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RACCONTI 
Adamo Bencivenga
Sinfonia umida

Stasera le parole non scorrono lisce, fanno attrito
e rumore e rimangono appese, su questo schermo che fisso
ed a bocca aperta l’aspetto, per abbandonarmi del tutto
e non sentirla distante. Lo so che è solo una chat, ma
le confesso che anch’io avrei voglia di sentirla vicino,
di sentire la sua voce perché stasera il mio seno vibra
impaziente sotto questo reggiseno che lo copre e lo
schiaccia, che oppresso mi chiede di riprendere forma.
Sì perché tutto questo avrebbe senso solo se lei mi
guardasse e seguisse il profilo del mio piacere proteso.
Sa cosa le dico mio caro? Che mai e poi mai ho avuto
un così forte desiderio al cospetto di un uomo reale,
mai ho pensato d’essere bella ai soli pensieri. Non
perché lei non sia vero, ci mancherebbe, ma perché mi
sento ammirata da chi non ha la minima cognizione di
come potrei essere. Perché lei non sa, lei non mi
guarda, ed io potrei benissimo dirle quello che il suo
desiderio rispecchia. Cosa mi costa? Potrei benissimo
inventarmi un paio di stivali se questo l’aggrada, non
so, che ora indosso un paio di culotte trasparenti di
pizzo, oppure farla sognare con un trucco di ali di
farfalla che allungo e distendo per il suo solo piacere.
Se penso che in questo momento mio marito sta
dormendo, senza immaginare che il pizzo trasparente
dell’intimo di sua moglie non copre niente, che quel
poco di scusa di stoffa non serve ad assolvermi, come
moglie devota, coma madre apprensiva, ma soltanto a
farmi desiderare nuda tra la magia dei vedo e non vedo.
Ma lui dorme e russa, senza accorgersi che il mio seno è
vivo, senza che le sue mani, i suoi baci ne siano la
causa. Chissà se stasera lei mi chiederà di scoprirlo
appena, magari dove la carne gioca con l’ombra. Ma la
prego! Non mi chieda di andare oltre, non mi chieda di
scoprirlo come la natura lo ha fatto perché mi farebbe
arrossire e il timore più grande sarebbe solo la paura,
che mio marito per una scusa banale possa svegliarsi,
entrare nella stanza e vedermi con quanta solerzia offro
la mia merce.
La prego non lo faccia! Perché la
rabbia sarebbe di troppo, perché il mio segreto voglio
che sia più intimo del pizzo che porto, di questa voglia
pazza di essere sua, di essere mia, mentre lei mi
racconta esattamente come sono, che sensazioni le danno
le mie parole, dentro i suoi bellissimi occhi che
leggono e vanno oltre. A volte penso come lei
potrebbe immaginarmi, sa soltanto che sono alta 1,60 che
porto una taglia 46 ed il mio seno, che cala, una terza
abbondante. Sa che sono mora, che i miei occhi sono
grandi ed i capelli a caschetto. Ma cosa ci potrebbe
ricavare da tutto questo? Ha provato a disegnarmi su un
foglio? Oppure s’accontenta di sapere che le mie gambe
sono snelle, che per lei porterei un vestito più corto
perché il bordo più scuro della calza giochi con la
stessa sua brama. Davvero lo farei se solo lo chiedesse,
se solo leggessi nelle sue parole un luogo ed un’ora
qualunque. Ovviamente senza incontrarci e presentarci,
ma mi farei guardare a distanza perché il gioco continui
e la realtà non spezzi le ali del suo desiderio.
Siamo della stessa città per cui non ci vorrebbe molto,
esclusa la paura di sgonfiare un sogno che domani
mattina, proprio domani e non un altro giorno, ho
l’appuntamento più importante che io sia negli anni
riuscita ad ottenere. Mi vestirei come le ho detto.
