|  | HOME  
			
                              
                            
            
                            CERCA  
                            
                            
                            CONTATTI   
			
                            
                            
			COOKIE POLICY 
  RACCONTI
 
  Adamo Bencivenga
 Quel bacio alla stazione
 
 
  
 
 
				
					| Un venerdì prima di Natale, le sei e un quarto di 
						mattina, la vibrazione del telefono mi aveva svegliato, 
						ma non conoscevo il mittente, insonnolita lessi: “… Io 
						sono libera mia cara, libera di volare, libera di 
						respirare… baciare un’altra donna tra la folla, alla 
						stazione, dentro un bar. Lontana da ogni vincolo e 
						contro ogni apparenza, ma sappi che se tu non vuoi non 
						ti trascinerò con me. Questo è il mio addio. Laura.”
 
 Confusa rilessi più volte il messaggio, era evidente 
						che fosse un’aggiunta di un fitto colloquio, ma era 
						altrettanto evidente che qualcuno aveva sbagliato 
						numero. Sì certo lo avevo intuito che era una relazione 
						tra due donne, cosa lontana mille miglia da me, ma mi 
						resi conto quanto fosse importante quel messaggio, come 
						può esserlo solo un addio, per cui mi chiesi se in 
						coscienza avrei potuto semplicemente ignorarlo, 
						rimettermi a dormire e cestinarlo oppure rispondere 
						cortesemente scrivendo appunto che non ero io la donna 
						di quell’addio.
 
 Scelsi la seconda ipotesi, 
						addirittura scusandomi per non essere io la destinataria 
						e nel contempo augurandole tutto il bene possibile. Sì 
						in effetti ero dispiaciuta, molti uomini mi avevano 
						lasciato, molte amiche erano svanite nel tempo, ma mai 
						nessuno mi aveva scritto un addio seppur con parole così 
						concise e fredde. Addirittura provavo invidia per quella 
						donna lasciata, come se il dolore, la sofferenza fossero 
						comunque uno stato vitale rispetto alla mia apatia.
 
 L’ultima mia relazione era stata con Marco circa un 
						anno prima, quando ci lasciammo piansi lacrime amare per 
						tre giorni consecutivi coccolata da mia madre, 
						dall’analista e giurando che mai più avrei affidato il 
						mio cuore a chicchessia. Ora vagavo senza meta tra i 
						chiari e scuri dei miei stati d’animo, alla ricerca di 
						un sano e leggero divertimento e rifiutando qualsiasi 
						approccio che sapesse di relazione duratura o quantomeno 
						di impegno sentimentale.
 
 Quella mattina non 
						ripresi sonno e mi alzai dal letto, andai in bagno, mi 
						scaldai un po’ di latte e caffè e feci colazione seduta 
						davanti alla finestra del mio giardino. Insolitamente 
						era una splendida giornata di sole, quando un’altra 
						vibrazione del telefono mi fece sobbalzare. Era sempre 
						lei Laura che si scusava non tanto per aver inviato il 
						messaggio ad una persona sbagliata e a quell’ora di 
						mattina, ma per il tono di quelle parole. “Io non sono 
						così, non mi prendere per una persona presuntuosa, a 
						volte sono i casi della vita che induriscono anima e 
						cuore. Scusami.” Leggendo sorrisi per quella tenerezza 
						non richiesta e allora stesso tempo per quella 
						semplicità che mi spinse immediatamente a risponderle.
 
 Così era iniziata, poi seguita da una fitta 
						corrispondenza di parole dette e sottintesi e fin da 
						subito mi accorsi che quella ragazza, nella sua estrema 
						naturalezza mi stava trascinando in qualcosa di mai 
						vissuto, in un mondo di affetto e dolcezza che a poco a 
						poco faceva breccia nella mia corteccia indurita dai 
						tanti fallimenti.
 
 Quella presenza virtuale 
						divenne così una cadenza fissa alle mie ore noiose, 
						tanto che dopo averle scritto attendevo con ansia una 
						sua risposta e chiedendomi ogni volta cosa pensasse di 
						me. Beh sì l’argomento principale era sempre l’amore o 
						meglio il suo contrario confidandoci sui tanti tracolli 
						dopo gli entusiasmi iniziali. Andammo avanti per un po’ 
						di tempo finché una sera le scrissi che non mi sarebbe 
						dispiaciuto non approfondire quell’amicizia e lei di 
						rimando, giuro senza chiederlo, mi inviò una sua foto.
 
