Alla
stazione di Santa Maria Novella non ho dovuto attendere molto; il tempo di
raggiungere la piazza, di gettare uno sguardo verso la splendida facciata
rinascimentale della chiesa, opera mirabile dell'Alberti, e subito due
giovani donne, una bionda e una bruna, elegantissime, mi hanno avvicinato.
- Il Dottor Carlo D'Adua? -
- Sì, sono io. Buongiorno. -
- Bene.
Vogliamo andare, Dottor D'Adua? -
- Potreste chiamarmi semplicemente
Carlo? Mi sentirei più a mio agio... -
- Come vuole, Carlo. Ci segua. -
La banale strategia del mazzo di rose rosse, segno di riconoscimento, ha
funzionato con troppo anticipo.
Avrei preferito un lieve ritardo,
qualche minuto di tempo per riflettere e raccogliere le idee, per dare un
ordine e un senso alle domande che avrei dovuto rivolgere alla Signora Di
Saba, ma le mie belle accompagnatrici erano già lì, tempestive e poco
disposte a perdere tempo.
Una lucidissima Range Rover color nocciola e
dai vetri fumé ci attende poco distante.
L'autista, un uomo attraente,
sui quarant'anni, apre le due portiere di destra; la donna bionda sale
davanti mentre io vengo invitato ad accomodarmi dietro, in compagnia
dell'affascinante donna bruna.
L'autista richiude le porte, gira
intorno alla vettura, sale e mette in moto.
Ora il mio viaggio
comincia davvero e non c'è più modo di sottrarsi.
Perché mai dovrei
farlo, dopotutto? Le interviste fanno parte del mestiere...
Silenziose,
le due donne guardano oltre i finestrini con aria distratta e non sembrano
desiderare colloqui, sicché m'adeguo anch'io, ma con poco entusiasmo
perché qualche scambio di parole mi avrebbe aiutato a superare un certo
imbarazzo e una strana sensazione di ansia che ora si va facendo più
insistente.
Alla periferia di Firenze la mia compagna di sedile estrae
da un cruscotto dell'elegantissima vettura una fascia nera.
- Si metta
questa, per favore! -
- E' proprio necessario? -
- Non glielo
chiederei, altrimenti! -
- Capisco! Sono un giornalista, quindi non vi
fidate di me, ma se non bastasse la mia parola, signora, per convincerla
del contrario, mi permetta di ricordarle che esiste una severissima legge
a tutela della Privacy... -
- La Privacy, Carlo, nasce come virtù ed è
ben più antica della legge. Si metta la fascia sugli occhi o sarò
costretta a far fermare l'auto e a farla scendere! -
- D'accordo. Se
non c'è altro sistema... -
- I sistemi sono due: o si mette la fascia,
o si stende sul fondo dell'automobile. Scelga lei! - Risponde la mia
ospite in modo garbato ma perentorio.
Mi rassegno e metto la benda
nera, poi sento la mano di lei accomodarmela sugli occhi; è una fascia
elastica, spessa ma non fastidiosa.
Tanto meglio per me. Non è stato
facile ottenere un appuntamento con Paola Di Saba e sarebbe da sciocchi
giocarselo per un dettaglio così da poco, sebbene un po' umiliante.
Ho
impiegato tre mesi per riuscire ad avere un primo contatto e altri tre per
l'appuntamento.
Tutto era cominciato a Roma, a casa di un amico
mercante d'arte erotica.
Mi aveva fatto vedere, tra le altre cose, un
disegno conservato dentro una cartella color tabacco: una donna nuda dal
volto solare è in piedi sopra la testa di un uomo riverso sul ventre e con
i polsi incatenati.
La figura femminile è perfettamente in equilibrio,
eretta e fiera; il braccio sinistro è alzato e nella mano sorregge una
mela rossa e intatta, il frutto inesistente, il simbolo ormai iconografico
della conoscenza del bene e del male.
Il braccio destro è lungo il
fianco; la mano stringe l'impugnatura di una frusta di cuoio intrecciato,
una di quelle fruste da doma, da schiocco, lunghissime, da istruttori
equestri, da "gauchi" o da domatori di circo e la sua coda si snoda come
un serpente sopra la schiena dell'uomo, senza avvolgersi.
