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RACCONTI D'AUTORE
Adamo Bencivenga
Adele
La mia bella suocera
Stazione Termini. Un treno in ritardo,
due ore da occupare e la giusta occasione da non lasciarsi
scappare
Roma. Stazione Termini. Era
un venerdì pomeriggio di tanto tempo fa, io e mia
suocera Adele, passeggiavamo lungo il marciapiede,
guardando le vetrine, in attesa del rientro di mia
moglie da Parigi per lavoro col treno delle 17,30.
Mancava circa mezz’ora all’arrivo quando l’altoparlante
annunciò un ritardo di circa due ore, a causa di
un’interruzione elettrica sulla linea a lunga
percorrenza. Che fare? Di certo non saremmo potuti
tornare a casa e mentre io sbraitavo su come andassero
le cose in Italia, lei chiamò suo marito informandolo
del ritardo. Ci eravamo bloccati davanti all’ingresso di
un cinema che proiettava un film americano di mafia e
violenza per cui visto anche la giornata piovosa alla
fine decidemmo di entrare per ingannare il tempo.
Era in assoluto la prima volta che mi trovavo in una
situazione così confidenziale con mia suocera e mai era
successo di trovarmi da solo con lei. Soltanto da poco
tempo, sotto sua richiesta, avevo cominciato a darle del
tu, ma il rapporto finora non era andato oltre la
formalità di suocera e genero. Lei apparteneva ad una
famiglia più che benestante e quando ancora era
giovanissima i suoi genitori avevano fatto in modo di
farla incontrare con un altro rampollo della Roma bene,
che poi era diventato suo marito. Da quella unione era
nata Gloria, mia moglie, laureata ad Oxford ed ora
consulente di una grande società finanziaria francese.
Ma da quanto avevo saputo dalla figlia, ad Adele il
ruolo di madre e di moglie le era andato sempre stretto
preferendo passare il tempo nel suo Circolo di Tennis
esclusivo, giocare a Bridge, organizzare eventi,
trascorrere le sue serate e le sue vacanze in montagna
con una ristretta cerchia di amici.
Insomma, in
tutto e per tutto, era una cinquantacinquenne di classe
e raffinata, vestita in maniera estremamente elegante e
inappuntabile tanto che mai e poi mai, anche in casa,
avevo avuto modo di vederla dimessa. Sta di fatto che
anche quel pomeriggio di venerdì era a dir poco
impeccabile con un tubino nero aderente, un tacco
importante e un filo di perle che giocava con la
sensualità del suo seno generoso. Ovvio che mi sentivo a
dir poco in imbarazzo e il rifugio di quel cinema era
stata in un certo senso la mia salvezza.
La sala
era semideserta e ci accomodammo nelle ultime file
pensando che, dato il genere del film che non piaceva ad
entrambi, ci saremmo annoiati a morte. Il film era
iniziato da pochi minuti e lei, seduta alla mia sinistra
si sforzò immediatamente di concentrarsi sulla
proiezione. Purtroppo come avevamo immaginato il film
era molto violento e con scene di sangue e sparatorie a
non finire. Ad un tratto lei, spaventata da una scena
più che cruenta, chiuse gli occhi e si avvicinò a me
premendomi contro la spalla. In segno protettivo mi
venne spontaneo stringerla e poi, dato che la scena
continuava, cingerla all’altezza della spalla infilando
la mano sotto la sua ascella. Attesi per qualche secondo
che si calmasse o quanto meno che, passata la paura,
riacquistasse la normale postura, ma lei rimase immobile
in quella posizione inclinando la testa verso la mia
spalla.
Beh devo dire che il mio cuore iniziò a
battere disordinatamente, mai mi ero trovato in una
situazione simile con una donna molto più grande di me e
per giunta così aristocratica nonché mia suocera.
Insomma tutti elementi che frullandomi nella testa mi
diedero una forte scossa di adrenalina pensando a chissà
quale situazione erotica degna di qualche pellicola
della commedia italiana anni ‘70. Beh sì in effetti, lei
mora dalle forme più che provocanti e dal suo fascino
straripante, non propriamente acqua e sapone,
assomigliava non poco ad Edwige Fenech.
