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Adamo Bencivenga
Il Signor Bell
...
.Era un gentiluomo il Signor Bell, vestito di grigio dai piedi ai capelli,
quei pochi fedeli che a stento coprivano il riflesso della sua testa
accecante al primo accenno di sole. Aveva ormai quarant’anni, si sentiva
un uomo pieno di saggezza e alla vita non chiedeva altro che lievi
emozioni consumate in solitudine come il risentimento di una carriera
mancata.
Non era bello il Signor Bell, appesantito dagli anni e da
una pancetta piuttosto imbarazzante e con la faccia tonda, la pelle lucida
come il suo sedere e due baffetti striminziti che si congiungevano ai peli
del naso. Ma comunque era un gentiluomo il Signor Bell ed ogni mattina,
cadesse il mondo, s’alzava senza l’aiuto della sveglia alle sette in
punto. In bagno rimaneva il tempo necessario per una doccia, i denti e la
barba oltre naturalmente a quei cinque minuti di orologio che passava
seduto leggendo le etichette dei detersivi sulla mensola della finestra.
Alle 7,21 entrava in cucina e dopo aver pulito la gabbia della merla Sissi
preparava la colazione. Alle 7,30 quando la radio dava le notizie fresche
del mattino portava il caffè ed un croissant alla marmellata di more a sua
moglie Catherine. Poggiava il vassoio di ceramica sul comodino e la
salutava con un bacio leggero tra la fronte e l’attaccatura dei capelli
per non svegliarla del tutto.
Era un gentiluomo il Signor Bell,
quando prima di uscire tornava di nuovo in cucina, apriva le tapparelle
per inebriarsi del primo raggio di luce, alle volte grigiastro, alle volte
più scuro, mai comunque del colore del sole, mai comunque azzurro come il
cielo terso che non conosceva. Ma Bell si accontentava e sorridente
prendeva il suo panino incartato con la stagnola, preparato con cura dalla
moglie la sera precedente.
Era troppo curioso il Signor Bell e prima di
riporlo dentro la cartella di pelle marrone dava un’occhiata al contenuto.
A volte fettine sottilissime di tacchino farcite di olive e capperi, altre
pancetta affumicata guarnita di maionese, salvia e uova, quelle grandi con
il tuorlo rosso che Miss Renagade teneva nel retro bottega e riservava ai
clienti migliori. Poi soddisfatto riponeva il panino nella borsa e
chiudeva alle sue spalle la porta a vetri di casa senza fare il minimo
rumore. Sua moglie Catherine si sarebbe svegliata verso le nove e trenta
ed avrebbe passato la giornata a rigovernare la casa. Bell non aveva mai
voluto che lavorasse, seppur la sua dolce metà fosse in possesso di un
diploma da sarta e da giovane, prima di conoscerlo, aveva frequentato un
corso di stenografia.
Le previsioni del tempo non l’avevano mai
tradito: impermeabile, giacca, soprabito per ogni evenienza. Durante il
tragitto a piedi fino alla fermata del pullman cercava di indovinare,
dietro la solita coltre di nebbia, quanto tempo l’ombrello nero di James
Smith & Sons sarebbe rimasto appeso al suo braccio.
Andava fiero del
suo ombrello di osso e bacchette d’acciaio che aveva acquistato circa un
decennio prima ed ora, nonostante gli anni, era ancora perfettamente
funzionante. Certo la tela aveva avuto bisogno di qualche piccola
riparazione, ma tutto sommato lo riteneva un buon acquisto.
Era un
gentiluomo il Signor Bell, lì in piedi al riparo sotto la pensilina della
fermata per Collington. L’autobus passava alle sette e quarantacinque e
lui doveva attendere solo qualche secondo, mai un minuto. Mai una volta
aveva perso quella corsa, mai una volta aveva finito la corsa seduto. Come
tutte le mattine alla quarta di Richmond Square, il quartiere abitato da
operai e immigrati, l’autobus si popolava ed il vociare alto non andava
oltre la politica, il tempo, e lo sport. Il Signor Bell, pur essendo molto
ferrato sugli argomenti, rimaneva in disparte senza prendere mai la parola
e gustandosi altre distrazioni. Lui era convinto di essere un uomo
tollerante e democratico dalle idee puramente liberali, ma moderate da una
integerrima, sana e pulita morale.