Truccherei con i secchi di colore la mia faccia e le
unghie, magari indosserei un cappello bianco per
apparire più mora, più volgare se le sue fantasie
lievitano al cospetto delle figure retoriche delle belle
di giorno. Lo sa vero che mi sento più bella ai suoi
occhi che allo sguardo reale di mio marito, sì proprio
lui, che, senza rendersene conto, ha la fortuna di
vedermi ogni giorno? È questione di bellezza lo so, è un
concetto che se si è privi non si riesce a vedere.
Oh sì, perdoni la mia insolenza, perdoni il mio
ardire, ma le giuro, lo farei, per essere chiamata come
lei mi chiama, come io mi ci sento ogni sera per un’ora
in questo posto virtuale. Credo che non ci sia altro
sogno che io possa sperare questa notte. Vedere i suoi
occhi che mi guardano in mezzo a tanta gente in una
fermata di metro, oppure mentre scendo da un taxi,
oppure durante l’attesa di qualsiasi coda. Potrei
indossare guanti di rete se già pensa che le mie mani
nude non le diano lo stesso brivido. Potrei indossare un
vestito aderente e scollato per farle vedere volgarmente
le rotondità dei miei fianchi e del mio seno fino a
schiudere i suoi occhi come uova di merla quando fa
freddo.
Un brivido mi corre lungo la schiena e
m’arriccia violento la pelle del collo, e ne conosco la
causa, la colpa d’essermi ridotta a pensare che senza il
suo odore non riuscirei ad arrivare a fine giornata, a
sopportare queste mie parole che scrivo e riscrivo. Ma
io non conosco il suo odore, se ci penso conosco
soltanto i suoi anni, che sono meno dei miei, che sono
davvero pochi se per caso un giorno dovessi guardarla
negli occhi. Non so altro, non so chi la notte scalda i
sogni, se sul suo sesso rimane incollato una voglia di
donna.
Tra pochi minuti si collegherà, tra solo
pochi minuti potrà sussurrarmi quello che aspetto,
quello che stamane, le giuro, la mia voce ha sussurrato
in mezzo alla gente. A casa come lei avrebbe voluto, con
mio marito in agguato non ho potuto. Allora sono uscita,
ho preso un taxi, direzione Centro, destinazione
paradiso. E mentre scendevo dall’auto, la gonna si è
sollevata, le giuro, non ho fatto nulla di proposito, ma
ho fatto in modo che chiunque mi guardasse. È stato solo
il movimento e per magia i nostri segreti erano lì in
evidenza per quei pochi fortunati di passaggio. Ecco sì,
in quel momento l’ho detta. Ho detto puttana e mi ci
sono sentita davvero! Che gioia confessarle che ho
pronunciato quella parola di sole sette lettere, ma che
mi procura un desiderio altalenante che mi sazia e mi
affama allo stesso tempo. Non vedo davvero l’ora di
dirle che ho fatto dei progressi, che lei è un maestro
ed io la sua allieva.
Oddio! E se tra poco andrà
via la corrente? Se per qualche contrattempo lei non si
dovesse collegare? Non posso distruggermi con le stesse
mie insicurezze! E se mio marito stasera si svegliasse e
volesse fare l’amore? Cosa gli racconto che mi fa male
tanto la testa da mettermi davanti ad un computer?
Oddio, devo andare a togliermi questo pizzo, non avrei
uno straccio di scusa per giustificarmelo indosso in un
qualunque giorno feriale. Questo soffio leggero di
stoffa mi lega e mi accarezza e ne vado orgogliosa, è
una meravigliosa costrizione che mi ricorda ad ogni
movimento che sono femmina, che sono come lei mi chiama.
Aspetto e mentre aspetto, mi alzo e vado in bagno,
mi rifaccio le labbra e il contorno degli occhi. Oddio
come sono brutta! Forse sarà la tensione, dovrei
rilasciare i muscoli del viso per essere degna
d’ascoltare le sue parole, per essere uguale all’oggetto
dei suoi desideri che già saranno connessi e mi stanno
aspettando.
