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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
Il giallo è un colore,
ma anche movente



Photo Manfred Digruber Künstler



INTERNO 4: Vanessa e Franco
INTERNO 5: Raul e Lea
INTERNO 6: Paola
INTERNO 12: Avvocato Manrico Dolce




 
Il giallo è un colore, ma anche uno stato d’animo, una sensazione. È sicuramente un fatto, una scena, un’ambientazione, un condominio, anzi più precisamente un pianerottolo e in quel secondo piano si affacciano tre porte che si guardano di sbieco come i protagonisti di questa storia, con la loro avida ambiguità morale che non è un movente, ma fa parte del giallo.

Il giallo è lei, Vanessa che abita all’interno 4, bella e sensuale quarantenne, forse un’anima nera e inaccessibile, una dark-lady, forse cattiva, femme-fatale romantica e retrò, labbra rosse e bionda nel cuore. Quando ama tradisce, quando tradisce ama, fredda e distaccata, passionale e ardente nel sesso, ma non per questo sarà lei la vittima o l’assassina. Sicuramente una moglie infedele, sicuramente un'amante, sposata da venti anni con Franco.

Il giallo è lui Raul, bello aitante e cubano che abita con la sua compagna Lea all’interno 5. Scuro di pelle fa il personal trainer, ma non per questo sarà lui la vittima o l’assassino, per ora è solo l’amante di Vanessa. Si conoscevano da tempo come coinquilini, ma si sono conosciuti meglio circa un anno fa ed è successo perché doveva succedere, nella palestra dove lui lavora. Forse era destino o forse solo desiderio, lui l’ha baciata e lei si è fatta baciare, lui l’ha toccata e lei si è fatta toccare, e dopo soli cinque minuti sono sprofondati nel piccolo ripostiglio in fondo alla sala degli attrezzi. Hanno fatto l’amore, sì certo, così come viene, quello vero alla boia di un Giuda, senza ripensamenti o riserve morali.

Ecco questo è il giallo che non ha necessariamente una fine, ma sicuramente un inizio, un giorno, un’ora, le nove di sera, perché nel piano seminterrato dove ci sono le cantine viene trovata morta, uccisa con 12 coltellate Paola, una vedova sessantenne madre di Franco, quindi suocera di Vanessa.

Perché questo è il giallo, una donna dentro una pozza di sangue, dei rivoli rossi che si dirigono verso un tombino, impronte di scarpe bagnate perché fuori piove, testimonianze senza alcun senso come quella del signore del primo piano che giura di aver visto un uomo con il cappotto grigio, il bavero alzato e il cappello sugli occhi uscito chissà da quale film, oppure la portiera dello stabile che invece punta il dito su una coppia che tutte le sere proprio a quell’ora, nel ripostiglio delle scope, proprio davanti alla cantina della morta si dà piacere.

Il giallo è un poliziotto che si fa chiamare George, ma in realtà il suo nome è Tarcisio, vestito come il presunto assassino di prima che svogliatamente fuma e inizia a indagare. Intorno a lui solo personaggi oscuri, ricurvi sui loro tormenti, sulle loro menzogne e misfatti che portano avanti storie torbide come le loro coscienze. Sviano le indagini, fingono, recitano, piangono, ma a volte ammettono mezze verità e ridono come dive di Hollywood, come comparse di un b-movie.

Questa sarà una notte lunga senza alba, George ne è convinto, guarda i volti di quel condominio e guarda fuori, una finestra, fari di luci sull'asfalto bagnato dalla pioggia, marciapiedi lucenti e vicoli oscuri, bassifondi del cuore, donne di malaffare e non ci vuole molto tempo perché venga fuori la storia del marito, la moglie, l'amante!