Era curioso il Signor Bell e per
vezzo scrutava tra la folla delle gambe femminili quelle più avvenenti e,
scelte le preferite, con ampi gesti invitava la signora di turno ad
occupare il suo posto. Una scusa come tante per poter sbirciare due belle
gambe da vicino e farsi un’opinione in generale sulla prescelta. Bella o
brutta non aveva alcuna importanza, alta o bassa men che meno.
L’importante era apprezzare da così vicino la trama di una calza sobria ed
elegante, soffermandosi sui dettagli delle pieghette impercettibili di
fibra velata. Da quell’attenta osservazione Bell giocava ad indovinare la
condizione economica, lo stato civile, in certi casi la professione e via
via la classe e il fascino della sua preda.
Risalendo una calza
grezza sapeva già di trovarci dei vestiti ordinari e un cappello sciatto,
nonché un viso non curato, senza trucco, a volte olivastro e alle volte
addirittura senza cappello. Difficilmente si sbagliava. Ma era un
gentiluomo il Signor Bell e il suo piccolo segreto consisteva nel
guardare, il suo piccolo vizio nel fantasticare, ma mai e poi mai avrebbe
importunato quelle signore, mai e poi mai un sospiro più forte l’avrebbe
tradito o non so un apprezzamento condito, un commento sfuggito. Di solito
divagava immaginando le gambe di sua moglie fasciate da quel nylon e
risalendo la gonna sognandola aggraziata da fine lingerie di pizzo
trasparente solitamente nera o al massimo con sfumature grigio perla.
Finiva la corsa incastrato tra la parete di vetro dell’autista e la
bombola dell’antincendio. Per lui era senz’altro una fortuna dato che in
quel minuscolo posto non aveva bisogno di sorreggersi ai sostegni di
ferro. Maniaco della pulizia lottava ogni giorno strenuamente per passare
indenne le buche di Wiston Street che per chissà quale ragione il
Dipartimento Municipale addetto non si decideva a ricoprire.
Aveva già
inviato due raccomandate di protesta, regolarmente ricevute dall’ufficio
compente, ma finora non aveva avuto alcuna risposta. Aveva anche provato
con una telefonata molto garbata com’era nel suo stile. Un’addetta
altrettanto gentile gli aveva assicurato che i lavori di manutenzione e
sistemazione del manto stradale erano già stati programmati. Davanti a
quella voce di grazia e femminilità il Signor Bell decise di pazientare.
Come ogni mattina scendeva alla terza di Bondon Street davanti al
chiosco di fiori. Ogni mattina faceva finta di rubare una margherita o un
crisantemo per poi lasciarsi andare ad una tonica risata con il fioraio di
origini indiane. Lo salutava di fretta per poi attraversare la strada alla
seconda traversa a destra sopra le strisce pedonali.
Acquistava il suo
giornale all’edicola di fronte leggendo avidamente le ultime notizie di
sport e la pagina dell’oroscopo prima ancora di aver preso il resto.
Fatti quattro passi era già nell’androne del suo ufficio.
Era un
gentiluomo il Signor Bell quando ogni mattina s’attardava a parlare di
calcio con il commesso dell’ufficio di fronte. Nonostante lo considerasse
di livello inferiore riusciva comunque ad accalorarsi imponendo le sue
idee sulle tecniche ed i moduli del calcio moderno. Purtroppo la squadra
di Bell militava nella seconda divisione e neanche quest’anno sarebbe
passata di categoria. Era fortemente convinto che la causa principale
fosse stata il cambio dell’allenatore e soprattutto l’acquisto di Paco
Junior, un giovane attaccante argentino, che aveva disatteso le
aspettative. Troppo lento e tecnicamente scarso, aveva sì un buon tiro
potente, ma difficilmente riusciva a smarcarsi. La domenica successiva era
in programma il derby ed era fortemente preoccupato per il risultato
finale. Salendo le scale scosse la testa, del resto questo era il suo
cruccio maggiore.