Mio caro, io non dovrei parlarle in
questo modo, questa donna allo specchio sa troppo di
casalinga che vuole ammazzare la noia in cerca di
qualsiasi uomo che le devia momentaneamente i pensieri.
Le giuro, io sono altro, sono la sua amante, la sua
puttana! Ieri per la prima volta lei ha chiamato il mio
sesso con una parola volgare, ed io mi sento onorata
d’avere tra le gambe quel nome, tanto che stasera avrò
l’ardire di voler risentire quel suono.
Sono in
bagno, mi sto preparando per lei. La riga delle mie
calze scompare dritta sotto la gonna, le mie labbra non
sanno più di dopo cena, sanno di fragola e panna, di
femmina che si accinge a fare l’amore, di membro di
maschio eccitato e voglioso che entra e che esce senza
chiedere permesso. Ma se non le dovessi piacere? La
prego me lo dica ed io andrò a cambiarmi. Se questo seno
non fosse di suo gradimento? Ma non posso raccontarle
quello che non sono, descrivere il mio seno come due
mele che stanno su come e quanto quelle delle sue
coetanee. Io sono una signora matura e alle volte mi
viene da chiederle cosa ci trova e perché feconda i suoi
sogni su una donna avanti con gli anni. Sì lei proprio
lei che avrebbe la possibilità di passare le sue serate
con belle fanciulle nel fiore degli anni. Mi ha detto
che non è impegnato, che non fa l’amore da tempo
immemorabile. Ci devo credere? Forse non capisco,
forse non so precisamente cosa sia l’istinto maschile.
Come vorrei ora immedesimarmi nei suoi occhi e guardare
le mie tette con la brama di un uomo, misurare quanto
irrefrenabile sia l’istinto, quanta la voglia di seguire
con le dita l’incavo come un salmone che risale la
corrente, come una gatta che difende i suoi cuccioli.
Esco dal bagno sono vestita come se avessi un
appuntamento galante, tacchi alti, decolté e labbra
colorate a quest’ora di sera! Arrossisco, non so che
dire. Mi sale la rabbia perché non ho nessun
appuntamento, nessuno mi vedrà stasera tranne la sua
immaginazione. Cerco nella mente il da farsi, il che
dire. Ma poi mi rassegno, non posso rischiare di non
sentirla. Mi metto una vestaglia e tra poco la sento.
Ecco si ora è collegato, mi reclama, ecco sì sono
qui, mi scrive che mi desidera. Davvero stasera vuole
che slacci la vestaglia? Che voli seduta e le descriva
il decollo? Ma la prego non si tocchi se è quello che
vuole, segua il filo dei miei pensieri bollenti, che
sono certa davvero che ci porterà dove, la passione che
arde ha bisogno di carne. Una donna in ciabatte non
nutre i suoi sogni? Le giuro porto i tacchi, alti che
strusciano i sogni come l’asfalto nell’ora muta delle
fate. Come lei mi ha detto non ho messo colori, perché
il nero confonda la parte nascosta, del desiderio
scomposto che mi prende a quest’ora e il bianco
rischiari l’anima in fiamme che ha bisogno di sesso.
Davvero mi vuole come una donna fatale? Puttana di
classe che mostra e si nega, quel tanto che serve per
concedersi tutta, tanto è lo stesso per quello che
serve, che somigli del tutto alla notte che incombe,
come se avessi un appuntamento a quest’ora, un incontro
galante in un albergo del centro, che è di lavoro e lei
si immagina quale.
Mio marito è al letto, ora lo
sento, sta russando, ed io sono qui nello studio con la
luce soffusa, mi viene paura e il petto mi batte,
pensando soltanto che obbedisco all’idea, di essere
bella e lei non mi vede, d’essere donna diversa dal
giorno, quando faccio la spesa in jeans e maglietta,
quando saluto il portiere che mi chiama signora. Ma
signora di cosa? Se solo sapesse! Mi viene paura se solo
ci penso, che rischio per nulla, per queste parole, che
obbedisco e le seguo e mi dicono fitte, d’alzarmi e
d’andare senza perdere tempo, per esser regina in un
modo di fate. Ma davvero lo vuole? Che indossi una gonna
sopra al ginocchio che aderisca perfetta, e si spacchi
di fianco per raccontarle i dettagli, carezze leggere
come un soffio di vento, che asciuga le voglie quando
sola per strada, ascolto il rumore dei miei tacchi che
struscio.