Il
contatto con il suo corpo mi fece balenare la voglia di
accarezzarlo e soprattutto mi chiesi quante persone al
mio posto avessero resistito e quante invece in una
situazione simile avessero almeno verificato se quella
posizione così intima fosse davvero dettata dal terrore
della scena oppure da qualcos’altro. E se ci avessi
provato? La domanda rimase sospesa nel buio della
sala, poi però, per paura di un’immane figuraccia,
desistetti e mi concentrai sul film. Una nuova scena,
non propriamente romantica, la fece sobbalzare di nuovo,
e le mie buone intenzioni durarono solo una manciata di
secondi. Lentamente insinuai la mia mano fino a sfiorare
con il dito la morbidezza della parte esterna del suo
seno. Chiusi gli occhi ed aspettai una sua reazione,
alla peggio un ceffone, ma non avvenne nulla, anzi dopo
qualche secondo lei allargò impercettibilmente il
braccio ed io mi chiesi se fosse solo un gioco della mia
mente oppure davvero la mia bella suocera Adele mi stava
permettendo di raggiungere più agevolmente il suo seno.
Che fare? Ormai ero sul punto del ritorno, ma fu
lei a togliermi dall’imbarazzo sollevando leggermente il
viso e sussurrandomi all’orecchio: “Beh dai questo film
poi non è così male…” Certo sì, non era ancora un vero
lasciapassare, ma sicuramente una confessione di
complicità tanto che subito dopo sentii nel buio la sua
mano posarsi sulla mia gamba poco sopra il ginocchio.
A quel punto lasciai perdere i miei dubbi, il dito
subdolo e le mie insicurezze e con la mano intera le
palpai il seno stringendo il capezzolo e con l’altra
mano le sollevai il mento poggiando le mie labbra sulle
sue. Sorridendo mi disse: “Sai che non si potrebbe?” E
senza aspettare risposta incuneò la punta della sua
lingua. Quel sapore alla fragola del suo rossetto
offuscò l’ultimo residuo di razionalità e la baciai
ardentemente mentre la mia mano si godeva quel seno
generoso pur nella difficoltà del bordo stretto del
reggiseno. Lei disse: “Puoi slacciarlo se vuoi…” Così
feci e davanti a me apparve nella penombra della sala
tutta la sensualità e la bellezza di quel seno chiaro
non più giovane, ma estremamente eccitante. La sua mano
intanto per magia era risalita dal ginocchio fino al
centro del mio piacere. Ero al limite, mai avevo avuto
una erezione così evidente! Mi venne da pensare a mia
moglie bloccata sul quel treno che la stava riportando
da me e dalla madre e risposi tardivamente ad Adele:
“Già non possiamo…” E proprio in quel momento infilai la
mano sotto il suo vestito, il contatto con quella calza
velatissima mi fece impazzire, ma mentre risalivo
lentamente alla ricerca del suo tesoro, lei per chissà
quale vezzo di pudore accavallò le gambe per impedirmi
di arrivare nel profondo della sua intimità che
immaginavo umida. Mi disse: “Sei cosciente vero che se
ora allargassi le gambe non avremmo più scusanti e il
passo successivo sarebbe qualche pensioncina nei
dintorni…” No, in effetti, non ero cosciente, mi
stavo godendo il momento senza troppo pensare al dopo,
ma compresi totalmente che quella frase sibillina era
semplicemente una richiesta diretta. Risposi spingendo
la mano, fino a quando la sentii cedere. Mi disse di
accarezzarla in superficie senza entrare perché il vero
regalo sarebbe venuto dopo. Mi concentrai su quei
piccoli movimenti del bacino che non so quanto
involontariamente mi stavano implorando di prendere una
decisione.
A quel punto guardai l’orologio, era
passata circa mezzora, per cui avevamo tutto il tempo
per trovarci un posto caldo ed accogliente. Lei si
ricompose, mise il reggiseno nella borsa ed uscimmo dal
cinema. Fuori diluviava, comprai un ombrello da un
ambulante di passaggio, e, come due amanti in preda ad
una forte eccitazione, cercammo un qualcosa che
assomigliasse ad una pensione o un affittacamere.