Entrava nel suo ufficio alle otto e trenta in
punto, mai qualche minuto prima, perché s’inibiva a guardare la Signorina
Crawford intenta a truccarsi prima dell’orario di lavoro. Odiava questa
mania femminile, comune a tutte le sue colleghe. Non riusciva a capire
come in quei minuscoli specchietti impolverati di cipria si potesse
generare bellezza. Ed a guardare la Signorina Crawford i suoi timori non
erano del tutto strampalati!
La sua scrivania, seminascosta da una
grande fioriera di aspidistra, kenzia e piante grasse, era in fondo alla
stanza davanti alla finestra che dava sul cortile interno. Gli seccava
dover percorrere ogni volta quei cinque metri passando davanti alla
Signorina Crawford. Si sentiva gli occhi addosso, scrutato da capo a
piedi.
“Buongiorno Signor Bell.” Lei raggiante.
“Buongiorno
Signorina Crawford.” Lui a mezza bocca guardando il pavimento a rombi di
piastrelle bianche e marroni.
Non aveva nessun interesse verso
quella donna che conosceva da circa vent’anni. Per così dire non era una
signora avvenente, mai una volta un sogno l’aveva sorpreso a pensarla, mai
un gioco di parole l’aveva indotto a riconsiderare la sua opinione. Lei
non si era mai sposata o meglio nessuno mai, per quanto di sua conoscenza,
aveva chiesto la sua mano. Fatto insolito pensava Bell, visto che anche le
donne, diciamo così, esteticamente meno avvenenti avevano i loro
pretendenti, forse pensava sempre Bell, il motivo poteva essere ricondotto
a quell’alito cattivo, la mattina particolarmente forte, o forse per quel
neo vistoso sulla guancia sinistra che invano cercava di coprire.
La Signorina Crawford, nonostante avesse da tempo superato i quarant’anni,
viveva ancora con sua madre, ma essendo un’inguaribile ottimista era certa
che un giorno non molto distante avrebbe avuto una casa propria.
Naturalmente con gli anni aveva cambiato i suoi desideri. Ora non pensava
più ad avere un figlio ad ogni costo, ma sicuramente un uomo onesto per
spartirci una casetta adiacente a quella di sua madre.
La Signorina
Crawford svolgeva la mansione di dattilografa anche se non era diplomata,
aveva il compito di battere le lettere indirizzate ai clienti e quelle per
uso interno, inoltre controllava i resoconti mensili, rispondeva alle
telefonate e ordinava gli archivi. Nonostante il suo seno e le sue forme
abbondanti seguiva una dieta rigida a base di sedano, carote e cipolline
sotto aceto. Per ingannare la fame trascorreva la mezz’ora di pausa
lavorando a maglia. Non era propriamente brava nel lavoro e neppure
nell’uncinetto. Secondo il Signor Bell non brillava nemmeno di una
spiccata intelligenza e di una normale intuizione, ma doveva ammettere che
era ligia nelle mansioni.
Il Signor Bell invece era un ragioniere
diplomato e si considerava di più alta estrazione sociale rispetto alla
Signorina Crawford. Era convinto che con le segretarie occorresse
mantenere un certo distacco, dandole necessariamente del voi. Era un uomo
gentile il Signor Bell, ma il panino preparato da sua moglie lo consumava
in bagno, appunto per non scambiare confidenze eccessive con la collega.
Nel lavoro era molto ordinato, preparava a mano i resoconti mensili di
spesa per i maggiori soci della compagnia. Si vantava di fare tutti i
conti a mente, di rado usava carta e penna e mai la sua calcolatrice IBM
che preferiva lasciare in bella mostra sulla sua scrivania coperta da una
fodera nera di tela grezza.
Ogni volta che per qualche motivo
saliva le scale della direzione, rimaneva ammaliato dalla moquette alta
rosso sangue. Era così soffice e vellutata che goffamente cercava di
camminare sui lati più estremi per il timore di sporcarla o lasciarci le
impronte. In quel piano si respirava un silenzio irreale, le segretarie
erano belle, gentili ed eleganti, i pomelli delle porte a vetri sempre
lucidi e sulle stoffe giallo ocra delle pareti risaltavano i paesaggi
campestri di Thomas Gainsborough, un pittore inglese del settecento.