Davvero mi vuole vestita elegante? Con
i capelli raccolti e una rosa all’orecchio, come una
ballerina di fado e flamenco che allungo l’ombretto per
risaltare i miei occhi, che tingo le labbra di rosso di
fuoco, perché lei mi desideri e s’affoghi davvero, nel
mare di voglia di femmina calda, che stanotte ha deciso
di essere copia, di quella che il sogno contorna e
modella. Davvero mi vuole col mio seno che danza,
davvero lo vuole che nudo trattenga gli sguardi affamati
di una platea vogliosa? Come in un lago di cigni che
affonda e galleggia, che fiero si mostra abbondante e
sicuro, d’essere unico in faccia alla terra, d’essere il
solo che si lascia guardare, e nessuna stanotte può
offrirle di meglio. Come se davvero ora lo mostrassi
in mezzo alla strada e a notte fonda lo scopro per
aprire due occhi, che girano a vuoto ancora indecisi.
Chiedono un prezzo e rispondo cinquanta, chiedono come e
li lascio vagare, nella voglia d’avermi, di fermare la
danza, di mettere in gabbia le mie tette leziose, che
ballano al vento mentre cammino.
Sono tette di
strada che vanno con tutti, obbedienti e infedeli che si
danno per poco, ribelli e sfacciate che si danno per
tanto. Sono gatte in calore sotto le finestre la notte,
che s’accoppiano al primo dopo ore di corte, ma poi
ammiccano al branco che muto le aspetta, quando i colpi
del primo si fanno insicuri. Sono campi di grani
rigogliosi e fecondi, distese di mare che nutrono pesci,
e siepi d’alloro che sanno di piscio, lische marcite per
i randagi di notte. Sono palle bagnate di saliva e di
voglia, spugne imbevute di piacere che ciuccia, poi il
vento l’asciuga e riprendono forma, pronte e gemelle per
la prossima bocca.
Nel sui sogni cammino, le
ostento e le gonfio ogni sera, perché siano chiocce per
riparare se piove, per chiunque s’illuda d’averle già
viste, attaccate alle madri che sgorgavano latte. Come
vorrei davvero che ne uscisse abbondante, per ogni bocca
che succhia e ogni lingua che lecca, come nettare
d’anima che nutre la mente, e farli ingozzare fino
all’ultima goccia, quando la voglia poi scade e non
rimane che niente.
Davvero vuole che vada?
Nell’incognita che mio marito mi veda, e il rischio che
corro è che stasera s’illuda, che quello che metto gli
ingrossa i pensieri, che m’abbellisco e mi trucco per
andarci poi a letto. Ma non c’è motivo per quello che
faccio, non c’è scusa che possa bastare, e quindi lo
faccio, lo faccio davvero, perché il solo pensarci mi
smuove dal basso, sento il sangue che sale e m’arrossa
le guance, e scrivo un ti amo col capezzolo duro, perché
lei sappia che davvero lo faccio, e corro il rischio di
non poterle parlare, e lei corre il rischio di rimanere
qui appeso, perché se s’accorgesse che lo faccio per
altro, e non è il suo sesso che voglio stasera, mi
staccherebbe la spina e va via la corrente. Perché se
s’accorgesse che sono troia e più mento e lascio che un
altro mi guidi l’istinto, non c’è freno che potrebbe
ammansire questo germe di fuoco che mi naviga dentro.
