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RACCONTI
 
 

Adamo Bencivenga
La ragazza rumena



 

Photo Nina Masic
 
 

La ragazza rumena si chiama Anastasia, ha vent’anni compiuti da un mese e un anello d’oro che gira tre volte tra le dita. I suoi capelli sono una cascata di ruggine e tramonto, la sua pelle una sfumatura d'ambra e madreperla ed ha gli occhi chiari profondi e genuini, una scopa in mano e un secchio pieno d'acqua sporca. In piedi su quel balcone sbuffa e si stringe dal freddo, lavora a servizio in quella casa, bella e signorile, ma oggi non ha voglia di pulire perché odia quel lavoro, lo stesso di sua madre e pensa che ci sia un modo più facile per guadagnare, per affittare un buco lontano dai suoi e mantenere suo figlio Christian che ora starà giocando nel letto di sua madre.

La ragazza rumena si mette le mani sui fianchi, osserva il cielo viola di Milano e si chiede se quell’uomo, che lei conosce, seduto sul muretto in cortile, potrebbe essere il suo primo cliente. Certo non è bello, non è giovane, ma a lei non è permesso scegliere. Lo guarda e mentre sputa fuori il fumo di una sigaretta si chiede come mai sia lì in quell’orario insolito e allora ride e pensa che sia lì per lei. Certo non è bella con indosso quel grembiule e allora pensa a quegli stivali neri di pelle che ha visto in vetrina al centro commerciale. Certo farebbe la sua figura al posto di quelle scarpe da lavoro e forse quell’uomo si interesserebbe a lei invece di tormentare il suo telefonino.

La ragazza rumena ha una voglia sul seno destro, grande come un’arancia, come sua madre, come sua sorella che ora abita in centro, si è rifatta le tette ed è bella da morire. In fin dei conti anche lei ha la vita assai sottile e due gambe lunghe da farci l’amore, un seno piccolo quasi come un fiore, ancora acerbo per il mestiere, ma ha una bocca di nettare e miele da baciare e un sorriso che scioglie anche la neve. Sa che il suo destino non sarà da modella e per questo fa le prove, per questo ora fa due passi e poi si appoggia alla ringhiera trai vasi di ciclamini in fiore ed aspetta almeno un cenno per sentirsi grande, un sorriso per sentirsi donna.

La ragazza rumena però non vuole osare, sa che basterebbe poco perdere quel lavoro, perché quell’uomo non è uno sconosciuto, ma è il marito della signora e il padrone di quella casa dove lei fa servizio, perché soprattutto un uomo così non andrebbe mai con una ragazza rumena che fa le pulizie. Ma sa anche, come dice la portiera, che è un uomo solo e non disdegna il fascino femminile e non disprezza un bacio seppur a pagamento, per via di sua moglie che ha un amante, per via di lui che si tormenta, che fa finta di non crederci o non vuole sapere.

La ragazza rumena ora spegne la sigaretta contro la ringhiera, pensa a sua madre che si ammazza di lavoro, pensa a suo padre con uno stipendio da fame e ancora il mutuo da pagare. Lei, diplomata in informatica alla scuola serale, sa che non ha altro da offrire. Del resto quel signore ha una bella casa e si può permettere una come lei che fa le pulizie. Anastasia ci pensa e allora osa e scosta il lembo del grembiule. Ecco ora in questo momento se lui la guardasse con attenzione vedrebbe una gamba nuda, anzi da lì sotto vedrebbe anche altro visto che lei quando lavora non indossa altro che un grembiule.

Sa che è un’occasione e non vuole lasciarsela sfuggire, anche se dopo non sa bene cosa potrà accadere, non perché non abbia mai fatto l’amore, non perché non sappia trattare un uomo, anche se più grande, ma non sa bene come sia l’approccio per una di mestiere. Non vuole che quel signore intuisca che è la sua prima volta e allora ci pensa, entra un attimo in casa, va nel bagno della signora, poi torna e tira fuori dalla tasca un rossetto rosso, rosso come l’amore, rosso quanto una donna che si offre e mentre si spalma le labbra guarda l’uomo come ha visto fare a sua sorella, la sera scorsa, dentro un locale.