Sperava in cuor suo che un giorno, non tanto lontano, anche lui sarebbe
rientrato in quella ristretta cerchia di soci.
Viveva l’eventualità con
gioia e terrore perché il passaggio di grado avrebbe necessariamente
comportato il cambio di mansione. Considerava il suo attuale lavoro di
estrema importanza ed era fermamente convinto che nessun altro collega
fosse stato all’altezza ed avrebbe mai potuto sostituirlo.
Tutti i
lunedì alle ore dodici e trenta esatte e poi a cadenza di cinque minuti
controllava il suo Orient da tasca. Solitamente passava quell’ultima
mezz’ora riordinando le sue carte e lasciandosi andare a qualche
telefonata privata.
Il suo telefono a differenza di quello della
Signorina Crawford era abilitato alle chiamate interurbane. Bell lo teneva
sotto chiave assicurato ad un lucchetto dorato comprato personalmente nel
negozio di ferramenta all’angolo con Konigher Street. Ne andava orgoglioso
di quel privilegio e alle volte rimarcava la cosa parlando a voce alta con
sua sorella nello Yorkshire, ed altre dilettandosi a conversare per buoni
dieci minuti con la sua nipotina Maryl, ormai adolescente. Alle dodici e
cinquanta chiamava sua moglie. Di solito la telefonata durava una decina
di minuti. Di solito organizzavano il loro pomeriggio dopo ovviamente il
pranzo e il meritato riposo che Bell soleva passare in poltrona davanti
alla finestra della piccola sala da pranzo. Finiva di leggere il suo
giornale preferendo alle notizie politiche la pagina degli annunci
economici. Aveva sempre avuto un ottimo fiuto per gli affari. Ricordava
con piacere la volta, quando per poche centinaia di sterline, era riuscito
a comprare una coppia di antiche etagere in stile Art-Nouveau o quando,
tramite un rigattiere amico di suo padre, si era portato a casa per meno
di mille sterline una ribalta in melo e sicomoro risalente all’ultimo
quarto del XVIII secolo e proveniente molto probabilmente dalla Francia
meridionale. Quasi sempre dopo il caffè aromatizzato alle bacche di
ginepro, s’appisolava reclinando la testa su un fianco. Sua moglie
amorevolmente accostava le tendine panna riponendo con cura il giornale
sopra la sedia. Al pomeriggio Bell non sognava quasi mai, preferiva la
notte per concedere ad un sonno più lungo l’eventualità mai remota d’un
discreto piacere.
Tutti i giorni, tranne il sabato e la domenica,
la Signora Bell lo svegliava alle quattro in punto. Tutti i giorni alle
quattro e un quarto Bell andava a controllare la cassetta della posta.
Ogni martedì generalmente riceveva notizie dalla Sweet & Word Inc. Giocare
con le parole era il suo hobby preferito. Bell andava molto fiero di
questa corrispondenza. Ormai collaborava con la prestigiosa casa editrice
da almeno dodici anni.
Nella fattispecie il gioco consisteva nello
scrivere brevi frasi d’amore che facessero in qualche modo riferimento ad
un bacio. Le più belle venivano poi stampate sulla stagnola di una nota
marca di cioccolatini. Il Signor Bell che era un gentiluomo si era visto
pubblicare ben due frasi: “Nel fondo di ogni anima ci sono tesori nascosti
che solo un bacio può scoprire.” e “Ogni grande amore comincia con un
bacio.”
Finita la telefonata con la moglie, Bell, alle ore
tredici in punto era già sulle scale. Per paura di contrattempi non
prendeva mai l’ascensore. Il pensiero di arrivare tardi gli accresceva
l’affanno e gli imperlava la fronte di sudore freddo. Ad ogni costo non
avrebbe mai rinunciato all’unico suo svago, che ovviamente considerava
innocente e soprattutto innocuo. Ma ovviamente era solo una sua opinione
non del tutto convincente visto che a nessuno mai, per imbarazzo o
vergogna, aveva confidato quella sua mania.