Tutti hanno un alibi, Vanessa che a quell’ora sta cenando col marito, Raul che sta guardando un film su Netflix con la sua compagna e anche Paola la morta lo avrebbe avuto, visto che tornava dalla sua solita partita di bridge con le sue immancabili tre amiche vedove come lei. Quindi cosa si fa in questi casi? Semplice, George chiede aiuto alla scienza ed aspetta qualche ora: DNA, impronte, telecamere, luminol nelle tre case tanto per sapere se l’assassino ha portato lo strascico rosso di morte sotto le scarpe fino dentro la propria casa. Ma quei risultati non aiutano il poliziotto se si esclude di un piccolo frammento di pelle rimasto sotto le unghie della vittima, ma che non appartiene ai quattro sospettati. Quindi un nulla vicino allo zero assoluto, nessuno ha visto, neanche le telecamere che inquadrano l’entrata dei garage, ma non il luogo dove è avvenuto l’assassinio.

Certo una cosa quelle telecamere ci dicono per esclusione ossia quello che non hanno visto e dato che oltre all’auto di Paola non si vede altro, è logico dedurre che l’assassino non è venuto da fuori, ma è sceso per le scale o ha preso l’ascensore. E conoscendo il posizionamento delle telecamere ha fatto in modo di non essere ripreso. Però sarà proprio la scheda di rete dell’ascensore a dirci che a quell’ora qualcuno è sceso nel seminterrato azionando l’ascensore proprio da quel secondo piano dove abitano i sospettati.

George è eccitato, una signora del palazzo gli porta un caffè ormai freddo, il cerchio si restringe, quindi esclusa Paola che non si è suicidata, gli indiziati sono Vanessa e il marito Franco, Raul e la compagna Lea o ovviamente qualcuno che per incolpare i quattro protagonisti è salito o sceso per le scale al secondo piano e poi è entrato in ascensore ed è sceso da lì fino al seminterrato.

Sarà proprio la portiera ad aprire uno spicchio di luce, dicendo quanto fossero ultimamente pessimi i rapporti tra Vanessa e la suocera Paola. Il motivo? Semplice. Paola la morta aveva scoperto la relazione tra sua nuora e il bel cubano Raul. Era successo circa un mese prima, quando una mattina verso mezzogiorno Paola scendendo le scale aveva sentito dei gemiti d’amore provenire dal sottoscala. Scorgendosi dalla balaustra aveva visto due ombre impegnate nell’arte del sesso più sfrenato nel ripostiglio delle scope, non si era avvicinata perché in cuor suo sapeva benissimo chi fossero quei due porci.

Secondo la stessa portiera, Paola era convinta che si trattasse della nuora e del suo dirimpettaio per via di voci che erano girate qualche tempo prima. In dubbio se dirlo o meno a suo figlio Franco alla fine aveva scelto la strada più diretta ossia prendere di petto la diretta interessata ossia sua nuora ossia Vanessa. Ovviamente la nuora aveva negato su tutti i fronti mettendo in dubbio le capacità visive della suocera che in effetti aveva problemi di vista. “Paola, non sono certo io quella che hai visto, e poi in un ripostiglio delle scope… mi ci vedi? Se dovessi tradire tuo figlio lo farei in una suite di un albergo di lusso!” Mentiva Vanessa e credendo che la cosa fosse finita lì chiamò Raul dicendogli di non preoccuparsi. In effetti Paola aveva visto solo delle ombre e soprattutto non era credibile per cui dopo qualche giorno di astinenza forzata la passione aveva di nuovo travolto Vanessa e Raul che avevano ripreso a vedersi nel ripostiglio nei ritagli di tempo consentiti e fare l’amore come Dio comanda. Certo avrebbero potuto farlo comodamente in palestra, ma lì in quel vano stretto era decisamente più eccitante e soprattutto potevano darsi piacere nei minimi ritagli di tempo inventandosi scuse banali e credibili tipo: “Ho dimenticato di comprare il latte” oppure “Vado a buttare l’immondizia…”

Paola però, sempre più convinta di aver riconosciuto la nuora, non si era data per vinta, ma non ancora pronta ad affrontare suo figlio aveva prima di tutto rotto la lampada del ripostiglio e distrutto la serratura e poi comprato una bomboletta di vernice rossa nel negozio di ferramenta sotto casa e pensato bene di scrivere sulla parete fuori il ripostiglio: “QUI QUALCUNO CI SCOPA!” Non contenta aveva poi mandato dei messaggi alla compagna di Raul scrivendole appunto che ciò che succedeva nelle cantine avrebbe potuto interessarle. Ma Lea, ricevuto il messaggio di Paola, più preoccupata per i suoi affari che per il suo rapporto, invece di chiamare il suo compagno e chiedere spiegazioni si era affrettata a chiamare Franco, il marito di Vanessa e suo collega in affari. I due avevano interessi in comune in quanto gestivano a pochi passi da casa un’agenzia di scommesse legali e non. E dato che non volevano in alcun modo pubblicità e ficcanaso in giro la loro unica preoccupazione era stata quella di far tacere le chiacchiere.