Lentamente lo ripassa tre volte da destra a sinistra e poi ci ritorna e poi aspetta e poi stringe le labbra perchè sia a forma di cuore, finché l’uomo alza lo sguardo e la osserva, finalmente la guarda! Sa che è rumena, sa che ha un figlio ancora da svezzare, sa che sua moglie tornerà solo a tarda sera e stanca e intrattabile gli dirà solo buonanotte, ma sa anche quello che la ragazza ignora, ossia che è tornato prima appunto per incontrarla e ora è lì seduto sul muretto aspettando che lei finisca di pulire prima di rientrare perché è timido e non vorrebbe che lei si imbarazzasse.

Allora la guarda di sbieco, guarda il cielo viola di Milano, poi appena un cenno istintivo di saluto, così tanto perché altro non saprebbe cosa fare. Ma ad Anastasia ora batte il cuore, si domanda perché non sia salito, ma sa che non ha molto tempo e non vuole che l’uomo affondi di nuovo lo sguardo nel telefonino, vuole incollare i suoi occhi sulle sue labbra, oppure se ha piacere, su quel seno che ora mostra dalle parti del cuore.

Lui non distoglie lo sguardo, è timido sì, ma anche per lui questa è un’occasione perché Anastasia è bella, bella da morire, perché Anastasia è disponibile anche se solo ora lui crede di capire. Però non si muove, fissa la ragazza, forse vuole che lei lo inviti platealmente, ma Anastasia invece pensa già ad oltre e a quanto possa valere quell’amore, così vestita senza trucco e pretese dentro l’ombra di quella casa. E allora osa ancora di più, slaccia l’ultimo bottone e mostra la sua gamba sfacciata fino all’attaccatura e poi oltre fino al suo bel fiore, rosso come la ruggine, bianco come il latte.

L’uomo ora non ha dubbi e non crede ai suoi occhi, ha oltre trent’anni più di lei, allora si guarda intorno, crede che quel paradiso sia per altri, ma in quel cortile non c’è altra anima viva! Allora si alza, ripone il telefono in tasca e sale le scale, ha il fiatone, ma pensa che sia il fumo di quella sigaretta, certo prima o poi dovrà smettere, ma ora gli tremano le gambe e quando arriva al piano non deve usare la chiave. La porta è aperta, lui entra, la ragazza è nuda e lui non può notare quel bel sedere. Lei si avvicina con fare da esperta, forse sorride, comunque lo prende per mano e lui la segue fino nella sua camera, nel suo letto appena rifatto.

La ragazza rumena ora sa quello che deve fare, seduta sul letto muta lo spoglia, lui le accarezza i capelli perché non c’è nulla da dire. Allora lui la bacia e lei si fa baciare, bacia quei noccioli di pesca, quella peluria rossa ancora acerba come il suo nettare di miele. Non si parlano, ma fanno l’amore, non si dicono amore perché così non sarebbe, ma si amano e si cercano e lui ora la prende come se fosse naturale, come se quella casa fosse un motel di periferia e loro due amanti che si conoscono da tempo.

Ora lui è dentro di lei, non credeva fosse così facile, perché il suo sesso scivola e poi risale, perché ora la sta chiamando col suo nome e dopo qualche secondo ha compiuto il suo dovere e allora lui guarda il soffitto, lei i gerani in balcone, quel cielo viola di Milano e sa che tra poco lui tornerà dentro di lei e lei lo accetterà fino allo sfinimento e allora pensa a quanto tutto questo potrebbe costare, quanto sua sorella chiederebbe per un giorno d’amore, ma poi ci ripensa e nel dubbio si chiede chi dei due dovrebbe pagare, chi dei due ha ricevuto più piacere, perché in questa mattina di lavoro, in questa casa senza la signora, nel segreto di questa camera da letto, le loro sono ora, due storie che si incontrano, due corpi che si stringono, due anime lontane che si cercano, distanze che si annullano di due solitudini uguali.


 





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Il racconto è frutto di fantasia.
Ogni riferimento a persone e fatti
realmente accaduti è puramente casuale.
Il presente racconto è liberamente ispirato al brano Cortili lontani degli Stadio


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