Giunto al piano terra
salutava di fretta il commesso in divisa senza togliersi il cappello.
Lungo la strada evitava di camminare sui marciapiedi affollati
cronometrando il percorso da un semaforo pedonale all’altro in modo da
trovare sempre la luce verde ed attraversare velocemente gli incroci.
Conosceva a memoria ogni buca del tragitto che percorreva cadenzando i
passi ed il respiro per arrivare puntuale alle tredici e zero otto davanti
alla scuola.
Ogni tanto s’avvampava di terrore pensando cosa
sarebbe accaduto se il direttore del College di St. Patrick avesse
cambiato l’orario di uscita, oppure, per qualche inconcepibile motivo, a
lui incomprensibile, le ragazze fossero uscite qualche minuto prima.
Nonostante la corsa riusciva comunque a mantenere all’apparenza il suo
integerrimo equilibrio e la sua aria formale di uomo distinto indossando
con fierezza il suo cappello grigio topo con valigetta di pelle sulla mano
sinistra e due sterline strette nel pugno di quella destra.
Quel
lunedì si accorse di essere in leggero ritardo quando passò davanti al
negozio di dolciumi e latte su Crown Road, ma il Signor Bell era un
gentiluomo ed accarezzò ugualmente, senza fermarsi, la pelliccia bianca e
folta del cane del Signor Lester.
Per recuperare secondi non tirò fuori
dalla tasca dell’impermeabile la solita caramella alla menta e burro. Il
muso del cane si increspò leggermente e lui evitò di guardarlo. Era troppo
sensibile il Signor Bell, ma doveva assolutamente recuperare quella
manciata di secondi.
Passò dritto.
Attraversò CollinsHouse alle
tredici e zero sei. Da lì già poteva intravedere le ampie arcate massicce
della grossa costruzione ottocentesca del liceo femminile. Affrettò il
passo, più per la contentezza che per quei secondi di ritardo. Le grosse
auto nere degli autisti rigorosamente in divisa e berretto erano tutte
parcheggiate ordinatamente dall’altro lato della strada ed aspettavano
pazientemente le ricche studentesse di buona famiglia.
I cancelli in
ferro battuto del monumentale edificio erano ormai a pochi passi quando
sentì il nitido suono della campanella interna che annunciava l’uscita. Si
rilassò. Tirò fuori il fazzoletto candido e si asciugò la fronte sudata
sorprendendosi a strusciare lievemente le suole per sentire il dolce
rumore della ghiaia.
Prese posto sopra una panchina di legno lungo la
siepe d’alloro, in un angolo appartato del giardino, a destra del grande
portone e della statua equestre in bronzo di Giorgio II. Da lì poteva
ammirare le code colorate in uscita delle studentesse sfilacciate sul
piazzale. Con le sterline strette nel pugno della mano destra aspettò.
Lì tra qualche secondo sarebbero arrivate! Con un gesto spontaneo tolse il
cappello e con la mano s’attaccò i pochi capelli sulla testa intrisi di
brillantina. Dopo dodici secondi di orologio sussurrò a se stesso:
“Eccole!”
Trascorse ancora una manciata di secondi prima di vedere
lo sciame sorridente e colorato avvicinarsi. Le ragazze, per la maggior
parte bionde, vergognose e allo stesso tempo strafottenti, proseguirono
lentamente nella sua direzione. Era un gentiluomo il Signor Bell ed
adorava quell’attesa e quell’atteggiamento bizzarro e scanzonato tipico
delle adolescenti. Questa volta erano in tre. Ma il numero non aveva
importanza.
“Buongiorno Signor Bell!” Lo salutarono in coro.
“Buongiorno care.” Replicò lui soddisfatto.
Con l’aria fintamente
paternalistica s’informò se qualcuna di loro fosse stata interrogata. Poi
come al solito si lanciò in un mezzo sermone aggiungendo con solennità
quanto lo studio fosse importante e che per nessuna ragione avrebbero
dovuto trascurarlo.