 Quando vidi l’allegato presi tempo, in cuor mio 
						sapevo già di cosa si trattasse, per cui mi scaldai una 
						tisana, mi accesi una sigaretta e col fiato in gola 
						visualizzai la foto. Rimasi letteralmente sconvolta da 
						quella bellezza. Non so spiegare la mia sensazione, 
						ricordo che trattenni semplicemente il fiato davanti a 
						quel misto di malizia e provocazione. Le sue labbra 
						carnose erano quasi oscene, l’ovale del viso regolare 
						incorniciato da una cascata morbida di sottilissimi 
						capelli biondi, il corpetto rosa, lo sguardo intenso, le 
						spalle ossute e fragili. In quella figura tutto aveva un 
						senso e tutto era in ordine tranne i miei pensieri che 
						come schegge impazzite iniziarono ad orbitare nella mia 
						testa.
 
 Per la prima volta non le risposi 
						immediatamente, sentivo in me l’urgenza di fare i conti 
						con me stessa. Del resto era in assoluto la mia prima 
						volta perché finora mai e poi mai mi era capitato di 
						guardare un volto femminile con quella partecipazione. 
						Come spesso mi capitava, la forte emozione mi obbligò ad 
						andare in bagno: “Emma cara, cosa diavolo ti sta 
						succedendo?” Mi dissi davanti allo specchio.
 
 Da 
						quel momento i nostri discorsi si fecero più caldi e 
						nella seconda foto che mi inviò mi apparve nuda in tutta 
						la sua bellezza. Nonostante il mio turbamento iniziai a 
						fantasticare e i miei sensi non trovarono più ostacoli. 
						Come prima cosa mi sorpresi a pensare a quanto sarebbe 
						stato bello baciare quel seno immaginando le mie labbra 
						vogliose sui suoi capezzoli rosa sebbene fino a quel 
						tempo non avessi mai avuto la minima esperienza.
 I 
						miei pochi amori erano stati tutti rigorosamente maschi, 
						certo non ero esperta e all’atto pratico non avrei 
						saputo da dove cominciare, ma sentii nelle mie intimità 
						quell’attrazione così naturale che iniziai a toccarmi 
						più volte vedendo quella foto. Ovvio anche io ero 
						femmina, ma lei era la Femmina, un’entità superiore a 
						cui era impossibile assomigliarle. Lei era altro 
						rispetto a me, nulla a che vedere con le mie fattezze di 
						donna. Non so quanto ne fossi convinta e quanto lo 
						pensassi per giustificarmi quella che ormai consideravo 
						una perdizione e fu in quel momento che mi accorsi per 
						la prima volta di non fare alcuna differenza di sesso e 
						di età al punto che quelle forme devastarono per giorni 
						i miei desideri più profondi con ripetute contrazioni e 
						orgasmi violenti.
 
 Lei aveva compiuto da poco 
						ventuno anni, praticamente dieci meno di me, ma rispetto 
						a me aveva meno dubbi e più certezze, tanto da farmi 
						sentire vecchia nell’aspetto, ma ancora ingenua per il 
						resto. Iniziai a domandarmi se le sarei piaciuta e a 
						chiederle che tipo di donna le piacesse, lei, pur non 
						avendomi mai visto, mi rispondeva ogni volta: “Emma tu 
						sei bella così!” Ero felice, sentivo che tra noi era 
						effettivamente nato qualcosa di importante, di 
						estremamente confidenziale anche se dentro di me mi 
						ripetevo che quel rapporto non avrebbe mai superato i 
						limiti di quei messaggi.
 
 Lei ovviamente era di 
						tutt’altro avviso, uscita da quella relazione, che poi 
						seppi era durata due anni, conosceva benissimo tempi e 
						modi per scardinare le mie riserve. Detto fatto un bel 
						giorno, sempre con la sua solita voglia di stupire e 
						sorprendermi superò senza alcuna remora quel limite 
						chiamandomi. Non si presentò, mi disse semplicemente: 
						“Sorpresa?” Non servì altro, perché riconobbi quella 
						voce calda e profonda senza averla mai sentita. Mi 
						perforò senza colpo ferire la pelle del cuore ed io 
						inebetita non dissi nulla, mentre lei, superato il primo 
						momento, iniziò a parlare come si ci conoscessimo da una 
						vita, sapendo tuttavia entrambe che non sarebbe stato il 
						contenuto delle parole, ma il suono melodioso delle 
						pause e dei respiri a renderci unite e complici.
 