Se davvero ora potesse vedermi, si sazierebbe di
sesso senza sfiorarlo, e toccherebbe i miei urli
scomposti di brama, per lasciare all’orgasmo la parte
migliore. Alle volte mi chiedo perché tutto questo,
basterebbe davvero un’occhiata più intensa, ad un uomo
per strada che mi strapperebbe la pelle, per sentire
davvero quanto vale il mio seno, quanto le labbra, le
cosce, l’affanno e quanto è abbandonate la saliva che
metto.
Sì sono come lei mi ha chiesto, non ci
sarebbe bisogno di mentire, bella perché trasgredisco
alla legge atavica di essere soltanto di un uomo, col
timore che proprio quell’uomo spuntasse dal nulla, e mi
baciasse la fronte per andare a dormire, e toccasse da
dietro l’infinito bisogno, d’essere altro oltre che
moglie. La eccita vero? Pensare a una moglie che
arrossisce per nulla, ad una zia che porta ogni domenica
i suoi nipoti a messa, invece ora sono qui che mi lascio
ingiuriare, da frasi stipate di parole volgari, che mi
colpiscono dentro taglienti ed infami, ed arrivano
dritte nel ventre che s’apre.
La eccita vero
sapere che sto accavallando le gambe? Che un filo di
calza mi fa bella e mignotta, con la mia mano sinistra
che scompare nel nulla, che stretta nel mezzo mi sfiora
il piacere. Glie l’ho detto vero che non ho messo le
mutande? Ecco sono come lei mi vuole, donna per bene che
non chiede e non parla, ma lascia che l’uomo recepisca
il segnale. Rispondo ai suoi ordini ed apro le gambe,
la mostro fiera come fosse un tesoro, e la prego la
chiami volgare, perché solo quel nome mi da l’essenza di
quello che sono. Ma non mi chieda più altro, faccia solo
che il sangue mi arrivi al cervello, perché godo con
quello e godo pensando, d’essere sola in un vicolo
cieco, dove uomini tanti mi prendono in mezzo, vada
avanti la prego mi dica i dettagli, perché godo con
quello e le mie mani da sole, sarebbe tronchi dove
s’arrossa la pelle.
È ancora lì? Mi dica
qualcosa, mi dica che m’ama, anche se non lo pensa,
anche se non è vero, ma mi dica che mai ha incontrato di
meglio, che tutte le donne che ha conosciuto finora, se
potesse sommarle, non ne farebbero una. Me lo dica la
prego, perché è troppo grave il peso che sento, troppo
facile il desiderio di pensarmi mignotta. Mi dica che è
vero che non faccio nulla di male! Anche se sento il mio
miele che cola e frenetica aspetto che mi faccia volare,
oltre questa casa dorata arredata con cura, dove ogni
cosa ha un suo posto, sono ricca e lo sa, non ho bisogno
di altro, passo il giorno a curare me stessa, la prego
mi faccia squarciare le mura, questi bianchi soffitti
come se fossero carta, mi faccia volare sulle ali d’un
sogno, dove plano e decollo sui tetti di burro.
Manca poco ora, basterebbe un suo cenno, per svuotarmi
la rabbia che accumulo di giorno, non mi chieda da dove
provenga, a che servirebbe ora saperlo, davanti ad una
donna che ha l’anima aperta, la schiude e la chiude per
invitarla nel mezzo. Oddio davvero mi devo fermare? Lei
vuole davvero che la mia mano si fermi? Che rimanga
distante dal punto più caldo, dove ora basterebbe un
gesto ed un cenno, per sentire che a fiotti mi squaglio
e zampillo, come una piccola falla che si slabbra e
s’allarga, alla forza del mare, della natura che sento.
Vuole sentirmi? Oddio che darei per urlarle la
voglia, ma non posso parlare, non posso dire sottovoce
che l’amo, davvero lo credo perché davvero io l’amo.
Oddio non posso pensarci, davvero lo vuole? Leggo e
rimango stordita, vuole sapere se mio marito ha spento
la luce? Perché non c’è niente di più bello che entrarmi
stasera, di scoparmi nel cuore come fosse una fica, con
un sesso qualunque che poi fa lo stesso, d’alzarmi e
cercare una forma di maschio, ed invitarla nel posto
dove regna il mio vuoto, dove stasera l’ho apparecchiata
di gusto, dove lei stasera ha preparato il percorso.