Insieme concordarono una strategia di basso profilo ovvero che Lea avrebbe parlato la sera stessa a Paola. Così avvenne, ma la vecchia signora era fuori di sé: “Sei cornuta e non dici niente? Ti ripeto li ho visti con i miei occhi! Raul si scopa mia nuora!” Beh sì la cosa a Lea non faceva piacere anche perché alcuni giorni dopo ci fu una infuocata riunione di condominio per via di quegli atti vandalici e di quelle scritte. Insomma il caso stava montando troppo e a quel punto prese la parola l’avvocato Manrico Dolce che abitava all’ultimo piano della stessa palazzina, in quale, per mancanza di lavoro e tempo a disposizione, si era assunto l’incombenza di risolvere la questione.

Paola che era una fervente osservante non si perse d’animo e una domenica mattina prese la parola nella messa delle dieci, la più affollata, ed iniziò a parlare genericamente senza fare nomi di tradimenti e gelosie e di come gli uomini e le donne per il solo piacere sessuale cadessero sempre più spesso nella trappola dell’inganno. La cosa ebbe una partecipazione non prevista tanto che il prete e un giornale locale cattolico non si fecero scappare l’occasione di riportare moralità ed etica nelle strade del quartiere organizzando una veglia notturna contro le prostitute che di notte e di giorno affollavano il cavalcavia. Insomma un semplice rapporto di sesso o forse d’amore nel ripostiglio delle scope si era allargato a macchia d’olio. Qualche giorno dopo avvenne il delitto!
Chi mai avrebbe avuto interesse ad ammazzare Paola? I protettori delle puttane della zona? I due amanti Vanessa e Raul per non essere scoperti? Oppure Franco e Lea per tutelare i propri loschi traffici?

*****

Ecco ora erano tutti coinvolti pensò il poliziotto seduto alla sua scrivania nella stanza al primo piano della questura. Ognuno dei quattro avrebbe avuto le motivazioni sufficienti per vendicarsi di Paola e metterla a tacere. Ma il giallo è giallo ed ha bisogno necessariamente di un movente altrimenti diventa un fatto di cronaca nera e George questo lo sapeva. Certo, di solito gli indiziati non sono sempre gli assassini, ma in questo caso, nonostante gli alibi forniti, non c’erano discussioni, l’assassino abitava in quel palazzo e l’ascensore era partito dal secondo piano fino al seminterrato.

Passarono altri giorni ed altri interrogatori, l’avvocato Dolce prese la difesa dei quattro sospettati e attorniato da telecamere e dalla stampa divenne in breve tempo la star delle televisioni. Concesse interviste sul luogo del delitto e negli studi delle maggiori televisioni nazionali difendendo a spada tratta i suoi clienti. Così appassionatamente che parte della stampa e anche George il poliziotto iniziarono ad avere dubbi sui quattro. Manrico Dolce avendo abitato da sempre in quel palazzo conosceva benissimo i quattro e conosceva le loro storie compresa la tresca di Vanessa e Raul compresi i traffici illeciti di Lea e Franco e davanti a quei riflettori faceva la parte di chi sapesse chi fosse l’assassino. Cambiava camicia, cappello e cravatta tre volte al giorno e sempre in perfetto ordine si concedeva alle telecamere come una soubrette di prima fila. Alle volte annuiva su qualche indizio, altre ammiccava senza senso, altre taceva per creare la giusta suspence.