 Sentivo le gambe tremare, il sangue scorrere veloce 
						e per la paura di perdermi il suo più piccolo respiro 
						stringevo il telefono premendolo all’orecchio fino a 
						farmi male. Da quella volta le attese di una sua 
						telefonata divennero angoscianti e lei da esperta sapeva 
						benissimo cadenzare i miei stati d’animo. Alle volte si 
						faceva sentire tre quattro volte al giorno altre invece 
						scompariva totalmente per l’intera giornata, ma poi con 
						una dolcezza disarmante, come se nulla fosse accaduto, 
						mi chiamava il giorno successivo e riprendeva il suo 
						lungo assedio alle mie ormai poche resistenze.
 
 Ricordo ancora il giorno e l’ora e cosa stavo facendo 
						quando per la prima volta in assoluto mi chiamò “Amore”, 
						pronunciò quella parola con naturalezza come fosse un 
						intercalare mentre per me fu un qualcosa di 
						magnificamente universale come il circo e la giostra da 
						bambina, la Porta di Ishtar, le rose fresche dei 
						Giardini pensili di Babilonia, la regina Semiramide che 
						mi trascinava di peso attraverso il binario nove e tre 
						quarti nei meandri segreti e inaccessibili del nostro 
						paradiso segreto. Dalla felicità scoppiai a piangere e 
						la chiamai “Anima Mia” perché effettivamente mi aveva 
						rubato l’anima non smettendo di ringraziarla per avermi 
						dato la spinta necessaria da considerarmi a tutti gli 
						effetti la sua Amante.
 
 Ero costernata e felice e 
						più volte pensai a mia madre e come avrebbe preso una 
						notizia del genere, lei che ogni santo giorno al 
						telefono mi chiedeva se ci fosse qualcosa all’orizzonte 
						per darle la minima speranza di diventare nonna. Ma 
						invece il mio unico desiderio era lei, Laura, l’unico 
						essere al mondo che comprendeva le mie incertezze e il 
						mio bisogno di essere capita a cui avrei affidato tutto 
						il mio futuro.
 
 Si era intrufolata nella mia vita 
						senza chiedere nulla ed ora che aveva compreso le mie 
						ataviche diffidenze mi ripeteva ogni giorno di stare 
						tranquilla, che nessuno mai avrebbe dovuto obbligarmi a 
						fare cose che non avrei mai voluto fare. “Emma rispetto 
						i tuoi tempi, sarai tu a dirmi quando sarai pronta e se 
						mai lo fossi rimarremo comunque amiche.” Mi diceva ogni 
						volta, ma di contro sapeva benissimo quanto fosse 
						diventata la mia dose quotidiana di ossigeno e che senza 
						di lei non mi sarebbe stato più permesso respirare. Via 
						via le nostre conversazioni seriali si fecero 
						piacevolmente più intime e calde, e in quei momenti 
						d’incanto sparivano le mie timidezze. Il desiderio di 
						toccarci, baciarci, amarci, stare insieme si diluiva in 
						prolungati orgasmi notturni. Ovviamente il rapporto era 
						impari, era lei il traino di ogni iniziativa ed io il 
						rimorchio, lei la guida ed io la sua allieva che non 
						smetteva di imparare e di crescere nonostante fossi 
						molto più grande di lei.
 
 “Davvero non ci serve un 
						uomo?” Ma ero solo io a chiederlo perché lei la scelta 
						l’aveva fatta sin da quando adolescente s’innamorò 
						perdutamente della sua compagna di banco. Mi raccontò le 
						altre sue storie, scendendo a volte nei particolari più 
						piccanti, ed io per la prima volta in assoluto avvertii 
						un qualcosa simile alla gelosia. Mi ripetevo che mai e 
						poi mai avrei permesso ad un’altra rivale di 
						appropriarsi di quel tesoro che ora consideravo solo 
						mio.
 
 Andammo avanti ancora per qualche mese, poi 
						l’evento tragico della morte di mia madre, decise per 
						me. Il giorno stesso del funerale mi mandò un messaggio: 
						“Domani alle nove sono in stazione, ti prego non 
						deludermi.”
 Vivevamo in due città diverse a circa 
						cento chilometri di distanza e finora quella era stata 
						la mia ancora di salvezza, ma ora era tutto diverso, 
						anche io avevo bisogno di una persona accanto, o meglio 
						avevo bisogno di lei, della sua smisurata dolcezza, di 
						essere abbracciata nel mio dolore.
 