Era un
disegno a pastello molto raffinato, semplice e chiaro, d'interpretazione
tanto immediata quanto inequivocabile.
- L'hai pagato caro? - Chiesi
per curiosità.
- Cinquecento, forse seicentomila lire, in teoria. -
- Non è caro! - Risposi senza riflettere.
La mia curiosità in effetti
riguardava altro: la firma leggibilissima dell'autrice, certa Paola Di
Saba.
- Ma chi è? -
- Se ti dico che ci ho provato in tutti i modi,
Carlo, ma che non m'è riuscito di saperlo, devi credermi. Sai bene quanto
sono curioso e cocciuto, in certi casi. -
- Ti credo... dove l'hai
preso? -
- L'ho scambiato con un collezionista; cinque fotografie degli
anni Venti... -
- Però! -
Non mi ha saputo dire chi fosse
l'uomo del baratto, ma scoprire piste e fonti d'informazione è la parte
più divertente ed eccitante della mia professione.
Così è cominciata la
vicenda che mi ha portato fin qui, con questa benda sugli occhi e un
profumo di donne piuttosto inebriante che ha invaso l'abitacolo della
Rover.
Il viaggio non promette di essere breve; non posso guardare
l'orologio, ma ho la sensazione che sia già trascorsa un'ora e la fascia
che mi costringe al buio, che non mi permette di seguire l'andamento
dell'auto, di prevenire le curve o di guardare lontano comincia a causarmi
un forte senso di nausea.
- Manca ancora molto? -
- Un buon paio
d'ore, almeno... -
Azzardo una richiesta.
- Senta... non potremmo
fermarci qualche minuto? Questa situazione mi sta creando un certo
malessere. Non credo che resisterò un altro quarto d'ora... -
-
Spiacente, Carlo, ma di fermarsi non se ne parla nemmeno. L'aiuto a
sdraiarsi sul fondo e poi potrà togliersi la benda. -
- Sul fondo? -
La bellissima signora sembra spazientirsi.
- E' un'automobile molto
ampia, dottor D'Adua, e la moquette viene pulita ogni giorno. Non ci starà
male. Si sbrighi, prima di essere lei a sporcarla! -
- Va bene. La
prego... non ce la faccio più. -
Sento le sue mani prendermi le spalle
e guidarmi verso il basso con molta delicatezza. Mi sdraio sul fondo,
effettivamente ampio e morbido e finalmente posso togliermi la fascia
nera.
La luce, attenuata dai vetri fumé, è di grande conforto.
- Va
meglio? - Chiede lei con gentilezza.
- Molto meglio, grazie. -
Nel
risponderle la guardo, o per meglio dire, guardo ciò che della mia
compagna di viaggio è visibile; ha due gambe bellissime e calze a velo,
sottili, lievemente dorate, color "carne".
Mi ha fatto scendere
con la testa dal lato di lei, tra le sue scarpe.
Non posso negare a me
stesso che questa posizione mi ecciti, anzi, comincio ad avvertire
all'inguine un certo movimento, un principio d'erezione e la cosa
m'imbarazza un po'; m'imbarazza, mi eccita e m'inquieta.
Finirà per
accorgersene, penso, visto che non potrò muovermi da qui per altre due
ore...
Sposto la testa verso il sedile anteriore nel tentativo di
vedere in viso la donna ai cui piedi ora mi trovo; si è accesa una
sigaretta e guarda fuori dal finestrino, tranquillamente, come se per lei
non esistessi.
Guarda il panorama d'una campagna toscana, almeno credo,
che se poco prima mi mancava ora non desidererei più cambiare con la
straordinaria e a dir poco eccezionale opportunità di contemplare, non
visto, gambe tanto belle per due ore o forse più.
D'un tratto le
accavalla, emettendo quel fruscio tipico di calze che a nessun uomo
dispiace sentire, ma che da qui sotto si percepisce in modo
particolarmente intenso. Non si può fare a meno di apprezzarlo ancora di
più, perché accade come un fatto a sé, unico, isolato da ogni altro
contesto, perciò non si confonde tra diversi fenomeni d'eccitazione, ma si
manifesta, almeno per me, per la prima volta in tutta la sua potente
capacità di stimolare i miei sensi.
