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I RACCONTI DI ARTE PASSIONE
 
Elizabeth Siddall
La Beatrice di Dante Gabriel Rossetti
Rossetti era diverso dagli altri pittori. Non la trattava solo come una modella, ma come una presenza viva, quasi sacra. Le parlava mentre lavorava, raccontandole di Dante Alighieri, della poesia, dell’arte che poteva cambiare il mondo..



 
Londra, inverno del 1850. Le strade di Southwark, dove Elizabeth Siddall viveva con la sua famiglia, erano una tela di nebbia e fumo, con l’odore di carbone che si mescolava a quello dei coltelli affilati nel negozio del padre. Lizzie, come la chiamavano, aveva vent’anni e lavorava come modista in una bottega di Cranbourne Alley. Le sue mani, delicate cucivano cappelli, ma in segreto nutrivano il loro talento disegnando abbozzi di figure eteree e paesaggi sognanti.

Fu in quel contesto, tra il grigiore di Londra e la monotonia del suo lavoro, che avvenne il primo incontro con Dante Gabriel Rossetti. La storia racconta che Walter Howell Deverell, un giovane pittore della confraternita, avesse notato Lizzie nella bottega di Cranbourne Alley. Colpito dai suoi lunghi capelli rossi, dalla pelle diafana e dagli occhi verdi la convinse a posare per lui come Viola nella sua Dodicesima notte. E fu proprio lui in seguito a presentarla al circolo dei Preraffaelliti. Qui Lizzie incontrò Rossetti per la prima volta.

Lo studio era un caos ordinato: tele sparse, pennelli intrisi di colore, e un grande finestrone che lasciava entrare una luce fredda e tagliente. Era una giornata di fine autunno e l’aria odorava di legna bruciata. Lizzie, vestita con un semplice abito grigio, entrò nello studio con un misto di curiosità e timidezza. Non era abituata a essere al centro dell’attenzione, ma il suo volto, incorniciato da quei capelli di fuoco, attirava ogni sguardo. Rossetti, allora ventiduenne, era già una figura carismatica: capelli scuri, occhi intensi e un’energia che sembrava incendiare l’aria intorno a lui.

Quando posò lo sguardo su Lizzie, disse al suo amico Deverell¬: “È lei vero?” Colpito da quella bellezza le chiese immediatamente di posare per un disegno preparatorio. Lei, seduta su una sedia di legno, obbedì tenendo lo sguardo basso e le mani intrecciate in grembo. Rossetti, dietro il cavalletto, la studiava in silenzio, tracciando linee rapide con il carboncino. “Alza il mento, per favore.” Le disse, rompendo il silenzio. Lizzie obbedì di nuovo, e quando i suoi occhi incontrarono quelli del maestro per un istante, si sentì avvampare.

Rossetti era diverso dagli altri pittori. Non la trattava solo come una modella, ma come una presenza viva,
quasi sacra. Le parlava mentre lavorava, raccontandole di Dante Alighieri, della poesia, dell’arte che poteva cambiare il mondo. Lizzie, che aveva sempre tenuto nascosti i suoi pensieri, si trovò a rispondere, timidamente all’inizio, poi con sempre più sicurezza. Parlavano di bellezza, di sogni, di come un quadro potesse catturare un’anima.

Fu in quelle lunghe ore di posa che nacque un legame, fragile ma profondo, non fu un fuoco improvviso, ma crebbe lentamente, come un dipinto che prende forma strato dopo strato. Nel 1851, dopo mesi di incontri negli studi e di conversazioni che si prolungavano oltre le sedute di posa, Rossetti iniziò a vedere in Lizzie non solo una musa, ma anche una compagna. La invitava a casa sua, in Chatham Place, dove le mostrava i suoi libri di poesia e i suoi schizzi. Le prestò una copia della Vita Nuova di Dante, e Lizzie, che leggeva avidamente nonostante la sua educazione limitata, si innamorò delle parole del poeta fiorentino, trovando in esse un riflesso dei suoi stessi sentimenti.

Un giorno, mentre erano soli nello studio, lui le chiese di mostrargli i suoi disegni. Lizzie esitò: i suoi schizzi erano un segreto, qualcosa di troppo personale. Ma Rossetti insistette, con quel suo modo gentile ma persuasivo. Quando vide i suoi lavori – figure stilizzate, paesaggi onirici, poesie scarabocchiate ai margini – rimase senza parole. “Hai un dono, Lizzie.” Disse, prendendole le mani. “Devi dipingere, non solo posare.” Fu il momento in cui Lizzie capì che Rossetti non la vedeva solo come un volto da ritrarre, ma come un’artista.

L’amore sbocciò ufficialmente in quel periodo, tra il 1851 e il 1852. Rossetti iniziò a chiamarla affettuosamente “Guggums” e le lettere che le scriveva erano piene di passione e poesia. Lizzie, però, non era una donna che si lasciava conquistare facilmente. La sua salute fragile e la sua natura introspettiva la rendevano cauta, ma il fuoco di Rossetti era irresistibile. Quando posava per lui i loro sguardi continuavano a fondersi e il confine tra arte e vita si dissolveva. Un pomeriggio, mentre dipingeva i suoi capelli, Rossetti si chinò e le sfiorò la guancia con un bacio. “Sei la mia Beatrice.” Sussurrò. Lizzie, per la prima volta, non distolse lo sguardo. I suoi occhi, di un verde che sembrava contenere foreste e mari, si fissarono in quelli di lui. In quel momento, non era più la modista di Cranbourne Alley, né la musa dei Preraffaelliti. Era Elizabeth Siddall, una donna che si riconosceva nello sguardo di un uomo che vedeva in lei non solo bellezza, ma la pura poesia.

Lizzie non disse nulla, ma il suo silenzio parlava per lei. Un lieve rossore le colorò le guance, e un sorriso appena accennato le incurvò le labbra, un’espressione che Rossetti avrebbe poi cercato di catturare in decine di disegni. Quel bacio non fu l’inizio del loro amore, ma il momento in cui entrambi lo riconobbero. Fu come se le ore passate insieme – le conversazioni sulla poesia, i pomeriggi a sfogliare libri, le lezioni di pittura che Rossetti le impartiva con entusiasmo – si fossero cristallizzate in quell’istante. Lizzie, che aveva sempre temuto di essere solo un volto da dipingere, capì che per Rossetti era più di questo. E Rossetti, che viveva per l’arte, trovò in lei una musa che era anche una compagna, capace di ispirarlo e sfidarlo.

La loro relazione, però, non fu mai semplice. Rossetti era un uomo volubile, diviso tra la devozione per Lizzie e le distrazioni di una vita bohémienne. Lizzie, dal canto suo, era tormentata dalla sua salute e dall’insicurezza di non essere all’altezza del mondo artistico in cui era entrata. Eppure, in quel primo periodo, il loro amore era puro, alimentato dall’arte e dalla promessa di un futuro insieme. Rossetti le insegnò a dipingere, a mescolare i colori, a dare forma ai suoi sogni. E Lizzie, con il suo talento silenzioso, iniziò a creare opere che avrebbero stupito persino Ruskin.

Nel 1852, quando posò per Ofelia di Millais, il loro legame era già profondo. Ma la salute compromessa di Lizzie, fece emergere anche la fragilità della loro storia. Rossetti, sconvolto, giurò di proteggerla, ma il loro amore, come i dipinti di Lizzie, sarebbe stato sempre segnato da una bellezza tragica, destinata a brillare intensamente prima di spegnersi troppo presto.



IMMAGINE GENERATA DA IA
ARTICOLO A CURA DI ADAMO BENCIVENGA






 
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