 Quella 
						mattina mi alzai dopo una notte insonne, il dolore per 
						mia madre e l’ansia di vederla combattevano ad armi pari 
						dentro la mia testa, ma durante la notte mi convinsi che 
						la sua presenza sarebbe stata così totalizzante che 
						avrebbe alleviato il mio stato d’animo. Per cui mi 
						alzai, andai in bagno e dopo una doccia bollente mi feci 
						bella con un tocco leggero e naturale di trucco. 
						Raccolsi i capelli, un velo di rossetto ed osai 
						slacciando due bottoni della camicetta, convinta che 
						anche lei avrebbe fatto altrettanto. Mi concessi un paio 
						di scarpe col tacco alto, la gonna corta e la corsa di 
						un taxi che mi portò in dieci minuti alla stazione. 
						Durante il viaggio le scrissi che ero emozionata e che 
						se avesse voluto eravamo ancora in tempo di ripensarci, 
						ma lei mi rispose con un grande cuore rosso e una 
						scritta: “Ti aspetto.”
 
 La vidi da lontano. 
						Portava un cappello nero, la minigonna svasata rossa e 
						naturalmente una camicetta di seta simile alla mia con 
						due bottoni slacciati. Quando mi avvicinai si mise in 
						posa come per essere fotografata, poi tenendosi il 
						cappello girò due volte su se stessa ed io in estasi 
						ammirai le sue caviglie sottili, le gambe lunghe, la 
						vita sottile, il profilo regolare, le labbra carnose e 
						il seno magicamente piccolo e sensuale.
 Ecco era lì, 
						vera, bella, in carne ed ossa, fragile come una 
						farfalla, forte come un dogma su cui riponevo ogni mia 
						aspettativa. Lei mi sorrise mettendo in mostra i suoi 
						denti bianchissimi e affogai nell’azzurro mare dei suoi 
						occhi.
 
 Rimanemmo lì in piedi a guardarci, in 
						precario equilibrio sui nostri tacchi senza dire una 
						parola, poi ci abbracciamo e sentii indistintamente i 
						suoi capezzoli duri, il suo calore attraverso la seta e 
						la sua voglia di non deludermi mai. La pregai muta di 
						darmi almeno una parte della sua energia e poi 
						fissandoci ci penetrammo così intensamente che, 
						nonostante gli addetti, i passanti e la folla tutta, le 
						nostre bocche avide si fusero in un lungo bacio di 
						passione. In quel momento mi vennero in mente le sue 
						parole in quel primo messaggio chiedendomi quanto fosse 
						realmente sbagliato il destinatario o quanto il destino 
						invece lo avesse inviato alla persona giusta.
 
 Quando ci avviamo verso l’uscita la guardai ancora, 
						letteralmente persa mi sorpresi a pensare quanto fosse 
						identica a come l’avevo immaginata, e che se fosse stata 
						diversa sarebbe stata comunque identica al mio sogno. Mi 
						chiesi il motivo di quella fortuna e ringraziai quel Dio 
						a cui non avevo mai dedicato una preghiera. Perché lei 
						era la mia donna, perdutamente femmina, e non avevo 
						alcuna difficoltà ad ammetterlo tanto da essere del 
						tutto cosciente che quel bacio alla stazione era ciò che 
						avevo sempre desiderato dopo il quale nulla nella mia 
						vita sarebbe stato più come prima.
 
 |  
 
  
 
 
  
 
 Il racconto è frutto di 
		fantasia.
 Ogni riferimento a persone e fatti
 realmente accaduti 
			è puramente casuale.
 
 IMMAGINE GENERATA DA IA
 © All rights 
						reserved
 TUTTI I 
                        RACCONTI DI ADAMO BENCIVENGA
 
 © Adamo Bencivenga - Tutti i diritti riservati
 Il presente racconto è tutelato dai diritti d'autore.
 L'utilizzo è limitato ad un ambito esclusivamente personale.
 Ne è vietata la riproduzione, in qualsiasi forma,
 senza il consenso 
    dell'autore
 
 
 
 
  
 
 
  
 
 Tutte 
						le immagini pubblicate sono di proprietà dei rispettivi 
						autori. Qualora l'autore ritenesse 
				improprio l'uso, lo comunichi e l'immagine in questione 
						verrà ritirata immediatamente. (All 
						images and materials are copyright protected and are the 
						property of their respective authors.and are the 
						property of their respective authors.If the 
				author deems improper use, they will be deleted from our 
						site upon notification.) Scrivi a
						
				liberaeva@libero.it
 
 COOKIE 
					POLICY
 
 
 TORNA SU (TOP)
 
 LiberaEva Magazine 
                        Tutti i diritti Riservati  
					
				Contatti
 
 
 
  
 
 
 |  |