Accade però che adesso il suo piede
destro si trovi esattamente sopra la mia testa ad una distanza di pochi
centimetri, centimetri che talvolta si riducono a millimetri, a seconda
delle oscillazioni che il fondo stradale, le curve e le sospensioni
dell'auto provocano alle sue gambe.
Il sottile tacco a spillo sembra
gravitare sopra di me come una lama di stiletto che nessuno controlla, a
volte si avvicina ai miei occhi, a volte si ferma sopra la bocca, sulla
gola, altre volte mi sfiora il naso...
La ragione, se non la
prudenza, suggerirebbe di sottrarsi, ma c'è qualcosa che mi blocca e che
mi spinge a rischiare, a rimanere dove sono e in un certo senso ad
"ascoltare" attentamente le sensazioni che quella elegante, raffinatissima
spada di Damocle, squisitamente femminile, detta alla mente e al corpo.
In un primo momento avrei voluto chiederle quanto meno di togliersi la
scarpa, ma non ne ho avuto il coraggio.
Le difficoltà incontrate per
giungere ad un appuntamento con la Signora di Saba mi fanno sentire
tutt'oggi un ospite poco gradito e non certo nella posizione di sfidare la
loro già troppa cortesia.
La caviglia della mia accompagnatrice è
davvero bella, sottile e la sua scarpa nera, lucida e scollata, mette in
evidenza l'incavo del piede, la lieve curva della pianta, accentuata dalle
leggerissime pieghe della calza.
Mi sorprendo a pensare che anche i
suoi piedi devono essere molto belli. Le ho visto le mani, alla stazione:
le dita lunghe, le unghie curatissime e smaltate di rosso vivo.
Quando
sono belle le mani è impossibile che non lo siano anche i piedi...
Mi
sorprendo di me stesso, è vero, ma la circostanza è talmente singolare,
talmente irripetibile che non voglio perdere nemmeno un istante di questo
viaggio e ciò che mi conforta di più è dato dal fatto che, qualunque cosa
accada, comunque vada la mia intervista, il ritorno sarà uguale
all'andata.
Ora la donna bruna cambia posizione, dà un'occhiata giù per
evitare di urtarmi o di calpestarmi, appoggia il piede destro appena oltre
il mio collo, tra spalla e mento, e accavalla la gamba sinistra.
La sua
scarpa, al tallone, poggia contro la mia gola. Il tacco dev'essere più
alto di quanto supponessi e piuttosto arcuato.
Mi basterebbe pochissimo
per baciarle la caviglia, una lieve torsione della testa verso destra e...
Ancora, mi meraviglio di me stesso, ma dal suo piede emana un
profumo intenso di Chanel, leggermente miscelato ad un buon odore di
cuoio, di calzatura nuova.
Mi vergogno, ma non posso fare a meno di
respirarne l'aroma, la delicatezza; è da questi non trascurabili
particolari che trae origine il feticismo di un uomo, il piacere
nell'adorazione di oggetti senza dubbio estetici, enfatici della bellezza
femminile, ma in genere ignorati, forse perché accessori d'uso quotidiano,
coprenti e non rivelanti, spesso lontani o troppo frettolosamente
allontanati? Oppure niente, d'una donna, è scindibile dalla stessa, ma
tutto concorre a creare un unico feticcio, totemico, un idolo fatto di
bellezza, di dolcezza, di profumi, di forme, di cose...?
Non è ancora
il tempo delle risposte.
In fin dei conti sono qui per conoscere ed
intervistare l'autrice sconosciuta di tavole erotiche particolari e belle,
non per dare risposte mai abbastanza definitive ai misteri dell'Eros.
Ma una già comincio a darmela; sopra la mia testa, le cosce accavallate
della bella ospite oscillano in continuazione e la loro bellezza è ancor
più evidente perché difesa dalla distanza, e non solo.
Alla distanza
s'aggiunge la circostanza, quella che ha messo un uomo normale, dotato di
educazione, di buona cultura e di un certo self-control, in uno stato di
totale inferiorità, di dipendenza e di subordinazione.