Le ragazze come al solito risero e Bell era
pienamente cosciente quanto le sue parole, anche se dette con enfasi,
sarebbero volate nel vento senza lasciare alcuna traccia. Poi guardò di
nuovo l’orologio e si rese conto di quanto il tempo scorresse velocemente.
Il tempo dei convenevoli era miseramente esaurito. Gli autisti spazientiti
aspettavano le ragazze fuori dal cancello. A quel punto il Signor Bell
senza parlare aprì il pugno mostrando le due sterline. Era il segnale
convenuto! Dalle tasche delle liceali spuntarono triangolini di stoffa
colorati. In attesa della scelta il vociare delle ragazze si spense di
colpo. Lui, ad una ad una, ne constatò la morbidezza, la fragranza e l’uso
strofinandole leggermente tra il pollice e l’indice, e avvicinandole poi
con la sofisticata conoscenza e la massima discrezione al suo naso avido e
curioso.
Quello era il momento più delicato e difficile della
giornata. Ma, ancora una volta, le ragazze non avevano bleffato. In
effetti quelle stoffe erano state magicamente usate da poco. Giurava di
sentirne ancora il calore. Ma non era tutto. Come al solito gli s’imperlò
la fronte di sudore. In pochi frammenti di secondi doveva considerare ogni
cosa, il tessuto, il disegno, il colore, la leggerezza, le decorazioni, la
forma, il merletto, il pizzo, l’orlatura, la consistenza, le rifiniture,
le applicazioni, lacci, fiocchetti, perline e piccoli ricami.
Sorrise il Signor Bell ripensando alla prima volta, quando impacciato si
era accontentato a caso senza scegliere e poi era scappato via di corsa.
Ma erano decisamente altri tempi. Ora era tutto diverso. Alle volte si
allontanava qualche metro per non essere distolto dalla fragranza
dell’alloro dietro le sue spalle o dai profumi di shampoo alle viole delle
ragazze, altre invece, nonostante le affinate esigenze, riusciva a
decidere in pochi secondi. Di solito teneva gli occhi ben serrati,
lasciando al tatto ed al naso l’ultima parola.
Le ragazze, sotto i
cappellini, bianchi e rossi del college, aspettavano pazientemente la sua
decisione. Ognuna di loro sperava che la scelta ricadesse sul proprio
triangolino e in quel momento pensavano esclusivamente a come spendere le
due sterline. Il Signor Bell che era un gentiluomo cercava di ridurre i
tempi di quella snervante attesa senza pensare che le ragazze non erano
affatto in imbarazzo. Del resto loro consideravano quell’incontro una
semplice e innocua stravaganza da parte di un uomo di mezza età che tutto
sommato pagava a caro prezzo quel disturbo.
Il Signor Bell si
concentrò al massimo per sbrigare la faccenda. Tenendo in mano i tre
trofei li annusò ancora una volta respirando tra l’uno e l’altro una
boccata di aria pulita. Alla fine dopo tanto annusare scelse senza più
alcun dubbio la culla di piacere del suo naso. Diede le due sterline alla
prescelta salutandola discretamente. Poi restituì i due triangolini
scartati alle altre, accompagnando il gesto con un lieve buffetto sulle
guance tristi. Ci sarebbe stata sicuramente un’altra occasione!
Una
delle due ragazze tristi osò chiedere spiegazioni. Questo non era affatto
previsto! Bell la guardò, aveva due stupendi occhioni blu e una cascata di
capelli biondo soffice raccolti in fondo da un fermaglio a forma di
farfalla. Bell sentì dentro di sé una lieve increspatura di dispiacere, ma
ormai aveva fatto la sua scelta e per nulla al mondo sarebbe tornato
indietro. Con aria paternale le tolse il cappello e le scompigliò i
capelli spronandola per la volta successiva.
Poco dopo s’allontanò
contento quasi volando sulla ghiaia e tenendo strette nel pugno sinistro
le mutandine della graziosa liceale.
FINE.. .. |
Il racconto è frutto di
fantasia. Ogni riferimento a persone e fatti realmente accaduti
è puramente casuale.
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