Ridendo mi disse di non farmi scrupoli perché in quel
momento sarebbe bastato anche un albergo ad una sola
stella.
Dopo qualche metro ci infilammo in un
portone: Pensione Sandra, IV piano, due stelle.
Prendemmo l’ascensore e ci baciammo ancora, lei calda mi
disse di abbracciarla stretta: “Sai per me questo
periodo è molto particolare, mi sento estremamente
fragile.” Credevo fosse il solito pretesto che le donne
necessitano per giustificare il loro desiderio per cui
non dissi nulla, ma ripensandoci ora credo che
quell’attrazione fisica così travolgente andasse oltre
qualsiasi buon senso e qualsiasi fosse il motivo non
sarebbe mai stato sufficiente a scagionarci.
La
donna dimessa seduta ad una scrivania sbilenca pretese
il pagamento in anticipo e poi ci porse la chiave n. 3 e
un rotolo già mezzo consumato di carta igienica. Adele
rabbrividì ed io laconicamente e per alleggerire la
situazione dissi: “Questo è quello che passa casa.”
Entrati in stanza non mi sembrava vero! La guardai in
tutta la sua abbagliante sensualità, per piacere o
semplicemente per constatare ciò che a breve sarebbe
stato mio. Oddio era magnifica! Niente a che vedere con
sua figlia Gloria!
Lei come una navigata
professionista sfoderò un sorriso teatrale, poi mi porse
la mano e mi guidò davanti alla finestra. Mi prese un
desiderio incontrollabile di accarezzarla seguendo la
curva dei suoi fianchi fino all’attaccatura delle cosce.
Lentamente ripetei quel gesto per tre volte
accompagnandolo con un gemito di soddisfazione ed ogni
volta aumentai la pressione finché mi concentrai sulle
forme morbide del suo splendido sedere. La sentii gemere
fino a che un sussulto più inteso la fece aggrappare al
davanzale. “Ci siamo!” Pensai. La sua impazienza aveva
rotto gli argini, mi chiese di abbassarle la lampo
posteriore del vestito e mentre quella stoffa leggera
scivolava lungo la sua perfetta lingerie ammirai quel
corpo ancora in ottimo stato. Muovendosi sinuosamente,
inarcò il bacino porgendomelo come regalo prezioso.
Ad ogni istante immaginavo quello che sarebbe
successo un attimo dopo, fuori ogni controllo strinsi
forte il suo sesso e un fiotto bollente bagnò la mia
mano a forma di conchiglia. Istintivamente lei aprì le
gambe per facilitare il movimento di quelle dita senza
però sottrarre nulla all’eleganza del suo corpo. Infilai
insistendo le dita per poi ritrarle guadagnando ogni
volta un centimetro della mia pelle. Era un gesto
tremendamente erotico e nel contempo sacro come se
stessi bagnando le mie dita in un’acquasantiera. Lei
precaria sui tacchi ebbe un forte fremito e un attimo di
sbandamento. A quel punto le sfilai il perizoma per
ammirare senza più indugi e nella sua interezza il
centro del suo desiderio. Lei da esperta agevolò
l’operazione stringendo le gambe in modo che quelle
sottilissime mutandine scivolassero magicamente lungo le
sue gambe fino alle caviglie.
Dopo un attimo
eravamo già sul letto, lei a cavalcioni sopra di me
disse: “Tesoro, non abbiamo molto tempo!” E da femmina
esperta strinse il mio piacere e lo indirizzò nella sua
parte più umida e accogliente. Disse: “Ti piace così?”