M’alzo e cerco frenetica un qualsiasi oggetto, le
chiavi di casa, una penna, gli occhiali, la prego non
demorda perché io non mi scoraggio! Continui a dirmi che
senza non sarebbe lo stesso, che vuota sarei solo una
moglie banale, che aspetta nel letto suo marito che
russa. Cerco e fremo, al buio non vedo, ecco ora ho in
mano il telefono, lo stringo e sento i contorni, mi
sembra che faccia al mio caso, somiglia alla forma della
passione che sento. Ora vuole? Adesso davvero? Vuole
chiamarmi? Oh sì mi chiami, mi faccia due squilli per
essere certo, di sentirmi che bramo alla voglia che
incede, di sentire la voce mentre io vengo. Ha il mio
numero vero? Lo scriva di nuovo perché ne sia certa. Mi
scriva qualcosa perché non sia asciutta, che quello che
dice abbia un verso soltanto e non ci siano intoppi come
ora non esiste ragione. Mi scriva la prego che lo sono
davvero, una vacca che allatta per come è gonfio il mio
seno, una escort se ha bisogno di lusso, di sentire il
profumo della seta che offro. Davvero vuole che lo tenga
stretto tra le mie gambe? Oddio sì, avevo capito altro,
che volesse sentire la mia voce, ma va bene lo stesso,
la prego mi guidi per favore perché ora lo sento e
voglio volare, nell’infinito bisogno di sentirla qui
dentro. Lei è sposato vero? Sua moglie ora dorme? Oppure
è solo un ragazzo come mi ha detto? Io sono in piedi
appoggiata al muro, ora in ginocchio per concentrarmi
alla voglia.
La prego, scriva più in fretta, mi
dica che stasera mi bacia e mi chiama, con un nome da
strada od un fischio volgare, mentre mi prende davvero
per tutta la notte, perché io la sento, la sento che
vuole, che spinga più in alto che prema più forte, come
mai nessun sesso ha fatto la breccia, come mai nessun
maschio è arrivato fin dove, si slarga la pelle
dell’anima in fondo. Le spiace se le dico amore? Le
spiace se le dico tesoro? Dentro questa pazzia di essere
altro, signora di classe e puttana di un uomo, di un
oggetto che ora entra e ancora mi prende e mi vuole, ed
io l’accompagno lo spingo e lo giro, dentro il mio sesso
a carponi per terra. Oddio ci sono! Eccomi ora! Certo lo
so, è solo un telefono, ma per me ora è il maschio che
voglio, i suoi occhi impazziti che mi scavano dentro, le
sue mani che mi stringono i fianchi, la bocca che
ciuccia quel latte. Mi chiami adesso la prego, mi chiami
più in fretta. MI CHIAMI si sbrighi, non abbia timore,
ho tolto la suoneria ed aspetto che vibra e non posso
aspettare. 3206729… MI CHIAMI cavolo! Ora o mai più!
Oddio sì, ecco, adesso la sento! Lo lasci squillare,
lo lasci vibrare, non smetta la prego, continui ancora,
non basta uno squillo per sentire l’amore, per sentire
che l’amo, che m’ama, che urlo, che grido d’ingozzarmi
di sesso, perché ora ogni squillo è una fitta, un colpo
di maschio assestato e più duro, e mi convince che
niente ora potrei avere di meglio, di questo telefono
che ancora mi squilla, che muto mi vibra dentro l’anima
in fiamme. La prego ancora, non smetta... sì ancora,
vada più veloce come fosse reale, come un maschio che
freme di farmi godere. La sento, lei è vivo, è vero e
non è solo parole, lei è l’essenza del desiderio più
puro, la prego, lo lasci squillare, lo lasci vibrare…
come se fosse una marcia nuziale, una musica lontana, il
suono del vento, le note umide di una sinfonia d’amore.
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Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
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