d’occhio la situazione.
“Non vogliono guai.” Aggiunge. Le chiedo se i Nha Nghi
hanno cambiato la città, e lei scrolla le spalle. “Non
hanno cambiato nulla. Hanno solo reso tutto più…
pratico.”
La mia prossima tappa è un caffè
nell’Old Quarter, dove incontro Thung, un trentenne che
si definisce “un ex donnaiolo”. Con la sua aria spavalda
mi racconta di aver usato i Nha Nghi per due anni,
portando a letto oltre trenta ragazze grazie alle
chatroom online. “Era un gioco. Bastavano un paio di
complimenti, una conversazione, e poi… tutto veniva
naturale. Le chatroom hanno reso tutto più veloce. Ne
contatti due e tre e la sera stessa esci con la più
bella, una passeggiata, un bacio, le tocchi le tette e
dopo ti ritrovi in un Nha Nghi a scopare.” Thung si è
sposato di recente, con la prima ragazza che ha messo
incinta, ma non sembra pentito delle sue avventure. “Qui
è normale.” Insiste. “Gli uomini, ma anche le donne,
cercano qualcosa di più. I Nha Nghi sono solo uno spazio
per farlo.”
A questo punto sono curioso di
visitare un Nha Nghi e il primo che incontro è un
edificio anonimo con un’insegna al neon che lampeggia in
rosso. L’ingresso è discreto, quasi nascosto. Qui
incontro Quyen, fa la receptionist di questo piccolo
hotel, è una donna sulla trentina con un sorriso
cordiale e un inglese spezzettato. Ha capelli lunghi,
neri e lisci, raccolti in una coda ordinata. La sua
pelle è chiara, tipica di molte donne vietnamite, e cura
il suo aspetto con un trucco leggero che mette in
risalto i suoi lineamenti delicati. Indossa un’uniforme
tradizionale.
È gentile, sorridente e
accogliente, mi offre un tè freddo ed allora le chiedo
dei Nha Nghi, e lei ride, come se la domanda fosse quasi
scontata. “Sa, qui non siamo come ci dipingete voi in
Europa. I vietnamiti amano divertirsi. Le storie
d’amore, le avventure… sono normali. E i Nha Nghi sono
molto utili. La tariffa è di tre dollari l’ora, cinque
per due ore. Praticamente una cifra ridicola per voi
occidentali.” Dopo aver risposto ad una telefonata
di lavoro riprende con un tono più confidenziale
raccontandomi che è tornata single da poco tempo e mi
parla del suo ex, un uomo d’affari che usava i motel per
incontrare tre, a volte quattro donne a settimana. “Non
riusciva a essere fedele. Qui è facile, troppo facile.”
Le chiedo se a fine turno può farmi visitare una
stanza, lei mi risponde che non ha molto tempo a
disposizione e qui la paga è misera. Intuisco che ha
bisogno di un extra e allora concordiamo una cifra per
il disturbo che al cambio mi sembra molto modesta.
Rimango in attesa nella piccola hall, lei dal bancone
ogni tanto alza gli occhi e mi lancia un sorriso. Dopo
circa due ore Quyen è libera, ha smesso la divisa e si
presenta con un vestitino corto e svasato dai grandi
fiori blu. Le faccio i complimenti e lei arrossisce, poi
mi dice: “Dai non perdiamo tempo” Si volta e insieme
saliamo le scale.
La stanza che ha scelto è al
secondo piano. Mi dice: “Vedi? È pulita e accogliente.”
Mi indica il letto con lenzuola bianche, un piccolo
bagno con gli asciugamani piegati, l’occorrente per un
tè con due tazze cinesi e un ventilatore che ronza
piano. “Niente a che vedere con gli squallidi motel di
periferia. È più simile a un ostello economico.” Mentre
parla si siede sul bordo del letto ed accavalla le
gambe. “È molto morbido, ti puoi abbandonare e nessuno
ti disturba…” Il suo atteggiamento non lascia dubbi. Le
chiedo se la cifra che mi ha chiesto fosse solo per il
disturbo o comprendesse altro. Lei mi guarda, sorride:
“Da queste parti siamo molto previdenti…”
Mi
chiede di accostare la porta e il suo sorriso si fa più
malizioso, senza perdere quella dolcezza che sembra
naturale in lei. “Sai.” Dice giocherellando con l’orlo
del vestitino a fiori. “Qui a Hanoi le cose sono
semplici, più semplici di quanto pensi. Non complichiamo
la vita come fate voi occidentali.” La sua voce è bassa,
il ventilatore che ronza in sottofondo sembra
amplificare l’intimità del momento. Mi guarda negli
occhi, e c’è una scintilla di curiosità nel suo sguardo.