In un secondo vidi il paradiso e l’inferno. Non me ne
rendevo ancora conto, ma ero dentro di lei, dentro la
mia bella suocera, dentro la protagonista di una
commedia all’italiana, dentro Edwige Fenech in
reggicalze e calze nere!!! Lei mai sazia, guidava la
stupenda cavalcata e mi diceva ora di stringerle il
seno, ora di darle pacche sul sedere, e poi di baciarla
e poi di uscire e farla desiderare, e poi rientrare con
più vigore fino a toccarle le parti più segrete della
sua intimità. Più spingevo e più mi facevo spazio in
quel tesoro riempiendo incredibilmente ogni suo vuoto
fino agli interstizi più profondi delle sue pieghe più
segrete. Lei gemeva, passando dal “Fantastico” al
“Meraviglioso” ed io mi resi conto quanto poco tempo ci
fosse voluto da passare per me dal genero apprensivo
all’amante focoso e per lei dalla suocera inappuntabile
a grande troia.
Il fatto che fosse così esperta,
mi dava ancora più adrenalina, pensai a quanti uomini
aveva già accolto, a quanti l’avessero già scopata nel
segreto di una suite d’albergo e ne contai nella mia
mente un numero infinito, quando si voltò di scatto e mi
pregò di farle sentire il vero possesso maschile. Certo
sì mi disse anche di offenderla, di dirle parole forti e
piccanti perché secondo lei in amore non esisteva la
volgarità, ma solo un grande bisogno di complicità che
avrebbe amplificando i suoi sensi. Urlava, si muoveva e
mi diceva: “Grazie, grazie, non sai quanto lo desidero!”
E poi: “Sono perversa vero? So che tutto questo è
immorale, ma è forse è stata proprio quella voglia di
trasgredire a darmi la spinta necessaria…” Poi ancora
qualche frase strozzata finché un brivido più intenso
tagliò in due le sue parti di sesso e ragione e in un
fremito più forte si irrigidì ed ebbe solo il tempo di
dirmi: “Ora godi insieme a me.” Sentii la lunga miccia
partire dalla mia testa per poi scorrere ardente fino ad
arrivare dentro di lei e poi avanzare ed alimentare la
fiamma tra le sue cosce, fino ad esplodere esattamente
quando entrambi ci stringemmo più forte cercando le
nostre bocche e fondendo i nostri corpi. Lei, con un
filo di voce, mi pregò di rimanere dentro e restare
immobile emettendo gli ultimi gemiti di piacere.
Senza accorgerci il tempo era passato velocemente,
guardai l’orologio e le due ore di ritardo del treno
erano passate da tempo. Ci rivestimmo in fretta e dopo
una corsa forsennata sotto la pioggia arrivammo alla
stazione. Vedemmo Gloria da lontano, impaziente e
infreddolita, ci stava aspettando con la valigia a terra
e il telefono in mano che tentava alternativamente di
chiamarci invano. Guardai il telefono, quindici chiamate
senza risposta! Adele abbracciò immediatamente la figlia
scusandosi dapprima per un improbabile contrattempo
dovuto alla riparazione di un tacco rotto a causa di un
tombino manomesso e poi per un suo vezzo tipicamente
femminile: “Sai, visto il ritardo del treno ne ho
approfittato pregando tuo marito di accompagnarmi in un
centro benessere per farmi una lampada solare. Eravamo
in perfetto orario, ma poi è successo l’inconveniente
della scarpa!” Aggiungendo poi tutti i dettagli del caso
compreso il calzolaio burbero, il negozio sporco e la
pioggia a dirotto. Chiosando infine e non so quanto
maliziosamente: “Devo dire che tuo marito si è
comportato da perfetto gentleman e prezioso genero.”
Ecco sì, da esperta qual era, aveva trovato la scusa
giusta e credibile tranne che, mentre ci avviavamo verso
l’auto in sosta, mia moglie, dietro di lei, le disse:
“Mamma non me lo sarei mai aspettato da te! Hai la calza
smagliata e la lampo del vestito aperta!” Mi si gelò il
sangue, in quel frangente non avrei mai saputo cosa
rispondere, ma mia suocera senza perdersi d’animo
rispose: “Mia cara, a volte l’attesa di due ore di un
treno in ritardo e la successiva fretta per uno stupido
contrattempo fanno fare cose che non avresti mai pensato
di fare.”
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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