Questo stato di
cose provoca un piacere diverso, ma nel contempo d'uguale natura, capace,
se lo si lascia agire, di produrre un'eiaculazione.
La parte
sconosciuta, semmai, è data da una sorta di orgasmo mentale che non si
spegne, anzi, aumenta di continuo e ciò dev'essere dovuto ad almeno due
condizioni: la prima credo che dipenda dal fatto di non poter raggiungere
e toccare l'oggetto desiderato e questo porta il desiderio ad un livello
altissimo, inarginabile, difficile da controllare, ma irrinunciabile. Ed è
quello che mi sta accadendo!
La seconda è che lei, la donna,
sembra ignorare del tutto il turbine di emozioni e desiderio che si sta
creando nell'uomo ai suoi piedi: è talmente indifferente e lontana da
diventare, ogni momento di più, uguale per natura ad una divinità, ad un
idolo di pietra preziosa, ad una grande statua alla base della quale si
prostrano i fedeli, a Dio stesso, se invece dell'uomo fosse stata fatta la
donna a Sua immagine e somiglianza.
La bella ospite ignora i miei
pensieri; cambia ancora una volta posizione e il tacco della sua scarpa
destra torna ad oscillare sopra i miei occhi.
L'auto sembrerebbe salire
lungo un percorso collinare, le curve aumentano e il fondo stradale pare
piuttosto dissestato.
Sia il tacco che la suola ogni poco mi toccano,
ma non con violenza e ciò mi fa credere che più di tanto non possa
accadere.
Invece accade; una buca più profonda delle altre,
un’improvvisa scossa della vettura e il suo tacco giunge a segno
colpendomi poco sotto l'occhio sinistro, sopra lo zigomo, striscia e
inevitabilmente taglia.
Sento un bruciore forte, mi tocco e una traccia
di sangue rimane sul dito.
La donna non si muove; sembra che non se ne
sia nemmeno accorta.
Non se n'è accorta oppure non ci fa proprio caso?
Per qualche oscura ragione non mi sposto. Il dolore improvviso si è
combinato con l'eccitazione, produce adrenalina e pensieri inquietanti.
Ma chi sono io, a questo punto? Dove potrei arrivare se anche un fatto
accidentale che avrebbe potuto causarmi di peggio, invece di allarmarmi mi
stimola? E quanto è distante la consapevolezza, crescente, d’essere
anch'io un feticista dalla probabilità di scoprirmi ben altro? Dov'è,
sempre che ci sia, il confine?
In compagnia di questi pensieri
fisso la sua scarpa che si muove per inerzia sopra il mio volto, fisso la
sua bella caviglia, l'incavo del suo piede, le sottili e delicate pieghe
della calza e l'immobilità distante, per me non visibile, ma solo
immaginata, dei suoi occhi che forse guardano ancora, oltre il finestrino,
un paesaggio a lei famigliare.
Nel frattempo il mio pene ha prodotto
qualcosa di umido e caldo.
La grossa auto è talmente confortevole che
rende difficile capire, al di là di certe scosse improvvise, che genere di
percorso stia facendo, se stia andando veloce o lenta e l'incantevole
profumo di Chanel m'impedisce di percepire odori esterni che potrebbero
altrimenti indirizzare un discreto segugio come me sulla pista giusta.
Tre ore di viaggio da Firenze, ma in quale direzione? Siamo sempre in
Toscana oppure siamo in Lazio, in Umbria, nelle Marche, in Liguria, in
Emilia...?
Rinuncio, anzi, rimando; in questo momento la mente non mi
appartiene più, ma è del tutto rapita dalle virtù di una donna che
contingenze straordinarie hanno posto in una posizione dominante.
Infine, vorrei dire purtroppo, l'auto si ferma, i cardini di un cancello
stridono, la Range Rover riparte ancora, percorre un viale sterrato,
quindi si blocca e si spegne definitivamente.
Faccio per sollevarmi, ma
questa volta il piede della mia ospite non è inerte, mi respinge giù con
decisione e giù mi costringe a stare, conficcandomi il tacco tra la
clavicola e la spalla.
- Si rimetta la fascia. Siamo arrivati. -
.
FINE