George il poliziotto ascoltava l’avvocato Dolce con estremo interesse, notava la sua presenza scenica e soprattutto la soddisfazione di stare al centro dell’attenzione. Doveva ammettere che era quasi convincente e fu proprio in una di quelle trasmissioni che gli venne spontanea la domanda: “E se non fossero stati loro gli assassini?” E non cavando un ragno dal buco iniziò a vagliare altre ipotesi, esaminò di nuovo le immagini delle telecamere con la certezza che nessuno era entrato o uscito da quell’edificio prima e dopo l’ora del delitto. Quindi se non fosse stato uno dei quattro, era qualcuno che sapeva benissimo che i sospetti degli inquirenti non potevano che ricadere su di loro. Anzi, salendo ed azionando l’ascensore proprio da quel secondo piano, aveva fatto prendere alle indagini un indirizzo preciso. Quindi si concentrò non su chi potesse essere l’assassino, ma su chi fosse in grado di sviare le indagini creando clamore e facendo in modo che la notizia restasse il più possibile in prima pagina.

George iniziò ad interrogare gli altri inquilini del palazzo e parlando con la portiera venne a sapere che Vanessa oltre a Raul aveva frequentato altri uomini e spesso si concedeva incontrando i suoi amanti sotto il cavalcavia dell’autostrada che passava a qualche centinaio di metri dall’edificio. Beh sì certo Vanessa era una bella donna trascurata dal marito per cui non c’era assolutamente nulla di male se avesse avuto più relazioni. Quel lumicino insignificante divenne ben presto un faro che illuminò a giorno tutta la palazzina. Durante un sopralluogo sotto il cavalcavia George notò una scritta scolorita in rosso cancellata alla buona: “VANESSA MIGNOTTA”. Quella scritta gli confermò che quelle voci non erano solo pettegolezzi di una portiera con la lingua lunga.

Chi aveva scritto quella frase? E chi era l’uomo? Certo poteva essere lo stesso Raul, ma dalle immagini della telecamera posta sopra il casello dell’autostrada anche se di cattiva qualità si vedeva chiaramente il grosso seno nudo di Vanessa e la faccia estasiata dell’avvocato Dolce. Quindi Vanessa e l’avvocato avevano avuto una relazione, ma a cosa portava questa nuova scoperta? Di fatto anche l’avvocato entrò nel novero dei sospettati, ma a quale titolo? Di certo se fosse stato lui non avrebbe avuto alcun senso sviare le indagini visto che finora non era stato indagato. E perché poi assumere la difesa dei quattro? E nella eventualità remota che fosse lui l’assassino perché mai lo avrebbe fatto? Lui non essendo sposato non poteva temere l’esuberanza della vittima. Dunque se fosse stato lui quale sarebbe stato il movente? Di contro però conoscendo gli intrighi di quel palazzo sapeva benissimo come si sarebbe mossa la polizia e su chi si sarebbe concentrata.

Ma il giallo è giallo e in quanto giallo ha sempre una fine, un movente, una vittima e un assassino perché checché se ne dica non esiste il delitto perfetto, il giallo è un mozzicone di sigaretta lasciato per sbaglio sul luogo del delitto, ma a volte anche una eccessiva sicurezza, come quella dell’avvocato Dolce che dandosi da fare per scagionare i suoi quattro assistiti aveva inevitabilmente indirizzato le indagini verso una quinta persona. Il giallo è George che scuote la testa quando, guardando il comportamento da prima donna dell’avvocato in tv, non ha più dubbi. E alla domanda chi avrebbe avuto interesse a mantenere il caso vivo e a far in modo che non si spegnessero le luci dei riflettori, il poliziotto Tarcisio detto George, non ha più dubbi.

E a quel punto il gioco è facile, quei frammenti di pelle rimaste sotto le unghie della vittima hanno un nome e un cognome. E a volte il movente è il giallo stesso, ed è più effimero di quanto si creda e infatti non è solo fatto di corna, invidia, antipatia, passione, avidità, vergogna e timore di essere scoperti, ma a volte è fatto solo di prestigio, di successo, di notorietà per finire in tv e sulle prime pagine dei giornali, come nel caso dell’Avvocato Dolce.





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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.


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