“La cifra che mi hai dato… era per il disturbo, certo.
Ma se vuoi, possiamo rendere questa visita più…
interessante.” Si alza e prepara il tè, lentamente. Poi
si avvicina di un passo. Il suo profumo speziato mi
arriva leggero. “Non sono una di quelle ragazze che
trovi nei bar di Ta Hien, sai? Ma mi piaci. E voglio
renderti questa visita più interessante.”
Non so
se è il caldo umido di Hanoi o il modo in cui mi guarda,
ma la stanza sembra improvvisamente più piccola. Le
chiedo, con un sorriso incerto: “E come funziona,
allora? Sei tu a decidere le regole?” Lei ride piano.
“Regole? Non ne abbiamo bisogno. Solo rispetto. E magari
un po’ di divertimento.” Si avvicina ancora, ora è a
pochi centimetri da me, e posa una mano leggera sul mio
braccio. Il suo tocco è caldo, sicuro, ma non invadente.
“Dimmi.” Continua. “Sei qui solo per curiosare sui Nha
Nghi o stai cercando qualcosa di più… personale?” La
domanda è diretta, ma non mi sento messo alle strette.
C’è qualcosa di naturale nel suo modo di fare, come se
questo fosse solo un altro momento della sua giornata,
un gioco che conosce bene. Mi siedo sul letto, cercando
di mantenere un po’ di compostezza, e le rispondo:
“Diciamo che sono curioso… di tutto. Di Hanoi, dei Nha
Nghi, e ora anche di te.”
Quyen sorride,
soddisfatta della risposta, e si siede accanto a me,
abbastanza vicina da far sentire la sua presenza, ma
senza forzare nulla. “Bene. Allora ti racconto un
segreto. Qui, in posti come questo, le persone vengono
per scappare dalla routine, dalla famiglia, a volte
anche da loro stessi. Io? Io lavoro qui, ma ogni tanto
mi piace sentirmi libera, come loro. E poi tu sei
interessante, vieni da un mondo lontano e per me sarebbe
una cosa diversa…” Mi guarda, in attesa di una mia
reazione, e aggiunge: “Se vuoi, possiamo scappare
insieme… almeno per un po’.”
Il suo invito è
chiaro, ma non c’è fretta nei suoi gesti. È come se mi
stesse dando il tempo di decidere, di capire se voglio
davvero seguire il flusso di questa serata. Il
ventilatore continua a ronzare, il tè nelle tazze cinesi
è ancora intatto, e fuori, da qualche parte, Hanoi è
piena di vita. Mi rendo conto che la scelta è mia, e che
Quyen, con il suo sorriso e la sua schiettezza, ha reso
questo momento tanto semplice quanto elettrico. “Come
vuoi procedere?” Mi chiede, inclinando la testa e
lasciando che i capelli le scivolino sul viso. La sua
voce è un invito, ma anche una sfida, e io sento che
qualunque cosa accadrà, sarà un ricordo che porterò via
da questo angolo nascosto di Long Biên.
Mentre il
sole tramonta e le luci di Hanoi si accendono, rifletto
su quello che ho visto e sentito. I Nha Nghi non sono
solo motel a ore; sono uno specchio di una società in
bilico tra tradizione e modernità, dove la libertà
sessuale si scontra con il giudizio sociale, e dove il
desiderio trova rifugio in stanze pulite a tre dollari
l’ora. Contrariamente all’immagine di un Vietnam
represso, qui c’è una vitalità in fermento, a volte
nascosta, a volte sfacciata. Scrivo le ultime righe del
mio reportage sotto la luce di un lampione, con il
rumore dei clacson in sottofondo: Hanoi non dorme, e
nemmeno i suoi segreti.
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ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA
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